Una grande arte
per uneterna rivolta
La dedizione dei ferréiani, cui mi pregio di appartenere
a pieno titolo, al grande Léo sfiora lidolatria...
lo dico consapevole dellintima contraddizione di pendere
dalle labbra di chi, prima di scendere dal palco, non mancava
di «augurare di non avere mai ni dieu ni maître»
(che vuol dire padrone ma anche maestro).
Di conseguenza spesso mi trovo nella complicata situazione di
dover consigliare «qualcosa» a chi mi chiede di
avvicinarlo allopera del nostro... ma cosa proporgli per
cominciare?
Gli inni rabbiosi, violentemente anti-civili (e attenzione
mai incivili!) quali appunto Ni dieu ni maître,
Les anarchistes, Y en a marre, Lespoir...
ma come poterli comprendere a pieno senza tener conto dei contemporanei
folgoranti versi esistenzial-visionari, che travolgono le nostre
coscienze personali quanto quegli altri travolgono il «buon
senso comune»? Come capire a fondo Les anarchistes
senza La memoire et la mer o Tu ne dis jamais rien?
Forse si dovrebbe far percepire la rivoluzione formale dei lunghi
recitativi musicati, dove Beethoven e Ravel sincontrano
con Rimbaud, dove strutture e logiche saltano in aria e si viene
travolti da un attacco «a parole armate», da cascate
dimmagini e suoni come onde in tempesta, come lesplosione
di un big bang creativo e apparentemente caotico... ma
come apprezzare appieno tale, ancora oggi, novissima concezione
di allargamento della struttura canzone (Le chien, Il
ny a plus rien,...), senza tener presente la solida
base, la perfetta gestione delle cadenze popolari che Ferré
aveva dimostrato di possedere quando negli anni 50 distillava
la compiutezza di Paris canaille, di La guinche,
di Paname...
E se invece si consigliasse un approccio a partire da quel vertice
inarrivabile che è LOpéra du pauvre,
opera per coro, canto, recitazione e orchestra, summa della
magniloquenza creativa del nostro (per circa tre ore di sublime
ascolto)?
O ancora se ci si accostasse a Léo attraverso le centinaia
di versi dei suoi «fratelli» poeti maledetti, trasformati
in altrettanti classici della... canzone (Baudelaire, Verlaine,
Rimbaud, Apollinaire... avete mai conosciuto migliore équipe
di parolieri)?
Insomma... da qualunque parte la si prenda, lopera di
Ferré assomiglia a una cima montuosa che si può
scalare da lati opposti sempre certi di giungere a un vertice,
ma anche di averne impressioni diversissime.
Nellarte rivoluzionaria e necessaria di
far conoscere Ferré in Italia, Mauro Macario, poeta noto
e apprezzato in proprio con ben tre libri di feroci versi allattivo,
cultore della rivolta intesa come forza (ri)creatrice e vitale
che gli fa unire, in un turbinio di fratellanze ribelli, Rimbaud
a Bukowski a Lance Henson a Victor Jara a De André, cugino
di sangue dei Sioux di Cavallo Pazzo in missione segreta, fra
Liguria e Toscana, per conto del grande spirito, sono dieci
anni che ci si prova!
Ventanni di dialogo ininterrotto di cui i primi
dieci quando Léo si degnava ancora di abitare questinfame
pozza di sangue che chiamiamo la terra, e i secondi dieci a
continuare con un infinito tour de force di conferenze,
letture, pubblicazioni, organizzazioni di serate in memoria,
unamicizia che non può essere la stupidità
della morte a far finire hanno cementato una conoscenza
che per certi versi sfiora lapostolato laico e che si
è concretata in due cardini che propongono al lettore
italiano la possibilità di schiudere il portone della
maison Ferré.
Il primo cardine era uno smilzo librettino Ferré
il cantore dellimmaginario pubblicato da Elèuthera
nel 1994 e quindi a pochi mesi di distanza dalla morte
del nostro , che raccoglieva 17 testi di canzone e qualche
scampolo di prosa ordinati per sottili filoni tematici; congegnato
come «il minimo indispensabile», ma ancora lontano
dallessere, in qualche modo, unantologia appena
esaustiva, interessante soprattutto per la memorabile prefazione
dello stesso Macario, il libro aveva il limite di essere davvero
una goccia doceano: veramente troppo pochi i testi concessi
al lettore per farsi una seppur minima idea del vulcanico autore.
Ora, allincirca dieci anni dopo, ci viene presentato questo
secondo, e ben più consistente, cardine.
Larte della rivolta (Selene edizioni, 190 pagine,
€ 12,90, ovviamente a cura di Mauro Macario) raccoglie
gli interventi saggistico-poetici di Léo, sistematizzati
in due sezioni.
La prima Esilio notturno mette assieme
gli scritti concepiti per la pubblicazione, interventi quindi
in cui, pur essendo fortissima la tensione verso un linguaggio
che non distanzi i mezzi dai fini (allespressione
di un sentimento rivoluzionario si vuole far corrispondere una
ricerca letteraria che Léo avrebbe chiamato «stile
dellinvettiva»), si troverebbe maggiormente presente
lintenzione analitica.
La sezione «requisitorie in scena» invece presenta
quelle lunghe illuminazioni che Léo usava riferire
su un accompagnamento musicale (come peraltro avrebbe fatto
anche coi testi rimbaldiani del Battello ebbro e di una
memorabile versione discografica della Stagione allinferno)
come parte integrante del suo stesso repertorio cantato.
Tale divisione, ci teniamo a dirlo, è solo morale, dal
momento che spesso Léo amava mischiare le sue carte,
recuperando brani scritti in altri contesti e poi diventati
parte dellopera incisa e portata in scena, cosicché
la Prefazione, scritta per la sua stessa raccolta poetica
Poète vos papiers, era presto diventata in una
versione di molto scorciata, la folgorante Préface
che si conclude «Alla scuola della poesia non si impara:
ci si batte!», così come il disco postumo di inediti
Metamec, uscito un paio danni fa, ci rivelava come
il testo La Méthode stesse subendo anchesso
unevoluzione musicale; ma, precisazioni a parte, finalmente
anche in Italia è disponibile un libro che permette di
esplorare uno dei territori più ardui delluniverso
Ferré, quello su cui le barriere linguistiche pesavano
maggiormente.
Ne emerge un vero Ferré-pensiero: il prodotto
di una mente non sistematica, e anzi in una continua esplosiva
sovrapposizione e sovraesposizione didee, immagini, pulsioni
e riflessioni, ma anche il prodotto di una ricerca che si inoltra,
con orecchio musicale e con vista poetica, nel territorio della
speculazione filosofica ed estetica, disseppellendo le perle
di una saggezza anarchica, di un buon senso rivoluzionario,
capaci di condensare in una sola battuta propositi che ci vorrebbero
enciclopedie intere a dispiegare: «Il disordine è
uguale allordine meno il potere», «Lanarchia
è la teorizzazione politica della disperazione»,
«Gli uomini che pensano in massa hanno le idee curve»...
e via così di aforisma in aforisma, di lampo in lampo.
Un discorso a parte merita invece il testo Alma Matrix,
capolavoro della letteratura erotica, folgorante eruzione della
sensualità, che forse, assieme allo spirito rivoluzionario,
rappresenta la più evidente pulsione vitale di questautore,
altrimenti «straordinariamente votato alla disperazione»,
come diceva di lui Charles Aznavour; non che anche in questo
testo manchi il senso di dannazione che aveva pervaso fino ad
allora le canzoni di Léo con tematica esplicitamente
sessuale (La damnation, appunto, Petite, Ton
Style, ecc.) ma questoscurità si sposa alla
pienezza gaglioffa e saziante di altre canzoni esplicitamente
provocatorie nei confronti della prouderie benpensante (Jolie
môme, Les bonnes manières), facendo
germinare unopera in cui il sesso (in particolare quello
femminile) diviene al contempo simbolo, oggetto e soggetto dogni
pienezza dogni slancio. Pare che finalmente il Ferré
di Alma Matrix si sia affrancato dalla visione baudelariana
del letto di tormenti ed estasi, da lui oltretutto ben cantato
con le versioni di La mort des amants e Les métamorphoses
du vampir, per presentarci una sensualità, e in ultima
analisi un ritratto dellamore, in cui passione e tenerezza,
foga e appagamento, sono due volti imprescindibili luno
allaltro, del medesimo sentimento.
Giunto dunque, anche questo libro, allattenzione del pubblico
cosa ci manca ancora per continuare ad approfondire la nostra
visione di questo artista imprescindibile?
Ci manca una raccolta sistematica dei testi delle canzoni, mancanza
particolarmente lancinante visto che, bene o male, per quanto
riguarda gli altri mostri sacri Brassens e Brel, questa lacuna
appare in qualche maniera colmata.
Ci manca una versione italiana dei meravigliosi poemi fiume,
testi sublimi e visionari, politici e polemici, musicali e esplosivi
quali Words, Words, Words, Le chemin denfer,...
Ci manca la ristampa della bellissima traduzione di Giuseppe
Gennari del Benoît Misère la cui
prima edizione è ormai esaurita da tempo , il romanzo
autobiografico, sugli anni della formazione di Léo.
Insomma... buon lavoro e a presto, compagni ferréiani!
Alessio Lega
amoreanarchia@tiscalinet.it
Léo
Ferré
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