Sono molte le cose che fanno supporre
che, con un elevato livello di probabilità, non siamo
lontani dalla resa dei conti. Ha poca importanza se ci sarà
fra qualche anno, qualche decennio, o qualche secolo. Rispetto
al tempo cosmico si tratta sempre comunque di un «batter
di ciglia».
Il problema che voglio sottolineare è che la nostra specie,
finalmente mi verrebbe da dire spinto da unautoironica
pulsione cinica, fra non molto, comunque molto prima di ciò
che spereremmo, dovrà rendere conto del proprio modo
di stare al mondo, a se stessa ed allo stesso mondo.
Con una noncuranza desolante ed uninconsapevolezza sconcertante
lintero mondo civilizzato vive allinterno di una
logica e di un senso di separazione. È oggettivamente
parte del mondo, ma si concepisce e si immagina, non tanto fuori,
ma sopra di esso, cioè parte separata e non integrata
del contesto globale. Sembra quasi che il mondo, ma con linizio
dellera spaziale anche lintero universo, esista
con il solo scopo di servire ai suoi bisogni, ai suoi capricci
ed ai suoi «sfizi». Culturalmente la nostra specie
non riesce e non vuole sentirsi parte integrata del contesto
in cui e per cui esiste, mentre lo considera come il luogo per
eccellenza, simbolico e reale allo stesso tempo, strutturato
ed impostato per permetterle di agire a suo piacimento, senza
né dover né voler tener conto daltro che
della propria autoreferenza.
Eppure non è sempre stato così. Questa collocazione
autoreferenziale di separazione della specie umana dal resto,
di cui è comunque parte, ha cominciato ad affiorare da
pochissimo tempo, solo da qualche millennio, più o meno
col sorgere delle civiltà, riuscendo ad imporsi definitivamente
in modo incontrastato con lavvento della modernità,
cioè da qualche secolo. Secondo gli studi più
recenti, infatti, si calcola che, come tipologia di specie,
quella umana esista sul pianeta terra da circa sette milioni
di anni. Che cosa sono in fondo qualche millennio, anzi addirittura
qualche secolo, davanti a sette milioni di anni? Metaforicamente,
in proporzione possono essere fatti corrispondere ai rantoli
degli ultimi giorni di vita.
Visione magico-sacrale
Nella prima metà del secolo scorso lantropologo
Lévy-Bruhl, che ha dedicato gran parte della sua ricerca
e delle sue opere a studiare la mentalità dei primitivi,
cioè delle culture pre-storiche, arrivò ad identificare
che lapproccio che quei nostri antenati avevano col mondo
era sorretto da una visione magico-sacrale. Essi non
guardavano alle cose ed ai fenomeni col nostro sguardo, proteso
a vedere gli oggetti e ciò che avviene come esclusive
manifestazioni di ciò che chiamiamo materia e che si
mostra. Per loro il «visibile» non era interessante
e, soprattutto, non lo ritenevano reale. La realtà di
cui intuitivamente ed emozionalmente si occupavano, quella che
consideravano realtà vera, era al di là di ciò
che appare, al quale invece si ferma il nostro guardare. Ma,
soprattutto, erano mossi da unintima convinzione che a
muovere ed a causare ciò che appare non sono le cose
ed i fatti come si dispiegano alla nostra visione, bensì
forze (oggi diremmo energie) invisibili, sfuggenti allapparenza,
vissute come la vera essenza nascosta della manifestazione apparente.
Quello dei pre-storici è un linguaggio metaforico, mitologico,
a tratti favolistico, che rifugge la descrizione. Essi non dovevano
né volevano descrivere i fatti, o lo svolgimento dei
fenomeni, o laspetto delle cose, semplicemente perché
li consideravano non rilevanti, addirittura non reali. In altre
parole, per loro non esistevano fatti, o avvenimenti, né
tantomeno fenomeni e ciò che appare era vissuto per quello
che effettivamente è: pura apparenza. Erano invece attratti
e cercavano di conoscere i percorsi invisibili che conducono
allemergere di quelli che noi oggi identifichiamo come
fatti, fenomeni e avvenimenti. Per usare unespressione
presa in prestito dalla fisica subatomica erano interessati
ai processi e consideravano tutto ciò che vedevano come
risultanti di concause e processi che si svolgono dietro ed
oltre il percepibile. La realtà vera per loro si nascondeva
ai nostri occhi offuscata da un «velo», quello dellapparenza.
Per questo la loro ricerca del vero era continuamente protesa
allo «svelamento», allidentificazione del
movimento reale che si cela dietro ciò che appare. Per
questo erano attenti ai segnali, anche i più insignificanti,
come uno spostamento daria o il volo degli uccelli, perché
sapevano che, se ben interpretati, potevano indicare e suggerire
il percorso delle cose nel modo in cui stava avvenendo.
La loro visione ed il loro approccio al mondo erano perciò
magici e sacrali insieme. Visione magica perché vedeva
i movimenti delle cose e gli aspetti del reale allinterno
di dimensioni fantastiche nellambito di unatmosfera
incantata. I pre-storici, infatti, erano culturalmente calati
dentro lincanto del mondo, vissuto essenzialmente come
luogo del divino e non della materia, nel senso che tutta la
manifestazione era interamente collegata al soprannaturale.
Approccio sacrale perché ogni cosa ed ogni aspetto del
reale, visibile ed invisibile, era vissuto come sacro, cioè
connesso ed inerente alla presenza dellonnipresente divino.
Questa visione li portava, naturalmente e spontaneamente, a
vivere il mondo in ogni suo aspetto con grande rispetto e venerazione.
Qualsiasi cosa facessero od avessero intenzione di fare era
perciò vissuta come unoperazione che necessariamente
doveva collocarsi nel movimento naturale delle cose, sacro e
divino insieme. Sempre secondo Lévy-Bruhl, a loro non
interessava il come, bensì il perché. Il loro
spirito si orientava istantaneamente ed irresistibilmente verso
il soprannaturale, di cui avvertivano emozionalmente la presenza.
Diffuso e condiviso aleggiava un intenso emozionalismo, mai
dissociato dal misticismo, che permette allantropologo
di identificare una categoria culturale pre-storica, che definisce
categoria affettiva del soprannaturale. Ecco perché il
loro muoversi era costellato di rituali e riti sacri, propiziatori
e magici, che dovevano mettere in moto la possibilità
e la capacità di agire senza entrare in conflitto col
movimento invisibile delle cose, rimanendo cioè allinterno
dellequilibrio delle forze.
Parte integrante del tutto
Ne derivava così una perfetta integrazione col e nel
contesto ambientale di riferimento. Naturalmente e spontaneamente
si sentivano parte integrante del tutto. Lo erano e lo volevano,
al punto che per loro era addirittura inconcepibile non esserlo.
Ciò che capitava ad ogni individuo umano, come a qualsiasi
altro essere vivente, come a qualsiasi sasso o granello di sabbia,
nella loro visione non poteva non avere una ripercussione ed
uninterrelazione con tutto il resto. Tutto era collegato,
correlato ed interrelato, in un equilibrato, costante e cosmico
rapporto di reciprocità e scambio. Una visione che oggi
chiameremmo olistica e, senza remore di alcun tipo, naturalmente
e spontaneamente ecologica.
Ad un certo punto, ineffabile e non identificabile come tutti
i certi punti di cui non si ha documento di memoria, è
iniziato il disincanto, nel senso weberiano di distacco, di
allontanamento dal divino. Non è stato un big-bang, cioè
uno scoppio improvviso capace di cambiare allistante e
allimprovviso la struttura in modo irreversibile, bensì
un processo, dapprima inavvertibile e lentissimo però
inesorabilmente progressivo, poi sempre più incisivo
e così penetrante da riuscire a modificare totalmente
la visione e la percezione originarie della pre-storia. Da una
visione del mondo originariamente magico-sacrale, attenta allinvisibile
e perfettamente integrata negli ecosistemi di cui la specie
si sentiva parte integrante, ad una secolarizzata e scientifica,
attenta alla percezione del visibile ed alla conoscenza della
sua struttura, mossa dallintento di modificarla e di plasmarla
a proprio esclusivo vantaggio. Non più specie integrata
nel contesto, ma sovrapposta ad esso nel costante tentativo
di dominarlo. Molto probabilmente si è cominciato a prestare
sempre più attenzione allambito della materia ed
a ciò che si vedeva, non più con lo sguardo dellincanto,
che conduceva ad essere intimamente convinti che ciò
che appariva allocchio ed ai sensi non era in realtà
reale. Sempre più interessati invece a quella che prima
era considerata semplice apparenza, fino a considerarla lunica
vera ed apprezzabile realtà reale, mentre linvisibile
veniva degradato a fantasma dellimmaginazione, degno di
un approccio fantastico, ma del tutto indegno di un approccio
dindagine conoscitiva del reale.
In altre parole, dal punto di vista del collocarsi, cioè
della coscienza, del modo di sentire e del modus vivendi,
mentre prima eravamo immersi nella natura e ci consideravamo
sue componenti, ora siamo sopra la natura e la concepiamo quale
contesto del nostro esclusivo dominio. Dal punto di vista della
relazione con essa, non ha nessuna importanza se prima il nostro
esserci era determinato da un sentire fantastico e magico-sacrale,
che oggi consideriamo fuori dalla realtà, mentre ora
cilludiamo di essere padroni della sua conoscenza. Ciò
che veramente conta è che prima, di fatto, ne eravamo
una componente simbiotica e vivevamo un rapporto naturale di
armonico equilibrio ecologico, mentre oggi, al contrario, siamo
sempre di più un corpo estraneo, metaforicamente un virus,
che tende ad appropriarsi di tutto ciò che trova depauperando
sistematicamente lambiente. Prima eravamo parte di una
ricchezza universale, ora siamo solo una maledetta causa continua
di un progressivo impoverimento universale.
Dominio come ragione di vita
È importante sottolineare che la sfera del dominio,
nel suo manifestarsi ed estendersi, non si è limitata
al rapporto tra specie e natura, ma, cosa fondamentale ai fini
della comprensione del senso del nostro esserci, è diventata
una vera e propria ragione di vita. Ha cioè occupato
lintero ambito esistenziale della specie, divenendo il
senso e la spinta fondamentali per la conduzione dellesistente,
estesa ad ogni ambito del nostro modo di vivere, compresi il
rapporto con le cose e le altre specie viventi, la politica,
cioè lambito della gestione societaria, e la morale,
cioè lambito della direzione e della consapevolezza
dei comportamenti. Il dominio è così diventato
il senso per eccellenza, capace di determinare totalitariamente
la qualità ed il tipo della relazione col mondo, sia
al nostro interno, la società, sia al nostro esterno,
la globalità della natura. Nel nostro immaginario consolidatosi,
da troppo lunga data il rapporto col mondo e con noi stessi
è così ormai allinsegna del bisogno di dominare.
Come tutte le scelte, anche questa, che fra laltro è
una scelta di fondo alla base del senso primario dellesistente,
comporta delle conseguenze. E la conseguenza principale e fondamentale
è che, come scrivevo allinizio, non siamo lontani
dalla resa dei conti. Lo dico con la consapevolezza lucida di
rischiare una considerazione catastrofista. Però non
me ne sottraggo, perché in cuor mio sono arciconvinto
che se cè un riferimento alla catastrofe esso non
risiede in alcun modo nella mia considerazione, bensì
nello stato delle cose per come si è determinato e continua
inesorabilmente a propugnarsi. Anche perché non sono
tanto io a dirlo, la qual cosa non avrebbe in sé valore
pur rimanendo la legittimità del pensiero, quanto i resoconti
dei vari convegni sul clima e sullambiente condotti dagli
organismi internazionali ufficiali, i quali ogni volta, con
gran numero di argomentazioni e di documentazioni di riconosciuto
rigore scientifico, ci mettono di fronte allappropinquarsi
accelerato dellimminenza di catastrofi globali, ogni volta
sottolineando il pericolo, sempre più imminente, della
loro irreversibilità.
Viene spontaneo chiedersi se ormai siamo irrimediabilmente giunti
al punto di non ritorno, o se al contrario rimangono delle possibilità
concrete dinversione di una tale devastante tendenza.
Personalmente sono convinto che siamo ancora in tempo, anche
perché madre natura ha più volte mostrato
capacità di recupero sorprendenti, poi perché
non val mai la pena dichiarare forfait prima che i segni
della sconfitta siano effettivamente evidenti. Ma per riuscire
ad essere ancora in tempo sarebbe necessario intervenire abbastanza
in fretta, mettendo fine al più presto al nostro modo
vigente di stare al mondo, responsabile del permanere dun
tale stato di cose.
Bisognerebbe superare ed abbandonare la costante tensione di
dominio che caratterizza la nostra attuale relazione col mondo,
fino a riappropriarci delloriginaria tensione di perfetta
integrazione col e nel contesto ambientale di riferimento. Dovremmo
riuscire in breve a tornare a sentirci parte correlata ed interrelata
della natura e della materia nel loro complesso e cominciare
a considerarci componenti armoniche dellequilibrio universale,
a sentirci realizzati nel pensare e nelloperare per il
suo mantenimento e il suo perfezionamento. Se invece continueremo
a proporci ed imporci come se fossimo sopra la natura e la materia,
convinti in modo del tutto autoreferenziale di essere una specie
superiore per le specifiche capacità intellettive e culturali
che ci distinguono, quindi autolegittimati a dominare tutto
ciò che ci circonda, magari limitandoci furbescamente
soltanto a correggere il tiro per allentare la nostra pressione
sul contesto, nella vana illusione di riuscire a controllare
il processo di devastazione di cui siamo responsabili, allora
lirreversibilità della completa resa dei conti
non sarà evitabile in alcun modo.
Tornare allincanto pre-storico?
La qual cosa non vuol dire che dovremmo ritornare pari pari
allantico incanto pre-storico di una visione del mondo
magico-sacrale. Quelle epoche della nostra genesi non possono
né devono tornare più, con tutti i loro complessi
e misterici rituali, con i loro specifici linguaggi metaforici,
le loro affascinanti allegorie e le loro leggendarie mitologie.
Quella capacità espressiva ed evocativa inimitabile rimane
un meraviglioso retaggio ancestrale, ormai connaturato nel nostro
DNA. Prese quella forma e quel modo per un processo di spontanea
integrazione e di felice adattamento ad un ambiente che allocchio
umano non poteva che apparire misterioso, imbelle e meravigliosamente
fascinoso, capace di suscitare intense e profonde emozioni,
intrise di paura, curiosità ed incanto per tutto ciò
che non mostrava pur facendolo captare intimamente.
Ciò che dovremmo riuscire a fare, invece, è la
costruzione di una nuova coscienza olistica, dettata dalla consapevole
riappropriazione dellincanto di unappartenenza nuovamente
integrata allinsieme del tutto, di cui necessariamente
siamo parte. Si tratta semplicemente di scegliere se vogliamo
continuare ad essere una componente che vuole imporsi e dominare
tutto il resto, quindi destinarci allinevitabile devastazione,
oppure ridiventare parte armonica dellequilibrio cosmico
indispensabile alla perpetuazione dellesistente, capaci
di riconsiderare e valorizzare in forma attuale la sacralità
della vita, quale espressione continuamente riproducentesi di
molteplici processi, correlati ed interrelati allinterno
dellacentrica (priva di un centro dominatore) e multiforme
manifestazione dellinsieme.
Potremmo benissimo farlo, solo che lo volessimo, per mezzo dellindagine
scientifica e della capacità tecnologica che siamo in
grado di mettere in campo. Da diversi decenni esse stanno già
esplorando quotidianamente linvisibile, regalandoci con
grande frequenza nuove conoscenze e nuove acquisizioni che stanno
progressivamente cambiando, di giorno in giorno, la visione
del mondo che si era consolidata fino a qualche decennio fa
con la modernità. I concetti positivisti di materia e
fisicità hanno ormai subito una svolta irreversibile
e ci stiamo sempre più accorgendo che per comprendere
il reale dobbiamo osare, per andare oltre il regno dellapparenza
sensibile. Ora sappiamo, in una nuova forma scientifica, che
non esistono fenomeni separabili, ma processi correlati ed interrelati,
non diretti dallalto da nessuna entità gerarchica,
i quali danno senso al procedere del divenire.
Equa distribuzione del benessere
Dovremmo solo cambiare senso ed indirizzo alluso che
facciamo sia dellindagine scientifica sia della grande
capacità tecnologica. Invece di finalizzarli a priori
al dominio del mondo, alla gestione dei poteri e del comando
centralizzati e alla realizzazione di profitti finanziari, dovremmo
operare per realizzare unequa distribuzione del benessere,
inteso sia per tutti gli esseri umani sia per ogni appartenente
ad ogni altra specie vivente sia per il mantenimento dellequilibrio
ecologico naturale. La conoscenza e le realizzazioni di tecnologia
sofisticata dovrebbero diventare strumenti realmente a beneficio
del mondo, quindi anche della nostra specie, non più
innanzitutto della nostra specie, che considera utile a sé
lo strapotere di decidere a suo piacimento la vita e la morte
di ogni cosa o essere vivente che riesce ad annettersi, fra
laltro ad esclusivo vantaggio dellesigua minoranza
che ha il privilegio di avere in pugno il potere dimposizione.
Si dovrebbe smettere prima di pensare poi di produrre tutto
ciò che entra in contrasto con larmonia degli equilibri
omeostatici e geotermici, mentre dovrebbe trionfare lidea
principe che ogni sforzo realizzativo non può e non deve
prescindere dallessere confacente e in coerenza con i
principi di correlazione ed interrelazione sistemica. Ci dovrebbe
sorreggere costantemente il presupposto, in fondo semplice e
«naturale», del rifiuto tassativo di operare in
contrasto col contesto che ci permette di vivere.
Per completare lopera, dovremmo arrivare a superare la
cultura prevalente del dominio in ogni aspetto del nostro stare
al mondo, in particolare in riferimento alla gestione politica.
Come rilevavo più sopra, cè unintima
profonda connessione tra il modus operandi interno alla
specie, quello sociale, e il modus operandi esterno,
nei confronti del contesto ambientale, dal momento che il dominio
è ormai il senso per eccellenza, capace di determinare
totalitariamente la qualità ed il tipo della relazione
con luniverso. Ciò che va superato è leffetto
deleterio della pulsione che spinge al bisogno, capace di diventare
spasmodico, di imporsi e dominare a scapito di qualsiasi altra
cosa. Ciò che va cambiato alla radice sono lintenzionalità
e latteggiamento, assieme alla volontà, del modo
di continuare ad esserci. Dobbiamo liberarci della voglia di
dominare ed imporci, cominciando ad assaporare il piacere e
la gioia dellessere in armonia col mondo, respirando a
pieni polmoni laria pulita e salutare della libertà,
opposta per sua natura a quella inquinata ed inquinante del
dominio.
Andrea Papi
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