Rivista Anarchica Online


corsari del deserto metropolitano

Libertari cazzuola alla mano
a cura di Gaia, Manu, Paolo e Silvia

 

Artisti di frontiera in una città di confini: l’esperienza del Centro sociale Torchiera senz’acqua a Milano.

Lungo l’infinito perimetro del Cimitero Maggiore, ai margini di un territorio di confine, delimitato dalla ferrovia e dai capannoni industriali, ‘animato’ soltanto dai negozi del marmo e dal dormitorio pubblico della Protezione Civile, sorge una cascina del Trecento per anni abbandonata al degrado e al deperimento dalla proprietà demaniale.
Dal 1993 un gruppo di giovani l’ha occupata e ne ha avviato la
ristrutturazione in forma autogestita: braccia e menti attorno ad un progetto collettivo di spazio sociale si sono attivate per restituire questa risorsa alla città; energie, risorse e tempo libero di centinaia di persone si sono indirizzate a ritagliare in un quartiere del tutto privo di spazi sociali un luogo pubblico di aggregazione libera da rapporti mercificati. Nonostante gli ostacoli frapposti con straordinaria continuità nel corso degli anni da parte dell’Amministrazione Comunale, la Cascina Autogestita Torchiera resiste e resistendo cresce alimentandosi della progettualità collettiva che spontaneamente in essa si riversa. Autocostruzione, aggregazione, informazione, controinformazione e libertà degli spazi, autogestione e autofinanziamento, espressività e cultura non sono pure astrazioni ma il racconto di quello che in Torchiera avviene ogni giorno. La volontà di sperimentazione di forme alternative di convivenza connessa al progetto in questione rende Torchiera, oltre che una fucina di progetti e una ‘fabbrica di sogni’, un cantiere costantemente aperto a sorprendenti e spesso inedite contaminazioni:

Tra bisogni individuali e tensioni collettive:
(pensiamo al reciproco supporto e alla mutua alimentazione tra le esigenze di ciascuno e la soddisfazione di queste che può derivare da un progetto collettivo laddove la modalità d’azione scelta è quella dell’autogestione): Ogni aspetto della «complessità» Torchiera ha infatti origine dalla scelta dell’autogestione, una scelta profondamente politica e difficile che prevede la fatica delle interminabili discussioni collettive intorno ad ogni decisione, la capacità e la volontà di mettersi in gioco in prima persona, tentativi, errori, critica e autocritica; questo che abbiamo scelto è un percorso impegnativo e tortuoso ma che siamo convinti sia la sola strada da percorrere per costruire un differente approccio all’esistente, quell’esistente che non ci piace e che, non essendo l’unico possibile, cerchiamo di modificare a partire dalle esigenze e dai desideri che animano l’agire di ciascuno di noi.

Teatro in Cascina
«…Se penso al teatro e alla Torchiera, mi si apre una galleria infinita di immagini, alcune così poco apparentemente teatrali da far temere (a chi è digiuno di Torchiera ma legge qui) che si sia presa una tangente poco chiara. Inutile dire che non è così. Cercherò di spiegarmi meglio. Il teatro in Torchiera, in senso lato – direi quasi spalancato –, andrebbe inteso non solo nei termini degli spettacoli che vengono rappresentati, ma anche e soprattutto nei termini delle persone che si danno da fare, in svariate forme, perché le attività della Cascina continuino a vivere. Penso a chi trova in Torchiera un luogo adeguato alle proprie prove, che si contrappone all’inadeguatezza delle istituzioni e del comune di Milano, che sa soltanto sbandierare in campagna elettorale fantomatiche ‘fabbriche del vapore’, che poi rimangono vuote di contenuti e di corpi, mentre provvede con efficienza a boicottare i veri luoghi di produzione creativa, tagliando l’acqua (!) oppure la luce e stringendo in pugno la minaccia di sgombero coatto... Penso anche a chi sceglie quotidianamente la Torchiera come spazio-laboratorio in cui portare capacità personali e maturare obiettivi collettivi, fatti di assemblee, confronti, lavori di ristrutturazione, sogni condivisi, sete di giustizia e libertà. In tutte le forme. Anche quelle teatrali, o artistiche in senso più generale. E al contempo politico, si capisce. Le immagini che vedo sono corpi infreddoliti, in lunghi inverni umidi; sono pavimenti in cemento armato e piedi nudi che li solcano sfidando l’artrite (precoce – malattia tipica del tipico teatrante-errante). Sono sale prova polverose, di specchi rattoppati alle pareti, e prove cominciate ripulendo un po’ di pattume, interrotte dal bussare alla porta e concluse scaricando i bidoni del vetro... e ancora sono fumosi tentativi di accensione di stufe a legna che non tirano – sarà il camino intasato? Non ci sarà mica finito dentro il gatto? Il teatro in Cascina ha questi contorni, ed è fatto pure di aperitivi di autofinanziamento, autorganizzati, per autoprodurre l’autogestione teatrale (!) ché si cerca di essere noi, prima di tutto, a far nascere e mantenere vivi luoghi di confronto artistico, politico e sociale, a voler far circolare cultura, nell’ospitare – spesso alla cieca, e gli esteti non ce ne vogliano – gruppi o singoli che a volte finiscono per intrecciare stabilmente il loro percorso al nostro, in un tentativo di apertura che non sempre dà risultati soddisfacenti... ce ne assumiamo il rischio. Fare teatro, in quel della Torchiera, è prima di tutto una scelta, la scelta di molte poche comodità ma forti motivazioni, è sete di libertà e nessuna paura del sudore, è credere nell’autodeterminazione, nella costruzione di un circuito di respiro e di qualità. E lo fanno le attrici e i muratori, il tecnico audio e quelli video, i cantanti e chi fa la spesa, le danzatrici e il giardiniere, sono le prove notturne e le discussioni allarmate, chi ci presta i proiettori e chi si esibisce per nessuna questione di pecunia (non che provare a far circolare qualche rimborso sia un’infamia, sia chiaro, anzi!)... il teatro in Cascina è questo, e molto di più. Perché se parliamo di teatro in cascina, parliamo di arte, parliamo di danza e di teatrodanza, di video, di scenografie, di bande musicali e di molto altro ancora che nasce o si sviluppa in Torchiera: Kale Borroka (teatrodanza), Nudoecrudo teatro, Zerosinapsi e Bemoviement (autoproduzioni video e cinema indipendente), Freakclown, la Contrabbanda, Grooviglio audio project, Sissy Blissy, la Banda degli Ottoni, i giocolieri e i trampolieri, fino agli artigiani che assemblano carri dai risultati mirabolanti che poi sfilano per mezza città per unirsi ad un corteo in partenza... credo che il teatro appartenga un po’ all’essenza stessa della Cascina, sarà per questo che ogni anno, tra giugno e luglio, copriamo quasi un mese di iniziative con la ‘Rassegna del Saltimbanco’ e con la ‘Rassegna teatrale’, che da quest’anno viaggia a vele spiegate per trasformarsi in un vero e proprio festival estivo urbano, in Cascina ovviamente.»

«Comunità», frontiera
«…Se con il termine ‘comunità’ alludiamo a relazioni intime e strutturanti, quelle stesse relazioni che nella città contemporanea sembrano ormai disperse, e con il termine frontiera alludiamo ai luoghi della sperimentazione, cioè a quei luoghi delle contaminazioni tra soggetti diversi, tra le differenze stesse, laddove spesso gli esiti di questi incontri sono imprevisti, allora io credo che le relazioni di comunità e le interazioni di frontiera non abbiano dei luoghi privilegiati e delle collocazioni esclusive, bensì ci sono dei contesti, degli ambiti urbani che più di altri ne favoriscono l’attivazione: a mio avviso la zona dove si trova Torchiera è uno di questi. Per capirci siamo in una zona periferica, caratterizzata da pochissime centralità, pochissimi elementi attrattivi e invece composta di spazi che sfuggono ad una rigida regimentazione degli usi: aree marginali, edifici abbandonati, aggregazione latente; in più a tutto questo una presenza ingombrante e – consentitemi di dire – anche abbastanza lugubre che è quella del cimitero e delle attività commerciali ad esso connesse. (…) Dieci anni fa è stata occupata ed è da qui che vorrei cominciare per trattare della ‘frontiera come opportunità: a partire dalla prima occupazione infatti da parte degli stessi occupanti sono stati avviati i lavori di ristrutturazione fisica che ha significato anche restituzione di senso a questo luogo (…).
Credo si tratti di domande che si sono determinate congiuntamente alle risposte a partire dalla disponibilità di un luogo di incontro libero, da uno spazio di agibilità, – e quindi in questo senso la frontiera come opportunità – che è al contempo generativo di istanze e di risposte.
L’esito del considerare da un lato la frontiera come opportunità per la sperimentazione e dall’altro la comunità e le relazioni che essa attiva come una risorsa per l’innovazione. Questo tipo di rapporto di somma tra questi due elementi non ha un esito scontato, non è prevedibile e anzi molto spesso è solo eventuale: quello che mi viene da dire a partire dall’esperienza di Torchiera è che l’esito di questa somma è ancora una volta la frontiera stessa che però non viene cancellata e diventa in quanto tale una parte della città. Nello specifico nel nostro caso uno spazio che viene sottratto al degrado e restituito alla città ha come sottoprodotto l’incontro in esso di diversità e progettualità molteplici.
In conclusione mi verrebbe da dire quasi come slogan – gli slogan non sempre sono inutili – che da questo tipo di valutazioni si deduce che ci vorrebbero città con molti meno confini e molte più frontiere. Assumere la frontiera come riferimento anche e soprattutto nella costruzione delle politiche a mio avviso significa ritenere opportuno orientarsi a riaprire spazi di libertà, di sperimentazione e di contaminazione attraverso opportunità di incontro non predefinito e non prestrutturato – opportunità queste che la città di Milano sembra tendenzialmente rifuggire –; un modo diverso quindi di concepire la città laddove i confini attuali sono più che altro confini mentali rispetto alla possibilità di immaginare soluzioni diverse, soluzioni impreviste. Quindi fondamentalmente abbandonare l’idea che le buone soluzioni spettino e siano di esclusiva competenza del buon tecnico e invece volgersi a ricercarne traccia nella libera interazione di una buona società…».

Odio le classificazioni
«…Una cosa che odio sono le classificazioni. Non le sopporto, soprattutto, quando sono vere, e mio malgrado devo ammettere di fare parte della ‘Nuova generazione di giocolieri’. Ragazzi e non, che negli ultimi 5 anni hanno scoperto la giocoleria e ne hanno fatto la loro vita. Nel mio caso la situazione è un po’ più complessa. Ho iniziato 3 anni fa, scaricando camion e andando a scuola la sera, dove con un mio compagno, prima con le palline, poi con delle torce artigianali, cercavamo di scappare da una vita di merda. Forse per quello è nato l’amore per la giocoleria, perché era ed è distante anni luce da quella vita impossibile che ti prende 24 ore su 24. Quando in ribalta ho iniziato a giocare con le bottiglie di sciroppo (lavoravo in una ribalta farmaceutica) ho capito che ci voleva la svolta.
LA SVOLTA
una sera ero andato con un amico a vedere un concerto (Banda Bassotti) al Torchiera. Arrivato in questa catapecchia dalla parte opposta di Milano, tempo di rilassarmi un attimo e il più grande gruppo di pelati con le svastiche che abbia mai visto tutto insieme mi riempie di mazzate, a me a tutti quelli che mi circondavano.
Il primo incontro con la Cascina è stato un successo! Poi, dopo un anno, scopro che lì si trovano i giocolieri di Milano dopo scuola ci vado e m’INNAMORO.
Torchiera è indescrivibile per chi non c’è mai stato e penso che molto di ciò che sono e sarò lo devo alla Cascina, all’energia che circola, agli allenamenti il lunedì e il martedì, a tutti quelli che sono stati i miei maestri senza saperlo, agli spettacoli nati all’interno, alle manifestazioni sui trampoli.
IL PRESENTE
Nel frattempo ho trovato una persona fantastica con il quale ho fondato una compagnia. La vita continua, non scarico più i camion ma nemmeno guadagno abbastanza. Nel frattempo ho frequentato l’accademia di Circo di Cesenatico e corsi di teatro, ma suggerisco a chi sta cercando di specializzarsi di cercare in altre direzioni. Meglio venire in Torchiera, leggere, amare e se proprio volete imparare qualcosa di nuovo andate ai festival o ai raduni di giocolieri. Ce ne sono di bellissimi in tutto il mondo…».

Cultura accessibile a tutti
«…Sono un’attrice, e ho deciso di fare quest’intervista sul palco di Torchiera perché vi ho fatto molti spettacoli. Per me è stato molto importante fare gli spettacoli qui più che farli nei teatri perché, sia che gli spettacoli siano stati creati nella sala prove di Torchiera, sia con compagnie professioniste nelle sale prove iper attrezzate dei teatri o dei centri di danza per me era importante portare questi spettacoli in Torchiera per far sì che la gente potesse vederli ad un prezzo popolare far sì che la cultura ritorni ad essere una cosa accessibile e fruibile da tutti e qui dentro è una cosa che cerchiamo di fare sempre e continuamente.
Molte delle persone che vengono qui, infatti, fanno dei lavori artistici e tutte portano poi qui il prodotto del loro lavoro, tanti perché hanno imparato il loro mestiere proprio qui dentro grazie alla palestra giocolieri, grazie alla banda, al teatrodanza, ecc.
In questo modo la gente si è avvicinata ad un’arte inizialmente come hobby o passione e poi a volte è riuscita a cambiare il proprio lavoro in un lavoro artistico che poi viene riconosciuto all’interno della società.
Questa è una delle motivazioni che mi spinge ancora a stare qui dentro a fare arte qui, a fare in modo che il maggior numero di persone veda l’arte che viene prodotta in questo posto, perché si possa creare un’alternativa ai valori che la società ci impone: i soldi, la posizione sociale, ecc.
La cosa che per me è stata più importante è stata fare ‘Il quartiere’ spettacolo che facevo con l’Impasto ‘comunità teatrale nomade’ che è la compagnia con cui ho lavorato per diversi anni; ho spinto molto affinché la compagnia venisse qui perché tante delle persone che lavoravano con me che facevano un teatro politico, sociale non avevano mai fatto un’esperienza di questo genere, non avevano mai fatto uno spettacolo all’infuori di un teatro istituzionale ed è stato bello sentire come degli attori o danzatori professionisti si trovassero meglio a lavorare qui dentro che nei teatri, che si trovassero meglio a rapportarsi con persone non professioniste.
Io oltre a fare teatro qui dentro lavoro per l’organizzazione affinché in maggior n. di persone possa fare teatro qui, stiamo sistemando la sala prove, il palco, per migliorare le prove, le rassegne, gli spettacoli…».

Dal Ponte alla Cascina
«…Io venni contattata in quanto architetto perché elaborassi un progetto di massima sull’utilizzo degli spazi da presentare in comune in risposta a vari progetti dei marmisti della zona per fare un rilievo degli spazi…Io allora militavo nel circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, nel giro di un anno uscii dal circolo anarchico e mi trasferii per entrare in pianta stabile nel collettivo di Torchiera, m’innamorai del posto in quanto luogo fisico come architetto, e dello spirito e del fare politica che rimane tuttora una della esperienze più positive dell’autogestione di uno spazio sociale. La Torchiera fin da allora, dal ’95, si caratterizzò in senso fortemente libertario e anarchico…».

Tra condizione di esclusione e desiderio di interazione:
Torchiera vive infatti come spazio di aggregazione effettivamente aperto a tutti divenendo così spesso insieme rifugio e palcoscenico per molte minoranze urbane e luogo di scambio culturale tra esse; prime tra tutti le comunità rom di via Barzaghi che solo in Torchiera hanno visto soddisfatta l’esigenza di uno spazio per i loro battesimi e le loro cerimonie e per un confronto non orientato da logiche assimilazioniste.

Scuola di italiano
«…La scuola di italiano è un progetto nato dall’esigenza di intervenire su un terreno di emarginazione grave, quello dell’immigrazione clandestina. Sebbene a Milano siano presenti strutture di educazione linguistica per gli stranieri, queste si rivolgono esclusivamente agli immigrati regolarizzati, lasciando scoperta una fascia sempre più consistente di migranti a cui non viene data la possibilità né di incontrarsi né di comunicare. Su queste basi nasce la scuola, gestita da un gruppo di insegnanti non professioniste, che organizzano lo spazio, contattano gli studenti e conducono le lezioni. La Cascina autogestita Torchiera risponde in pieno alla nostra esigenza di creare uno spazio che favorisca il più possibile l’incontro e lo scambio tra menti e corpi, grazie al duraturo impegno nella condivisione e nella gestione collettiva delle attività svolte. Pur rimanendo fondamentale l’apprendimento linguistico, ciò che caratterizza la scuola è la circolarità della crescita personale e dello scambio delle conoscenze e delle esperienze. Ci piace pensare alla nostra scuola come ad un tentativo di creare un terreno comune fatto di persone, storie, sogni e speranze…».

Incontri tra diverse culture
«…La Cascina autogestita Torchiera ha sempre rappresentato un luogo privilegiato d’incontri tra diverse culture grazie anche alla sua collocazione urbana tra chi vive ai margini della società e chi continuamente lotta contro l’esclusione e l’emarginazione sociale.
A partire dal maggio 2001 si è avviata una stretta collaborazione tra alcuni musicisti rom del campo di via Barzaghi e altri della banda degli Ottoni a Scoppio.
Oggi l’associazione Arci-Unza si occupa di un progetto interculturale di promozione della musica rom e di difesa del diritto all’arte di strada e di metrò…».

Tra capacità, passioni e interessi individuali che si rendono reciprocamente disponibili:
Non a caso in Torchiera si organizzano non corsi ma palestre, e quindi occasioni di scambio di esperienze e conoscenze per il puro gusto di condividerle – di arti di strada, di musica, di danza e di teatro; questa differenza è essenziale, non è solo terminologica, nel senso che questo tipo di momenti di incontro nascono proprio dalla volontà di scambiarsi delle capacità, di condividere passioni e interessi; non c’è qualcuno che è lì per insegnare, ci sono delle persone che hanno voglia di condividere qualcosa.

Giocolando e sputando fuoco
«…È quindi nell’inverno del ’94 credo, Pallino tornava da Londra dove era andato a ‘studiare’, a fare qualche lavoro di merda per mantenersi e aveva anche conosciuto la giocoleria.
Anche Fabio si era scontrato col mondo del lavoro e tra un palco e l’altro aveva conosciuto Dalila che le aveva insegnato a sputare il fuoco e Pronne a giocolare.
Torchiera inverno novantaquattro. I due si ritrovano dopo circa 5 anni che non si vedevano – quindi i centri sociali sono luoghi di incontro – dopo i baci e gli abbracci si prendono una birra – quindi i cs sono luoghi dove puoi berti una birra. E chiacchierando scoprirono di aver tutti e due scoperto la giocoleria – quindi i centri sociali sono luoghi in cui si può chiacchierare – e decisero di cominciare a giocolare assieme in Torchiera, pura situazione opportunistica perché era inverno e c’era un tempo di merda. Bussarono al collettivo, entrarono nel collettivo e proposero di dedicare il lunedì sera alla giocoleria attraverso una serata autogestita di ‘palestra giocolieri’: il nome della serata è tanto banale che è inutile dire che l’intenzione era di creare una serata in cui giocolieri, curiosi, principianti potessero venire in un posto ad allenarsi, scambiare conoscenze e attrezzi di giocoleria, bersi una birra e farsi le canne.
Ad essere sinceri non c’era neanche venuto in mente di affittare una vera palestra o spazio per allenarsi; cosa della quale ci informammo qualche anno dopo trovando il consiglio di zona e il comune totalmente sordi alle nostre richiese (ci si presentava come ‘normali cittadini’ e non come Torchiera) e il privato mostruosamente costoso.
Ci sembrò naturale farla lì, in quel posto punto e basta.

Io ero ancora sotto processo per la diserzione e il dialogo con l’istituzione era fuori discussione, il posto c’era, bisognava solo renderlo sempre più vivo, noi ci provammo così. Ma a questo punto Fabio e Pallino sparirono e comparve il collettivo giocolieri che si era formato poco dopo, fatto da giocolieri per passione e saltimbanchi. A palestra avviata arrivarono un gruppo di saltimbanchi che utilizzavano la giocoleria per fare spettacolo in strada e…guadagnare di che vivere con i loro cappelli!! Si poteva guadagnare dei soldi con un lavoro che ti piaceva, senza padroni potendo dire quello che volevi! Era tutto un roteare di clave, palline diabli cerchi bottiglie, gente che stramazzava al suolo cercando di imparare ad andare sui trampoli mentre la Fedra elargiva consigli sulla tecnica da seguire e la maniera corretta di cadere. Monocicli che sfrecciavano nella sala del camino mentre un pazzo tirava un filo da una parete all’altra e pretendeva di camminarci sopra! Poi scoprimmo che oltre a ‘far cappello’ si poteva guadagnare lavorando con pro loco, comuni, agenzie decidendo prima un compenso. (…)
Il collettivo giocolieri e il Torchiera, fecero una rassegna di 5 gg di spettacoli. Gran culo ma anche molto bella. Artisti di tutti i posti sbucavano fuori per fare spettacoli in quei cinque giorni, gratis, capitanati dal mago Barnaba ex cassaintegrato dell’Alfa Romeo di Arese che si guadagnava da vivere facendo il vero finto mago, fondando pure ‘la grande compagnia del mago Barnaba’ formata da lui solo!
Poi si andava a fare spettacolo, chi in strada chi ad ingaggio, la sera ci si vedeva in Torchiera e il totale dei soldi presi nella giornata si ridistribuivano in parti uguali a prescindere dalle proprie potenzialità..
Ultima cosa, fu di andare alle manifestazioni con un altro spirito.
Spiazzammo un po’ tutto il movimento andando in corteo con i trampoli, giocolando e sputando il fuoco. Eravamo e mi sembra che la cosa sia rimasta, sempre noi a chiudere il corteo a fare da cuscinetto tra il corteo serio e la polizia. La cosa non era assolutamente voluta è che coi trampoli si camminava sempre troppo lenti e poi, ti cade una clava, ricarica le torce infuocate…».

(Raccontati attraverso la scelta di un «pezzo» di Torchiera e a ruota libera la descrizione di cosa ti fa venire in mente)
«…Ho scelto la futura aula studio perché è la stanza che ho visto in un’estate venire su dal nulla e che da mani inesperte è stata rimessa a posto.
È un modo per portare un contributo nel quartiere in cui vivo, dove anche studiare, che dovrebbe essere la roba meno opprimente tra tutti i lavori, diventa una merda.
L’intento è quello di far nascere di fianco al Cimitero Maggiore un luogo tranquillo dove posso scendere e trovare gente con cui scambiare opinioni.
In Torchiera gli strumenti che hai sono quelli del riciclo e del saperti adattare in questa città, e con questi strumenti si costruiscono cose che a me hanno lasciato molto.
L’aula studio nasce nell’agosto resistente: per via delle minacce di sgombero una cinquantina di giovani aveva scelto di restare a Milano a presidiare la Torchiera anziché andare in vacanza. Tra questi giovani alcuni erano studenti e dovendo studiare pensarono di iniziare a costruire le mura del tetto della futura aula studio…».

Tra disponibilità di spazi di libertà e la messa in sinergia di percorsi progettuali autonomi e diversi:
La Torchiera, in quanto spazio di interazione libero e profondamente impregnato della carica progettuale di chi lo fa vivere, svolge un ruolo importante nell’attrarre, generare e al contempo beneficiare della dialettica tra idee, proposte, progetti e percorsi d’azione diversi. Ci sono altre realtà con cui Torchiera ha infatti condiviso e condivide i suoi sogni e i suoi ideali attraverso momenti di sinergia veramente unici: liberare uno spazio ha significato creare l’opportunità affinché percorsi nuovi nascessero e percorsi dall’esterno offrissero la condivisione dei passi già fatti.

Ottoni a Scoppio
«…Durante il Carnevale del 1986 un gruppo di impavidi suonatori comunisti, anarchici, e molto internazionalisti fece la sua prima apparizione con un significativo ‘costume’: quello delle ‘brigate internazionali’ della guerra di Spagna.
Quel giorno nacque la Banda degli Ottoni a Scoppio, un collettivo musical-politico da sempre ‘a servizio’ delle realtà più deboli in questa città e non solo.
In 17 anni di vita il percorso degli Ottoni a Scoppio ha toccato innumerevoli mete fisiche, geografiche e ideali.
Sempre nomade ha avuto sale prove in ogni angolo di Milano fino alla scelta più stabile di finire in Torchiera.
Le note degli Ottoni a Scoppio hanno risuonato a Niquero e Santiago de Cuba, Sarajevo, Mostar, Banja Luka, Parigi, Gerusalemme est, Betlemme.
L’idea è di essere un punto di incontro tra le sempre contrastanti realtà della sinistra più estrema, un megafono per le istanze dei tanti reietti della società totalitaria del libero mercato.
Le Bande in Movimento ormai sono un virus inarrestabile destinato ad espandersi nonostante qualcuno (tipo questura e Digos) sia in costante ricerca di vaccini…».

Zona 8
«…Il coordinamento associazioni zona 8 è il tentativo di riaggregare i soggetti, individuali e collettivi, che in zona 8 producono progetti politici e sociali locali e non nel solco dell’opposizione alla globalizzazione neoliberista, ma con espressioni ed esperienze diverse. Riaggregazione non come riduzione del tutto, ma per amplificare le singole esperienze attraverso la contaminazione reciproca e una migliore comunicazione agli abitanti dei nostri quartieri. In questo percorso Torchiera è stata una fondamentale risorsa umana, politica e sociale per il quartiere e non solo. Non sarebbe pensabile un foro sociale (o comunque lo si voglia chiamare) in zona senza un coinvolgimento di Torchiera, per il contributo sempre originale, creativo e artistico che sa dare (e le feste o mobilitazioni fatte assieme lo dimostrano) …».

Cooperativa Alekos
“La cooperativa Alekos lavora a stretto contatto con Torchiera. Scopo della cooperativa è favorire attraverso una rete di scambi personali, economici, culturali, politici, la realizzazione di un ambiente di lavoro con un senso produttivo attento ai valori della relazione, della convivenza, del mutualismo, della solidarietà e dell’ecologia. La cooperativa si propone di promuovere una federazione di coagenti che lavorano per il medesimo scopo sopraddetto; in particolare si vuole sviluppare al massimo livello la divulgazione di una cultura solidale.»

Tattle
«…Tattle nasce all’interno della coop. Alekos e del villaggio ecologico di Granara ed è un gruppo che si occupa di sviluppare e di diffondere le tecnologie appropriate che tengono in considerazione sia gli aspetti ecologici sia quelli sociali e di integrazione con l’uomo.
Assieme al villaggio ecologico di Granara cerca di mettere in pratica i principi dell’ecologia sociale, integrando diversi aspetti della vita in una visione ecologica complessiva.
Tattle all’interno di Torchiera porta avanti il progetto di potabilizzazione dell’acqua piovana di fronte alla grave violazione di uno dei diritti universali, il diritto all’acqua, perpetuato come forma di repressione dal comune di Milano nei confronti della Cascina Torchiera.»

Ci opponiamo all’ingiunzione di sgombero che tuttora pende su Torchiera perché crediamo che… «non i giovani imprenditori ma soltanto persone orientate ad esprimere la propria identità fanno uno spazio sociale; non l’impresa che vince una gara d’appalto ma soltanto il tempo e le braccia di chi desidera restituiscono spazi degradati alla città; non chi reprime e aggredisce la diversità, ma soltanto le stesse diverse soggettività libere di interagire possono realizzare politiche di aggregazione in una città che esclude». (Cascina Autogestita Torchiera, Maggio 2000)

Siamo andati a Genova in occasione delle giornate della contestazione del G8 con una carovana di bici, motorini, macchine, camper, furgoni che ha attraversato piccole piazze di paese, strade di montagna e centri abitati comunicando attraverso la nostra arte, l’arte di strada, che «siamo convinti che sia possibile costruire un mondo dove le ricchezze passino attraverso la valorizzazione delle differenze, la socialità come antidoto alla competizione, il libero sviluppo delle specificità di ogni popolo, gruppo e individuo il cui apporto risulta insostituibile per una reale crescita collettiva». (Cascina Autogestita Torchiera, Luglio 2001)

(Sull’esperienza della carovana è stato realizzato un film, in distribuzione presso la Cascina Torchiera da sole due settimane)

appuntamauntz:
Il collettivo di gestione della Cascina (un’assemblea da sempre e per scelta aperta a tutti/e) si riunisce ogni mercoledì sera dalle 22.
Tutti i lunedì e martedì sera Palestra Giocolieri aperta a tutti.
Tutti i lunedì sera prove della Banda degli Ottoni a Scoppio
Tutti i martedì sera prove della Contrabbanda
Tutti i mercoledì scuola di italiano per stranieri dalle 19
Rassegna «Saltimbanchi off» dal 12 al 16 giugno.
Rassegna teatrale dal 26 giugno al 6 luglio

a cura di Gaia, Manu, Paolo e Silvia
con il contributo fondamentale di tutti quelli che credono in questi percorsi.
Si ringraziano per le interviste:
Paolo, Cinzia, Simone, Loredana, Alessandra, Fabione, Pallino, Stefano, Onsky, Elia, Grumo, Luca, Teo, i cooperanti Alekos.
per le foto:
Marco, Franco e Luca