Rivista Anarchica Online


competizione

La competitività nella ricerca scientifica
di Francesco Robustelli

 

Il modello di vita competitivo avvelena le nostre relazioni interpersonali e impedisce la cooperazione, l’empatia, la comprensione e la solidarietà.

 

È ben nota la sfrenata competitività che regna nel campo della ricerca scientifica. Spesso vari ricercatori nel mondo affrontano lo stesso problema. Quando il problema è importante questi ricercatori possono essere molto numerosi. In generale i ricercatori sono interessati al loro lavoro ma nella maggioranza dei casi ciascuno spera di arrivare primo al traguardo e a questo scopo si guarda bene dal comunicare ai concorrenti le conoscenze che via via acquisisce. Si lavora in segreto. Poi un bel giorno un ricercatore arriva al traguardo e pubblica i risultati della sua ricerca. A questo punto agli altri ricercatori non rimane che interrompere il lavoro. I loro sforzi sono stati inutili. Spesso la competizione non è fra singoli ricercatori ma fra gruppi di ricercatori. Comunque la logica del processo non cambia.
Quanto tempo, quante energie, quanti fondi vengono sprecati in questo modo! Sarebbe indubbiamente più razionale che tutti i ricercatori che lavorano sullo stesso problema cooperassero fra di loro. Se ci fosse la cooperazione invece della competizione ogni nuova conoscenza acquisita da un ricercatore sarebbe immediatamente comunicata a tutti gli altri ricercatori che lavorano nello stesso campo. La ricerca sarebbe infinitamente più facile e più rapida.
Il modello di vita competitivo, che in un modo o nell’altro impronta di sé tutti i nostri rapporti interpersonali, domina anche il campo della ricerca scientifica. E mettendo da parte la retorica sul progresso umano dobbiamo con chiarezza ed onestà porci il quesito: qual è lo scopo della ricerca scientifica? La conoscenza della realtà o la carriera dei ricercatori? La ricerca scientifica è uno sforzo per capire la nostra vita e per diminuire la nostra sofferenza o una corsa ad ostacoli con medaglia d’oro per il primo arrivato?

Cooperazione, non competizione

L’ideologia dominante nella nostra società ci spinge dunque ad uno stile di vita fondamentalmente competitivo (Robustelli e Pagani, 1996). Certo ci sono anche le spinte alla cooperazione ma sono assolutamente più deboli delle spinte alla competizione. Nella maggior parte dei casi noi vediamo nel nostro prossimo un rivale, un concorrente, un nemico, uno che cerca di sopraffarci e che quindi, per legittima difesa, a nostra volta cerchiamo di sopraffare. Dobbiamo liberarci da questa ideologia.
Il più forte desiderio di un oncologo che sia impegnato in ricerche sul cancro del polmone è in generale che lui, e solo lui, scopra una terapia per questo tipo di cancro, in modo da ottenere la fama e tutti i vantaggi che questa implica. Ma supponiamo che un giorno il nostro oncologo si accorga di avere un cancro al polmone in uno stadio avanzato. Allora il suo più forte desiderio sarà che qualcuno, chiunque sia, scopra una terapia per questo tipo di cancro in modo che lui possa salvarsi. Un’approfondita riflessione su questo esempio ci porta facilmente a capire quanto sia utile superare il nostro egocentrismo e arrivare a sentirci parte dell’umanità in modo da sostituire un razionale punto di vista collettivo all’infantile e nevrotico punto di vista individuale.
Si sostiene spesso che solo un contesto competitivo favorisce l’autoaffermazione dell’individuo. Ma non è vero. L’auto-affermazione dell’individuo dipende dal suo sistema di valori, dalla sua concezione della vita, dal suo modello di rapporti interpersonali. Un individuo può autoaffermarsi come concorrente vincitore in un contesto sociale di tipo competitivo oppure come collaboratore efficiente in un contesto sociale di tipo cooperativo. Possiamo autoaffermarci non dimostrando che siamo migliori degli altri ma provando a noi stessi di aver dato un contributo valido alla realizzazione dei grandi fini dell’umanità (conoscenza della realtà, giustizia sociale, ecc.). Si sostiene spesso anche che un contesto competitivo produce forti individualità, mentre l’assenza di competizione produce un appiattimento generale, una omologazione squallida e improduttiva, una passività umiliante. In un contesto non competitivo le personalità si assomiglierebbero tutte, come tanti robot costruiti nella stessa fabbrica. È vero il contrario. È proprio la scelta della competitività che riflette l’omologazione, l’accettazione acritica del modello di vita dominante nella nostra società.
La ricerca psicologica ed etologica ha ampiamente dimostrato l’importanza che la cooperazione ha avuto nell’evoluzione della specie umana (Adams,1991; Hinde e Groebel, 1991). Ciononostante molti ricercatori, psicologi ed etologi compresi, si accaniscono in una lotta senza quartiere gli uni contro gli altri. Ma allora a che serve la ricerca scientifica se poi gli stessi ricercatori spesso ne ignorano le conclusioni quando si tratta di strutturare il loro lavoro? Espressioni come “mercato del lavoro scientifico”, “istituti di ricerca competitivi”, “concorrenza fra imprese di ricerca” si usano sempre più frequentemente. Sarebbe opportuno che molti ricercatori si ricordassero che producono conoscenze e non automobili o carne in scatola.

I vantaggi della cooperazione

Una ricerca scientifica svolta sulla base della cooperazione avrebbe anche altri due vantaggi.
Il primo vantaggio consiste nel fatto che il sistematico dialogo, il sistematico scambio di idee, la sistematica discussione con i colleghi nel corso della ricerca aumentano ovviamente le capacità cognitive del singolo ricercatore e gli permettono di affrontare con più competenza e con più penetrazione i problemi che la ricerca pone.
Poi c’è un altro vantaggio della cooperazione. Un problema sempre più sentito dai ricercatori è costituito dal numero sterminato di pubblicazioni riguardanti quasi tutti i campi di ricerca. La logica vorrebbe che, prima di iniziare una specifica ricerca, il ricercatore leggesse tutte le pubblicazioni che in qualche modo riguardano questa ricerca, in modo da acquisire la massima competenza possibile nel campo in cui deve lavorare e di evitare di fare ciò che è già stato fatto da altri. Al giorno d’oggi questo lavoro preliminare è assolutamente impossibile. Bisogna d’altronde considerare che, oltre alle pubblicazioni che vengono definite “internazionali” (senza eccezione libri e riviste in lingua inglese), esiste un numero impressionante di pubblicazioni “nazionali”. I ricercatori di solito danno per scontato che i contributi scientifici migliori compaiono in lingua inglese. Ma questo non è sempre vero. E d’altronde non si può certo pretendere che un ricercatore conosca tutte le lingue della terra. Anche questa impossibilità di leggere tutto quello che è stato pubblicato su un determinato argomento porta ad uno spreco di tempo, di energie e di fondi, perché dei ricercatori possono effettuare ricerche che sono già state effettuate da altri. Ma una ricerca scientifica basata su una cooperazione ad ampio raggio fra ricercatori di varie parti del mondo potrebbe naturalmente risolvere questo problema.
Per concludere vorrei precisare che le considerazioni sulla competitività non possono essere limitate al campo della ricerca scientifica ma devono essere estese a tutti gli aspetti della vita umana. Il modello di vita competitivo avvelena in un modo o nell’altro tutte le nostre relazioni interpersonali. E non impedisce solo la cooperazione. Impedisce anche l’empatia, la comprensione, la solidarietà. Una sfida ci viene dalla realtà. Dobbiamo entrare dentro noi stessi. Dobbiamo penetrare in profondità in quelle lunghe e tortuose gallerie sotterranee che sono i nostri rapporti con gli altri. Dobbiamo esplorare queste gallerie e cercare di capire i loro percorsi. Forse così sarà possibile costruire una realtà sociale meno alienante, meno distruttiva, meno angosciosa. Forse così sarà possibile costruire una diversa concezione dell’uomo.

Francesco Robustelli

Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione
Consiglio Nazionale delle Ricerche - Roma

Bibliografia

Adams, D. (1991). The Seville Statement on Violence. Paris: UNESCO.
Hinde, R. A., and Groebel, J.(Eds.) (1991). Cooperation and Prosocial Behaviour. Cambridge, UK: Cambridge University Press.
Robustelli, F., e Pagani, C. (1996). L’educazione contro la violenza. “Psicologia Contemporanea”, 136, 4-10.