Rivista Anarchica Online


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

Mano amica e mano nemica

 

Già dalla lettura dell’Antico e del Nuovo Testamento si comprende come il destino dei mancini – e di tutto ciò che fin metaforicamente ha a che fare con loro – sia segnato. Nell’Ecclesiaste (X, 2), per esempio, si legge che «La mente del sapiente si dirige a destra e quella dello stolto a sinistra». Nel Genesi (XXXV, 18) si racconta la storia di Beniamino, fondatore della dodicesima tribù di Israele, figlio di Giacobbe e Rachele. Sua madre sta morendo per il parto e chiede al marito di chiamare suo figlio «Ben-Oni» (figlio del mio dolore), ma Giacobbe, maschio testardo, si guarda bene dall’accondiscendere all’ultimo desiderio di una donna e lo chiama «Ben-Yamin» (figlio della destra), perché, a suo dire, sarebbe stato prediletto da suo padre e, al contempo, da Dio.
Nei Vangeli il calco ideologico non cambia. Nel «Discorso della montagna» (Matteo, V, 30), dove Gesù Cristo consegna ai discepoli una sintesi del proprio insegnamento, si dice che «se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te». La gerarchia, dunque, è fatta.
La storia dei mancini del mancino Pierre-Michel Bertrand (Edizioni Magi, Roma 2003) ricostruisce la storia di questa gerarchia, con grande attenzione rivolta al modo con cui le varie lingue designano la disparità (per esempio: «mancino», viene dal latino «mancum», «infermo», «difettoso», «mancante»), alle forme della rappresentazione del mancinismo ed alla simbolica delle mani conseguente (Eva, ne «La caduta dell’uomo» di Hugo Van der Goes, 1480, prende la mela dall’albero con la sinistra) e, soprattutto ai protagonisti storici che hanno reiterato con le loro teorie o subìto lo stigma sociale. È in ragione di ciò che Bertrand può classificare i suoi personaggi in tre gradi di disgrazia: i mancini disprezzati, i mancini tollerati e i mancini ammirati (ovviamente i grandi artisti, i «geniali», alla Leonardo da Vinci).
Tuttavia, chi credesse in una traiettoria tutta in discesa sbaglierebbe, perché la storia dei mancini e del quadro ideologico in cui i mancini sono inseriti non è affatto lineare.
Dall’esclusione antica si passa a un lungo periodo, come quello post-rinascimentale, in cui, in fin dei conti, il mancino, pur valorizzato in negativo, è accettato. Nella seconda metà dell’Ottocento, fino alla Prima Guerra Mondiale, sorge, invece, un clima decisamente persecutorio nei loro confronti. Lombroso, per esempio, espone teorie razziste in base alle quali i mancini sarebbero più numerosi fra i ceti sociali inferiori, fra i negri e fra i selvaggi – e, più specificamente, fra i rei di falso e destrezza, fra i truffatori e, soprattutto, fra i delinquenti nati.
La psicoanalisi – lungi dal risultare liberatoria – anche in questo caso rincarò la dose: il medico berlinese Wilhelm Fliess (1858-1928), amico di Freud e sostenitore di una curiosa teoria sui rapporti fra apparato genitale femminile e naso (autore di un saggio su La nevrosi nasale), dice che «laddove c’è mancinismo, il carattere sessuale opposto sembra prevalere (…) quando una donna è virile o un uomo assomiglia a una donna troviamo una prevalenza della parte sinistra». Con il che il mancino è anche omosessuale – come poi confermerà un altro psicoanalista, Wilhelm Stekel (1868-1940). Freud approvava – anche perché le teorie sul naso lo interessavano (vedi uso di cocaina, fra il 1880 e il 1890, e oltre). Sir James Crichton-Browne sosteneva che, nel recente glorioso passato della storia d’Inghilterra, c’erano stati momenti in cui né un magistrato, né un vescovo e neppure un deputato erano mancini. E che, ancora ai suoi tempi, nel 1907, non c’era neppure un mancino – e neppure un ambidestro – nelle Accademie reali inglesi e scozzesi.
Tuttavia, checché ne pensasse Crichton-Browne, è proprio dal mondo di lingua inglese che comincia a spirare un vento di liberalizzazione. Più forte verso la fine dell’Ottocento, ma già avvertibile in una curiosa operina di Beniamino (ehm) Franklin (1706-1790) che si intitolava Petizione della mano sinistra per coloro che sono incaricati di educare i bambini. L’Australia è il primo paese a togliere il divieto di usare la mano sinistra a scuola – con la conseguenza che, dal 1900 al 1960, la popolazione mancina cresce dal 2 al 13%. Più o meno accade lo stesso a partire dagli anni Venti negli Stati Uniti.
Da un lato, si prese coscienza delle conseguenze della repressione. Per esempio, la balbuzie, o altre forme di difficoltà nell’espressione e nelle relazioni comunicative. Dall’altro, come in Francia, il mutamento ideologico fu quasi l’esito obbligato di una constatazione: dalla prima guerra mondiale, i francesi escono con due milioni di morti e quattro milioni di feriti. Ecco che, da difetto razziale, l’uso della mano sinistra diventa una virtù civile – e, non a caso, si comincia a scrivere e pubblicare manuali per imparare a scrivere con la mano sinistra. Dal 1937, poi – al primo congresso internazionale di psichiatria infantile –, la psicologa Vera Kovarsky iniziò una crociata a favore dei mancini che, pur entro certi limiti e dovendosi scontrare con certe resistenze, ha portato all’attuale tolleranza.
Se ci dovesse chiedere il perché di questa lunga catastrofe (presumibilmente, niente affatto conclusa visto che il mondo è ancora costruito per i destri – in tutti i sensi), tuttavia, si andrebbe incontro ad alcune difficoltà.
In natura (si fa per dire) ci sono cose che vanno verso sinistra (in prevalenza, gli elettroni intorno al nucleo, per esempio, o le piante rampicanti) e cose che vanno verso destra (la doppia elica del dna, per esempio, o la spirale della conchiglia delle lumache). Ma ciò non può spiegare in alcun modo l’assegnazione dei valori umani da una parte o dall’altra. Bertrand riporta la tesi dell’anatomista francese Xavier Bichat (1771-1802) secondo il quale il valore assegnato alla destra era conseguenza diretta delle tecniche di combattimento. L’uomo eretto si rende conto che le ferite inferte sulla parte sinistra sono più gravi di quelle inferte sulla parte destra. Decide così di difendere la sinistra e offendere con la destra. La teoria sarebbe più ragionevole se spiegasse perché la gerarchizzazione delle mani avviene anche nelle donne, che, dal combattimento, risultano escluse. Tuttavia, se pensiamo ai rapporti di forze storici, ci dobbiamo render conto che i valori maschili, già in quanto tali, costituiscono sempre e comunque il modello «vincente» e, pertanto, anche alla tesi di Bichat sembra giusto concedere una valenza antropologica. Qualcosa di più, ai fini della formulazione di una teoria che riesca a spiegare le origini della discriminazione, potrà essere attinto dalla neurobiologia e dallo studio dell’evoluzione dell’asimmetria cerebrale, prestando particolare attenzione ai centri deputati all’elaborazione del linguaggio. Nel frattempo preti, psicologi vari e istituzioni scolastiche chiedano perdono delle loro colpe e non facciano ulteriori danni.

Felice Accame

P.s.: Per l’interpretazione psicoanalitica del mancinismo, cfr. P. Roazen, I miei incontri con la famiglia di Freud, Massari editore, Pomezia 1997, pp. 208-209.