Rivista Anarchica Online


lavoro

Un momento delicato
di Cosimo Scarinzi

 

Il sindacalismo “alternativo” si propone di spezzare la gabbia concertativa che la stessa Cgil pone come orizzonte invalicabile.

Mentre scrivo queste righe mancano poco più di due settimane allo sciopero generale contro la guerra, la legge finanziaria, la precarizzazione del lavoro del 18 ottobre.
Non è, ovviamente, possibile fare una previsione sulla riuscita di uno sciopero che vede una spaccatura verticale del mondo sindacale con, da una parte, l’assieme del sindacalismo di base e una Cgil che, per svariate ragioni, ha assunto un’attitudine più conflittuale che in passato e, dall’altra, la Cisl, la Uil e, in genere, l’area sindacale “moderata” e, comunque, collocata su posizioni non conflittuali nel confronti del governo.
Credo che valga la pena di ricordare che, nella prima metà del 2002, le ore di sciopero hanno visto un aumento di oltre il 1700% rispetto alla prima metà del 2001. è vero che il primo periodo del 2001 era stato un periodo di caduta verticale della conflittualità sociale ma una crescita di questa consistenza delle ore di sciopero vuole ben dire qualcosa.
È bene, inoltre, tener presente il fatto che decine di contratti sono in scadenza, che oltre sei milioni di lavoratori sono coinvolti da questa scadenza, che l’aggravarsi dell’inflazione ha rimesso al centro della discussione la questione salariale.
Sul piano strettamente sindacale, ammesso che esista un piano sindacale “puro”, siamo di fronte ad una situazione assolutamente interessante non fosse altro che perché la questione sociale che tanti, anche nella sinistra critica e libertaria, ritenevano ormai non rilevante irrompe sulla scena in tutta la sua rilevanza.
D’altro canto, la classe lavoratrice che oggi scende in campo è stata profondamente modificata da significative mutazioni dell’organizzazione del lavoro, delle tecnologie, del diritto, della sua stessa composizione etnica.
Milioni di lavoratori immigrati, per fare un solo esempio, popolano oramai le fabbriche, i cantieri, le campagne e ci sono già stati importanti e riusciti scioperi dei migranti per ottenere la parità dei diritti.
Milioni di lavoratori, italiani e immigrati, lavorano in condizioni “anomale” come co.co.co., interinali, lavoratori a termine, e sono collocati in una delle trentasei diverse nuove tipologie contrattuali previste dalle riforme del mercato del lavoro che, dalla metà degli anni ’80 in avanti, si sono susseguite.
Questo universo umano e sociale scopre se stesso nel farsi della lotta, negli scorsi mesi una massa impressionante di giovani lavoratori senza diritti è scesa in campo contro la riforma dello statuto dei lavoratori che il governo ha avviato e ha dimostrato nei fatti che la frattura fra “garantiti” e “non garantiti” sulla quale puntava il governo non è un destino indiscutibile dei lavoratori.
Ma i puri dati quantitativi dicono, relativamente, poco. Quando cerchiamo di definire la questione sociale sulla base dei dati “oggettivi” (l’andamento dei salari, l’orario reale di lavoro, la normativa che regola il lavoro stesso, l’andamento dei consumi ecc.) tracciamo una, necessaria, mappa ma non dobbiamo dimenticare che di una mappa, appunto, si tratta.
Dietro questi dati vi sono donne e uomini in carne ed ossa, vi sono relazioni sociali, culture, identità, pratiche, passioni e timori. Il conflitto sociale prende le mosse da queste persone, da noi stessi, e determina mutazioni importanti nella vita quotidiana, relazioni che mettono in discussione l’atomizzazione sociale determinata dalle ristrutturazioni produttive, dalle mutazioni del paesaggio urbano, dall’egemonia di una cultura che pretende che l’attuale mondo sia immodificabile nella sua struttura essenziale.
Credo che questi processi, quelli che si svolgono fuori dal cono di luce della comunicazione ufficiale di destra come di sinistra, siano quanto di più importante sta avvenendo e che su di essi vada posta l’attenzione.
Nel confronto fra i lavoratori di orientamento libertario impegnati in campo sindacale, sulla nostra stampa e nei materiali di lavoro che produciamo abbiamo, e ritengo sia necessario, ragionato molto sul ruolo del nuovo gruppo dirigente della Confindustria, sulla crisi della sinistra statalista, sul protagonismo di una Cgil che, dopo aver accettato, in cambio di un ruolo istituzionale di cogestire le scelte dei passati governi e mentre continua a fare accordi scellerati, lancia scioperi separati rispetto a Cisl e Uil, sul tentativo dei sindacati moderati di occupare uno spazio istituzionale privilegiato, sulle difficoltà e le prospettive del sindacalismo di base ed indipendente.
Vi è, fra di noi, la consapevolezza che viviamo un momento delicato, che il nuovo fronte antiberlusconiano che va dalla Cgil ai girotondisti, dai “disobbedienti” ai settori moderati del movimento no global, dal Prc a componenti dello stesso sindacalismo di base pone problemi nuovi, che vi è il rischio di operare come sinistra libertaria nell’ambito del processo di ricostruzione di una socialdemocrazia “combattiva”.
Vi è, nello stesso tempo, la consapevolezza che cresce fra i lavoratori più combattivi l’esigenza di costruire strumenti di lotta adeguati all’ordine dei problemi che andiamo affrontando, di percorrere strade nuove, di spezzare la gabbia concertativa che la stessa Cgil pone come orizzonte invalicabile dell’azione sindacale.
E, quindi, quando ragioniamo di salario, di diritti (brutto termine che indica, però, qualcosa di prezioso) eguali per tutti i lavoratori, di libertà sindacale, di necessità di colpire con forza il padronato ed il governo, dell’esigenza di dar vita ed esperienze sindacali federaliste, libertarie, solidali, di capacità di unire lavoratori divisi in categorie ed in figure contrattuali nel mentre operano nello stesso processo produttivo, di solidarietà internazionale, diamo concretezza alla dimensione progettuale libertaria, contribuiamo, senza proclami e senza scomuniche fra compagni e pretese di seguire l’unica strada giusta, a dare consistenza ad un anarchismo sociale aperto all’innovazione ed alla sperimentazione senza dimenticare ed, anzi, in sostanziale continuità con le proprie radici.

Cosimo Scarinzi