Rivista Anarchica Online


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Equidistanza... che speranza!

Ammirevole l’imparzialità dei Gruppi Anarchici Imolesi espressa nel loro comunicato-stampa, sottoscritto anche dalla redazione di «A» (pubblicato sul n. 281), quando prendono le distanze dalle «fazioni» in lotta in Israele/Palestina. Ammirevole, ma profondamente sbagliata.
È fasulla la simmetria che gli scrittori del comunicato-stampa cercano di invocare con frasi tipo «al di là della drammatica ferocia con la quale si stanno affrontando i due eserciti, siamo convinti che il barbaro governo di Sharon e la barbara Autorità Nazionale Palestinese di Arafat stiano giocando la solita partita a scacchi ...». Se rimaniamo un momento con la metafora della partita di scacchi, allora uno degli avversari si troverebbe all’inizio della partita con solo pochi pedoni, che si muovono senza il suo controllo, mentre l’arbitro (Powell) arriva tardi, e quando arriva convenientemente distoglie gli occhi, permettendo all’altro di compiere tutte le mosse che vuole ogni volta prima di dovere suonare il campanellino.
Non ci illudiamo, il governo di Israele ha permesso la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese solo per poterle dare la colpa per tutti gli atti terroristici commessi; Arafat sarà corrotto, ma è impotente, un conveniente capro espiatorio (sarebbe più preciso usare il termine inglese «whipping boy»).
Lo stato israeliano – e «chi paga comanda», gli Stati Uniti – può solo concepire uno stato palestinese come un insieme di bantustan, secondo il prototipo sudafricano all’epoca dell’apartheid. Moshe Dayan, uno dei leader laburisti israeliani meno mal disposti verso i palestinesi, ha detto: «noi non abbiamo nessuna soluzione. Continuerete a vivere come cani, e chi vuole può andarsene». Quella è ancora oggi l’unica offerta sul tavolo delle trattative.
È vero che «il potere rafforza il proprio bisogno di sangue», ma bisogna identificare chi è effettivamente il mazziere e chi solo il giullare!

Leslie Ray
mapucam@hotmail.com

 

Ipse dixit

Tobia dice, con la bonarietà che contraddistingue il maestro nei confronti dell’allievo un poco testone: “Ma lo sai come, almeno fino all’avvento del fascismo, andavano alle manifestazioni gli anarchici? Con in tasca la rivoltella e le bombe a mano. E le usavano anche. Leggiti i rapporti di polizia e le cronache sui quotidiani dell’epoca (…).” (1).
Ecco un esempio di rapporto di polizia stilato, dal prefetto di Milano Pesce, all’epoca in cui gli anarchici andavano in giro con in tasca la rivoltella e le bombe a mano:

Da fonte fiduciaria viene riferito che un gruppo di anarchici si proporrebbe di formare un forte nucleo di rivoluzionari (un centinaio) i più in divisa di soldati, con alcuni indossanti quella di ufficiale. Essi dovrebbero essere armati di fucili che loro fornirebbe un soldato del settimo fanteria, amico di uno degli anarchici di detto gruppo. In una determinata notte un gruppetto di anarchici dovrebbe recarsi con un veicolo sotto una finestra della caserma del settimo fanteria, dalla quale il predetto soldato dovrebbe, in momento opportuno, far discendere, a mezzo di una fune, buon numero di fucili con relative munizioni, che egli sarebbe in grado di procurarsi, rilevandoli da un magazzino di cui terrebbe chiave falsa. E in altra notte designata un gruppo di uomini in divisa da soldati, comandato da qualche ufficiale, si porterebbe alla sede del comando militare in via Brera per impossessarsene, mentre altro gruppo si recherebbe allo stesso scopo alla prefettura e un terzo al palazzo municipale. Altri poi, indossando la divisa di ufficiali superiori, darebbero l’allarme nelle varie caserme e, approfittando della mancanza di nottetempo degli ufficiali, comunicherebbero alle truppe che, avendo il governo italiano dichiarato la guerra alla Francia, l’esercito si era ribellato e aveva a Roma proclamata la repubblica. E aggiungerebbero di essere stati mandati espressamente a Milano per assumere il comando delle truppe, facendo però presente, nel contempo, che si sarebbe proceduto all’immediato congedo dei militari tutti, essendo stato abolito il militarismo. (2)

Gli anarchici, dunque non andavano in giro solamente con in tasca la rivoltella e le bombe a mano ma studiavano anche minuziosi ed accuratissimi piani rivoluzionari, come documentato da regolare rapporto di polizia!
Su quotidiani e fonti di polizia ho come il sospetto che Tobia, solamente alcuni mesi fa, sostenesse una tesi affatto diversa.
Difatti redarguendo aspramente Adriano Paolella, asseriva (3): “Le argomentazioni portate a sostegno delle sue tesi” sono “futili e menzognere (poiché basate su una conoscenza dei fatti presa dai quotidiani e dalle dichiarazioni delle tute bianche) (…)”.
Che cos’è cambiato in questi mesi? Come mai le fonti giornalistico-poliziesche di cui in alcuni casi bisogna diffidare, come della peste, in altri possono essere accettate tranquillamente? Sembra esservi una certa elasticità di metodo o sbaglio? Mah!

Anarchico – Fautore dell’anarchia.
Anarchia – Dottrina e movimento politico sociale che intende sostituire a un ordine sociale basato sulla forza dello Stato un ordine fondato sull’autonomia e la libertà degli individui. (4)

Tobia asserisce, contraddicendo Zingarelli, che: “Eticamente non è anarchico solamente chi riconosce allo Stato il diritto ad esistere” (5).
Vi sarebbero quindi, secondo Tobia, anarchici che riconoscono allo Stato il diritto ad esistere e anarchici che non riconoscono allo Stato il diritto ad esistere!
Se ciò che sostiene lo Zingarelli è più o meno esatto allora ciò che sostiene Tobia mi sembra profondamente errato.
Se invece ciò che sostiene Tobia è più o meno esatto allora ciò che sostiene lo Zingarelli dovrebbe essere aggiornato. O no?
Meditate gente, meditate (anche se sembra la pubblicità di una birra).

Patrizio Biagi
(Milano)

1. Tobia Imperato, Talebano? Ma mi faccia il piacere…, “A” 282 – giugno 2002.
2. Vincenzo Mantovani, Mazurka blu, Samizdat, Pescara, 2002.
3. Tobia Imperato, Basta di piagnistei, “A” 278 – febbraio 2002.
4. Zingarelli 1995. Vocabolario della lingua italiana.
5. Tobia Imperato, Basta di piagnistei.

 

Una lettera dal kibbutz

Caro Paolo,
Un mio amico di Yad Tabenkin mi ha trasmesso la tua e-mail del 10 maggio con cui ci chiedevi di mandarvi qualche commento sulla situazione attuale in Medio Oriente. Devo dire che mi ha fatto molto piacere leggere le tue osservazioni, che dimostrano un’opinione non prevenuta su quanto è accaduto negli ultimi mesi.
Come comprenderai, stiamo attraversando un periodo assai difficile e ci rendiamo conto che tutta la zona è prossima all’esplosione. Tra Israele e Palestina c’è una guerra in corso ed è evidente che gli accordi di Oslo, approvati con forza dalla maggioranza degli israeliani, sono svaniti nel nulla.
Sono certo che tutti voi avete potuto vedere i tragici effetti degli attentati suicidi a Netanya e in altri luoghi: le vittime, le famiglie, i danni materiali. Di attentati del genere ce ne sono state decine. Sull’altro versante la campagna militare portata avanti da Israele come rappresaglia per gli attentati ha provocato tanti lutti e sofferenze nei territori palestinesi di Cisgiordania. Ma è stato strano vedere come, in seguito alla campagna militare, il mondo intero si levasse in armi, formasse comitati, minacciasse sanzioni contro Israele. Nessun organismo ufficiale ha pensato che alcuna commissione dovesse verificare che cosa accade quando c’è un attentato suicida in una città israeliana. La propaganda pro-Palestina ha prodotto un senso di amarezza tra gli israeliani, di qualsiasi orientamento politico.
Io sono fermamente convinto che questo problema “irrisolvibile” può trovare solo una soluzione politica sulla base della comprensione reciproca. Ma questo impone buona volontà e comprensione da entrambe le parti, e ci vogliono anche leader dotati di integrità e coraggio. Può darsi che al momento tutto questo manchi, ma noi continuiamo a sperare che in futuro i palestinesi sappiano scegliere una strada diversa e trovino dirigenti che non siano corrotti e interessati al proprio esclusivo vantaggio. Sono sicuro che se le cose andranno così, la vasta maggioranza del pubblico israeliano sosterrà la costituzione di uno stato palestinese e la demolizione di molti insediamenti. Questo potrà accadere quando saremo certi che i palestinesi saranno disposti a condannare gli spaventosi atti omicidi, a isolare il terrorismo come strumento di distruzione del nostro stato democratico.
Spero che la maggioranza dei paesi illuminati del mondo sappiano sostenere ENTRAMBE le parti e comprendere meglio le esigenze di sicurezza del nostro paese e non solo di quelle dell’altra parte.
Cordialmente.

Haim Seeligmann Dipartimento di Storia
Yad Tabenkin,
Centro di Ricerca e Documentazione
del Movimento dei Kibbutz Kibbutz Givat Brenner
Israel

 

Contro le impronte digitali

Signor Presidente del Consiglio,
leggo che il Suo governo vuole prendermi le impronte digitali. Non ho compiuto nel vostro paese nessun crimine. Sono ben 36 anni che vivo e lavoro in Italia. Sono sposato con una cittadina italiana e sono padre di figli italiani. Io però ho mantenuto la mia cittadinanza libica. Sono giornalista e tutti i giorni scrivo di mondo arabo, immigrazione e multiculturalità, in italiano, e della bell’Italia in arabo.
Questo emendamento approvato dalla Sua maggioranza mi offende e offende centinaia di migliaia di onesti lavoratori, che sono venuti in Italia per guadagnarsi il pane quotidiano. A Lei ed ai Suoi alleati di governo, questa legge serve per dare l’immagine di sicurezza all’opinione pubblica. È giusto garantire sicurezza ai cittadini; ma non una parvenza di sicurezza di carta e per di più immaginaria.
Questa legge, Signor Presidente, creerà più clandestini. Probabilmente è quello che serve politicamente. Molti dei suoi alleati hanno fatto la loro fortuna politica sparando slogan razzisti e xenofobi ed hanno bisogno dei clandestini per continuare ad avere una legittimità politica. I clandestini non potranno mai scioperare, non chiederanno aumenti salariali, non alzeranno mai la testa e serviranno per ricattare i lavoratori italiani che lavorano in nero. Prendere le impronte digitali agli stranieri rafforza nell’opinione pubblica l’idea “immigrati uguale criminalità”. Anche Lei sa che è un’uguaglianza falsa e pretestuosa.
All’Italia non serve una legge simile.
L’immagine dell’Italia ne sarà offuscata, paragonabile ad un regime militarista sudamericano. Una tale discriminazione tra cittadini italiani e soggiornanti stranieri sarà sottoposta all’attenzione degli organismi internazionali, dell’ONU e della stessa UE, che operano contro il razzismo e la xenofobia.
Le impronte digitali si prendono già, in applicazione delle leggi vigenti, per i clandestini, per chi compie reati e per chi è senza documenti di identità. Non c’è nessuna giustificazione di sicurezza che impone la presa delle impronte digitali a tutti gli stranieri richiedenti il permesso di soggiorno. Se la mia identità è certa da documenti comprovati da dichiarazioni delle autorità consolari del mio governo a che cosa serve prendere le mie impronte digitali, visto che non ho compiuto nessun crimine? È una punizione gratuita contro chi proviene da un paese povero del Sud del Mondo. I suoi ministri, che hanno redatto il testo di legge, hanno capito che non sarebbe possibile chiedere le impronte ad un militare statunitense soggiornante in Italia oppure ad un ricco cittadino svizzero o giapponese; nella versione originale, infatti, non hanno utilizzato il termine “stranieri dei paesi extra UE”, ma “non appartenenti ai paesi OCSE”. Ecco una doppia discriminazione che rasenta il razzismo. “Tu straniero bianco e ricco, non ti prendo le impronte; voi neri, gialli, olivastri e poveri, avanti, le dieci dita nell’inchiostro!”. No, una discriminazione così non è ammissibile.
Ma non conviene all’Italia anche per altre ragioni, economiche soprattutto. Pensi, per esempio, alle complicazioni che incontrerà il lavoro italiano all’estero. Se la vostra polizia prendesse le impronte digitali ai diplomatici sauditi o agli uomini d’affari sudafricani, anche quegli Stati, in rispetto del principio di reciprocità, farebbero altrettanto con i lavoratori e gli uomini d’affari italiani che operano da loro.
Per tutte queste ragioni, signor Presidente, io non ci sto.
Sono 36 anni che vivo in Italia e non ho mai vissuto un giorno senza permesso di soggiorno. Ma se questa legge verrà approvata così com’è, io farò l’obiezione di coscienza. Non darò spontaneamente le mie impronte digitali quando presenterò la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno. Sarò catalogato, allora, come clandestino ed i Suoi poliziotti dovranno venire ad arrestarmi con la forza per prendere le mie impronte digitali.
Spero che molti altri stranieri faranno altrettanto.
In questo modo avrete tolto molti agenti al loro lavoro, di lotta contro il crimine, per perseguitare onesti cittadini e non avrete fatto, sicuramente, un bene per il vostro paese e per la sicurezza dei cittadini.
Cordialmente

Farid Adly
direttore “ANBAMED,
notizie dal Mediterraneo”
anbamed@katamail.com

P.S. Quando verrà emanata la legge che impone le impronte digitali sulla carta di identità, quindi uguale per tutti, sarò il primo a recarmi negli uffici comunali.

 

I nostri fondi neri

Sottoscrizioni.
Antonello Cossi (Sondalo) ricordando il compagno Franco Serantini, 20,00; a mezzo Salvo Vaccaro, Massimo Tessitore (Piraineto Carini), 500,00; Aurora e Paolo ricordando Marina Padovese nel 4° anniversario della morte (1° settembre 1998), 500,00; Federico Arcos (Windsor – Canada), 62,00; Paolo Bocccadoro (Torino), 5,00; Giancarlo Gioia (Grottammare), 10,00; Giancarlo Tecchio (Vicenza), 21,65; Patrizia Diamante (Firenze) “una rosa rossa per il mio dolce Horst”, 10,00; Gianni Forlano (Milano) ricordando Alfonso Failla e Ulisse Finzi, 25,00; Alison Leitch (New York – USA), 103,00; Battista Saiu (Biella), 20,00; a/m Paolo Finzi, raccolti duranti la serata De André il 7 giugno a Sasso Marconi, 150,00.
Totale euro 1.426,65.

Abbonamenti sostenitori.
Massimo Regonesi (Spirano), 100,00; Luigi Luzzati (Genova), 100,00; Alfredo Gagliardi (Ferrara), 100,00; Enrico Calandri (Roma), 100,00; Maurizio Pastorino (Torino) “un pensiero per tutte le vittime dell’imbecillità umana”, 100,00.
Totale euro 500,00.