dossier ex-Jugoslavia
Errando in terra di Bosnia
a cura di Matteo "TRKVTZ"
(rullante)
La Banda degli Ottoni a Scoppio è andata
a Sarajevo per partecipare al Winter Festival. Sette di
loro ci hanno consegnato i loro appunti di viaggio.
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La banda nel cuore della Bascarsija - quartiere musulmano di
Sarajevo
Invitati dall'Arci Milano,
con la quale collaborammo per raccogliere fondi a favore di
un orfanotrofio bombardato di Belgrado nella "2 GIORNI DI MUSICA
PER I BALCANI" a luglio, non abbiamo saputo resistere al desiderio
di partecipare al WINTER FESTIVAL di SARAJEVO dal 16 al 23 marzo
2000.
Questa è stata l'occasione per esprimere in tutta la Bosnia
l'antimilitarismo congenito militante della Banda degli Ottoni
a Scoppio con esibizioni che da anni non erano state di così
alto livello da parte del gruppo dei 30 elementi presenti. Il
nostro messaggio di fratellanza multietnica è passato da SARAJEVO
MOSTAR E BANJA LUKA, capitale della repubblica serba di Bosnia.
Unico problema con le autorità si è verificato nella zona croata
di MOSTAR dove la polizia locale probabilmente non ha sopportato
il fatto che avevamo suonato prima nella zona musulmana della
città.
La prossima volta faremo il contrario chissà se i poliziotti
musulmani saranno più elastici e tolleranti? Staremo a vedere.
Quel poco che suonammo ha comunque entusiasmato i cittadini
croati tanto quelli musulmani che hanno però goduto molto di
più la nostra performance accompagnata dagli infaticabili e
pazienti TEO e FORMICA, geniali saltimbanchi che ovunque hanno
avuto a che fare con centinaia di bambini. Vedere uscire dalle
precarie case danneggiate dalla guerra i vecchi e i bambini
per seguirci in cortei improvvisati nelle periferie devastate
è stato qualcosa di assolutamente irripetibile in questo viaggio.
La commozione raggiungeva i brividi e la gratitudine di quei
padri nonni madri che finalmente vedevano i propri bimbi letteralmente
impazzire dalla felicità si leggeva nei loro meravigliosi sorrisi
a noi diretti. Era chiaro a tutti che erano anni che non si
vedeva una banda di siffatte dimensioni attraversare quelle
città e quelle periferie.
Per noi è stata un 'esperienza indimenticabilmente meravigliosa.
Al ritorno abbiamo visto il papa chiedere forse scusa agli ebrei
e così mi sono chiesto: chissà quando lui come la Germania di
cui si vedono i marchi e le grandi vetrine Volkswagen chiederanno
scusa alla Bosnia come agli ebrei del loro imperialismo? E soprattutto
quando l'Italia chiederà scusa per aver disseminato, grazie
alle sue fabbriche bresciane, la Bosnia di 2 milioni di mine
antiuomo.
Un grosso abbraccio ai tanti mutilati di tutte le età che ho
visto in questi giorni.
Roberto "spinash spinacic"
(sax tenore)
La banda in corteo attraversa il centro di Sarajevo.
Cicatrici
Le troviamo nei segni lasciati da una guerra,
un delirio organizzato, un violento generalizzato massacro.
Le vediamo subito, appena entrati nelle campagne della Bosnia,
durante la mezz'ora abbondante di silenzio attonito che colpisce
la banda, dentro il pullman. Davanti ai nostri finestrini solo
case bucate, sforacchiate, svuotate, distrutte; sembra gli abbiano
tolto l'anima con la forza. Penso agli inseguimenti, dentro
e fuori le case, al terrore delle famiglie, senza riparo per
terra, sui pavimenti, nelle cantine, in fuga nei campi.
Di cicatrici è piena Sarajevo. I buchi dei proiettili aggrappati
dappertutto, nei cunicoli, nei corridoi, nei cortili, dietro
gli angoli. In centro, in periferia, nei grattacieli e nelle
villette a schiera. Guardo due case, una in fronte all'altra,
separate per pochi metri, solo da una piccola strada. Le due
facciate si specchiano, l'una e l'altra uguali, bucate "come
se si fossero sparati, da un salotto contro l'altro, dopo la
TV" dice il rullante. Forse è successo proprio così. Sembrano
degli scolapasta più che delle case. Immagino la vita normale
degli abitanti uscire dai buchi, pian piano, insieme alle loro
parole, le feste, il riposo, gli affetti, i pranzi, le dormite,
tutto sradicato e ucciso, cavato fuori con l'uncinetto armato.
A Sarajevo ci sono tombe sparse ovunque, nei giardini, nei parchi,
nelle aiuole vicino alle case, agli incroci, nel controviali,
in mezzo alle strade. Ci raccontano che durante l'assedio, non
avevano tempo neanche per seppellire i morti nei cimiteri, perché
le colline erano troppo pericolose. Penso alla disperazione
di allora, penso al dolore di chi ha dovuto seppellire il proprio
amore in mezzo ad un incrocio, un viale Papiniano qualsiasi.
Penso con quale voglia porterei un bambino a giocare, a Milano,
in un prato pieno di tombe.
Cicatrici le vedo negli occhi spaventati di una giovane ragazza,
con il suo bambino, mentre guarda il giocoliere che le gioca
di fronte. Mi domando che cosa vedono i suoi occhi al posto
delle clave.
Nel silenzio pesante sugli autobus gremiti di persone che sembrano
solo far fatica.
Nei cimiteri sconfinati, sulle colline piene di croci, con le
stesse date di chiusura per tutti, '94 '95 '95 '95 '94 '95 '95
'94 '95 '92 '93 '94, '95. Ma che cazzo è successo da queste
parti? Noi dove eravamo nel '94 e nel '95 mi chiede il bombardino?
Avevamo più o meno 30 anni anche noi.
Nei ponti distrutti, sopra a fiumi che prima comunicavano e
ora dividono, separano, indicano confini. Nella separazione
delle due Mostar, dove i musulmani ci accolgono con dolcezza,
mani che salutano e tiepidi sorrisi. Ma nella par-te croata,
ci avvertono, "o sono fa-scisti o sono mafiosi, fate attenzione
perché se suonate "l'Interna-zionale", "Oh bella ciao" tirano
fuori il mitra e vi sparano". Mi domando insieme al clarino:
"Ma che cazzo ci andiamo a fare dai fascisti mafiosi che ci
sparano se suoniamo "oh bella ciao?" Il clarino, forse per calmare
il suo labbro che gli prude, risponde che non possiamo prendere
posizione, se non imbracciando un fucile, mentre noi vogliamo
suonare strumenti musicali, per comunicare e non per dividere.
Così suoniamo anche nella zona dei "fascisti e mafiosi", ma
anche qui incontriamo facce che ci salutano prima che la polizia
ci cacci in fretta e in malo modo.
Nell'isolamento di Banja Luka, la città dove a quanto si dice
vivono i serbi ultranazionalisti. Al nostro arrivo tutti si
fermano per le strade, ci vengono incontro, ascoltano, cantano,
ringraziano, un intero paese commosso, si stringe alla banda.
Dai ragazzi del posto, felici del nostro casino musicale, sappiamo
che "erano 10 anni che non ci divertivamo così, da tre anni
che non vedevamo degli stranieri, da tempo qui non arrivano
neanche le medicine". Non si devono essere divertiti molto in
questi 10 anni dico al bombardino, forse anch'io diventerei
ultranazionalista serbo vivendo qui.
Cicatrici le vedo anche nell'economia parassitaria, che sfrutta
la pioggia degli aiuti "umanitari" e insegna l'inglese. Nei
ristoranti tutti vuoti. Nel Café Brasil in Bosnia, pieno di
stronzi come fosse sui navigli. Nel Zima-winter-festival di
Sarajevo, dove i teatri sono aperti solo per chi può pagare
profumatamente uno spettacolo. Un'altra delle nuvole umanitarie
che passano troppo alte per le teste delle persone che incontriamo
nelle strade.
Nel cimitero ebraico di Sarajevo pieno di rovi, abbandonato
dopo l'esodo.
Nei bambini piccoli, che non hanno visto niente, ma hanno già
respirato molto.
Nella nostra musica, miracolosamente a tempo, compatta, energica,
allegra. Nei secondi in cui chiudo gli occhi e rapidamente penso
al destino del nostro giocoliere, quando, per gioco, attacca
la sua giacca sopra la testa-attaccapanni di un anziano signore.
Vedo il signore che solleva la giacca e sforacchia il nostro
giocoliere, scaricandogli addosso i proiettili della sua pistola
fedele, allontanandosi tra l'indifferenza generale. Vedo il
signore che rimane per tutto lo spettacolo con la testa china,
coperta dalla giacca. Apro gli occhi ed al suo fianco, due anziani
scoppiano in una fragorosa risata. Penso ad una liberazione,
sento letteralmente il ghiaccio che si rompe, nella loro risata
liberatoria.
Il piccolo cerchio di persone attorno a noi si unisce, con un
applauso, alla giocoliera che trotterella sulle note di un waltzer
abbracciata ad un vecchio signore. Quattro ragazze si sfogano,
urlano e cantano Ederlezi, parola per parola, più forte delle
trombe.
A loro che ci ascoltano diciamo grazie, perché ci sono, perché
sono lì, in piedi insieme a noi, nonostante le loro cicatrici.
È la presenza di queste persone che dà un senso alla nostra
musica, ci restituiscono il sorriso e la voglia di continuare
a suonare.
Paolo
(fisarmonica)
Dobrinjia, quartiere popolare di Sarajevo reso famoso perché
limitrofo all'aeroporto teatro di un lento e devastante massacro.
Bambini si impadroniscono dei nostri strumenti e partecipano
al caos bandistico.
Palle di neve a Sarajevo
Quasi trenta ore di viaggio, 700 chilometri,
tre frontiere (e mezzo), quattro autostrade di cui una contromano,
due ponti fuori uso, gli autisti anche, una chiatta per attraversare
la Sava. E Sarajevo non arriva mai. Quando vediamo le montagne
irsute e pelose di Bosnia sentiamo di essere vicini, mano a
mano che le case là fuori si sgretolano e si segnano di croci
cetniche ("dove c'è un serbo è Serbia"). Tacciono chitarre e
tamorre e gli occhi vagano desolati.
Guardiamo immagini tante volte immaginate, ora vedute. Montagne
bianche di lapidi. Scheletri bruciacchiati di case non più abitate.
Possiamo immaginare l'irreparabile, bande di uomini dare fuoco,
stuprare, saccheggiare, distruggere e ammazzare. Immagini e
pensieri che avvelenano: i carnefici di allora - ci si chiede
- saranno gli stessi uomini che ora mangiano tranquilli pizza
e coca cola nel locale dove facciamo sosta? Gli stessi che incontreremo
per le strade, per cui suoneremo nelle strade di Sarajevo?
Ma non sono cose che ci riguardano. Siamo venuti per suonare
la musica che unisce, senza chiedere e distinguere. Incontriamo
un sacco di amici, di abbracci e di sorrisi. Ma l'odore amaro
della diffidenza si annida negli angoli delle bocche, sotto
le camice, ci accoglie in un ristorante insipido, o per le strade
della Mostar croata dove occhi gelidi assistono al nostro baccano.
Si ferma una volante. Andatevene subito. Senza suonare. Per
favore.
Forse per reagire a questi pensieri, forse per idiozia e perché
da anni che non vediamo nevicare così, nel turbinio dei fiocchi
ci scateniamo. Ed è la guerra. Forestieri adulti, come bambini,
corrono lungo la riva della Miljacka in assetto da combattimento.
La gente osserva perplessa, due signore sorridono, qualcuno
controlla. Una macchina rallenta. Poi una palla sfiora un ragazzo,
che non è dei nostri. Errore, errore. Quasi da rissa. Abbiamo
capito, qui si pattina su un ghiaccio sottile.
Strana sensazione, giocare a palle di neve a Sarajevo: un po'
come fumare in una polveriera.
Matteo
(sax contralto - flauto traverso)
Sarajevo, si cammina costretti tra le lapidi... cimiteri domestici.
Limitata umanità
Di sventrati palazzi, di grigiore immane, cosa
posso dire io limitata umanità?
Nevica a Sarajevo, e la città è crivellata: i segni di guerra
sono estremamente pervasivi. Non pensavo che nella mia vita
avrei rubato con i miei occhi fotografie di un disastro così
inutile.
Io: svuotata nell'anima distrutta e fragile e spaesata.
Affronto il silenzio perché c'è un noi a cui riferirmi, perché
il cevacici è ricco di coraggio saporito e perché il caffé turco
persiste nel sapere di oriente, nonostante tutto, ed è caldo.
Noi: strana commistione di elementi musico-animali, la banda,
veicolo di energia vitale, espressione comunicativa, laboratorio
di sperimentazioni sociali.
E la vita che portiamo esplosiva trova in questi luoghi sospesi
ancora nel tempo dell'assurdo, trova progressivamente la giusta
modalità di incontro. Si modifica? Si smorza? Si amplifica?
Non sono ammesse definizioni univoche.
Reagire a palle di neve, reagire in coesione, in valutazioni
collettive di problematiche, nella pipì insieme, a cantare fino
a che manca la voce.
E suoniamo: per i bambini, che è come se il circo è arrivato
in città! E suoniamo come il fiume di Mostar che scorre bagnando
due rive sotto un ponte non più visibile a occhi umani. L'emozione
diventa suono, snocciolati per le strade deserte e per una folla
emozionata in una sola canzone...
Il giorno in cui partiamo c'è il sole a Sarajevo. Torniamo a
mettere i nostri soldi in banche che finanziano imprese belliche,
torniamo ad arrampicarci in impotenze politiche e difficoltà
di collegare quali implicazioni porta ogni nostra azione o non
azione.
Ah potessimo ogni tanto restarne fuori!
A rivederci "Lunedì".
Non potevo che essere qui insieme a voi, amici incontrati.
Soledad "Sole"
(fisarmonica)
Pace! Come potete giudicar
Pace! Pochi giorni in un lembo di terra desolata
non sono una chiave per aprire le porte della comprensione.
Poche ore passate cercando di regalare attimi di allegra tenerezza
a occhi che hanno visto "cose che voi umani non potete neanche
immaginare". Pochi compagni ospiti di una terra martoriata dalla
paura, occupata dai militari, invasa dalla disperazione, dallo
scetticismo, dalla carenza di futuro...
Pace! Tuttavia qua e la si respira nell'aria gelida un vento
ristoratore che porta con se anche la voglia di ricominciare,
almeno di provarci. E allora Giù con la musica e con le birre,
le moschee e le grappe, i cevabcici e le polveri magiche, brioches
e caffé turco e ... tutto quanto fa spettacolo.
Salutiamo con un arrivederci questa terra di ponti mancanti,
di cimiteri domestici, di diffidenza e di malinconia. E insieme
la gente che non nasconde l'umano desiderio di raggiungere quel
benessere economico occidentale che si misura in Jeans imbottiti,
t-shirt griffate, cellulari satellitari, club privé.
Pace! Arrivederci bosniaci, serbi, croati, islamici, cattolici,
ortodossi, arrivederci vispi e sporchi musetti bigiatori di
scuole risparmiate dalle bombe o ricostruite. Arrivederci aitanti
fanciulli e avvenenti fanciulle affamati di vita e di progresso,
ma anche di socialità.
Pochi giorni, è vero, ma sono bastati a disegnare profonde emozioni
nei nostri sogni più intimi e solitari. Se questa è oggi terra
di pace, non oso pensare cosa possano essere Belgrado e il Kosovo.
Non posso e non voglio esprimere giudizi da intellettuale in
poltrona, mi limito ad immaginare, ma non ad augurare, un futuro
pregno di Nike, Adidas, Coca cola, Mercedes, Chrisler Woiager,
e così via.
Quanta musica propulsiva ci vorrà per tentare di contrastare
questo ineluttabile destino mondiale?
Guido "Omsky"
(sax contralto)
La Sava, fiume che separa la Croazia dalla Bosnia... un'improbabile
chiatta ci porta al di là di una frontiera-ferita.
Scorci e sensazioni
1. Energia fluttuante.
Fin dal primo istante che ci siamo incontrati, nella nostra
anonima metropoli, si è espansa, conquistandoci, una potente
energia fluttuante, una specie di magnetismo che elettrizzava
i nostri corpi e le nostri menti di milanesi stanchi e stufi,
sospinti verso quella terra così lontana e così vicina allo
stesso tempo. E ben presto quell'energia si é incarnata nella
nostra musica ( da tempo non suonavamo così bene, con tanta
energia vitale!) varcando i confini di ogni guerra e di ogni
etnia, penetrando nelle case esangui, vagando per le strade
silenziose e cupe, per i cimiteri erranti della Bosnia, scuotendo
gli sguardi diffidenti degli adulti, conquistando gli occhi
e i sorrisi stupiti dei bambini, la voglia di esibirsi dei giovani,
la malinconia dei vecchi. Quando suonavamo Ederlezi, canzone
serba, ovunque fossimo la gente si fondeva con la banda cantando
emozionata: musica oltre ogni barriera!
2. Fiumi-frontiere-ferite.
Sto sfogliando le foto in bianco e nero appena fatte stampare
e mi invade la malinconia...non ho fotografato quasi mai la
miseria e l'angoscia delle case distrutte e martoriate, mi sembrava
di saccheggiare la dolorosa intimità dei loro abitanti. Ho voluto
ritrarre, invece, le parti che più mi piacevano o mi stupivano
della Bosnia. Alcune immagini mi colpiscono particolarmente,
ad esempio la chiatta rudimentale sul fiume che divide la Croazia
dalla Bosnia. Era mattina molto presto quando arrivammo al fiume,
nevicava, c'era un sacco di fango melmoso e un bidone bruciato
pieno di rifiuti strabordanti. Sembrava d'essere in una scena
del film "underground", una scena quasi irreale, la chiatta
quasi sotto il pelo dell'acqua, che, spinta da una barca e tirata
da una lunga carrucola, portava macchine, camion, pullman e
persone da una parte all'altra del fiume, da un territorio ad
un altro...c'erano diverse persone che andavano a lavorare e
che ogni mattina sono costrette a pendolare sulla chiatta per
attraversare questo fiume, frontiera, ferita.
3. Emozioni crepuscolari.
Una sera al crepuscolo mi venne voglia di salire sulle colline
che circondano Sarajevo. Sui prati e sulle distese di tombe
così indissolubilmente legate ad ogni angolo di terra della
città, c'era la neve che scaldava le ceneri e ammorbidiva i
ricordi. Faceva freddo ma io non sentivo freddo. Mi sono fermata
sul ciglio di una
stradina a guardare la città distesa sotto di me e piano piano
un fiume di lumini prese il posto delle luci e delle ombre.
Ad un tratto, inaspettatamente, cominciarono a sentirsi le voci
dei muezzin provenienti contemporaneamente da diverse moschee,
cantilene dolci, monotone, penetranti. E venni invasa da un
senso inebriante di malinconia.
Monica
(flauto traverso)
Clown di sabbia per i vostri ingranaggi
Dentro un autobus, parcheggiato alla stazione
di Mostar, mi trasformo e mi ritrovo clown in terra slava.
Oggi avrò bisogno di più coraggio per comunicare la gioia e
l'ironia davanti, dentro i segni della distruzione e dell'assurdità
della guerra.
Sono entusiasta lo stesso, ho voglia di incontri, c'é il sole,
ho un nuovo compagno di giochi in calzamaglia che va a sbattere
contro ogni cosa e una banda che mi accoglie tra le note.
Ci aggiriamo per le strade stupendoci e divertendo; i bambini
ci circondano, le donne ridono, gli anziani ci osservano.
La mia storia è sospesa in mezzo a questa gente, cerco di donare
un pizzico d'anima ad ognuno, è difficile, ma è una festa di
sorrisi che non posso più fermare; traccio cerchi tra noi e
loro, la musica mi da forza.
Cerco di sentire fino a che punto è possibile giocare insieme,
provocare, trasgredire, mi arrischio sul margine: posso baciarti?
o ballare con te?
Dialoghi mutevoli di sguardi.
Mi abbandono senza difese e più volte in queste esibizioni per
la strada, quando le persone mi ringraziano per quello che facciamo,
mentre una bambina mi accarezza silenziosa, o davanti ai segni
desolanti del conflitto, l'emozione rende immobile me e le mie
clavette.
In mezzo a tutti questi occhi, che hanno visto atrocità e morte,
vorrei scomparire, rendere invisibile il mio sorriso, fare in
modo che gli sguardi passino attraverso questo corpo e questa
maschera impotente.
Sto soffrendo per il peso del passato che non posso cambiare.
E nel futuro potremo uscire da questo labirinto?
Non voglio più essere urtata per smuovermi, voglio essere scomoda,
sabbia negli ingranaggi della violenza; ogni giorno riconoscere
con lucidità l'ingiustizia, non servirla, ma burlarmi di lei.
Claudia "formica"
(clown - giocoliera)
Mostar, palazzi strappati alla loro intima quotidianità... fori
nelle nostre coscienze.
Se cerchi gli ottoni
La Banda degli Ottoni a Scoppio si trova tutti
i lunedì sera a provare e discutere
alla Cascina Autogestita Torchiera
P.le Cimitero Maggiore, 18
bus 80, Tram 14
Tel: 023088896
e-mail: torchiera@ecn.org
web: www.ecn.org/torchiera
Per qualsiasi comunicazione o contatto con la
Banda:
e-mail: ottoniascoppio@hotmail.com
Tutte le foto di questo e del prossimo articolo
sono state scattate dalla Banda degli Ottoni
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