Rivista Anarchica Online


astensione

Un curioso scrutare
di Andrea Papi

 

Uno sguardo alieno al teatrino elettorale.

Da diversi decenni, da quando cioè i politicanti professionisti delle politiche istituzionali hanno raggiunto la consapevolezza che i loro messaggi e le loro riflessioni giungono al vasto pubblico attraverso la forza della persuasione mediatica, il linguaggio della politica ufficiale è continuamente improntato da tensioni elettoralistiche. In altre parole è come se fossimo permanentemente immersi in una campagna elettorale che sembra non aver fine. Le regole fondamentali di tale linguaggio sono la costante criminalizzazione dell’avversario ed il bisogno, indotto dagli strumenti mass-mediatici, di semplificare al massimo i codici linguistici della trasmissione del pensiero, a scapito ovviamente della vera comprensione che, se è tale, non può non tener conto della complessità del reale, dei passaggi argomentativi e della vastità delle problematiche, difficilmente rinchiudibili in slogan e frasi ad effetto, come invece richiede la prassi consolidata della comunicazione mediatica.
L’asprezza dello scontro verboso è in costante aumento e sottrae l’attenzione delle masse in ascolto che, invece di essere indotte a soffermarsi e riflettere sul senso e la complessità dei problemi che ci attanagliano, sono al contrario portate ad immergersi in una fruizione da tifo per l’una o l’altra parte in lizza, trasportate su un piano ad effetto ricettivo d’istinto, con l’intento programmato di deviarle dal bisogno di capire e valutare, per il quale invece sarebbe indispensabile venissero offerti strumenti adatti a riflettere, opposti a quelli in auge, atti ad indurre ed intontire per essere meglio fagocitati e sottomessi ai bisogni dei poteri vigenti.

Messaggi semplici, anzi semplicisti

Quando poi c’è una concreta campagna elettorale in atto, tutto questo fare ed apparire della politica professionale si dilata a dismisura, proprio per il bisogno degli imbonitori politicanti che i messaggi siano il più possibile semplici, di fatto semplicisti ridotti all’osso, e chiari, di fatto fruibili senza riflessione, perché debbono creare distinzione identificativa. In una competizione che, come aveva ampiamente previsto Schumpeter, ha sempre di più le caratteristiche della concorrenza pubblicitaria finalizzata a lanciare prodotti sul mercato, lor signori, per sedurre gli elettori a votarli, debbono essere accattivanti, seducenti ed apparire credibili. In questa kermesse i prodotti che vengono lanciati sono gli stessi lor signori, a scapito ovviamente delle idee, quelle poche quando ci sono, che invece dovrebbero contraddistinguere la propaganda politica.
Ci avviciniamo alle elezioni europee del 2004 in corso e questa specifica teatralizzazione mediatica ad ampio raggio è sotto gli occhi di tutti noi con grande evidenza. Il potenziale elettore viene sommerso quotidianamente da informazioni e comunicazioni aggressive, attraverso un ampio e sapiente uso di parole, immagini e suoni, che, al di là delle precostituite differenze di parte, nella sostanza è portatore di un unico messaggio di fondo: la demonizzazione dell’avversario ed il tentativo di essere accreditati come i veri capaci risolutori delle istanze e dei problemi quotidiani delle persone che devono essere governate. Tutta l’area di centrosinistra, prodiana e non, accusa il governo berlusconiano in carica di essere la causa principale dello sfascio economico e sociale che sta vivendo il bel paese. Di rimando la coalizione di centrodestra sostiene al contrario che tutto sta marciando per il verso giusto, mentre quelle poche cose che ancora non funzionano sono dovute esclusivamente a problemi internazionali, di cui quindi non si sentono responsabili, e, soprattutto, all’eredità completamente manchevole lasciata dai precedenti governi dell’attuale opposizione, ma, se si continuerà a darle fiducia, nel giro di qualche anno risolveranno tutto nonostante il sabotaggio constante attuato dalla coalizione avversaria di sinistra.
A noi, che siamo staccati osservatori non fruitori e non coinvolti emotivamente, ma che, come ogni altro abitante di questo beneamato bel paese, siamo costretti a subire le decisioni dell’uno o dell’altro pur non partecipando e contro la nostra volontà, questo teatrino mediatico della politica istituzionale nostrana ci appare alquanto caricaturale, ben farcito di contenuti comici avulsi da ogni tipo di autoironia, drammaticamente sospeso su un provincialismo inveterato e sulla mancanza di consapevolezza della tragicità della commedia che stanno seriosamente recitando. Una cosa va chiarita. La nostra distanza non è in alcun modo equidistanza dall’uno e dall’altro. Se così fosse, in un certo senso saremmo nel mezzo, geometricamente appunto distanti in egual modo da entrambi, quasi ironicamente e fatalmente parte del famoso centro sociopolitico da tutti corteggiato. In realtà è come se ci trovassimo su un altro pianeta, allegoricamente degli alieni della politica, che scrutano curiosi i comportamenti, ai nostri occhi paradossali, dei politicanti professionisti, senza sosta impegnati a racimolare consensi per avere il potere di gestire, con poca soddisfazione e gran fatica, ciò che con un eufemismo da tempo consolidato tutti continuano a chiamare bene comune.

Scannarsi per gli stessi obiettivi

La prima cosa che notiamo è che entrambi i contendenti tendono a scannarsi con gran fendenti usando bellamente gli stessi parametri e gli stessi riferimenti, propugnando più o meno gli stessi obiettivi da raggiungere ed usando lo stesso identico linguaggio. Al livello della qualità di rappresentazione tra loro insomma non ci sono differenze, né di stile né di immagine. Quelle che ci sono appaiono insignificanti rispetto alla differenziazione, più o meno efficaci a seconda dei casi. Dalle ugole mediatiche dei leader in lizza, di centrodestra o centrosinistra non ha importanza, fuoriesce continuamente un grido univoco, scandito con ossessiva e avida insaziabilità: “Noi vogliamo potervi governare. Il nostro programma di governo è fondato sulla volontà di risolvere i problemi di tutti voi. Fidatevi! Abbiamo i numeri per poterlo fare e ne siamo del tutto capaci, a differenza dei nostri avversari.”. La volontà di pervenire al potere col consenso elettorale, per acquisire la possibilità di esercitare legittimamente il governo su tutto e su tutti, è il minimo e allo stesso tempo massimo comun denominatore di entrambi.
Dal nostro osservatorio di alieni è proprio questa inveterata volontà di governare a tutti i costi che non funziona. E non funziona per due ordini di motivi: primo perché riteniamo impositiva, autoritaria e coattiva ogni logica fondata sul comando dall’alto, mentre vorremmo che il decidere ciò che riguarda tutti fosse concordemente stabilito da tutti; secondo perché lo scopo fondamentale del loro governare è quello di governarci per far funzionare al meglio il sistema vigente, che non ci piace ed a cui, nolenti o volenti, non possiamo sottrarci.
Perché il presupposto principale e fondamentale accreditato per la soluzione dei problemi della società deve avere sempre e soltanto un carattere di decisione verticale, secondo cui spetta solo a degli addetti specializzati, che hanno l’onere e il compito di stabilire per tutti gli altri, il come e il quando vanno applicate norme e soluzioni che bisogna subire obbligatoriamente? Dal punto di vista del principio ha un’importanza molto relativa che a farlo sia un monarca o un parlamento. Si tratta sempre di qualcuno, investito di una carica istituzionale, che ha la facoltà di decidere per tutti e il potere di imporre le sue decisioni con la forza e la prepotenza delle armi e dei tribunali. Eleggerli vuol dire quindi contribuire a scegliersi consensualmente i propri padroni. È come dare un’investitura ad un monarca collettivo. Infatti non vanno lassù con un mandato revocabile, bensì con una vera e propria investitura di potere. Una volta lassù, fino a quando il governo non decade, o per incapacità o per fine del mandato costituzionale, chi ha votato non può più intervenire, ma può solo imprecare per gli errori commessi od aspettare il prossimo turno elettorale per… ripetere sostanzialmente lo stesso errore: delegare a dei professionisti della politica ciò che potrebbe tentare di condividere con altri, come lui o lei, attraverso forme di autogestione collettiva.
Andiamo a vedere che cosa poi vuol dire nei fatti. Lor signori debbono e vogliono governarci. Per farlo definiscono quell’insieme di leggi e leggine che, sia nei tempi sia nei modi, stabiliscono i nostri comportamenti nei luoghi di lavoro, per la strada, nei luoghi d’incontro, quando acquistiamo qualcosa, dovunque insomma abbiamo necessità di muoverci e di agire. Le loro decisioni sono leggi, cioè comportamenti obbliganti cui siamo costretti ad attenerci, che siano eque o no, che ci appaiano giuste o no, altrimenti incorriamo in sanzioni, stabilite sempre da loro, più o meno pesanti a seconda che la trasgressione sia giudicata più o meno grave. Alle loro decisioni non abbiamo partecipato, se non come fruitori informati quando abbiamo la costanza e la voglia di seguirne i complicati iter, né abbiamo potuto farlo, perché a noi spetta soltanto il compito di dar loro il mandato di decidere, non certamente di essere compartecipi della decisione.

Irrisolvibilità dei problemi

Ma ciò che più conta dal nostro punto di vista è che tutto questo meccanismo, complesso e complicato insieme, è funzionale a far funzionare al meglio il sistema vigente. Il fatto che non ci riescano, per quanti tentativi facciano e per quante ricette mettano in campo, riuscendo ogni volta più che altro a dilatare l’irrisolvibilità dei problemi che, invece di diminuire, sembrano aumentare a dismisura, la dice lunga sulla fondatezza del senso del dover permanere in questo sistema di cose, che siano in grado di governarlo o no. In fondo sono state sperimentate diverse ricette, e probabilmente altre di nuove col tempo ne verranno messe in campo, per riuscire a far si che nel mondo funzioni in modo accettabile il sistema che da troppo tempo ci sovrasta. A suo tempo si disse anche che oramai eravamo piombati nelle società del benessere, capaci di soddisfare i bisogni di massa, al punto che gli individui che ne facevano parte erano alla ricerca di nuove emozioni per trovare un senso alla propria esistenza, ormai demotivata dall’avere tutto. La fantasia suadente degli imbonitori intellettuali aveva anche cercato di affascinarci prefigurando futuri, che si sono poi dimostrati non futuribili, in grado di farci vivere, più o meno tutti, in una specie di eden dei desideri appagati, in una specie di mondo da sempre sognato dalla specie. Non ci volle molto perché tali fantasie crollassero ignominiosamente. Al contrario oggi vengono continuamente prefigurati paesaggi di un futuro prossimo venturo desolanti e squallidi, che sanno di morte e distruzione, in cui noi tutti ci troveremmo abbruttiti da costanti carenze e da livelli d’inquinamento insopportabili, fino ad esser deprivati dell’essenziale che sottende alla vita.
Proviamo a divertirci supponendo ciò che allo stato delle cose non può che risultare assurdo. Che cioè lor signori, sia quelli offertici dal teatrino mediatico sia quelli occulti che hanno un gran potere e che agiscono nell’ombra, riescano prima o poi governando a realizzare effettivamente tutto ciò che senza sosta ci promettono, rendendo perciò operativo al meglio il funzionamento di questo sistema che hanno interesse a conservare a tutti i costi. L’economia filerebbe a gonfie vele e gli investimenti produrrebbero innovazione e prodotti competitivi, le speculazioni finanziarie nelle borse sarebbero molto redditizie, il risparmio con i conseguenti investimenti sarebbero alla portata di moltissime tasche, l’inflazione si troverebbe sotto controllo e quasi nessuno sarebbe costretto a lottare quotidianamente per far quadrare i conti, la disoccupazione sarebbe quasi inesistente e, siccome il welfare state, lo stato sociale, sarebbe funzionante, quei pochi provvisoriamente a spasso sarebbero assistiti dalle istituzioni e riceverebbero un congruo salario d’assistenza, il terrorismo debellato, la criminalità in affanno, l’opposizione sociale ridotta al lumicino. Ecco il paradiso capitalista continuamente solo promesso e pubblicizzato, sistematicamente inesistente.
È davvero questo il mondo dove ci piacerebbe vivere? Siamo proprio sicuri che vi troveremmo la realizzazione dei nostri sogni e dei nostri desideri? Forse, anzi senz’altro, dei desideri indotti dal bombardamento mediatico e dalla pubblicità mercantile.

Assoggettati e integrati

Il fatto è che per realizzarsi e perdurare dando l’idea di diventare una costante, perché altrimenti sarebbe solo un accadimento provvisorio e non una caratteristica di questo tipo di sistema, un tale mondo avrebbe bisogno che tutti noi, indistintamente, fossimo del tutto assoggettati, completamente integrati in esso, e non ci sognassimo neppure di non essere convinti compartecipi. Per funzionare, infatti, avrebbe bisogno che tutte le cose stessero al loro posto, senza inghippi od alzate di testa. Coloro che hanno funzioni direttive avrebbero bisogno di poter governare e sperimentare i loro piani senza trovare opposizione di alcun tipo, mentre coloro, la gran massa, che parteciperebbero all’esecuzione dovrebbero farlo, possibilmente con entusiasmo, mettendoci tutto il loro impegno e le loro competenze, che ovviamente sarebbero premiate. Un siffatto sistema complesso non può comprendere la non partecipazione fattiva, mentre ha necessità di escludere la partecipazione decisionale, in quanto è fondato su una logica completamente manageriale, quindi gerarchica, in cui le diverse competenze ed i relativi compiti sono funzioni, componenti integrate della complessità del funzionamento, collegate fra loro ed interdipendenti.
La qualità della partecipazione fattiva, per la filosofia che lo sottende, va incentivata con premi la cui entità è direttamente proporzionale al tipo di incarico e funzione svolti. Siccome è fondato sull’utile, il denaro ed il privilegio economico, in cima alla gerarchia i manager ed i loro protetti si beccherebbero incentivi economici astronomici, mentre sarebbero piccolissimi per gli esecutori delle funzioni e delle mansioni che non contano nel livello decisionale, utili tutt’al più a far condurre una vita decorosa con qualche eccezionale piccola soddisfazione. Il divario cioè tra chi ha e può avere e chi può permettersi poco più oltre il minimo indispensabile sarebbe costantemente elevatissimo, fonte di permanente ingiustizia e strutturale sfruttamento. Ci troveremmo cioè tutti mediamente poveri, senza allo stesso tempo essere ridotti alla miseria, quel tanto che basta per poter assicurare livelli di consumo indispensabili alla perpetuazione del sistema stesso. Un mondo quindi fondato sulla disuguaglianza e sul privilegio, dove chi ha di più ha veramente tantissimo e può aspirare ad avere sempre ed ancora di più, mentre chi ha poco al massimo può aspirare ogni tanto in un incentivo, sempre sudatissimo, per prendersi qualche soddisfazione non prevista.
A latere di questa normalizzazione della struttura economica, funzionale all’efficienza del suo mantenimento, sarebbe applicato un elevato controllo sociale. Non si tratterebbe di sostanza, ma di forma, in cui però la sostanza si manifesta e con cui agisce. L’occidente, inteso come propensione culturale vincente e capace di estendersi a livello globale, che dirige questo gioco, è principe nell’invenzione e nella produzione di tecnologie informatiche, telematiche e robotiche. Uno degli usi che ne farebbe, che in parte poi sta già ampiamente facendo, sarebbe quello di mettere in piedi una rete altamente complessa di strumentazioni sofisticate, atte a e in grado di esercitare un costante controllo poliziesco e politico sui singoli esseri umani e sull’insieme della società. Discreto e tendente ad essere invisibile, per non rischiare di suscitare moti di ripulsa difficilmente arginabili, veglierebbe silenzioso sulle nostre vite ignare e, classificando secondo criteri di valutazione funzionali all’esercizio del controllo, catalogherebbe ogni nostro pensiero comunicato ed ogni nostra manifestazione. Le informazioni sarebbero vagliate da apposite commissioni che avrebbero il potere di giudicare la liceità del nostro esserci e del nostro comportarci. Nel caso non fossimo giudicati consoni scatterebbero forme di repressione adeguata.

Pianeta insufficiente

Ma ciò che sarebbe più grave, e per molti versi già lo è ampiamente, è che per il pianeta che ci ospita sarebbe insostenibile l’impatto ambientale necessario a mantenere gli standard richiesti dalla conduzione e dalla sopravvivenza del sistema. Se fosse veramente in grado di soddisfare i bisogni indotti dalla necessità del profitto lucrativo che ne è alla base, la terra non reggerebbe e in pochissimo tempo, molto meno di quello che spereremmo, darebbe forfait. Già oggi, infatti, il capitale terrestre di risorse disponibili comincia ad essere insufficiente, in una situazione in cui solo pochissimi sono in grado di consumare per soddisfare appieno le loro esigenze. Circa il 20% della popolazione consuma l’80% delle risorse disponibili, per cui quell’80% maggioritario è in una situazione di sottosviluppo. A questo ritmo, se l’intera popolazione avesse la possibilità di raggiungere economicamente gli standard di consumo di chi già vive il benessere, un pianeta non sarebbe più sufficiente. Ce ne vorrebbero almeno altri due subito ed altri con l’andar del tempo. In breve ci sarebbe il collasso e tutto sarebbe ingovernabile. Allora veramente addio a tutto.
Il fatto è questo sistema, che lor signori dicono di voler e saper governare portandoci tutti ad un alto grado di benessere materiale, intendendo per benessere un elevato livello di consumo individuale diffuso in grado di arricchire senza limiti i privilegiati che hanno in mano le sorti di tutto e di tutti, non può essere diverso da quello che è. E quello che è si sorregge sul privilegio, sulla corruzione, sul potere d’imposizione, sull’uso forsennato delle risorse fossili, sulla produzione di veleni inquinanti che depauperano e distruggono il patrimonio biologico indispensabile alla vita, sullo sfruttamento delle masse umane a loro sottoposte, sulla speculazione finanziaria, sul controllo militare dei territori e tecnologico dei cittadini. Volendo governarlo al meglio, seppur animati dalle migliori intenzioni, non solo lo si conserva, ma lo si porta ai livelli di devastazione dovuti alla insostenibilità fisiologica della capacità terrestre.
Allora il nostro sguardo alieno, distante dalla ritualità politica che osserva, ci porta ad essere sempre più esterrefatti per la mancanza di consapevolezza collettiva. Ci chiediamo com’è possibile che si continui a dar potere a lor signori per autorizzarli a conservare, addirittura facendolo funzionare bene, ciò che al contrario andrebbe prima bloccato e poi radicalmente cambiato nella sostanza. Senza quella consapevolezza si può fare poco, troppo poco. Di fronte al rito delle elezioni non possiamo che limitarci a non partecipare. Purtroppo, nonostante lo sguardo, non siamo in realtà alieni. Non abbiamo un pianeta cui tornare per vivere nei fatti ciò che qui, guardando lo sfascio in atto, possiamo solo desiderare e ipotizzare. Così, indomiti al di là del destino, continuiamo ad opporci come possiamo e ci asteniamo dal partecipare al sabba del voto politico per lor signori.

Andrea Papi