La schiavitù non è
scomparsa dal mondo; anzi sotto certi aspetti si va ulteriormente
diffondendo. Alle forme tradizionali, ancora largamente diffuse
in paesi come il Sudan e la Mauritania, si aggiungono forme
più "moderne", legate alla globalizzazione
dei mercati e agli inevitabili conflitti che ne derivano. È
sicuramente una forma di schiavitù lo sfruttamento minorile
cosi come l'arruolamento forzato di bambini e ragazzi negli
eserciti e in alcuni movimenti di liberazione (v. Sierra Leone,
Sri Lanka) .Nelle regioni orientali dell'Asia si va sempre più
diffondendo la pratica di ridurre in schiavitù intere
famiglie quando non sono più in grado di pagare i debiti.
Ha suscitato scalpore la recente scoperta di alcuni bambini
lavoratori sempre vissuti all'interno dei locali di una fornace
dove erano stati rinchiusi con i loro genitori. Altro episodio
clamoroso la liberazione avvenuta in Cina di circa centomila
persone precedentemente ridotte in schiavitù.
Ne abbiamo parlato con Joe Buttigieg, maltese, un laico che
in Sudan coordina l'apparato diocesano per la liberazione degli
schiavi e con Chiekh Saad-Bouth Kamara, docente di sociologia
in Mauritania ed esponente del Consiglio dei Fondi delle Nazioni
Unite di lotta contro le forme contemporanee di schiavitù.
G.S.
Sudan
Ormai è un'abitudine
Intervista a Joe Buttgieg
Come è avvenuto il
suo impatto con il problema della schiavitù?
È accaduto casualmente alcuni anni fa, nell'ambito della
mia attività di catechista laico a Khartoum. I ragazzi
al mattino frequentavano la scuola e alcuni si fermavano anche
nel pomeriggio per la catechesi. Un giorno con loro arrivò
un ragazzo fuggitivo che mi raccontò di essere stato
catturato nel sud dagli Arabi cinque anni prima. Era un Dinka,
popolazione tradizionalmente vittima delle razzie degli Arabi.
Per tutto quel tempo era stato sfruttato come schiavo-pastore.
Tre giorni prima aveva ritentato per la seconda volta la fuga
(dopo il suo primo tentativo era stato duramente picchiato)
ed era arrivato in città nascosto a bordo di un camion.
Gli dissi che avrebbe potuto restare in una casa dove solitamente
vengono alloggiati ragazzi orfani e di strada, ma disse che
sarebbe tornato il giorno dopo. Ritornò insieme ad un
suo amico che era fuggito con lui ma che aveva preferito restarsene
nascosto in attesa degli eventi. Questi due ragazzi appresero
poi a leggere, scrivere e impararono un lavoro ed ora sono liberi
e autosufficienti. Questa è stata la mia prima esperienza
diretta della presenza di schiavi in Sudan. Da allora sono passati
alcuni anni e oggi potrei raccontare centinaia di storie così.
Sappiamo che il governo sudanese nega l'esistenza della
schiavitù. Come riuscite a combattere questa piaga che
non viene nemmeno riconosciuta ufficialmente?
Infatti nei rapporti ufficiali e nelle sentenze dei tribunali
si parla sempre di "rapimenti", mai di schiavitù.
Da parte nostra abbiamo costituito un comitato contro la schiavitù
e andiamo direttamente a cercare dove ci sono persone ridotte
in schiavitù
In alcune zone del paese, come nell'ovest, quasi in ogni casa
ci sono almeno uno o due schiavi, generalmente provenienti dal
sud, dove vivono i neri cristiani e animisti.
Quando troviamo degli schiavi, cerchiamo qualche loro parente
e torniamo insieme dalla famiglia che li detiene. Quando qualcuno
riconosce la figlia o il fratello, di solito i padroni hanno
paura (anche se tollerata, la schiavitù è pur
sempre fuorilegge) e li lascia liberi di andarsene. La maggiore
difficoltà consiste nel rintracciare le persone ridotte
in schiavitù. Ormai la pratica schiavista è talmente
entrata nelle consuetudini e nella mentalità del nord
Sudan (gli abitanti del sud vengono abitualmente chiamati "schiavi")
che nessuno si scandalizza, nessuno parla e nessuno denuncia.
E quando il proprietario si rifiuta di liberare lo schiavo?
Lo aiutate a fuggire di nascosto?
Noi operiamo nel rispetto della legalità e, di solito,
quando si arriva da un processo gli schiavi vengono liberati
per ordine della Corte. A volte però le cose si complicano.
Recentemente un padre aveva ritrovato la figlia prigioniera
di un famoso schiavista del nord, un certo Tambrel. Quando è
andato a richiedere la liberazione della ragazza è stato
massacrato di botte e abbandonato legato ad un albero in condizioni
pietose. Allora ci siamo rivolti alla polizia ma intanto Tambrel
se ne era andato portandosi appresso i suoi schiavi. Abbiamo
poi saputo che continua nei suoi traffici, sia con la Libia
che con l'Arabia Saudita. Infatti il commercio degli schiavi
segue ancora le sue "rotte" tradizionali attraverso
il deserto, facendo tappa nelle oasi. Ancora oggi molti prigionieri
muoiono lungo il percorso.
Ovviamente la guerra che si svolge nel sud del paese è
un'altra occasione per catturare schiavi. Cosa può dirci
in proposito?
Potrei parlare di un altro caso recente, a mio avviso molto
significativo. Un generale dell'esercito sudanese è rientrato
dalle operazioni militari contro lo SPLA portandosi appresso
alcuni giovani fatti prigionieri da utilizzare nelle sue fattorie
per il lavoro dei campi. Il padre di due ragazzi ha indagato
a lungo e, quando li ha trovati, ci ha chiesto aiuto. Il processo
era appena iniziato e sembrava svolgersi in modo favorevole
per i due prigionieri, quando il generale si è rivolto
alla corte islamica.
Di fronte a questo tribunale ha sostenuto che era suo diritto
prendere schiavi come bottino perché questo è
consentito dal Corano in caso di Jhiad (guerra santa). Il tribunale
islamico non gli ha dato torto ma poi, temendo di suscitare
altre proteste a livello internazionale, li ha fatti liberare.
Al generale è stato detto testualmente che era meglio
non provocare rimostranze e che poteva sempre tornare nel sud
a prenderne altri.
A qualcuno questo episodio sembrerà inverosimile.
Cosa potrebbe dire agli increduli?
Posso solo dirvi di venire nel Sudan per vedere con i vostri
occhi. Un'ultima cosa. Durante le razzie nel sud, tollerate
dal governo perché comunque creano problemi allo SPLA,
solo i più giovani vengono catturati. I maschi più
grandi vengono uccisi perché potrebbero creare dei problemi.
Gianni Sartori
Mauritania
Ma c'è chi ci guadagna
Intervista a Chiekh Saad-Bouth Kamara
Anche in Mauritania, come
in Sudan, ufficialmente la schiavitù era stata abolita.
Come stanno realmente le cose?
In Mauritania la schiavitù è stata abolita per
ben tre volte. Una prima volta dai francesi, una seconda nel
novembre del 1960 con l'indipendenza e una terza volta con la
legge del 1982. Nonostante questo la schiavitù è
ancora presente. A mio avviso manca una precisa volontà
politica di abolirla definitivamente, di sradicare una mentalità
purtroppo ancora molto diffusa. Per ottenere risultati definitivi
è necessaria una vasta mobilitazione dell'opinione pubblica
mondiale.
In quali forme la piaga della schiavitù sopravvive
in Mauritania?
Prima di tutto nelle forme tradizionali, quelle dell'antichità,
le stesse che erano presenti anche in Europa fino al medioevo.
Sia nelle città che nelle campagne troviamo molte persone
ridotte in schiavitù (e da tutti considerati schiavi
a tutti gli effetti) che lavorano per i loro padroni senza salario
e impossibilitati ad andarsene. Il controllo sulla loro vita
è totale dato che, nella diffusa mentalità tradizionale,
anche "andare in paradiso" dipende dalla volontà
e dalla benevolenza dei padroni.
Fino alla grande siccità del 1973 la schiavitù
era diffusa soprattutto nelle campagne; dopo quell'evento molti
proprietari sono stati costretti a trasferirsi nelle città
portandosi appresso i loro schiavi. Questo ha reso di dominio
pubblico la vastità del problema e, indirettamente, ha
reso possibile la liberazione di molti schiavi.
Quali sono le principali ragioni per cui una persona viene
ridotta in schiavitù?
Per prima cosa la diffusa, estrema povertà per cui molte
persone devono dipendere da un padrone per sopravvivere. Un
altro fattore è la scarsa scolarizzazione, soprattutto
dei soggetti più deboli: le donne, i bambini, gli anziani.
Queste persone vengono impiegate in varie attività: agricoltura,
allevamento, pesca. Nelle città sono utilizzate come
domestici; non vengono pagati e sono privati di ogni più
elementare diritto, oltre che della dignità.
Oltre alle forme tradizionali da lei descritte, esistono
(non solo in Mauritania naturalmente) altre forme "moderne",
contemporanee di schiavitù di cui sono vittime soprattutto
i bambini. Potrebbe parlarcene?
In proposito vorrei ricordare che recentemente un portavoce
del governo ha dichiarato che in Mauritania non esisterebbe
più la schiavitù ma soltanto alcune conseguenze
della schiavitù. Noi rispondiamo che esistono entrambe,
sia le conseguenze della schiavitù tradizionale che nuove
forme di schiavitù.
Penso si possano considerare schiavi tutti quei bambini costretti
ad elemosinare (a volte dai loro stessi genitori) in molti paesi
africani come la Mauritania, il Mali e tutti coloro che nel
terzo mondo sono costretti a lavorare fin dalla più tenera
età..
Oltre ai bambini, sono soprattutto le donne a subire queste
forme di sfruttamento che personalmente non esito ad equiparare
alla schiavitù.
Senza dimenticare naturalmente il gran numero di immigrati clandestini,
di rifugiati, compresi i cosiddetti "sfollati" che
pur restando nel loro paese spesso non sono altro che veri e
propri profughi interni (sia in Africa che in alcuni paesi dell'America
latina; per non parlare dei Kurdi nelle estreme periferie delle
metropoli turche, ndr). Molte volte sono proprio questi ultimi
a rischiare di essere ridotti in schiavitù date le condizioni
di estrema precarietà e miseria in cui vengono a trovarsi.
In che modo ci si può opporre a questa piaga?
Innanzitutto colpendola alle radici, facilmente identificabili:
l'alto grado di alienazione culturale dei popoli che hanno subito
la colonizzazione, la mancanza di volontà politica dei
vari governi e, soprattutto, il fatto che la schiavitù
è una fonte vigorosa di profitti per gli schiavisti.
Mi sembra che attualmente qualcosa stia cambiando, soprattutto
grazie alla mobilitazione internazionale. In questi anni è
stato fondamentale il ruolo di Amnesty International e di alcune
ONG che hanno denunciato pubblicamente il diffondersi di nuove
forme di schiavitù. È sicuramente un fatto positivo,
legato alla mobilitazione internazionale, che quando si riesce
a portare un caso di schiavitù in tribunale, la corte
stabilisca che la vittima deve essere liberata. Purtroppo ci
sono ancora poche associazioni che si mobilitano; se il numero
delle persone impegnate aumentasse adeguatamente, io credo che
in poco tempo la schiavitù potrebbe essere debellata,
almeno in Mauritania. Personalmente ho anche osservato che quando
nelle associazioni per la difesa dei Diritti umani ci sono molte
donne i risultati sono più consistenti. Questo perché
partecipano maggiormente alla sofferenza altrui, sono più
vicine alle vittime e, soprattutto, si fanno corrompere meno.
Un altro fattore decisivo per debellare la schiavitù
è sicuramente l'educazione. Se i figli degli schiavi
vanno a scuola possono impadronirsi degli strumenti culturali
con cui difendersi. Fondamentale deve essere anche il ruolo
degli organismi giuridici internazionali dato che sia il Sudan
che la Mauritania hanno firmato le Convenzioni internazionali
contro la schiavitù. Occorre convincerli, in modo pacifico
ma con molta fermezza, ad applicarle.
Gianni Sartori
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