Rivista Anarchica Online


sentenza Giuliani

G8 assassini
di Maria Matteo

 

I carabinieri, accusati dell’omicidio di Carlo Giuliani, non saranno processati. Ma la verità su quel 20 luglio è stata scritta sui muri...

“Il giudice ha ordinato la restituzione ai due carabinieri delle armi e delle munizioni poste sotto sequestro e ai familiari di Carlo Giuliani degli effetti personali del giovane.”
Con questa scarna nota si chiude la vicenda giudiziaria sulla morte di Carlo Giuliani, il giovane genovese assassinato durante i giorni della protesta contro il G8.
I carabinieri Placanica e Cavataio, accusati dell’omicidio di Carlo, non saranno processati. La giudice D’Aloiso ha accolto la richiesta del rappresentante della pubblica accusa, Silvio Franz, ed ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dei due esponenti della Benemerita.

Due anni dalla morte di Carlo

Il 20 luglio di quest’anno saranno due anni dalla morte di Giuliani. Allora, in quel luglio sin troppo assolato, la sequenza impressionante delle foto scattate da uno dei tanti fotografi presenti a Genova pareva la “prova” visiva sin troppo evidente della tragedia consumatasi nella piccola piazza Alimonda. La prova dell’ennesimo delitto di stato.
Francamente non ho mai creduto che gli esecutori materiali di un omicidio commissionato nei palazzi dei potenti potessero essere condannati per aver puntualmente eseguito i propri compiti.
Da allora altri hanno chiesto verità e giustizia ai tribunali, sperando in un esito diverso, ma io credo che la verità su quel 20 luglio sia stata scritta sui muri delle strade delle nostre città, sia stata gridata ad ogni manifestazione, ad ogni corteo, in ogni assemblea. La scritta “Assassini”, sin dal 21 luglio del 2001 è apparsa nei pressi di mille caserme, prefetture, municipi e dice una verità che non ha bisogno di alcun tribunale di quello stesso stato che ha condannato a morte Carlo Giuliani.
Chi ancora oggi parla di democrazia “tradita” non vede che le tante carte dei diritti non sono che belle parole da sbandierare durante le cerimonie ufficiali ma diventano carta straccia quando le piazze e le strade si riempiono di gente convinta che la libertà non sia solo un’espressione rituale, ma principio di un’organizzazione sociale più giusta per tutti e per ciascuno, humus fecondo un cui attecchiscono le radici di un mondo nuovo. Il mondo che in tanti vogliono e per il quale scendono in piazza non trae la propria legittimità dai codici e dai trattati ma si radica nella capacità di autogestione ed autogoverno. Senza barriere, senza frontiere, senza stati. Un mondo da abitare solidalmente, non un territorio da controllare, depredare, asservire agli interessi di pochi. Un’utopia ben più concreta di quella che pretende di coniugare libertà e democrazia.
Quello che in tanti vivemmo a Genova nel 2001 fu solo uno dei tanti episodi di una guerra feroce e silenziosa, una guerra che, come tutte le guerre, aveva lo scopo di terrorizzare, ferire, uccidere, annientare il proprio nemico. La violenza che in quel luglio le varie forze del disordine scatenarono contro migliaia di manifestanti, gassandoli, pestandoli, torturandoli mirava ad annientare ogni voce di dissenso, ogni grido fuori dal coro, ogni spazio di critica contro un mondo ingiusto, crudele, sempre più diviso tra potenti e senza potere, tra chi ha troppo e chi nulla, nemmeno una speranza di vita.
I movimenti no-global, pur tra mille contraddizioni, pur attraversati da ampie aree politiche più propense al dialogo mimetico con la controparte che ad una contestazione radicale, hanno rappresentato - e rappresentano - la prima forma di ribellione non meramente settoriale dopo molto tempo. Per questo hanno fatto e fanno a paura, per questo la repressione contro questi movimenti si è scatenata con particolare virulenza. Per questo la vicenda giudiziaria sulla morte di Carlo Giuliani non può che chiudersi con l’affermazione della “legittima” difesa.

“Legittima” difesa

In nome di quella stessa “legittima” difesa da allora sono caduti sotto le bombe migliaia di afgani e di iracheni. Incalcolabile il numero dei feriti, dei mutilati, degli avvelenati dai gas e dall’uranio. Solo pedine nella guerra infinita per il dominio planetario. Come Carlo Giuliani: una pedina in un gioco molto più grande di lui, molto più grande di ciascuno di noi.
La guerra, quella esterna e quella interna sono ormai entrate a far parte del nostro panorama. Anche oggi siamo in guerra. Una guerra quotidiana che attraversa il corpo delle nostre città, che erode la coscienza civile che credevamo un patrimonio acquisito qui da noi, nel nord prospero, sano, libero.
Una guerra guerreggiata ha appena chiuso la propria parte “calda” tra le rive del Tigri e dell’Eufrate. Di fronte a questa guerra le bandiere arcobaleno che ancora danzano da tanti balconi sono il segnale inequivocabile di un’opposizione senza reticenze, di un’opposizione senza se e senza ma.
La guerra interna dalla quale siamo tutti investiti è invece meno eclatante, ma non meno devastante. Da anarchici e libertari sappiamo bene che la guerra esterna e quella interna hanno lo stesso fronte, e una rimanda all’altra.
Sul fronte interno l’immagine del nemico è oculatamente disegnata in modo da aprire e chiudere differenti linee di cesura, rendendo disagevoli le convergenze. Di volta in volta il nemico è il migrante povero, il lavoratore che reclama diritti, la popolazione in lotta contro le devastazioni ambientali, l’antimilitarista, l’interinale incazzato, il cinese untore, il no-global.
Il dopo guerra iracheno mostra chiaramente come i potenti, lungi dall’aver raggiunto e consolidato un nuovo equilibrio, stanno portando a compimento una nuova fase della lunga transizione al XXI secolo. Il secolo precedente, “secolo breve” aperto dalla prima guerra mondiale e dall’avvento dei bolscevichi in Russia si conclude con la caduta del muro di Berlino e, conseguentemente, segna la fine del bipolarismo, del cosiddetto equilibrio del terrore.

Superiorità militare

Nel periodo successivo gli Stati Uniti tentano di affermarsi come unica potenza egemone: la loro indiscussa superiorità militare è il grimaldello principale attraverso il quale tentano di costruire un mondo unipolare. Lo scontro che ne consegue finisce con il ridisegnare gli assetti geopolitici, ridefinendo le alleanze e le cesure secondo schemi sino ad allora inediti. L’Europa ex sovietica, ad eccezione della Russia, entra nell’orbita statunitense, l’Europa occidentale ed, in particolare, la Germania e la Francia, mirano invece a sciogliersi dall’abbraccio soffocante dell’alleato/competitore di oltre oceano.
Con lo strappo della seconda guerra del Golfo la sfida tra la superpotenza statunitense e gli alleati recalcitranti europei si è fatta più visibile ed aspra. La spartizione oggi in corso del bottino iracheno la dice lunga sulla scelta statunitense di premiare con qualche briciola gli alleati fedeli e di tagliare fuori dalla tavolata i potenziali competitori. È un confronto complesso quello che si va profilando, che, al di là degli esiti immediati, già lascia intravedere una futura ulteriore escalation militare su scala planetaria. L’ormai probabile nascita di un polo militare europeo darà forte impulso al riarmo, alla spesa bellica ed alla, necessariamente conseguente, militarizzazione delle società del nord.
Un nord sempre più ricco, potente e predatore a fronte di un sud in cui la chiusura di ogni speranza, di ogni possibile accesso alla tavola dei ricchi rischia di dare sempre più fiato alle peggiori follie integraliste. In un pianeta votato al suicidio politico, sociale ed ambientale il kamikaze non è l’eccezione straniante ma l’emblema più vero. La differenza tra l’operazione “Spaventa e terrorizza” degli statunitensi in Iraq e l’esponente della jahad imbottito di tritolo è solo nelle proporzioni numeriche. Ma nei fatti sono ciascuno lo specchio dell’altro.
I segnali della guerra sono ovunque anche se l’abitudine o l’apatia li rendono sempre meno intelligibili, parte del panorama usuale tanto da apparire “normali”, privi di ogni connotazione di eccezionalità tale da suscitare allarme, preoccupazione, dubbio.
D’altro canto le guerre non necessitano solo di generali ma anche di truppe. Truppe spinte dalla coercizione, dalla paura, ma, non di rado, anche dalla convinzione.
La guerra contro l’Iraq, facilmente vinta dagli statunitensi sul campo, è stata assai meno vittoriosa sul piano dell’adesione, dell’efficacia dell’apparato propagandistico. La tesi della legittima difesa preventiva non convince nessuno. Che si tratti dei marine USA o dei carabinieri Cavataio e Placanica.
Con buona pace di qualunque verità possa essere confezionata da un giudice, da un poliziotto, da un bush di turno. Ancora dopo la sentenza di proscioglimento degli assassini di Carlo i muri di questo nostro paese hanno continuato ad urlare “G8 assassini!”.

Maria Matteo