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Il maestro e il “demone”

Quando si affronta il rapporto fra anarchici e letteratura, è inevitabile imbattersi prima o poi negli scrittori russi dell'Ottocento, poiché essi, come è noto, misero spesso al centro delle loro opere le emergenze sociali che scossero il grande paese negli ultimi decenni di quel secolo. Naturalmente fra questi c'è anche Fëdor Michajlovic Dostoevskij perché sua è l'opera letteraria che possiamo considerare l'antesignana di questo intreccio, il celeberrimo I dèmoni nel quale il grande romanziere descrive a fondo quel mondo rivoluzionario e sovvertitore della società, in particolare quella autocratica zarista, cui dettero vita i nichilisti e gli anarchici della primissima generazione. Come si sa ne I dèmoni Dostoevskij mise a nudo i problemi morali e le grandi contraddizioni sociali fatte esplodere dalla carica rivoluzionaria dei nichilisti, uomini e donne disposti a tutto, financo all'abiezione e alla negazione di sé, pur di minare, e poi distruggere definitivamente la soffocante e crudele società zarista e le sue implicazioni teistiche. E in quel suo capolavoro lo scrittore russo riuscì a rendere nella sua grande drammaticità lo sconvolgimento che l'esplosione anarchica e quella nichilista portarono in un convivere altrimenti quieto e immutabile.
In questa occasione però non sarà del “libro della grande ira”, né di Stavrogin o Satov che parleremo, quanto di un recente romanzo, (J.M. Coetzee, Il Maestro di Pietroburgo, Torino, Einaudi, 2005, prima edizione Donzelli 1994), nel quale il premio Nobel per la Letteratura, il sudafricano John Maxwell Coetzee, descrive, in un intreccio fra finzione e realtà, un episodio della vita del grande scrittore moscovita allorché questi si reca a Pietroburgo alla notizia della morte di Pavel, il figliastro poco più che ventenne rimasto a vivere e a studiare in quella città. Poiché qui a Dostoevskij, con una felice invenzione letteraria, si fa incontrare Sergej Necaev, presentato con il suo vero nome e la sua reale identità, e non più mascherato dietro la figura di Stavrogin. ecco spiegato il motivo per cui Il Maestro di Pietroburgo entra a far parte della galleria dei Ritratti in Piedi.
Anche se la trama, nella sua linearità, è quanto mai semplice, Coetzee, la riempie magistralmente di contenuti, affrontando uno dei grandi temi della poetica del russo: il difficile, contrastato e spesso irrisolvibile rapporto fra padri e figli. In esilio a Dresda con la giovane moglie per sfuggire ai creditori, Dostoevskij rientra a Pietroburgo quando gli viene comunicata la tragica morte del figliastro Pavel, a quanto pare suicidatosi in circostanze ben poco chiare. Per ritrovare quell'unità di affetti ormai venuta a mancare per le immancabili incomprensioni generazionali, e per comprendere meglio le ragioni del gesto di Pavel, lo scrittore prende pigione nella stessa casa, e nella stessa camera dove aveva vissuto il figliastro e conosce quindi Anna Sergevna, la bella padrona di casa e la sua giovanissima e conturbante figliola Matrëna. Questa situazione, con l'infatuazione del maturo scrittore per l'ancora giovane Anna, e con il turbamento che lo stesso prova quando si intrattiene con la piccola Matrëna, ovviamente acquista una sua centralità. E infatti “l'altra metà” del romanzo mostrerà i turbamenti e gli scrupoli morali che affliggeranno lo scrittore per le sue debolezze. Ma quello che a noi, in questa rubrica, più interessa è lo scoprire che Fëdor Michajlovic, indagando fra i conoscenti e gli amici di Pavel, si imbatte nella figura a noi ben nota di Sergej Necaev, il rivoluzionario russo amico, “maestro” e discepolo di Michail Bakunin, e presunto autore del famosissimo Catechismo del rivoluzionario.
A quanto apprende, infatti, suo figlio Pavel Isaev aveva preso a frequentare l'organizzazione clandestina Vendetta del Popolo, il cenacolo politico fondato da Necaev, sposandone le ardite ed estreme teorie rivoluzionarie. E la misteriosa morte del figliastro, un apparente e inspiegabile suicidio, prende la forma di una probabile eliminazione dello sventurato in seguito alla sentenza di un “tribunale” politico presieduto dallo stesso Necaev, che avrebbe così inteso punire le eventuali mancanze di Pavel. O addirittura un suo tradimento, anche se, a onor del vero, lo stesso Necaev intenderà addossare ogni responsabilità sulle spalle della polizia segreta dello zar. Per tentare di capire, di comprendere meglio i termini di questa tragedia che l'ha risospinto in Russia, il protagonista cerca così di prendere contatto con il giovane nichilista e dopo una serie di rocambolesche situazioni determinate dallo stato di clandestinità con il quale devono fare i conti – non mancheranno i classici travestimenti al femminile – finalmente Dostoevskij incontra Necaev, per avere con lui il colloquio chiarificatore. Ma questo primo colloquio, che è senza dubbio nodo cruciale del romanzo, segna, come già nelle pagine del grande romanziere, l'incomunicabilità assoluta, la totale incomprensione fra le due profondità dell'anima russa, da una parte il “sensato” attaccamento ai valori tradizionali e secolari eretti a morale assoluta, dall'altra la “insensata” urgenza del sovvertimento sociale, il fervore e il fuoco della causa per il popolo. E in un succedersi di altri incontri e reciproci “riconoscimenti”, l'uno nella doppia anima dell'altro, il romanzo si conclude nella foresta di dubbi, di incertezze, di debolezze che opprimono Dostoevskij. Che cercherà nella scrittura, la sola cosa che sa veramente fare, una risposta. E l'ultimo capitolo de Il Maestro di Pietroburgo, non a caso intitolato “Stavrogin”, si chiude con alcune delle pagine de I dèmoni.
Come si vede, la figura dell'anarchico cospiratore e pronto a tutto, anche al delitto più abietto in nome della causa rivoluzionaria, è fondamentale nell'economia del romanzo di Coetzee, e coerentemente l'autore non concede nulla alla superficialità, ma tratteggia il giovane nichilista con notevole profondità psicologica e altrettanta attinenza storica. Del resto da uno scrittore di vaglia come Coetzee era lecito aspettarselo e credo che i brani qui riprodotti ne rendano ragione.
Su Necaev e sui suoi controversi rapporti con Bakunin si è scritto parecchio, anche perché molti hanno cercato di spiegare non poche delle teorie e delle azioni del “grande russo” in relazione all'ascendente che avrebbe esercitato su di lui il più giovane e determinato allievo. Mi pare però che il ponderoso studio di Michael Confino, Il catechismo del rivoluzionario. Bakunin e l'affare Necaev, uscito per Adelphi parecchi anni orsono (ma, credo, ancora in catalogo) abbia reso abbastanza giustizia di questa “leggenda nera”, riportando la questione nei suoi termini reali. Vale a dire che l'autore del famoso Catechismo del rivoluzionario fu quasi certamente Necaev, ma certamente non Bakunin, e che l'influenza che il primo ebbe sul secondo, che per un breve periodo si manifestò con drammatica forza, non fu che la temporanea infatuazione dovuta all'equivoco fascino che quella figura “priva di senso morale” spargeva a piene mani in un ambiente che cercava di creare nuovi, e rivoluzionari, rapporti sociali. E anche quella entusiastica e inflessibile determinazione che Necaev teorizzava e metteva in pratica, quella terribile disponibilità alla “violenza fatta ai fratelli” che ne costituiva il tratto più rappresentativo, non poteva non trovare rispondenza, finché non se ne disvelava la disumanità, in ambienti che la violenza del potere, e di un potere terribile come quello zarista, subivano quotidianamente.
Come si vede una contraddizione in termini: la costruzione di una società che veda bandita la violenza, ma che senza di questa pare non possa sorgere. Una contraddizione che a lungo è stata, e in buona parte è ancora oggi, al centro del dibattito sui mezzi con i quali realizzare i fini proposti. Fortunatamente Bakunin seppe ben presto scorgere le possibili conseguenze che avrebbe potuto avere per l'intero movimento rivoluzionario la deriva alla quale lo stavano portando Necaev e il suo Catechismo. E corse ai ripari.
Anche a noi, del resto, non piacciono i catechismi. Da chiunque siano scritti.

Massimo Ortalli


La lista delle esecuzioni

di John Maxwell Coetzee

– Non conosco personalmente Necaev, e dubito che mio figlio lo conoscesse. Necaev è un cospiratore e un ribelle di cui rifiuto con forza il piano insurrezionale.
– Non lo conosce personalmente, mi dice, ma ha avuto contatti con lui.
– No, non ho avuto contatti con lui. Ho partecipato a una conferenza pubblica in Svizzera, a Ginevra, conferenza durante la quale hanno parlato molte persone. Uno di costoro era Necaev. Dunque siamo stati nella stessa sala. A tanto ammontano i miei contatti con lui.
– E a quando risale tutto ciò?
– Era l'autunno del 1867. L'incontro era stato organizzato dalla Lega per la Pace e la Libertà, così si autodefiniscono… Io vi ho partecipato apertamente, come patriota russo, per sentire quello che si dice della Russia da ogni parte. Il fatto che abbia ascoltato il discorso di quel giovane, Necaev, non significa che stia dalla sua parte. Al contrario, lo ripeto, rifiuto tutto ciò che rappresenta, e l'ho dichiarato più volte, in pubblico come in privato.
– Anche il benessere del popolo? Non è per il benessere del popolo che Necaev combatte? Non è a quello che punta?
– Non afferro il senso di queste domande. Necaev è, prima di tutto e soprattutto, per il rovesciamento violento delle istituzioni sociali, in nome di un principio ugualitario: felicità uguale per tutti, oppure, se non è possibile, miseria uguale per tutti. Non è un principio che si dia la pena di giustificare, anzi si direbbe che disprezzi le giustificazioni in generale come perdite di tempo, come inutili intellettualismi. La prego, non mi accomuni a Necaev.
– Bene, bene. Accetto la ricusazione, anche se devo dire che sono sorpreso, non l'avrei mai immaginata come un campione dei principî. Comunque sia, torniamo a noi. Alla lista di nomi che ha di fronte: ne riconosce qualcuno?
– Ne riconosco alcuni. Una manciata di nomi.
– È la lista delle persone che debbono essere eliminate nel nome della Vendetta del Popolo, che, come saprà, è l'organizzazione clandestina fondata da Necaev. Questi omicidi sono stati progettati nell'intento di scatenare una rivolta generale che conduca al rovesciamento dello Stato. Se sfoglia l'elenco fino alla fine, vedrà che c'è un'appendice in cui vengono citate intere classi di persone che verranno giustiziate sommariamente durante l'insurrezione. Fra di loro ci sono tutti gli alti funzionari del sistema giudiziario e gli ufficiali di polizia, nonché quelli della Terza Sezione, dal grado di capitano in su. La lista è stata trovata fra le carte di suo figlio.


Oscenità inimmaginabili

di John Maxwell Coetzee

– Cosa avete fatto con mio figlio? – domanda a fatica.
La donna si appoggia sul tavolino e lo fissa col suo sguardo blu. Sotto lo strato di cipria, fra le cicatrici del mento, nota i peli che il rasoio non ha rasato. E le sopracciglia sono troppo folte sopra il naso. Una donna avrebbe avuto il buon senso di suggerirgli di strapparli. Allora anche la finlandese è un ragazzo, un ragazzino piccolo e grasso? All'improvviso prova disgusto per tutte e due.
Lei (o lui) sta parlando. È Necaev, proprio lui, non c'è dubbio. La maschera improvvisamente è caduta. Gli torna di nuovo alla mente con estrema chiarezza: nella sala del Congresso della Pace, durante un intervallo fra i discorsi, Necaev tutto solo in un angolo, che divora panini, furente, con uno sguardo di sfida nei confronti di tutti gli adulti che affollano la sala: Sì, ridete se ne avete il coraggio, ridete dello studente! Sulla faccia, l'espressione di un ragazzino sorpreso sulla tazza, con i calzoni calati, vulnerabile ma pieno di sfida. Ridete, ma un giorno riderò io!
Ricorda il commento fatto dalla principessa Obolenskaja, l'amante di Mroczkowski: – Sarà pure l'enfant terrible dell'anarchismo, ma dovrebbe fare qualcosa per quei brufoli!
– Visto quello che la polizia ha fatto a suo figlio – dice Necaev – sono sorpreso che non sia infiammato dal furore, come dicono i Vangeli, occhio per occhio, dente per dente.
– Mascalzone! Quello non è nei Vangeli! Che cosa dice di Pavel? E perché si è messo questa ridicola maschera?
– Certamente non crederà alla storia del suicidio. Isaev non si è ucciso, quella è solo una favola messa in giro dalla polizia. Non possono usare la legge contro di noi e così perpetrano questi osceni omicidi. Ma naturalmente lei deve avere i suoi dubbi, altrimenti perché sarebbe qui?
Tutta la finta dolcezza dell'uomo è scomparsa: ora parla con la sua voce. Mentre fa avanti e dietro per la stanza, il vestito fruscia. Cosa c'è sotto: i calzoni o le gambe nude? Che effetto farà camminare con le gambe nude ma nascoste, che si strofinano una sull'altra?
– Crede forse che non siamo tutti in pericolo? Crede forse che io desideri scivolare mascherato per le strade della mia città, della città dove sono nato? Ha idea di che cosa voglia dire essere una donna che cammina sola per le strade di Pietroburgo? – Parla a voce alta, sopraffatto dalla rabbia. – Ha idea di quello che tocca sentire? Gli uomini ti seguono passo passo dicendo oscenità inimmaginabili e tu sei impotente contro di loro! – Si riprende: – O forse lo sa bene, forse quello che sto dicendo le è più che noto.


Né anarchico né nichilista

di John Maxwell Coetzee

Ancora una volta pensa di dover smettere, ma quelle parole aride e letali continuano a fluire. Sa di averla allontanata da sé.
– Lo stesso demone doveva essere in Pavel, altrimenti perché mai Pavel avrebbe risposto al suo appello? È bello pensare che Pavel non fosse vendicativo, è bello pensare bene dei morti. Ma è solo una forma di adulazione. Smettiamo di essere sentimentali: nella vita quotidiana era vendicativo come tutti gli altri giovani. Lei si alza in piedi. Lui crede di sapere quello che dirà e, sia pure solo per la forma, è pronto a difendersi. Dici di essere il padre di Pavel, ma io non credo che lo ami. È questo che si aspetta. Ma sbaglia.
– Non so niente di quell'anarchico, Necaev. Posso solo prendere per buono quello che mi dici. Ma più parli e più è difficile capire chi, se tu o Necaev, desideri di più tirare Pavel dalla parte del partito della vendetta. Io non sono nessuno per Pavel, certo non sono sua madre, ma sento il dovere, nei suoi confronti e nei confronti della sua memoria, di protestare. Tu e Necaev dovreste combattere le vostre battaglie senza tirare dentro lui.
– Necaev non è un anarchico. È questo lo sbaglio che la gente continua a fare. Necaev è qualcos'altro.
– Anarchico, nichilista, qualunque cosa sia non ne voglio più sentire parlare! Non voglio che l'odio e la discordia siano introdotti nella mia casa! Matrëna è già abbastanza eccitata di suo; non voglio che sia contagiata ancora.
– Non è un anarchico e non è un nichilista – continua ostinatamente. – Etichettandolo continuerai a non afferrare la sua unicità. Lui non agisce in nome di idee. Lui agisce quando sente l'azione prudergli in corpo. È un sensualista, è un estremista dei sensi. Vuole vivere in un corpo ai limiti delle sensazioni, ai limiti della conoscenza corporea. È per questo che può affermare che tutto è permesso, altrimenti perché mai dovrebbe affermare una cosa del genere, se non gli fosse così indifferente giustificare se stesso?
Fa una pausa. Ancora una volta crede di sapere quello che la donna vuole dire. O piuttosto sa quello che vuole dire, mentre lei non lo sa. E tu? Sei così diverso tu?
– Perché credi che lui abbia scelto l'ascia? Se pensi all'ascia e a quello che significa… – dice alzando le mani in segno di disperazione. Non riesce a spiegarsi fino in fondo. L'ascia, strumento della vendetta popolare, arma del popolo, dura, rozza, pesante e senza appello, vibrata con tutto il peso del corpo dietro, il corpo e il peso di una vita di odio e di risentimento accumulato in quel corpo, vibrata con una gioia cupa.


Accendere una fiamma

di John Maxwell Coetzee

– Mi lasci spiegare perché l'ho portata qui, Fedor Michailovic – prende a dire Necaev. – Nella stanza qui a fianco abbiamo una stamperia, una pressa a mano. Naturalmente clandestina. L'idiota che ha le chiavi avrebbe dovuto essere già qui ma purtroppo non c'è. Io le offro l'uso di questa stamperia per il periodo in cui si fermerà a Pietroburgo. Qualunque cosa lei voglia dire, siamo in grado di distribuirla nel giro di poche ore in migliaia di copie. In un momento come questo, alla vigilia di grandi avvenimenti, un suo contributo potrebbe avere grandi effetti. I1 suo è un nome stimato, soprattutto fra gli studenti. Se lei è d'accordo a scrivere la storia della morte del suo figliastro firmandola col suo nome, gli studenti non potranno fare a meno di scendere in strada -. Smette di fare avanti e dietro e lo fissa negli occhi: – Mi dispiace che Pavel Isaev sia morto. Era un bravo compagno, ma non possiamo guardare solo indietro. Dobbiamo usare la sua morte per accendere una fiamma. Lui mi darebbe ragione, la spingerebbe a mettere la sua rabbia al servizio di una causa giusta.
Mentre pronuncia quelle parole, sembra rendersi conto di aver esagerato. Prova a fare una debole correzione: – La sua rabbia e il suo dolore. Così lui non sarà morto inutilmente.
Accendere una fiamma. Questo è troppo! Si volta per andarsene, ma Necaev lo afferra per un braccio. – Non può andarsene ancora! – sibila a denti stretti. – Come può abbandonare la Russia e ritornare alla sua spregevole vita borghese? Come può ignorare uno spettacolo come questo? – con un gesto della mano accenna alla desolazione della cantina. – Uno spettacolo che si ripete per migliaia di casi, milioni di casi in questo paese. Che cosa le è successo? Non c'è più ribellione in lei? Non vede quello che ha davanti agli occhi?
Si guarda intorno nella cantina umida. Cosa vede? Tre bambini affamati e infreddoliti che aspettano l'angelo della morte. – Vedo quanto lei, forse meglio di lei.
– No! Perché per vedere non bastano gli occhi, ci vuole la giusta interpretazione. Quello che vede è solo la miseria di questa tana, in cui non sarebbe giusto condannare a vivere neppure un topo o uno scarafaggio. Lei vede il dramma di tre bambini che muoiono di fame; se aspetta vedrà anche la loro madre che per portare a casa una crosta di pane si deve vendere per strada. Lei vede come vivono i poveri più poveri di Pietroburgo, ma questo non significa vedere davvero. Questi sono solo dettagli! Lei non riesce a comprendere le forze che determinano il tipo di vita di questi poveretti. È alle forze che è cieco!
Col dito traccia una linea da terra (si china a toccare il pavimento e tira su il dito bagnato) fino a fuori della finestra e al cielo.
– Le forze finiscono qui, ma dove crede che comincino? Cominciano nei ministeri, nei gabinetti degli scacchieri, nei mercati monetari e nelle banche commerciali. Cominciano nelle cancellerie d'Europa. Le linee di forza cominciano lì, s'irradiano in tutte le direzioni e vanno a finire in cantine come questa, in queste povere vite sotto terra. Se scrivesse questo, davvero sveglierebbe il mondo. Ma naturalmente – scoppia in una risata acida – se scrivesse questo non sarebbe autorizzato a pubblicare. Le lasceranno scrivere tutte le storie che vuole sulla sofferenza muta dei poveri, e l'applaudiranno pure, ma la verità, quella vera, non gliela lasceranno mai pubblicare! È per questo che le offro la stamperia. Incominci; racconti la storia del suo figliastro e di come è stato sacrificato.

Brani tratti da: John Maxwell Coetzee, Il maestro di Pietroburgo, Einaudi, Torino, 2005.


Incapacità a comunicare

di Michael Confino

Necaev amava la ‘rivoluzione' e nient'altro che la ‘rivoluzione', ovvero ciò che egli intendeva con questa parola, compreso il fatto – particolare ben còlto anche da Bakunin – che era arrivato non solo a identificarsi con la ‘rivoluzione', ma anche a identificare la ‘rivoluzione' con la propria persona. Necaev aveva tutti i difetti di Bakunin, senza le sue qualità, cioè l'intelligenza, l'istruzione, l'educazione, l'ampiezza di vedute, la sensibilità e la generosità. Grazie a questa sua natura aveva adottato posizioni oltranziste e bandito «l'amore e l'amicizia» (come pure l'onestà, la verità e la dignità umana) dagli elementi determinanti dell'«azione rivoluzionaria».
Sin dall'inizio, i rapporti tra i due uomini si fondarono su questa differenza, su questo squilibrio e su questa incompatibilità; erano dunque falsati in partenza. In un certo senso, essi durarono solo il tempo necessario a Bakunin (che a volte si dimostrava di un'ingenuità sorprendente) per accorgersi che i legami di cameratismo e di amicizia che credeva di stringere con Necaev erano inesistenti per ciò che riguardava il loro protagonista. Per Necaev, essi erano inesistenti per principio e per definizione, per coscienza rivoluzionaria ma anche per la natura del suo carattere; questo particolare fa pensare che parecchie sue posizioni ‘teoriche' (e più specialmente gli articoli del Catechismo del rivoluzionario) altro non fossero che razionalizzazioni dei suoi stessi limiti, della sua incapacità a comunicare con gli altri, e di un odio accumulato durante l'infanzia e l'adolescenza e che ora impregnava tutta la sua attività «rivoluzionaria».
Certo, questo non spiega tutto. Certo, anche Bakunin voleva servirsi di Necaev per le necessità della sezione russa dell'Alleanza internazionale. Certo, ci furono – come vedremo – divergenze ideologiche e politiche tra i due uomini. Certo, Bakunin fu affascinato dall'intransigenza, dalla coerenza, dalle deduzioni estremistiche e dai silenzi mistificatori di Necaev: la mancanza di scrupoli gli sembrò una manifestazione di forza, i ragionamenti semplicistici e primitivi gli parvero virtù primarie, quasi una rivelazione folklorica. Ma Bakunin non fu né il primo né l'ultimo rivoluzionario a ritenere la mancanza di istruzione una garanzia di fedeltà, e la mancanza di educazione e di buone maniere una garanzia di dedizione. Egli, senz'alcun dubbio, rimase affascinato da questi aspetti che, ai suoi occhi, rappresentavano la forza di Necaev, e lo attesta nelle lettere qui pubblicate.


Catechismo
Atteggiamento del rivoluzionario verso se stesso

di Michael Confino

1. Il rivoluzionario è un uomo perduto in partenza. Non ha interessi propri, affari privati, sentimenti, legami personali, proprietà, non ha neppure un nome. Un unico interesse lo assorbe e ne esclude ogni altro, un unico pensiero, un'unica passione – la rivoluzione.
2. Nel suo intimo, non solo a parole, ma nei fatti, egli ha spezzato ogni legame con l'ordinamento sociale e con l'intero mondo civile, con tutte le leggi, gli usi, le convenzioni sociali e le regole morali di esso. Il rivoluzionario è suo nemico implacabile e continua a viverci solo per distruggerlo con maggior sicurezza.
3. Il rivoluzionario disprezza ogni dottrinarismo e ha rinunciato alle scienze profane, che egli lascia alle generazioni future. Conosce un'unica scienza, la scienza della distruzione. Per questo, e soltanto per questo, egli studia attualmente la meccanica, la fisica, la chimica e perfino la medicina. Per questo egli studia giorno e notte la scienza viva – gli uomini, i caratteri, le situazioni e tutte le condizioni del regime sociale presente, in tutti gli strati possibili [sic]. Lo scopo è uno soltanto la distruzione rapida di questo immondo regime.
4. Egli disprezza l'opinione pubblica. Disprezza e detesta la morale vigente nella società in ogni suo motivo e manifestazione. Per lui è morale tutto ciò che contribuisce al trionfo della rivoluzione; immorale e criminale tutto ciò che l'ostacola.
5. I1 rivoluzionario è un uomo perduto, spietato verso lo Stato e verso la società istruita in genere; da essa non deve dunque aspettarsi nessuna pietà. Fra lui da una parte, lo Stato e la società dall'altra, esiste uno stato di guerra, visibile o invisibile, ma permanente e implacabile – una guerra all'ultimo sangue. Egli deve imparare a sopportare la tortura.
6. Duro verso se stesso, deve essere duro anche verso gli altri. Tutti i sentimenti teneri che rendono effeminati, come i legami di parentela, l'amicizia, la gratitudine, lo stesso onore, devono essere soffocati in lui dall'unica, fredda passione per la causa rivoluzionaria. Per lui non esiste che un'unica gioia, un'unica consolazione, ricompensa e soddisfazione: il successo della rivoluzione. Giorno e notte, deve avere un unico pensiero, un unico scopo: la distruzione spietata. Aspirando freddamente e instancabilmente a questo scopo, deve essere pronto a morire, e a distruggere con le proprie mani tutto ciò che ne ostacola la realizzazione.
7. La natura del vero rivoluzionario esclude ogni romanticismo, ogni sensibilità, entusiasmo e infatuazione. Esclude anche l'odio e la vendetta personali. La passione rivoluzionaria, diventata in lui una seconda natura, deve in ogni momento essere unita a un freddo calcolo. Dovunque e sempre, egli deve essere non ciò cui lo incitano le sue tendenze personali, ma ciò che l'interesse generale della rivoluzione gli prescrive [di essere].

Brani tratti da: Michael Confino, Il catechismo del rivoluzionario. Bakunin e l'affare Necaev, Adelphi, Milano, 1976.