Rivista Anarchica Online


ai lettori

Amelia e Augusta

 

Nelle ultime settimane due donne anziane ci hanno lasciato. Due donne tra loro molto diverse, ma con importanti tratti comuni.

Amelia Pastorello

Amelia (ma il suo vero nome, con il quale era chiamata solo dalle sue numerose sorelle e fratelli, era Eufemia) Pastorello, nata a Castel Giorgio (Terni) nel 1924, figlia di un tagliaboschi e di una contadina, visse un’infanzia ed una giovinezza nello stato di grave indigenza proprio della sua classe sociale. Poco più che ventenne era “a servizio” da un vecchio socialista e lì conobbe Alfonso Failla, classe 1906, reduce da un quindicennio trascorso tra carcere e confino a causa della sua opposizione al fascismo. Si misero insieme, trasferendosi a Carrara dove Failla – uno degli esponenti di punta della Federazione Anarchica Italiana – iniziò a lavorare alla Cooperativa del Partigiano, mentre Amelia aprì una bottega alimentare.
Libera e ribelle per carattere, non certo per letture o altri approfondimenti, Amelia era una “compagna” non tanto per esser stata tutta la vita al fianco del suo compagno e per averne favorito l’attività militante (facendosi carico di lavoro e famiglia, per esempio, mentre lui andava in giro per l’Italia a fare comizi e conferenze e a spingere per una sempre più stretta unità d’azione degli anarchici). Anarchica lo era perché istintivamente libera e ancor più per quella sua solidarietà che si esprimeva quotidianamente nel dare una mano, con il sorriso sulla bocca, a chiunque ne avesse bisogno: si trattasse della vecchietta, cliente della bottega, cui fare credito o del gruppo di 10 beat, con lunghe capigliature e collane, di passaggio per Carrara, da sfamare, Amelia c’era.
È stato così per tanti anni, soprattutto nell’irripetibile stagione del ’68, quando a centinaia, a migliaia, giovani sognatori, militanti anarchici, vecchie barbe dell’antifascismo, si riversarono a Carrara – la mitica “capitale” dell’anarchismo – e se passavi a Carrara un salto a Marina, nella casa di Failla sul vialone, era quasi d’obbligo.
E così Amelia si ritrovò in casa, magari in un sacco a pelo, reduci della Rivoluzione Spagnola del ’36, giapponesi, venezuelani, Pino Pinelli, giovani marxisti in crisi, studenti universitari e via discorrendo. Lei faceva da mangiare, certo, non partecipava alle discussioni sulla Piattaforma di Arscinov o sul ruolo della violenza. Ma aveva una sensibilità tutta femminile nel cogliere la sostanza profonda delle persone, nell’avvertire di fronte a discorsi estremisti, stupidi o provocatori. E quando ci diceva “quello non mi piace” difficilmente sbagliava.
Alle feste anarchiche, per il 1° Maggio, alle feste di “Umanità Nova” a Gragnana, anche quando non c’era perché impegnata in bottega o con il compagno ammalato a casa (e Alfonso lo fu per anni e anni), non mancava mai la sua teglia di lasagne – mitica, apprezzatissima.
È stato il suo modo di partecipare alla vita di una comunità libera e libertaria che sentiva sua. I compagni, le bandiere, la commozione presenti ai suoi funerali, a Carrara, lo scorso 31 maggio ne sono una testimonianza.

Augusta Farvo, la decana degli anarchici milanesi, se n’è andata a 91 anni. Non si era mai fatta “una famiglia”, figli niente perché – in epoca di coscrizione obbligatoria – non voleva dare carne da macello allo Stato. Ma una famiglia, una famiglia vera, Augusta l’aveva ed eravamo noi, i suoi compagni, i suoi amici, quelli che tanto hanno ricevuto da lei e magari qualcosa le hanno anche dato. La ricorda, con grande affetto, Joe Fallisi, che più di ogni altro le è stato vicino in questi ultimi, lunghi anni.
Anche Augusta aveva fatto della sua casa l’alloggio di chi aveva bisogno o forse solo il piacere di passare qualche ora in un ambiente caldo, libertario, famigliare. E la sua edicola, sempre nella stagione del ’68, è stata un punto imprescindibile per contatti e appuntamenti.

Prossimo numero. Il n. 293 (ottobre 2003) della rivista verrà chiuso ai primi di settembre e spedito entro la fine di quel mese.