Siamo nel "mitico" nord-est
dell'Italia, l'area geografica che ha avuto il più forte
sviluppo economico del Paese, il Giappone dell'Europa, quella
più votata, ancor prima della caduta del muro, a relazioni
privilegiate con il mercato emergente degli ex paesi dell'est.
Siamo in città e paesi dove non esiste la disoccupazione,
dove vi è una altissima percentuale di proprietà
edilizie, dove non si contano mai le ore che si lavora, dove
"el paron" ha preso il posto del "commenda"
del boom economico.
Ci troviamo di fronte ad una realtà che ha attratto giornalisti,
analisti, sociologi e commentatori vari, da ogni parte del mondo,
dove anche il piccolo artigiano si è abituato a vendere
i suoi prodotti in ogni paese possibile, dove vi è una
grossa concentrazione di investimenti in borsa (tanti e piccoli
ma diffusi), dove non si contano più il numero di sportelli
bancari che hanno preso il posto di bar, negozi, ecc. dai piccoli
paesi di montagna ai capoluoghi di provincia.
In questa parte dell'Italia sono concentrate anche industrie
che segnano fortemente il marketing dell'intero paese, offrono
un'immagine di innovazione e di creatività industriale
unica nel suo genere e che ha fatto scuola nel mondo intero.
Nessuno emigra più in cerca di lavoro e il tessuto economico
si regge soprattutto su un'industrializzazione diffusa e un'agricoltura
ricca e caratterizzata da vere e proprie aree prodotto.
Prevale la religione del lavoro come strumento principe per
l'accumulazione di denaro che a sua volta serve soprattutto
per permettersi tanti "status symbol" che psicologicamente
costituiscono l'affrancamento e l'affermazione di una nuova
identità da esibire nelle occasioni giuste.
Accanto a questa vitalità ed energia economico-imprenditoriale
diffusa assistiamo ad una pigrizia politica delle forze tradizionali
tanto che dal '92 in poi, in modo preponderante e forte, trionfano
formazioni politiche assolutamente nuove sul panorama politico
come la Lega e Forza Italia, che si impongono nella stragrande
maggioranza delle amministrazioni e quando la sinistra tradizionale
vuole cercare di concorrere deve nascondersi dietro liste civiche
o cercare candidati in un'area tradizionalmente non certo progressista.
All'interno della grande industria si assiste ad una rivendicazione
spinta di potere ("contare di più") rispetto
alle sedi tradizionali e alle figure storiche del capitalismo
italiano.
Emblematici in questo senso sono da un lato le scelte politiche
dei Benetton, che inventano uno strumento scientifico di sfruttamento
senza avere alcun contraccolpo ad ogni possibile ristrutturazione
(la produzione nei laboratori gestiti da dipendenti fidati)
e, attraverso specifici accordi sindacali, un'assenza totale
di conflitto interno alle aziende. Accanto a ciò gli
stessi Benetton anticipano la globalizzazione trasferendo sempre
più la produzione in paesi poveri, dove la manodopera
si compra a basso costo, mentre il cervello e il terziario aziendale
vengono lasciati in loco. Dall'altro lato le ultime elezioni
in Confindustria portano alla ribalta nazionale con la vicepresidenza
il presidente degli industriali veneti, Nicola Tognana.
Questi successi locali però trovano fondamento in un
tessuto sociale ed economico che non ha visto seguire a questo
sviluppo un altrettanto successo politico (in termini di rappresentanza)
e soprattutto è evidente l'arretratezza delle infrastrutture
viarie, di servizi, di rete che costituiscono un vero e proprio
limite allo sviluppo economico del locale capitalismo. Intorno
a queste rivendicazioni si è andato formando un blocco
sociale e politico trasversale alle logiche politiche tradizionali
che punta a dare alla propria terra, quindi a se stessi, un
nuovo ruolo all'interno del sistema-paese.
Valori arcaici
Ma accanto a questa realtà ve ne è un'altra
significativamente evidente: l'arretratezza culturale, che si
evince dalla scarsezza di servizi sociali, dal basso numero
di laureati e diplomati (a cosa serve infatti studiare quando
a quattordici anni puoi facilmente trovare lavoro e realizzare
subito i sogni che l'immaginario ti propina e ti fa conquistare),
dal persistere di tradizioni e valori assolutamente arcaici
o peggio in una diffusa delega alle altre istituzioni da parte
degli individui e delle famiglie su tante e vitali questioni.
Significativo a questo proposito l'aumento enorme di problematiche
fino ad oggi marginali come le grosse "fette" di disagio
giovanile, che si manifestano all'interno delle scuole e nelle
varie associazioni, rispetto a difficoltà relazionali,
bullismo, disturbi di comportamento, ansia e depressione, vandalismi,
ecc.
Insomma in parallelo ad uno sviluppo economico accelerato, una
situazione sociale e culturale di estrema povertà, una
caduta di stimoli intellettuali, una ricerca affannosa e in
tempi brevi di successo e potere, un'insoddisfazione esistenziale
sempre più diffusa.
Il lavoro come mito ha preso il posto del lavoro come necessità.
Attenzione però, perché cresce enormemente la
richiesta di coprire i lavori più umili e faticosi con
manodopera importata dai paesi più poveri e marginali.
Insomma coesistono, come in tutte le fasi di accelerata trasformazione,
tendenze e spinte contrastanti che sono di difficile decifrazione
ed interpretazione se non si coglie l'insieme del processo in
atto.
Questa schizofrenia sociale contempla al suo interno punte estreme
di globalizzazione ed estreme rivendicazioni autonomistiche;
disponibilità avanzate di apertura economica con paure
e ansie tipiche di chi si trova a temere la diversità.
In questo quadro così frammentato, disgregato, coesistono
iniziative di imprenditoria culturale (privati e banche che
promuovono la nascita di Università ad esempio; imprese
che reclamano a Roma quote maggiori di manodopera a bassa qualificazione
e forniscono "gratuitamente" i relativi servizi sociali)
con una paura inconscia di tutto ciò che l'industria
del crimine e dello sfruttamento schiavistico porta con sé:
furti, stupri, violenze, prostituzione, droga, ecc.
Globalizzazione e localismo
Ecco che nascono fenomeni significativi come il sindaco di
Treviso, che si fa interprete e portavoce delle insicurezze
di chi è stato abituato a vivere dentro cornici sicure
e ben delimitate, che pesca negli aspetti più vergognosi
dell'animo umano (xenofobia, nazismo, razzismo, difesa di privilegi,
paure inconsce, ecc.) e costruisce una governabilità
a furor di popolo fondata su attenzione agli arredi e al maquillage
di facciata e su "battute" proprie della cultura del
totalitarismo piccolo-borghese (vestire gli extra-comunitari
da leprotti per far esercitare i cacciatori, ripristinare i
carri piombati, ecc.) dando voce esplicita ad una difesa arroccata
e alla conferma di privilegi e sicurezza alle paure del nuovo.
Ecco che sale il mito della giustizia locale e pratica, diretta
e da caccia alle streghe, impersonata proprio dal primo cittadino
che si autoproclama "il sceriffo Gentilini" (anche
la grammatica scorretta fa parte del personaggio popolare),
che dà la caccia personalmente a ladruncoli, toglie le
panchine perché non si possano sedere "i negri",
dota i vigili di manganelli e presto di pistole, dà la
caccia alle puttane e deride e insulta gli omosessuali. Insomma
un vero e proprio clima di irrazionalità, di guerra senza
armi (per il momento), un lavoro continuo ed incessante di agitazione
degli spettri delle paure: di esistere, di essere defraudati,
dei diversi di ogni tipo. La sua popolarità si fonda
quindi sui timori di chi si sente minacciato dalla globalizzazione
e sull'agitare sistematicamente la ricchezza e la purezza del
localismo, del particolarismo, in sostanza dell'egoismo.
Questo sembra dunque essere il famoso nord-est del paese, combattuto
tra due facce della stessa medaglia, globalizzazione e localismo,
dilaniato tra due tendenze che apparentemente sembrano diverse,
ma che in realtà si tengono unite da una comune logica
di dominio.
L'alternativa va costruita quotidianamente esaltando l'altro
aspetto della realtà, quello della solidarietà
diffusa, del volontariato autonomo e silenzioso, dei tanti esempi
di micro-società alternative nei fatti al sistema dominante,
intorno ad un progetto di etica libertaria.
Francesco Codello
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