Metello
Sono gli anni a cavallo fra ottocento e novecento. Firenze.
Lespansione edilizia, il grande processo di urbanizzazione
che, fra crisi e riprese, investe Firenze capitale; le maestranze
dei cantieri, manovali, sottomuratori, muratori, inurbatisi
per sfuggire alle miserie della campagna o da tempo cittadini,
orgogliosi, ribelli, consapevoli della dignità del proprio
lavoro, del lavoro. Questa è lambientazione del
bellissimo Metello di Vasco Pratolini, al quale dedichiamo
il nostro ritratto (V. Pratolini, Una storia italiana I.
Metello, Vallecchi, 1955). Un ambiente sociale ricco di
figure popolane e proletarie nel quale si incrociano, in continua
simbiosi, anarchici e socialisti. Fieri della propria radicale
diversità i primi, più propensi a irrobustire
Camere del Lavoro e Società di mutuo soccorso i secondi.
Un ambiente nel quale, comunque, i lavoratori fiorentini, uniti
nel riconoscere e combattere il nemico nonostante le nascenti
differenze tattiche e strategiche che portano anche a duri scontri
verbali, mantengono intatto lo spirito ribelle e solidale del
proletariato toscano.
Vasco Pratolini, uno dei maggiori scrittori italiani del novecento,
fra i padri del neorealismo e autore di altri notevoli lavori
quali Cronache di poveri amanti (1947), Le ragazze
di San Frediano (1949), Lo scialo (1960), riporta
nei suoi romanzi la durezza e la vivacità della propria
adolescenza, allorché per vivere e continuare a studiare
si adattò a svolgere mille mestieri nei quartieri popolari
del capoluogo toscano. Ed è la vita di questi quartieri
e della loro gente, riportata in modo mai retorico ma attento
a riprodurre la semplicità del quotidiano nella sua oggettiva
complessità, che esce con limmediatezza di chi
ne ha assaporato fino in fondo tutta la ricchezza. Una vita
ricca di sensazioni e sentimenti, popolana e corale, nella quale
lalienazione della solitudine è concetto sconosciuto,
e la finestra che dà sulla strada o la porta della vineria
sono i veri salotti nei quali si incrociano le esistenze.
Protagonista è Metello Salani, orfano della madre morta
di parto e del padre, anarchico e renaiolo dArno, annegato,
lui ancora in fasce, durante il lavoro. Mandato a balia in campagna,
rientra a Firenze a quindici anni accolto da Betto, antico collega
anarchico del padre. Dopo la sua scomparsa, Metello trova lavoro
nei cantieri dellingegnere Badolati, costruttore intelligente
e leale, ma pur sempre padrone; e in questo ambiente, popolato
di belle figure di anarchici e socialisti, viene acquisendo
una solida coscienza di classe. Vicino al segretario socialista
della Camera del Lavoro Del Buono, assiduo frequentatore delle
assemblee operaie, attivo nelle lotte, dopo aver conosciuto
carbonaia e carcere, vere scuole di vita, nel 1902 partecipa
con un ruolo direttivo al grande sciopero dei muratori
che, dopo 42 giorni di dura e sofferta lotta, riuscì
a piegare le strenue resistenze padronali. Nella trama si inseriscono,
integrandosi perfettamente con le vicende sociali, i rapporti
sentimentali di Metello. Il primo, iniziatico, con
la matura maestra Viola, poi con la giovane Ersilia figlia dellanarchico
Quinto Pallesi, morto cadendo da unimpalcatura, e infine
la breve e futile storia con la vicina di casa Ida, borghesuccia
in divenire, che riuscirà temporaneamente a distrarlo
dallimpegno nei momenti più duri della lotta. Labbandono
di costei, metaforicamente, coincide con la definitiva assunzione
di responsabilità che farà di Metello, non solo
il compagno fedele delladorata Ersilia, ma anche, come
si può intuire, il futuro dirigente operaio. Regolarmente
destinato al carcere o ad altri inconvenienti, ma
conscio di aver imboccato una via di emancipazione che non prevede
ritorno, questo socialista imbottito di principi anarchici ha
ormai piena percezione della propria maturità, quella
che, al giudice che, durante lennesimo interrogatorio,
si rammarica che non abbia studiato, gli permette di rispondere:
Ho studiato sui ponti. Sapesse quanto ci si impara!
È particolarmente interessante osservare, in questa sede
(e su questo verteranno anche i brani proposti al lettore),
il modo in cui Pratolini descrive i tanti anarchici che si incontrano
nel romanzo. Lautore, che certamente anarchico non era,
doveva comunque aver ben respirato, nella gioventù trascorsa
nei popolari quartieri fiorentini, lhumus libertario che
li pervadeva. E difatti, pur essendo anni nei quali limmagine
degli anarchici si rifaceva, con ossessiva ripetitività,
ai denigratori stereotipi marxisti (di cui si dirà),
i ritratti qui offerti, alcuni addirittura con toni lirici,
spiccano per la loro adesione alla realtà storica. Caco,
Betto, Quinto, Friani... figure di ribelli, refrattari alla
disciplina e allautorità, eppure ricche di carisma
e capaci di influenzare i loro compagni di lavoro socialisti.
Figure in un certo senso isolate e, per lautore, forse
anche espressione di un passato ormai superato dalle nuove forme
organizzative del socialismo, ma che ancora e sempre più
rappresentano la necessaria coscienza critica di un movimento
sociale incamminato sulla strada dellautoritarismo burocratico.
Ritratti, dunque, perfettamente inseriti nella cornice di quellambiente
proletario.
Forse è anche per questa genuina immagine proletaria
di un anarchismo altrimenti disprezzato dalla ideologia marxista
come cascame sottoproletario o piccolo borghese, che alluscita
del libro una certa critica di osservanza sovietica stroncò
questo piccolo gioiello della nostra letteratura, denunciandone
una presunta e decadente incompiutezza. Del resto, basta osservare
il modo in cui gli studiosi marxisti ricostruivano in quegli
anni le vicende dellinternazionalismo anarchico a Firenze,
per rendersi conto di come i binari della critica letteraria
e della ricerca storica corressero parallelamente sullonda
della più ottusa aderenza allortodossia terzointernazionalista.
E le evidenti contraddizioni interpretative in cui cade lo storico
paludato, che riporto in appendice a beneficio del lettore,
rendono ancora più ammirevole il quadro dinsieme
nel quale Pratolini ha voluto incastonare i suoi
anarchici.
Massimo Ortalli
È
la libertà
delle libertà
di Vasco Pratolini
Betto lo ospitò quella notte e finché poté.
Era stato amico di suo padre, viveva solo, e gli piaceva il
vino. La sera, ciò che gli restava, lo beveva. Allora,
gli occhi celesti spiritati, usciva in strada e provocava chiunque
si prestasse al suo scherno; se era la ronda che incontrava,
lui digià ammonito, le si avventava contro. Sortiva di
prigione ogni volta, deciso a ricominciare, ma sul serio.
Cè scritto diceva in un opuscolo
di Cafiero.... Sapeva parlare, aveva studiato; un suo
fratello era funzionario al Genio Civile; suo padre, avvocato,
era stato con Giuseppe Montanelli a Curtatone Quello che
faccio quando bevo egli diceva è contro tutte
le mie idee; ma non resisteva a lungo: si ubriacava e
usciva a gridare per le strade:
Ladri! Umberto boja! Metteremo le bombe a Pitti! A San
Pietro, al Quirinale! La faremo noi la Comune! Viva Cafiero!.
Lo raccoglievano, se non incontrava i poliziotti, lì
tra le aiuole di Giardino Serristori, vicino casa, preda delle
convulsioni: sempre lì andava, come una bestia che istintivamente
cercasse la tana dove nascondersi e dove riparare.
Non credere che tutti gli anarchici si comportino come
mi comporto io diceva a Metello, quandera in sé.
I veri anarchici non sono né come me né
come tuo padre, buonuomo ma che mi assomigliava in queste cose,
non lo imitare. Lanarchia è una grande idea. È
la libertà delle libertà, non soltanto la libertà
di bere. Non sono gli uomini come me che la possono insudiciare.
Cè Cafiero, cè Kropotkin, cè
stato Bakunin, cè stato Godwin, cè
stato Stirner, questi due un po meno. Cè
stato Proudhon, tieniti a mente questi nomi, li devi studiare.
Cè stato, qui in San Niccolò, Remigio Benvenuti,
faceva il calzolajo e stava accanto alla Porta. Io e tuo padre
non gli si legava le scarpe.
E mia madre? chiedeva Metello.
Tua madre diceva Betto, gli si addolcivano gli occhi
un istante, questo al ragazzo non sfuggiva, se fosse stata
una donna di chiesa, lavrebbero messa sullaltare.
Invece era atea, le piaceva la libertà, le piaceva la
vita, qualunque fosse. Era una bella donna, alta, come stai
venendo su te che per il resto sei il ritratto di tuo padre.
E taceva. Una delle prime sere, gli aveva detto: Devi
sapere che lei era anche la più forte, non tuo padre.
Quando tu nascesti e lei morì, io ero in prigione. Ci
rimasi un anno quella volta. E un altro ne feci a Lipari. Tornai
che anche tuo padre non cera più da un pezzo. Te,
non sapevo che esistevi.
Della famiglia da cui proveniva, dei suoi genitori e di suo
fratello ancora vivo, non parlava mai: si diceva che lavessero
diseredato. E se Metello gli chiedeva: Perché lavori
in piazza, dal momento che hai unistruzione?, Betto
rispondeva: Lavoro in piazza perché è il
più bel lavoro. Scarico, a giornata, quando mi piace,
non ho padroni. E anche perché in piazza cè
la sola gente con cui vado daccordo e con cui merita parlare.
Erano dei poeti
di Vasco Pratolini
Già egli si accorgeva che gli anarchici diventavano
sempre meno, dispersi o in galera che fossero, adesso era sopra
i socialisti che si posavano gli occhi della Polizia. E più
la sua mano. Erano unaltra pasta duomini, costoro,
forse più ignoranti, meno generosi, se non a parole,
avevano tutti una famiglia da mantenere, ma con le idee più
chiare. Nondimeno, se nasceva una discussione, bastava un anarchico,
sia pur lultimo e analfabeta, ma non erano quasi mai analfabeti
anche se facevano un mestiere, per tener testa a un gruppo di
socialisti.
È vero o no gli dicevano a che più
si combatte insieme e più savvicina il giorno in
cui ci sarà un mondo senza classi, senza più sfruttati
e senza più sfruttatori?.
Poniamo di si lanarchico rispondeva.
Come poniamo? Il numero fa o non fa la forza?.
Il numero fa gregge. Collettive sono le pecore che hanno
sempre bisogno di tre cose: del pastore, del cane e del bastone.
Lindividuo è libero e arbitro di tutte le sue azioni.
Parli come un capitalista.
E vojaltri come dei preti.
E venivano alle mani.
E nel migliore dei casi; Con te non si può discutere.
Voi anarchici siete dei Poeti.
Erano dei Poeti, non gente come noi, che il cervello si avrà
piccino, ma lo sappiamo adoperare. Sul lavoro, ad averli per
amici, si sarebbero fatti in quattro per insegnarti il modo
di calibrare un mattone e, come Betto, tolti la camicia per
aiutarti in caso di bisogno. Presi uno a uno, erano dun
altro mondo, dei Poeti, Metello si ripeteva: scacciavano
una mosca anche quando sarebbe stato facile schiacciarla e nello
stesso tempo non ci avrebbero pensato due volte, dandosi loccasione,
di mettere una bomba e fare una carneficina; predicavano il
furto, ed erano le persone più oneste che gli fosse mai
capitato dincontrare. Sempre meno gli capitava di incontrarne.
Se
tu non fossi
lanarchico che sei
di Vasco Pratolini
Ma come si alzò lui, si alzò una voce dal gruppo
dei muratori, distinta questa, appena un po arrochita,
e precisa, che disse: Bravo Ingegnere! La dovrebbero fare
Deputato, lei, con cotesta parlantina.
Colui che aveva parlato, Quinto Pallesi, venne avanti qualche
passo verso il tavolo:
Ingegnere, non si è mica offeso?.
Lavrei a sapere di che panni vesti! Se tu non fossi
lanarchico che sei, a questora, con la tua capacità,
invece di averti come muratore ti avrei come concorrente. E
forse ti chiederei di far tutta una Ditta.
Laveva preso a braccetto, erano adesso nel gruppo dei
muratori, e in questa atmosfera creata dalla condiscendenza
del padrone, le frasi aggressive, feroci, chessi si scambiarono,
sembravano perdere la loro sanguinosità e acquistare
il senso di una reciproca, amichevole presa in giro.
La capacità diceva Pallesi io lho
tutta nelle mani.
E nella zucca no? Soltanto, la spendi male, anche se da
un po di tempo ti sei calmato.
Già, ma mentre a lei basta un discorsino per andare
a letto tranquillo, io non so come dormirei, se fossi uno sfruttatore
e un ladro pari suo.
I muratori attorno ridevano, Metello rideva, Renzoni rideva,
lo stesso Madii rideva, ma proprio per questo, le parole in
apparenza svelenite, risuonavano nellintimo di ciascuno
di quegli uomini cariche del loro più esatto significato.
Sii buono, Pallesi. Se non esistesse la gente come me,
morireste tutti di fame. Escluso te e qualche altra mosca bianca,
il resto cosa siete, cosa sapete fare? Tolti dal vostro lavoro,
avete bisogno del poppatojo, non vi sapete togliere un dito
dal sedere.
Dica culo, che lo sa dire. Quando durante il giorno lei
sale sui ponti e le sembra che non si coli abbastanza sudore
o che il freddo non ci abbia rotto le mani, perché non
parla allora pulito?.
O bella! Perché vi pago per sudare, e non voglio
essere messo in mezzo.
Eh, quanto vi durerà! esclamò Pallesi.
Lo so che tu ci vorresti mettere tutti al muro, o meglio
una bomba sotto i piedi. Ma bada, perfino a Capo del Governo
cè un Generale! E del resto, un tempo, a Parigi,
stavano per mettere te al muro.
Ora Pallesi cambiò voce, disse: Questo è
un tasto che non si deve toccare.
Si erano tutti zittiti, e siccome passo passo erano arrivati
dinnanzi alla macelleria e alla canova, a quella poca luce si
potevano vedere i visi. Metello stava di fronte a Pallesi, e
lo guardava: era come lo scoprisse soltanto allora, questo anarchico
sui cinquantanni, di cui tutti avevano grande considerazione
e con il quale, non appartenendo alla sua squadra, i suoi rapporti
si erano limitati al saluto: bruno, dalle tempie brizzolate,
ma forse era calcina, il viso segnato, il corpo esile, e uno
sguardo di bontà e di fuoco insieme dentro gli occhi
neri. Gli ricordò Betto, ma un Betto giovanile, saldo,
non ottenebrato dal vino. E attese, guardandolo, un attimo:
da quellimprovviso silenzio poteva nascere una rissa,
una ben diversa discussione. Parlò Madii e disse:
Sei stato tu, Pallesi, a incominciare e a mancar di rispetto
allIngegnere.
Sta zitto tu, talpa lo incenerì Pallesi.
Lascia parlare il padrone.
E subito, lIngegnere intervenne, disse: Ragazzi,
è sabato, sapete che si fa? Vi offro da bere.
Era una canova, poteva vendere vino soltanto a fiaschi, ma appunto
dei fiaschi ne occorreva; e lo stesso si rimediarono cinque
o sei bicchieri, sufficienti a fare il giro. LIngegnere
offerse per primo a Renzoni, siccome era il più vecchio:
Tieni il nappo gli disse; e queste parole bastarono
a finir di disperdere la caligine. Poi, alzò il bicchiere
verso Pallesi che ricambiò il suo gesto, si sorridevano,
ancora cordiali, ironici, a loro modo sfidandosi e portandosi
stima, uomini entrambi naturalmente più forti, e intelligenti
e iniziati rispetto agli altri che li circondavano:
Alla tua Comune, Pallesi.
Al suo Generale, Ingegnere. Ma a chi fa la guerra? Al
macinato?.
Era un comunardo
di Vasco Pratolini
Tirava un gran vento; le foglie sopravanzavano il corteo
lungo i Viali. Cera la bandiera nera degli anarchici
e cera, malgrado le lotte politiche li dividessero,
il gagliardetto rosso dei socialisti e quello della Camera
del Lavoro. Era un comunardo che si andava a seppellire, un
muratore per il quale, sul lavoro e nella vita, tutti avevano
sempre avuto e amicizia e considerazione. Ma quegli uomini
pensavano più ad affrontare i soldati per via delle
bandiere, si aspettavano di vederli sbucare di crocicchio
in crocicchio, che non al morto, chiuso ormai nella sua bara
in testa al corteo. Non era stato un gesto loro, non una provocazione
di anarchici e socialisti, ma Quinto laveva chiesto,
dopo chera precipitato dallimpalcatura e prima
di spirare allOspedale.
Portatemi via con le bandiere. Viva Cafiero!.
Poi aveva voluto i due figlioli al capezzale: Ricordatevi
che io, vostra madre, è come lavessi sposata.
E lei, Ersilia: Lo so, babbo. Erano le tue idee.
E sembrava una bambina che ripetesse una lezione, ma anche
una donna? la quale tranquillizzava suo padre moribondo e
mentalmente, forse, diceva una preghiera. Metello era vicino
a quel letto, e la guardava.
La guardava camminare davanti a sé pochi passi, nel
corteo, quando, come ci si aspettava, risuonò uno squillo
di tromba e sopraggiunse il plotone dei soldati. Volarono
chepì e saltarono diversi gemelli dai solini, fu sparata
in aria una scarica di fucileria. Il carro funebre era scomparso,
siccome la pariglia aveva preso la mano al cocchiere; lindomani
si seppe che il carro aveva urtato di fianco un omnibus a
cavalli e la bara era rimasta scoperchiata al vento, nel mezzo
del Viale. Dal tafferuglio, le sole a uscirne intatte, erano
state le bandiere che gli alfieri, protetti dai compagni alla
prima ondata, avevano messo in salvo sventolandole di lontano.
Metello e qualcun altro dovettero trascorrere la notte in
guardina. Il Delegato a cui erano stati consegnati, e
che non era un boja, mosche bianche ma ce nera,
ce nè sempre state, preferì non guardar
negli schedarj. Li rilasciò allalba, in tempo
perché chi aveva da lavorare non perdesse la giornata.
Leghe, sindacati
giornali e deputati
di Vasco Pratolini
Monterivecchi era ancora lì uguale, e li aspettava.
Forse qualche faggio si era seccato, o lavevano tagliato,
altri ne erano cresciuti, lerba dei prati non era più
la stessa, ma uguale, e così i sassi, gli arbusti,
i papaveri ai bordi della carreggiata, e il frinire delle
cicale, come in una domenica di tanti anni prima, quando ci
si davano appuntamento Betto e Caco, Quinto Pallesi e il padre
di Miranda e Fioravanti il tornitore, le loro donne e amiche,
cosa cera di cambiato? Sulle colline che circondano
la città, negli stessi prati e boschi dove venti e
trentanni prima anarchici e internazionalisti si riunivano
a gruppi, con chitarre vino e soprassata, fingendo innocenti
gite domenicali per distrarre locchio della Polizia
che ovunque li seguiva, convenivano ora i muratori per discutere
dei loro problemi.
Allora erano anarchici e operaisti della Prima Internazionale,
adesso erano socialisti e della Seconda Internazionale, e
la diversità non consisteva nella differenza di un
numero e di una parola, bensì nel fatto che non erano
più dei gruppetti, ma delle Leghe. Dapprima le avevano
chiamate: di resistenza. Lega di resistenza fra
cappellai in paglia, fra maniscalchi, fra sellaj e carrozzieri,
fra marmisti e scalpellini, cuochi e camerieri, stuccatori
e formatori; fra sarti, fra infermieri, fra doratori, fra
corniciaj, fra operaj dei molini a vapore e a forza idraulica,
fra trombaj e fontanieri; e fra cocchieri di fitto, e venditori
di giornali, e operaj addetti alla vuotatura inodora
perfino. Erano un esercito, duecentottanta soltanto i vuotatori,
ed erano organizzati. Loro e le loro donne. La Lega delle
sigaraje, dopo quella dei muratori e manovali, era la più
numerosa. E dietro e avanti a loro, invece di avere dei Circoli,
delle Società Operaje, delle Mutuo Soccorso, li guidasse
De Ambris o Turati, avevano ora anche un partito, e Deputati
in Parlamento, e giornali che uscivano tutti i giorni, puntuali
come La Nazione.
Cera che proprio adesso, che agli effetti della legalità,
dellordine pubblico e della sicurezza dello Stato, erano
molto meno pericolosi, la Polizia sembrava temerli di più.
Gli era stato concesso di riaprire la Camera del Lavoro, e
subito le loro associazioni, da Leghe di resistenza erano
diventate Leghe di miglioramento. Cosa intendessero, lo dicevano
le parole. Cresciuti di numero, via via che si aprivano le
nuove fabbriche: i meccanici, i vetraj, i fonditori, i ceramisti,
questi muratori: si accresceva la loro organizzazione. Certe
categorie, come i metallurgici, i chimici, i parrucchieri
avevano creato delle Federazioni; e i ferrovieri, loro, un
Sindacato. Così riuniti, per arti e per mestieri, da
se stessi schedatisi, sembrava più facile poterli sorvegliare.
Al contrario. Rissosi ormai solo negli atteggiamenti, nelle
pose, e sempre disarmati, non gli si potevano attribuire idee
allOrsini. Dandosi loccasione, incrociavano le
braccia e restavano a guardare. La grande retata del 98
sembrava li avesse trasformati; non uno dei reduci dal domicilio
coatto aveva mancato ai suoi doveri di sorvegliato speciale,
e a tutti, lamnistia concessa per lincoronazione
di Vittorio Terzo aveva lavato la fedina.
Il 12 dicembre
di Vasco Pratolini
Era il 12 dicembre del 1902, lindomani li avrebbero
liberati, da unora allaltra, senza preavviso,
per evitare che alluscita del Carcere, si organizzassero
delle manifestazioni. Diciannove quanti erano, quattro o sei
per volta, si abbracciarono e si strinsero le mani.
Domattina ci si ritrova sui Cantieri.
Ci sarà lavoro?.
Ce lo daranno?.
Speriamo.
Da Badolati, forse, di sicuro.
E da Madii, da Tajuti?.
Si tratterà di vedere.
Buonanotte, figlioli.
Anche questa è passata, buonanotte disse
Corsiero. Poteva andar peggio.
Buonanotte.
A domani.
Bona.
Erano le cinque di sera, i lampioni erano già accesi,
la nebbia sembrava fasciare la città nel giro delle
colline e arrestarsi allaltezza dei Viali; sopra le
vie e le piazze, il Carcere, le case, il cielo era pulito
e compatto, con tutte le stelle e tre quarti di luna. Giannotto,
uscito coi primi, dette una voce a Ersilia, passando da via
dellUlivo, poco lontano dalle Murate, e sulla strada
per raggiungere i Lungarni e San Frediano.
Quando Metello varcò il portone, lei stava sul marciapiede
dirimpetto, col bambino in braccio e i capelli belli pettinati,
uno scialle rosa sulle spalle, il ventre di sette mesi che
la sformava e nondimeno la illeggiadriva, in qualche modo.
Egli baciò Libero sulla guancia, baciò lei;
le tolse il bambino e lei lo prese a braccetto. Percorsero
in silenzio tutta via Ghibellina, ed entrarono nel Caffè
del Canto alle Rondini. Lei prese un corretto, lui una grappa;
lei cavò di tasca un savojardo e lo mise in mano al
bambino. Senza volere, erano venuti a trovarsi di fronte al
grande specchio incorniciato doro di una reclame, e
si sorrisero.
La Sacra Famiglia egli disse.
Su ella disse. Non bestemmiare.
Ma dora in avanti.
Dora in avanti cosa?.
Brani tratti da: Vasco Pratolini, Una storia italiana
I. Metello, Vallecchi, Firenze, 1955.
Il socialismo
anarchico
di Elio Conti
La diffusione del socialismo anarchico in Italia fu una conseguenza
dellarretratezza dellambiente economico-sociale
e dellimmaturità politica delle masse lavoratrici
della penisola. In quegli anni; leconomia delle regioni
dellItalia centrale e meridionale, dove lanarchismo
trovò la sua culla si trovava in una fase di passaggio
da rapporti di produzione di tipo artigianesco e mezzadrile
allindustria capitalistica; non esisteva un proletariato
come classe omogenea e con caratteristiche ben determinate;
il popolo minuto era composto o da artigiani indipendenti,
bottegai, piccoli imprenditori (piccola borghesia), o da garzoni-artigiani,
lavoranti a domicilio, operai alla ventura (sottoproletariato).
Il socialismo anarchico era appunto il prodotto di questo
primitivismo di classe, era lespressione della protesta
e dello stato di fermentazione di larghi strati di sottoproletariato
ridotti alla fame ed alla disperazione dal progressivo esaurimento
delle tradizionali fonti di lavoro e dal ritmo lento e faticoso
con cui procedeva la nascente organizzazione capitalistica.
Il proletariato dellindustria moderna rimase estraneo
allesperienza anarchica. Nelle poche grandi fabbriche
che esistevano allora in Firenze e dintorni, come la fabbrica
Ginori di Doccia, la fonderia del Pignone, lofficina
Galileo, le officine ferroviarie e i lanifici pratesi, il
movimento internazionalista, dopo lepisodio del Fascio
Operaio, non riuscì a far breccia.
Da una diligente statistica da me compiuta sui documenti della
polizia per gli anni 187478, risulta che fra i più
influenti internazionalisti fiorentini vi erano: 1 scritturale,
18 fabbri-meccanici, 13 falegnami o mobilieri, 24 calzolai,
6 tipografi, 9 parrucchieri, 6 muratori o manovali, 8 verniciatori
o imbianchini, 3 tornitori, 3 tappezzieri, 2 mosaicisti, 3
sarti, 3 sigaraie, 2 ebanisti, 5 garzoni-macellai, 3 garzoni-fornai,
3 scalpellini, 4 marmisti, 2 camerieri, 7 spazzini, 2 trippai,
4 facchini, 4 cenciaioli, 7 conciapelli, 9 braccianti, 7 venditori
ambulanti, ecc. Va inoltre notato che la maggior parte dei
calzolai, sarti, fabbri, ecc. non erano artigiani indipendenti,
ma lavoranti-calzolai, lavoranti-sarti,
lavoranti-fabbri, ecc., cioè garzoni-artigiani
o operai impiegati in quelle piccole imprese che erano il
prodotto della graduale trasformazione del medio e grande
artigianato nellindustria manifatturiera. Non diversa
è la composizione sociale del movimento anarchico nei
decenni seguenti, dove troviamo operai disoccupati o senza
mestiere fisso (operai alla ventura dicono i rapporti
di polizia), fabbri, calzolai, barbieri, fornai, intagliatori,
verniciatori, falegnami, tappezzieri, venditori ambulanti
ecc. Furono gli strati economicamente e culturalmente meno
evoluti del popolo quelli che accettarono con entusiasmo le
teorie del socialismo anarchico, quellinsieme
degli straccioni e della canaglia secondo le parole
del Manifesto di Marx ed Engels che rappresenta il
prodotto della putrefazione passiva degli strati infimi della
società esistente.
(
). Le classi lavoratrici della penisola non erano ancora
mature per dare origine ad un disciplinato e moderno movimento
di massa. Lesperienza internazionalista non fu tuttavia
infeconda. Il socialismo anarchico poté penetrare nelle
classi più umili, conferendo una forma ed una direzione
agli impulsi più elementari delle plebi; elevò
il senso di disagio a coscienza di classe e diffuse laspirazione
ad una palingenesi sociale. In questo senso rappresentò
un fattore positivo, benché lanarchismo, come
il socialismo utopistico, il populismo e tutte
le altre forme di socialismo estranee allesperienza
della grande industria ed esprimenti la protesta dei vecchi
ceti lavoratori contro lavanzata delle moderne forze
produttive, costituisse in sostanza una forma di reazione.
Tratto da: Elio Conti, Le origini del socialismo a Firenze
(1860-1880), Rinascita, 1950.
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