Mentre scrivo l'anno giubilare non si
è ancora concluso. Manca infatti, tra le altre, la celebrazione
di quel "giubileo dei politici" che verosimilmente
offrirà alcuni dei momenti più grotteschi fra
i tanti cui abbiamo assistito in questo sfortunato 2000. Di
conseguenza le considerazioni offerte all'attenzione del lettore
risulteranno monche perché, come si può presumere,
la prevedibile corsa a baciare la sacra pantofola vedrà
le più alte personalità dello stato impegnate
nello sforzo, degno di miglior causa, di sancire definitivamente
la sudditanza delle istituzioni repubblicane alla Chiesa cattolica
romana. Molto ci sarà da scrivere, al proposito e non
mancheremo di farlo!
Comunque qualche conclusione, a mio parere, già la si
può trarre. Infatti, anche se un incidente di percorso
potrebbe ancora verificarsi, resta il fatto che in quest'anno
giubilare tutti i salmi finiscono in gloria. La gloria non solo
metafisica dei cinquantamila santi che hanno avuto la invidiabile
fortuna di essere innalzati agli altari in quest'anno speciale,
ma anche, e soprattutto, la gloria materiale che ha illuminato
una chiesa capace di ritrovare un ruolo che si credeva relegato
al passato. Una chiesa che, ahimè, appare ancora uno
degli elementi fondanti, dei collanti insostituibili, di questa
nostra povera, opulenta e schizofrenica società. Tralasciando
le legittime considerazioni sull'eccessiva spettacolarità
o sulla servizievole complicità delle istituzioni nell'allestimento
della sceneggiata clericale, sembra davvero che il papato abbia
centrato tutti o quasi gli obiettivi che si era proposto: basta
fare una rapida carrellata su quanto è successo per accorgersi
come sia riuscito ad imporre con la forza del dogma e della
fede la propria ingombrante e, a suo dire, insostituibile presenza.
Andiamo a vedere.
La rivelazione del cosiddetto terzo segreto di Fatima
e la successiva consacrazione dell'intera umanità alla
figura della madonna (che ha coinvolto naturalmente anche chi
della santa vergine pensa ancora di doversene infischiare) celebrano
la supremazia del mistero e dell'irrazionale sulla ragione;
- l'ostracismo alla sfilata dell'orgoglio omosessuale, la dura
condanna della "pillola del giorno dopo", l'esaltazione
del dovere riproduttivo ad oltranza e della sacralità
della famiglia maxime se numerosa (grottesca la sfilata in San
Pietro di famiglie sudamericane ed asiatiche comprendenti ciascuna
almeno una dozzina di figli) affossano una volta per tutte la
possibilità di scelta dei credenti in materia di morale
individuale;
la celebrazione del quinto centenario della "scoperta"
delle Americhe e del conseguente genocidio delle popolazioni
native o la provocatoria canonizzazione di centinaia di "martiri"
cinesi e missionari europei caduti sul lavoro riaffermano il
buon diritto di Roma di intervenire con prepotente indifferenza
nelle questioni interne dei singoli paesi;
le numerose dichiarazioni razziste, ora evidenti e plateali,
ora sfumate ma più pericolose come quelle del vescovo
di Bologna Biffi sul presunto pericolo mussulmano, manifestano,
al di là della loro volgarità, la secolare volontà
di condizionare le scelte legislative del nostro paese. La strumentale
contrapposizione con affermazioni contrarie ma altrettanto apodittiche
provenienti da esponenti clericali di scuola differente, evidenzia
la capacità del Vaticano di giocare la stessa partita
con due squadre differenti. Male che vada si pareggia!
Solo il cattolicesimo...
la sconcertante affermazione (almeno a parere di un
non credente ingenuamente convinto che ogni religione abbia
medesima dignità) che solo nel cattolicesimo sono possibili
la salvezza e la comunione con l'assoluto, così come
affermato da Ratzinger e ratificato da Wojtila nel documento
Dominus Jesus, ribadisce il concetto della "naturale"
supremazia di Roma su ogni altra confessione religiosa. Il tutto
a dispetto di un ecumenismo usato come quinta teatrale per recuperare
posizioni e consensi. Chi crede che la faccenda della moschea
di Lodi sia un fatto isolato avrà purtroppo tempo per
ricredersi;
la plateale e strumentale richiesta di perdono recitata
dal papa di fronte ai riflettori di tutto il mondo per gli "errori"
e i crimini commessi dai suoi predecessori serve a ricordare
che al vicario di dio tutto è lecito. Se si pensa che
Wojtila ha avuto l'impudenza di chiedere scusa per il rogo che
arse Giordano Bruno nel momento stesso in cui invocava il rogo
metaforico per gli omosessuali, si capisce quanto sia superficiale
questo pentimento. Se è facile confessare i peccati di
orgoglio e superbia in vista di una immancabile assoluzione,
è altrettanto facile, e sicuramente più utile,
ripetere gli "errori" del passato in attesa di un
nuovo mea culpa;
la beatificazione di Pio IX, che ha suscitato numerose
critiche anche perché proclamata assieme a quella di
Giovanni XXIII (due modi ben diversi di interpretare il ruolo
del papato) evidenzia una volontà restauratrice incurante
dello spirito dei tempi. Appare chiaro che la curia, a dispetto
di tutto e di tutti, non si è mai rassegnata alla perdita
degli antichi privilegi legati al potere temporale. Meglio sarebbe
stato se il cittadino Mastai avesse bevuto quel bicchiere bonariamente
offertogli dal Carducci! Ce ne avrebbero guadagnato la sua salute
e quella del nostro paese;
il meeting riminese di Comunione e Liberazione, sponda
"laica" dell'ala più integralista di oltretevere,
ha preteso di rimettere in discussione, con encomiabile protervia
reazionaria, un processo storico ormai sedimentato. Basta sfogliare
il catalogo della mostra antirisorgimentale, allestita dai non
più giovani ma pur sempre frenetici militi di CL, per
rendersi conto di come i preti, dal primo cardinale all'ultimo
chierico, siano pronti a far quadrato attorno alla sacra cattedra,
allorché la società civile, anche se fra contraddizioni
e incertezze, riesce a scalfirne privilegi e guarentigie secolari.
Evidentemente combattere la chiesa è un errore che prima
o poi si dovrà pagare, e non c'è alcuna disponibilità
a dimenticare quelli che ancora si considerano come torti subiti;
la capacità di convogliare a Roma, tra mille difficoltà
logistiche e meteorologiche, più di un milione di giovani
ha dimostrato l'impressionante efficacia organizzativa di una
rete parrocchiale estesa nei cinque continenti. Sarebbe un errore
di presunzione liquidare come bigotti estranei alle caratteristiche
della loro generazione queste masse osannanti di giovani: giovani
perfettamente inseriti, invece, nell'ambiente scolastico o di
lavoro e accorsi da Giovanni Paolo II per testimoniare il loro
entusiasmo religioso. Suffragando così il diritto della
chiesa di comportarsi come crede senza curarsi delle eventuali
reazioni perché, come si diceva una volta: hanno le masse!
Si capisce dunque da questo veloce sguardo sull'anno giubilare
che tale sequela di successi è stata ottenuta non solo
coi modi arroganti che conosciamo, ma anche con una indiscutibile
capacità comunicativa affiancata dalla granitica convinzione
della propria presunta superiorità morale, civile e religiosa.
Se con la proclamazione del Giubileo la chiesa si era ripromessa
di misurare la capacità di rappresentare il punto focale
delle istanze individuali e dei fenomeni sociali nel loro complesso,
non si può negare che ci sia riuscita. Di fronte alla
cosiddetta modernizzazione, che tra i suoi postulati prevede
la scristianizzazione della società e l'affermarsi di
una concezione edonistica e materialistica della vita, la chiesa
cattolica, retta da uno straordinario comunicatore, è
riuscita ad arginare, se non addirittura ad arrestare, questo
processo, dimostrando che nulla può essere dato per scontato,
neppure l'ineluttabilità delle dinamiche sociali, e che
un intervento determinato può invertire le linee di tendenza
indicate dai sociologi dando risultati insperati. Questa è
la vera forza della chiesa del 2000! Questa sua capacità
di rimettere in discussione tutti i postulati laici della società
e questa sua consapevolezza di aver reso nuovamente legittima
e credibile la propria funzione pastorale. L'evidente arroganza
e l'apparente insensibilità alle critiche che accompagnano
sempre più spesso le parole del papa nascono dalla orgogliosa
rivendicazione di una lunga stagione di successi. A questo punto,
come se ci svegliassimo da un brutto sogno, non resta che chiederci
come tutto questo sia potuto avvenire. Indubbiamente le cause
possono essere tante ma, a mio parere, due soprattutto meritano
oggi la nostra attenzione. Innanzitutto la imprevista ma non
imprevedibile richiesta di assoluto e di irrazionale che si
sta manifestando in questo mondo super tecnologico. Se qualcuno
aveva sperato che il fenomeno della new age avrebbe potuto indebolire
la capacità di presa della chiesa cattolica, farà
bene a riandare con la mente alle immagini del giubileo dei
giovani. E magari mettersi a piangere.
Sinistra ondivaga e incerta
Come seconda causa penso all'attuale incapacità delle
componenti laiche della società di contrapporre alle
offerte della chiesa un sistema di valori caratterizzato da
una forte valenza etica. Ed è soprattutto la sinistra,
questa sinistra ondivaga ed incerta, che più di altri
si dimostra incapace, oggi a differenza di ieri, di giocare
un ruolo di rilievo. Il crollo del comunismo, inteso non come
il benvenuto crollo di un sistema di potere oppressivo e criminale,
ma come il capolinea di una tensione utopica e di una ipotesi
di cambiamento reale, lungi dal favorire il rinascere di pulsioni
libertarie utili a riprendere in mano un filo spezzato, ha prodotto
il riemergere di nostalgiche spinte reazionarie. Di fronte a
una vera e propria crisi generale di prospettiva, di ipotesi
e di progetti, che caratterizza mestamente la scarna biografia
di una società che pare non avere più ideali ma
solo desideri, la chiesa si fa forte della sua peculiarità
e se ne serve con intelligenza. Pronta a sfruttare la insistente
richiesta di assoluto, promuove con efficacia l'offerta di un
"pacchetto esistenziale" in grado di affrontare tutti
gli aspetti della nostra vita e di dare una risposta alle esigenze
di cambiamento, non più materiali ma spirituali, che
salgono dalla società.
La stampella clericale
Legittimata da questa ritrovata funzione pastorale che le
ha ridato credibilità come istituzione, la chiesa può
così impegnarsi a perseguire il progetto di riappropriarsi
delle funzioni che aveva progressivamente perso, a scapito dell'intervento
pubblico e statale, nei settori assistenziale ed educativo.
L'emergere insistente del concetto di sussidiarietà,
che nelle intenzioni vaticane significa semplicemente la gestione
privata (ma finanziata da tutti) di servizi precedentemente
forniti dalle istituzioni pubbliche, è infatti il punto
finale di una lunga marcia intrapresa in tempi non sospetti
e che ha visto, ad esempio nel progressivo espandersi della
Compagnia delle opere e nell'attivismo della longa manus ciellina,
gli strumenti necessari a riprendere ruoli che sembravano perduti.
Lo stesso federalismo fatto proprio dai cattolici "padani"
non è altro che il grimaldello necessario per restituire
alle curie locali una funzione gestionale finalmente legalizzata.
Paradossalmente c'è voluta la caduta della Democrazia
cristiana, partito ufficiale dei cattolici, perché la
chiesa potesse pienamente riacquisire un ruolo propositivo nella
società. Infatti, mentre in precedenza i cattolici si
annidavano massicciamente solo nella Dc, la diaspora che ha
fatto seguito al suo disfacimento ha comportato che tutti i
partiti, di destra o di sinistra, si ritrovino invasi da esponenti
più disposti ad obbedire al soglio pontificio che non
alle leggi della repubblica. E questo alla faccia di quell'indispensabile
principio di separatezza che, pur con tutti i suoi difetti,
aveva impedito che l'ingerenza clericale nei processi decisionali
del nostro paese fosse totale. E totalitaria. Ma oggi purtroppo
vige la diffusa convinzione che senza la stampella clericale,
che il Vaticano generosamente offre a tutti, nessuno sia più
in grado di camminare, nessuno sia più in grado di elaborare
un progetto politico e sociale autonomo dalla dimensione religiosa.
Come si vede, questo benedetto Giubileo non è stata solo
l'occasione per rimpinguare le insaziabili finanze vaticane,
ma anche la formidabile occasione per sancire definitivamente
la vittoria di un progetto iniziato col pontificato di Wojtila.
Però a mio parere un successo sì,
ma un trionfo no! Perché un trionfo, per essere tale,
comporta la totale sottomissione del "nemico", di
colui che ha cercato cioè di contrastare il trionfatore.
Ma fortunatamente ancora non è così, fortunatamente
riesce ancora a manifestarsi un pensiero altro, un modo di intendere
l'esistenza che non ha bisogno di superstiziosa spiritualità,
di verità rivelate e di certezze assolute: un pensiero
critico, libero, assolutamente indisposto a farsi ingabbiare
sull'onda di una tendenza apparentemente inarrestabile. Ed è
a questo pensiero critico che dedico queste mie altrimenti pessimistiche
considerazioni.
Massimo Ortalli
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