Rivista Anarchica Online


Il writing
è una cosa troppo mia
Intervista di Massimo Annibale Rossi
a "Teatro"

A colloquio con un esponente storico del hip-hop milanese. Per capire...

Si muovono a piccoli gruppi, circospetti. Età media 18-20 anni, felpati larghi di preferenza scuri e un'immancabile zainetto sulle spalle: sono writer. Dopo un decennio di relativa e ondeggiante tolleranza, si è abbattuto su di loro lo stigma della giunta milanese. Da alcune settimane, le bacheche comunali ospitano un'ordinanza che richiama altre epoche e malfattori. Gli autori dei graffiti murali saranno passibili di pesanti pene pecuniarie e obbligati a risarcire i danni arrecati al patrimonio edilizio. La cittadinanza è invitata a collaborare, ma per non generare equivoci, per tale collaborazione è prevista una ricompensa individuale. In altri termini, i denuncianti avranno diritto ad una parte del denaro frutto delle contravvenzioni.
Il cambio di rotta era stato preannunciato; un'accesa polemica aveva contrapposto i fautori del dialogo ai soliti falchi. Se le immobiliari denunciavano i vandalismi, la spray art costituisce da tempo un oggetto del desiderio per un sistema eternamente a caccia di nuovi spunti. Tra i movimenti nati dalla strada, l'hip-hop rappresenta infatti la realtà più saccheggiata da campagne pubblicitarie e linee di abbigliamento. Comunque sia, il plagio murario e le perversioni urbanistiche non richiamano ipotesi di reato; il graffito sì. Si profila una società dove ogni attentato al grigiore della facciata andrà represso, dove le discrezionalità di scelta e d'espressione dovranno ridursi a vantaggio di un benessere posto come generale. Ne fornisce testimonianza la proliferazione di regolamenti, tempi di attesa e procedure che va a scandire l'esistenza nel mondo sviluppato.
La taglia diviene incentivo a una collaborazione che idealmente si presuppone spontanea. L'ordinanza dovrebbe soddisfare un'esigenza pubblica, porsi come atto promulgato in nome della collettività. E qui la contraddizione si fa più evidente: perché ricompensare una manifestazione di coscienza civica che trova valore in se stessa? E ancora. Perché premiare un tipo di segnalazione discriminandola da ogni generica denuncia, quando la città assiste impassibile a ben altri crimini?
Il tema riporta due orientamenti complementari. Da un lato il rapporto tra istituzione e cittadino tende a svilupparsi in termini sempre più contrattualistici. Una prospettiva che potrebbe portare a ricompensare il voto, o la prestazione spontanea di soccorso, operando una inversione di senso rispetto ai passati valori etici e solidaristici. Una prospettiva che trasforma il paziente del servizio pubblico, od oltre, lo studente della scuola dell'obbligo, in "clienti". Un secondo orientamento sembra attribuire il primato alla condizione della facciata sul brulicare di virus e problemi che affliggono il corpo sociale.
Se tuttavia l'hip-hop nasce nella Harlem degli anni '60 come prototipo delle culture metropolitane successive, a oggi rappresenta una realtà diffusa a livello planetario. Una realtà per alcuni capace di superare le ormai inevitabili ondate repressive, per altri destinata a rapido riflusso. Ma lasciamo la parola a Teatro, esponente storico del writing milanese attivo dalla metà degli anni '80.

È possibile a tuo parere, e come, arginare su un piano pubblico e di mediazione sociale la svolta rappresentata dall'ordinanza Albertini?

Animare iniziative, manifestazioni e richiamare l'attenzione sul problema, indubbiamente è utile. Alla fine i ragazzi apprezzano molto, anche se non lo danno a vedere, perché si sentono coinvolti, tirati in mezzo. Il problema è che sia la linea dura, sia la linea morbida in realtà non hanno effetti sul mondo del writing. Si tratta di un mondo che funziona su regole proprie e che non si lascia influenzare. Si è visto che anche dove la repressione è stata altissima, in particolare nel Nord Europa, il movimento ha tenuto. Si ferma un writer, lo si arresta, se ne arresta un secondo, ma nuove leve prendono il loro posto. Questi impareranno dall'esperienza, si faranno più furbi e cercheranno di fare cose nuove. Non ha senso esagerare con le iniziative sulla spray art, quando in realtà questa può, e deve, andare per la sua strada. Il writing è un mondo in fondo estraneo alle forme di spettacolo. Chi lo vive dall'interno ne percepisce l'ispirazione anarchica. Le manifestazioni pubbliche hanno comunque una specifica utilità rispetto all'evoluzione stilistica individuale. Si può infatti dipingere in tranquillità senza l'assillo della polizia, si ha un pubblico e la situazione può divenire realmente appagante.
Il writing è una contraddizione perché da un lato utilizza materiali e spunti provenienti dalla realtà metropolitana, cui è integrato, dall'altro risulta per molti aspetti incompatibile con la società.

Se ho ben capito, non credi all'efficacia delle strategie repressive sulla vitalità del movimento; ma quale dunque il rapporto tra il riflusso che attualmente si registra negli Stati uniti e le politiche di Rudolf Giuliani?

A NY il writing seguendo il proprio percorso si è autoestinto. Dopo trent'anni la matrice si è affievolita: le prime generazioni si sono ritirate e le mode sono cambiate. La maggior parte dei vecchi writer ora sono padri di famiglia, altri sono emigrati dove il movimento è ancora forte. Colpisce come oggi la spray art in America s'indirizzi verso i memorial: iconografie per gli amici scomparsi. In una realtà così spersonalizzante e violenta diviene importante mantenere il ricordo di quanti per piombo, droga o incidente se ne vanno, magari a quindici anni. Il graffito è di solito realizzato dalla banda di appartenenza e, per tacita convenzione, viene rispettato sia dagli abitanti, sia dalla polizia.
Quanti continuano a concentrarsi sulle tag si trovano comunque in una situazione poco motivante perché dopo decenni di spray art, la gente non nota più i graffiti; non esiste più riscontro. Il raggiungimento della notorietà, fondamentale per ogni writer, diviene impossibile.

Un altro carattere che colpisce nella realtà statunitense è la commercializzazione della cultura hip-hop nel suo complesso, commercializzazione alla quale una parte del movimento sembra avere aderito. Come valuti questo orientamento?

Il movimento hip-hop ha sempre accettato questo tipo di impostazione. Come movimento non è mai stato veramente alternativo; in particolare le band musicali hanno mirato a far soldi e nessuno lo ha mai negato. Il processo di avvicinamento ai gruppi rap più politicizzati e indipendenti in America è stato successivo. La realtà italiana si differenzia in quanto ha integrato matrici che derivavano da esperienze precedenti, come l'autoproduzione, rare negli Stati uniti. In generale bisogna tenere presente che l'hip-hop medio segue o mira a seguire la moda, vestiti e scarpe costosissimi. La sua aspirazione è realizzare la propria identità di tabbozzo all'americana: anelloni e catene d'oro, macchina e pistola. La cultura del ghetto, in fondo non diversa ad Harlem e a Napoli - l'hip-hop è attecchito molto nei paesi latini - è cultura dell'apparire.

Il meccanismo di commercializzazione della cultura hip-hop non può aver contribuito al riflusso del movimento negli Stati Uniti?

No, non credo proprio, in quanto l'hip-hop si è divulgato esponenzialmente seguendo i meccanismo di mercato. I rapper neri hanno venduto milioni di copie diventando famosi in tutto il mondo e in Italia negli anni '90 c'è stato un boom spaventoso che ha catapultato il rap nelle hit parade nazionali. Un processo simile ha riguardato i graffiti. Dieci anni fa eravamo in 40, oggi siamo decine di migliaia. Le nuove leve hanno appreso dai giornali, dalla televisione, da Videomusic, mentre all'inizio il writing si è sviluppato nei centri sociali, dove ho cominciato anch'io. L'hip-hop si è trasformato in un percorso alternativo, che per espandersi utilizza pienamente i meccanismi della società capitalista e di mercato.

 

Il fatto che a Torino si sta tentando di istituzionalizzare il writing concedendo muri "legali", non rischia di snaturarne l'impulso più originale?

In un certo senso lo snatura; però il writing ha un potenziale talmente grande da invadere e trasformare tutto ciò che tocca. Se gli concedi uno spazio, se ne prende 200; passando davanti ai muri dipinti, pochi si accorgono della velocità con cui i graffiti cambiano. Il graffito può nascere in una notte e morire il giorno dopo: il tempo di fare una foto al pezzo e il pezzo è già vecchio. Il writing non potrà essere ucciso dall'esterno.

Ha comunque senso la politica del muro legale?

Secondo me sì, anche se non servirà a risolvere il problema della contrapposizione con quanti odiano i graffiti. La gente che si sente più direttamente colpita è quella incapace di leggere le problematiche e le dinamiche che sottostanno a questa forma di espressione. Una delle finalità più criptiche della spray art è in ogni caso la provocazione. In questo senso il graffito è una pubblicità, quanto il suo contrario. Il writer mira a diffondere il più possibile e a perfezionare il proprio marchio: muri alti e visibili, come tetti delle case e impalcature, o treni, che permettono al messaggio di viaggiare. Al livello più alto, un writer non è riconosciuto dalle lettere che formano la sua tag, ma dallo stile. Le crew possono riconoscerne un pezzo, anche se questo si trova su un treno in corsa: "Ha, quello è...". Questa è una delle massime soddisfazioni per un writer.
La gente comune abituata alla pubblicità istituzionale fatica a comprendere un messaggio che non vuole promozionare un prodotto. Fatica a comprendere che si possa dipingere per il gusto di farlo, rischiando e rimettendoci anche i soldi delle bombolette. Il graffito spesso offende e attacca. Alcuni writer 20 anni fa teorizzavano l'uso di lettere "armate"; studiavano "l'iconoclastia delle lettere" per comunicare sensazioni forti e di repulsione al passante. Di repulsione, ma nello stesso tempo di fascino; i pezzi attraevano, difendendosi da chi li osservava. Il writing è una forma culturale particolarmente contorta; la maggior parte dei writer si comporta in una maniera totalmente involontaria. Non lo ammetteranno mai, ma spesso non sanno ciò che fanno perché il significato rimane inconscio.

L'involontarietà dell'effetto costituisce una percezione comune; tuttavia appare evidente che il pezzo, e più in generale il movimento, abbiano una ricaduta sociale, suscitino delle reazioni...

Al writer non è mai importato della ricaduta sociale. Non è che quando eravamo in pochi fosse meglio; nei primi anni c'era in realtà più repressione di adesso. Se ti pescavano per la strada con la bomboletta ti portavano direttamente in questura, pensando che stessi facendo scritte per le BR. Non potevi tirare fuori la bomboletta che qualcuno aveva già telefonato alla polizia; adesso questo non succede quasi più. Forse ricomincerà nei prossimi mesi perché Albertini ha deciso di stimolare la delazione con una paga...
In realtà esiste molta più tolleranza da parte della gente: alcuni hanno cominciato a capire, altri ci sono andati incontro, molti si sono semplicemente abituati. I graffiti sono entrati interamente nella società: ogni pubblicitario finisce per piazzare la fotomodella in posa davanti a un graffito.

Se da una parte emerge un atteggiamento di duplicità dei writer rispetto al sistema, dall'altra il sistema reprime, ma attinge a piene mani da tutto ciò che la cultura hip-hop propone...

Il sistema, mercato o repressione, non potrà relegare l'hip-hop. Il rischio che si profila è piuttosto che anche da noi si sentano gli effetti dell'onda lunga e, come è successo negli Usa, il movimento cominci a scemare. Già vedo che i writer più vecchi dipingono sempre meno perché cominciano ad accasarsi; la vita ti travolge con le sue vicissitudini e ti perdi...

La capacità di adeguamento a contesti lontani e di mutazione dimostrata dal movimento non potrebbe aiutarlo a compiere ulteriori metamorfosi?

È probabile perché nonostante le discordanze e le repressioni ha dimostrato notevoli capacità di adattamento. In ogni città potrai trovare situazioni differenti e modi diversi di agire. Un esempio limite è quello di Monaco: alcuni anni fa c'è stata un'esplosione di writing. I Le crew avevano riempito muri e treni di graffiti, ed erano veramente cattive. C'è stata una reazione molto forte: le ferrovie hanno cominciato a ripulire le carrozze prima di farle uscire, facendo girare solo treni puliti. Pensavano di demotivare i writer perché i pezzi non sarebbero più circolati, ma questi hanno cominciato a rompere i finestrini dei treni puliti per costringere le ferrovie ad utilizzare quelli dipinti. La mossa successiva è stata assumere delle guardie armate; i writer hanno iniziato a incidere i vetri con la punta di diamante. Un rischio che si è corso anche in Italia.

Perché il writing in questa fase scatena reazioni così dure?

Perché fondamentalmente il writing è incompatibile con l'istituzione. In Italia il problema è acutizzato da una pratica di deturpazione delle opere artistiche e di palazzi d'epoca, sulla quale non sono d'accordo. Come artista riconosco e rispetto l'arte altrui. Ma se capisco il punto di vista di coloro che combattono il writing, penso anche che i graffiti siano una reazione al mondo in cui viviamo. Esistono qui e ora. In un mondo diverso, più libertario e culturalmente evoluto, probabilmente non sarebbe nata l'esigenza che li anima, esigenza di cui non voglio tentare la giusta definizione.

Forse non esiste una definizione univoca... Tra le varie reazioni, non è da trascurare chi apprezza il graffito come tentativo di contrastare il grigiore delle periferie o come forma di antagonismo non violento a una società via via più normativa.

Sì, anche nella mia esperienza si tratta di una reazione frequente. La contrapposizione tra colore e grigiore rappresenta tuttavia più uno spot da centro sociale che un contenuto del writing. Una travisazione in termini di antagonismo politico. Gli ambienti alternativi di sinistra hanno tentato di interpretare a loro modo e hanno spesso forzato presentando il writing come movimento di lotta contro l'alienazione metropolitana. In realtà si tratta di una dimensione più intima e individuale, di una reazione non inquadrabile nelle logiche politiche, ma da riferire alle dinamiche di spersonalizzazione, agli effetti sui singoli di una città insana. Il writing è nato nella prima vera metropoli moderna: cemento e strade parallele, uniformi. L'istinto dei ragazzi che hanno iniziato è stato difendersi da un mondo senza senso e speranza esprimendo, tracciando dei segni.

Puoi chiarire meglio perché la lettura dei centri sociali ti sta stretta?

Seppure sia stato uno dei primi a dare un'interpretazione politica al movimento, col tempo ho capito che non era giusto. La lettura era troppo univoca, ed è divenuta talmente ideologica che il writing si è discostato dai centri sociali. Secondo me, attualmente la maggior parte dei writer non vuole più avere a che fare con gli ambienti alternativi. Se dunque all'inizio il centro sociale è stato un trampolino per la cultura hip-hop, in seguito questa è andato differenziandosi.

Rispetto al complesso del movimento, come ti sembra che si collochino quanti continuano a dipingere graffiti con contenuti politico-sociali?

Chi ha cominciato a fare graffiti politici ha utilizzato una nuova tecnica e un nuovo stile per sviluppare quanto prima era rappresentato dal murales. Il writing è invece nato in maniera autonoma e senza alcuna intenzione di fare da veicolo a messaggi sociali e ideologici rivolti a un pubblico più ampio di quello delle crew. Il writer deve innanzitutto dimostrare la propria capacità tecnica in termini di stile e lettering, poi eventualmente potrà inserire altri elementi.

Da una parte alcuni writer pongono le regole di strada come valore ed elemento della loro identità, dall'altra spesso si ha l'impressione che sia molto declamato e poco applicato...

È un valore e un valore prima di tutto istintivo. Bisogna partire dal fatto che il writer segue il codice perché sa che senza non raggiungerà il proprio obiettivo: lasciare un'impronta e diventare famoso nel mondo delle crew. La ricerca d'identità deve necessariamente passare attraverso l'applicazione delle regole comuni. Se dipinge in altri termini e con altri criteri, potrà diventare famoso solo in ambiti diversi. Se non si capisce questo, non si potrà comprendere l'origine e la filosofia del writing, rischiando di fare degli errori.

Qual è la tua motivazione nella realizzazione di un pezzo?

Creare qualcosa di piacevole prima di tutto per me, e poi alla vista degli altri. Il periodo nel quale avevo l'esigenza di mettere il mio nome dappertutto l'ho passato da un pezzo. È tra l'altro stato breve, perché la mia non era una esigenza forte; quando ho cominciato ero già conosciuto e sono passato direttamente alla fase della ricerca stilistica. Un piacere particolare, immenso, è dato dal fare i treni. Di notte, col gruppo e i compagni di avventura; è una sfida a tutto ciò che hai intorno. Ci sono writer che fanno cose impensate; dall'esterno sembra assurdo passare le notti in bianco, farsi anche duecento chilometri e dormire sotto un ponte con un sacchetto di bombolette, magari al freddo, per andare in un luogo particolare per i treni.

Una critica frequentemente portata al movimento hip-hop è di essere eccessivamente chiuso in se stesso cosa ne pensi?

È vero, è verissimo. Il movimento è chiuso, e da questo punto di vista anche ignorante. Credo che questo costituisca un limite, come per la maggior parte dei movimenti nati in situazioni repressive. Gli hip-hop sono anche integralisti; soprattutto i più legati alla matrice americana. Questi si rifanno al puro stile newyorchese e forse rappresentano la fazione predominante.

Come può un movimento integralista essere anche, come lo hai definito tu, anarchico?

È anarchico nel senso che non si può inquadrare né con la repressione, né con i tentativi di istituzionalizzazione. Intendevo il termine in senso lato, a prescindere del senso storico-letterario.

In un recente cortometraggio (Fame chimica di Antonio Bocola e Paolo Vari) l'hip-hop è stato presentato come possibile alternativa alla vita tossica delle bande di quartiere. È una visione condivisibile?

Non ho visto il film. Quello che ti posso dire è che esiste una contraddizione di fondo in chi pensa di utilizzare l'hip-hop per azioni di sostegno verso persone il cui obiettivo è distruggersi...

Dal tuo punto di vista l'intervento sociale è inutile?

È abbastanza inutile fintanto che il mondo in cui viviamo andrà avanti con questa rapidità di cambiamento e contraddizione. Se non si cambia il fondamento, ogni intervento sarà inutile. Non esiste più neppure la possibilità di fuga verso l'isola felice, l'approdo finale. Chi non ce la fa ha il diritto di decidere di suicidarsi.

Ma in un mondo così povero di fermenti, che non siano fermenti costruiti in laboratorio, il writing può costituire un'alternativa?

L'istituzione di fermenti ne costruisce veramente pochi. I fermenti nascono da altre cose, l'istituzione al massimo ha acquisito, modellato e adattato. Tutti i fermenti hanno in realtà avuto una incubazione underground.

Quanto ti disturba il costante richiamo al vostro lavoro e la capacità del sistema di fagocitare e restituire in termini di mercato?

Mi ha disturbato anche al di là dei graffiti e me lo sono vissuto in molte altre situazioni. Lo detestavo soprattutto perché mi sono reso conto della mia impotenza. Ti potrei fare un esempio avvenuto a Milano molto prima dell'espansione dei graffiti. Nei primi anni di occupazione, il centro sociale Conchetta ha rappresentato un'esperienza totalmente nuova. Prima di allora ogni gruppo, ogni fazione politica, aveva la propria sede e i propri affiliati e queste vivevano separate e in contrasto tra loro, fondendosi solo raramente in azioni collettive. Conchetta è stata la scintilla di un cambiamento che era nell'aria, perché lì erano presenti tutte le componenti: anarchici, ecologisti, cani sciolti, autonomi, fricchettoni, punk e scappati di casa. Le persone più diverse stavano insieme e lavoravano insieme. È stata un'esplosione: eravamo riusciti a incrinare un meccanismo ormai contorto, prodotto dai vent'anni di antagonismo militante precedenti. Per i ragazzi di Conchetta, come per i writer adesso, l'obiettivo principale era il piacere personale, il divertimento, inventare strumenti e forme, organizzare feste. Molti dei look lanciati negli anni successivi nelle linee di moda, li ho visti nascere lì. Quelli di Energie, che di lì a poco avrebbero aperto una catena, hanno preso in Conchetta il loro marchio: un insieme di segni e lettere dipinti con lo spray sul muro da uno dei tanti che sperimentavano. C'era fervore artistico.

Quale è stata la tua sensazione?

Sono stato malissimo perché mi sono sentito deturpare. Non che soffra di mania di copyright, ma mi è dispiaciuto vedere sfruttare un'idea. Una forma di sfruttamento che finiva per snaturare completamente il significato del segno. Il writing è invece partito all'interno di questa logica e di queste dinamiche, quindi non ha sofferto tanto della globalizzazione della sua segnica.

Se una azienda di abbigliamento ti facesse un'offerta per pubblicizzarsi tramite i tuoi lavori, cosa risponderesti?

Risponderei di no; non ce la farei. Penso di avere troppo background legato all'autoproduzione; il writing è una cosa troppo mia.

Massimo Annibale Rossi