Carcere: appunti di discussione
"È assolutamente sbagliato imputare alla democrazia
le carenze politiche di uno Stato democratico. Dobbiamo piuttosto
imputare a noi stessi. Dipende da noi migliorare le cose perché
le istituzioni democratiche non possono migliorare se stesse".
Facciamo appello ad una mobilitazione per chiedere integralmente
l'applicazione delle normative vigenti. Crediamo che dovrebbe
essere condannata sia la violenza dei delitti che quella reazione
ai delitti onde evitare la duplicazione della violenza e rendere
il carcere compatibile con i diritti della persona. Nelle carceri
italiane non trovano applicazione i principi che regolano l'ordinamento
giuridico, la costituzione, la naturale finalità della
pena, il rispetto della persona umana, né le norme del
diritto internazionale con la specifica disciplina dei trattati
e delle convenzioni sottoscritti e ratificati dall' Italia per
la prevenzione dei trattamenti inumani o degradanti.
È estremamente pericoloso, per il diritto di un individuo
sottoposto a processo, ogni tipo di legislazione premiale basata
sulla delegazione, senza riscontri oggettivi di quanto dichiarato
da criminali riconosciutosi in cambio della non carcerazione.
Prevedere che per alcuni reati o residui di pena nella misura
del possibile che non rappresentano emergenze particolari, carceri
aperte o semiaperte, pene alternative all'esterno del carcere,
per esempio il lavoro di pubblica utilità e ogni analoga
misura a favorire la risocializzazione, prevedere e aumentare
il ricorso a regimi di semilibertà secondo modalità
che permettono al detenuto sia di conservare un impiego, sia
di mantenere reali contatti familiari.
Le norme per l'esecuzione della pena stabilite dal consiglio
d'Europa siano applicate senza limitazioni in tutti gli istituti
carcerari. Il controllo concreto della Sanità carceraria
alle USL perché solo in questo modo si può garantire
seri e adeguati interventi affetti di AIDS ma anche per casi
di patologie estremamente gravi.
Che nelle carceri sia garantita una tutela efficace contro gli
abusi.
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950 e ratificata e resa esecutiva dal nostro paese con la legge
4 agosto 1955 numero 848 e il Patto Internazionale sui diritti
civili e politici adottata dall'assemblea generale dell'ONU
il 16 dicembre 1966 (legge 25 ottobre 1977 numero 881).
Il principio in base al quale la detenzione deve avvenire nella
maggioranza dei casi in una località più vicina
all'ambiente familiare e sociale d'origine.
Generalizzare le visite di coniugi in prigione, umanizzare le
condizioni di visita dei parenti e dei figli in particolare
attraverso la sistemazione in luoghi adatti all'intimità.
Tutti concordano che la rottura affettiva durante la detenzione
è in netta contraddizione con la funzione di reinserimento
o di riabilitazione della pena.
Promuovere, all'interno del carcere, il lavoro di reinserimento
professionale e a sviluppare, a questo scopo, un insegnamento
e una formazione professionale competitivi e adeguati alla possibilità
del mercato del lavoro.
Elaborare strategie che favoriscano l'impiego degli ex detenuti,
che superino l'ostacolo al reinserimento nel mercato del lavoro
e a prevedere procedure di riabilitazione che dovrebbero essere
automaticamente dopo un certo periodo di tempo.
Base di discussione per preparare un incontro/convegno
nel teatro interno al carcere di Voghera per il mese di gennaio
2001.
Come detenuti E.I.V. di Voghera abbiamo bisogno d'interlocutori
seri, d'uomini e donne della società civile disponibili
a discutere con noi sulle nuove tematiche carcerarie. Abbiamo
scritto moltissimo, e molto ci hanno pubblicato ma risposte
in merito ancora nulla. Ci sentiamo parcheggiati nel limbo,
situazione incerta e indefinibile per mancanza di risposte e
atti concreti, abbiamo incontrato esponenti politici del Consiglio
Regionale Lombardo, grandi discussioni con belle parole di speranza
ma tutte circoscritte nell'ambito di "Cavolo che situazione
di cacca", ma non vogliamo fermarci a questo, vogliamo
continuare il percorso intrapreso per valutare insieme, ma sopratutto
conoscere in concreto le nuove direttive trattamentali e le
sue possibili applicazioni chiedendo in questo caso l'eliminazione
della differenziazione che rende la popolazione detenuta disuguale
nell'espiazione della pena, negli affetti, ma soprattutto "disuguale
davanti alla legge".
Per questi semplici motivi ed altri elencati in seguito stiamo
lavorando alla realizzazione di un incontro convegno dibattito
all'interno del carcere di Voghera; una base di discussione
per avere delle risposte certe da parte di operai politici,
penitenziari, volontari, culturali, per un'armoniosa discussione
per capire meglio la giungla interpretativa dei decreti emanati
da questo governo, e non solo, ma per dare un segno tangibile
della nostra volontà/voglia di partecipazione agli eventi
in atto.
Essendo uomini coscienti, ognuno con la propria storia fatta
sia di tragedie che di privazioni ma con la consapevolezza che
con sincere relazioni si possa intraprendere la strada che porta
ad una migliore valorizzazione dell'essere umano. Capire perché
molti uomini politici di questo stato continuano a concepire
il carcere come istituzione punitivo/repressiva, ed hanno paura
di farsi carico del carcere come luogo comunitario dove convergono
e si accentrano le problematiche sociali come in qualsiasi altra
comunità, e come comunità sociale non deve essere
lasciata alla deriva, ma intervenire in modo razionale e cosciente
per superare quelle barriere etiche/ideologiche che hanno e
che continuano a caratterizzare questi non/luoghi. Definire
gli spazi di detenzione solamente in rapporto pena/espiazione
vorrebbe dire relegare uomini e donne all'oblio, all'ozio, alla
negazione della creatività ma soprattutto alla negazione
di farsi una coscienza critica.
Il nostro ordinamento specifica concretamente che bisogna mettere
a disposizione tutti gli strumenti possibili, ma soprattutto
creare condizioni favorevoli per il reinserimento del condannato,
e quello che interessa più di tutto è capire quali
sono gli strumenti, se ci sono possibilità di iniziare
un dialogo e definire, sempre nel limite del possibile, gli
strumenti adottabili per potersi inserire in quel percorso rieducativo
sancito da tutti i nostri ordinamenti. Ma la cosa che non è
molto chiara è il perché delle limitazioni sottoposte
ai detenuti sotto regime E.I.V., limitazioni che, di fatto,
sanciscono la non usufruibilità del trattamento rieducativo
(o perlomeno approssimativo) e la non partecipazione alle attività
ricreative culturali finalizzate alla realizzazione della personalità.
Noi detenuti il più delle volte abbiamo le mani legate,
i nostri movimenti sono lenti e goffi, in compenso abbiamo una
gran voglia di parlare, di esprimerci, di instaurare relazioni
che ci permettano di uscire fuori da una condizione di abulia
che per cause di forza maggiore ci vuole costretti.
Il perché di quest'idea di incontrare uomini e donne
che interagiscono con il carcere, ci viene dal fatto che attraverso
le agitazioni degli ultimi mesi nella stragrande maggioranza
delle carceri italiane, si è riuscito ad imporre alla
società civile un problema che non si sa per quali motivi
venne rimosso e assoggettato allo "stato" solo come
problema risolvibile attraverso repressione ed emergenza e cioè
la "comunità carcere".
Se non si tiene conto che il carcere è una parte
fondamentale dell'insieme societario al pari di qualsiasi altra
aggregazione sociale culturale, se non se tiene conto
che il carcere è l'insieme della conflittualità
che convive nella nostra società, se non si tiene
conto del carcere come momento alto di confronto politico/democratico,
se non si tiene conto di queste tematiche reali, allora
significa che il "classismo" è realmente
parte integrante di una nuova governabilità istituzionale.
Ma pensarla in questo modo significa la non accettazione a priori
di qualsiasi confronto, invece noi non vogliamo pensarla così,
vogliamo sì porre questi quesiti, ma porli come momento
d'interazione/discussione a quelle progettualità nate
e chieste dalla società civile; perché la società
civile questo dilemma se l'è già posto. Noi come
uomini detenuti, coscienti dell'evoluzione in atto, non possiamo
mettere in discussione ciò che viene dall'esterno, non
possiamo rimanere impassibili alle proposte che permetteranno
miglioramenti all'interno della vita carceraria.
Le nostre riflessioni nascono dal profondo dell'anima, nascono
attraverso una presa di coscienza determinata anche da una lunga
carcerazione alle spalle, la voglia di vedere sotto altri aspetti
ciò che è il fluire della vita quotidiana, utilizzando
il tempo per vedere crescere e non per essere abbandonati alla
nostre angosce e persecuzioni, cercare nell'inutilità
del tempo imposto gli spazi per il tempo della creatività
della vita. Instaurare relazioni produttive fa parte di quel
percorso risocializzatore tanto decantato, anche perché
sancito, da quella parte della società che in un modo
o nell'altro si sente investita per un reale cambiamento, che
è portatrice di quei valori cui si basa la società
tutta. Valori che non si possono tirare fuori da un cilindro
o a secondo della situazione o della convenienza, ma valori
che sono innati, che rendono uomini consapevoli del fatto che
per cambiare in meglio questo nostro vivere quotidiano bisogna
partire da se stessi, bisogna mettersi in gioco, accettando
sfide che sulla carta potrebbero risultare perdenti, ma che
nella propria coscienza, e per la propria coscienza, diventano
momenti di grande liberazione. Abbiamo parlato dell'idea che
c'è venuta in mente, del desiderio di poterci confrontare
espletando le nostre convinzioni e i nostri desideri, non solo
con quelle persone che per ragion di pensiero non vedono di
buon occhio un eventuale cambiamento, ma con quegli uomini/donne
che per vedere cambiare questo stato di cose ne hanno fatto
una ragione di vita. L'idea di poter riunire nel centro di una
platea persone così differenti fa nascere in noi che
il concetto uniti nella diversità che quotidianamente
viviamo all'interno del carcere (che vorremo che diventasse
azione concreta anche fuori da queste mura) è la convinzione
che un reale dibattito possa produrre quelle energie positive
che ci permettano di uscire dall'oblio, dall'abbandono a cui
siamo costretti ma che non vogliamo legarci. Un'idea così
forte, facile da consumarsi all'esterno delle mura, ma con un
grande impatto emotivo perché finalmente un non/luogo
diventa spazio aperto, fruibile, socialmente e culturalmente
utile alla comunità e al territorio.
Noi qui ci permettiamo di riformulare la proposta Cusani-Segio:
"Istituire anche in Italia (come in Francia) una Commissione
d'inchiesta sulle carceri, costituita da politici, ma anche
da tecnici nelle varie discipline e competenze, nonché
rappresentanti delle associazioni di volontariato, coinvolgendo
reclusi e operatori, (questo costituirebbe una importante innovazione).
Una commissione con mandato a termine ed effettivi poteri. Sarebbe
un contributo al Parlamento affinché conosca per davvero
quali sono i problemi, quali le possibili soluzioni [...]".
Dicono bene Segio e Cusani quando affermano che in questi mesi
abbiamo assistito ad un dialogo tra sordi o al gioco delle tre
scimmiette, dice bene la parlamentare Scopelliti quando afferma
l'irresponsabilità delle parti politiche nel non
cercare soluzioni, e la grande responsabilità
dei contenuti in agitazione, cercando con la non violenza un
dialogo per risolvere i problemi che affliggono la vita carceraria.
A questo punto vorremmo chiarezza, e uno dei modi per cercarla,
per capire se veramente questi luoghi si possono rendere trasparenti
è incontrarci di persona, è parlarci, dialogare,
capirci. Siamo consapevoli delle difficoltà che s'incontreranno
durante il percorso, ma perlomeno vogliamo provarci. Le fantasie
e le idee non ci mancano.
Andrea Perrone
Carmelo Musumeci
(Carcere di Voghera)
Ricordando Luciano Bergonzini
Apprendo con forte ritardo della morte di Luciano Bergonzini,
avvenuta a ottanta anni di età l'8 luglio 2000 in una
clinica di Bologna, la sua città. La notizia mi colpisce
e mi rattrista. Anche se non posso dire di averlo conosciuto
bene, di Bergonzini apprezzavo l'impegno in campo storiografico
e la coerenza.
Era nato nel 1920 e in gioventù aveva preso parte alla
Resistenza, combattendo nelle file della 36esima Brigata Garibaldi,
attiva nell'Appennino emiliano-romagnolo, nella quale aveva
assunto incarichi di comando. Proprio nel periodo della Resistenza
aveva iniziato a fare il giornalista, redigendo il giornale
della Brigata (il suo nome di battaglia di partigiano era Stampa).
Dopo la guerra aveva lavorato al Progresso D'Italia con
Giorgio Fanti e nel 1945-46 alla rivista Tempi nuovi
diretta da Paolo Fortunati, tutti del Gruppo di intellettuali
Antonio Labriola. Anche in anni più recenti aveva collaborato
ad alcuni giornali, in particolare la rivista Bologna Incontri.
Assistente di Fortunati all'Università di Bologna dall'immediato
secondo dopoguerra, era poi diventato professore ordinario di
Statistica sociale, mantenendo tale incarico fino all'età
della pensione. Militante del PCI e poi del PDS, negli anni
'50 era stato membro della segreteria bolognese del suo partito
e Assessore provinciale.
Più ancora che per la sua attività accademica,
peraltro apprezzata, il suo nome era diventato piuttosto noto
come storico della Resistenza. Aveva iniziato l'attività
di scrittore con un romanzo di ambientazione resistenziale.
Tra il 1967 e il 1980 apparve la sua opera più impegnativa,
La Resistenza a Bologna , in cinque volumi (alcuni dei
quali in collaborazione con Luigi Arbizzani). Va segnalato che
tra le tante testimonianze di antifascisti e resistenti che
compaiono nel primo volume ci sono anche quelle di alcuni anarchici,
in particolare Primo Bassi, Armando Borghi, Augusto Masetti,
Guglielmo Benati, Lorenzo Roda. Tra gli altri numerosi volumi
e saggi pubblicati nel corso degli anni, senza la pretesa di
essere esaustivi, si possono citare: Quelli che non si arresero
(Roma, 1957); Un fucile per Saba (Bologna, 1965); Politica
ed economia a Bologna nei venti mesi dell'occupazione nazista
(Bologna, 1969); La lotta armata, vol. I de L'Emilia-Romagna
nella guerra di liberazione (Bari, 1975); La Resistenza
in Emilia-Romagna: rassegna di saggi storico-critici (Bologna,
1976); Bologna 1943-1945 (Bologna, 1980); La svastica
a Bologna. Settembre 1943-aprile 1945 (Bologna, 1998).
Nel 1991 apparve il libro Lo schiaffo a Toscanini, pubblicato
dalla casa editrice Il Mulino, a cui è legata la mia
conoscenza con Bergonzini. Già all'epoca in cui raccoglieva
le testimonianze per il primo volume della citata La Resistenza
a Bologna, Bergonzini era entrato in corrispondenza con
Armando Borghi. Il vecchio anarchico gli aveva proposto di collaborare
insieme nella stesura di un libro sul caso Toscanini, per il
quale stava raccogliendo un'ampia documentazione, grazie anche
all'aiuto dell'amico Walter Toscanini, il figlio del Maestro.
(Per inciso, mi risulta che negli stessi anni o in tempi poco
diversi il vecchio Borghi facesse la stessa proposta a Vittorio
Emiliani e a Gianni Furlotti, e non posso escludere che anche
qualcun altro se la sia sentita rivolgere). Morto Borghi nel
1968, il progetto era stato lasciato cadere, e nessuno dei potenziali
collaboratori aveva saputo che fine avesse fatto la documentazione
raccolta. A distanza di diversi anni Bergonzini venne a conoscenza
che il materiale si trovava nell'Archivio Armando Borghi di
Castel Bolognese, di cui mi occupavo io, e mi venne a cercare
(i documenti mi erano stati donati generosamente da Pier Carlo
Masini, e ignoro come egli ne fosse entrato in possesso). Iniziò
così la frequentazione dell'Archivio Borghi da parte
di Bergonzini, e anche il nostro rapporto.
Quando apparve il libro su Toscanini, l'autore nell'introduzione
riconobbe l'importanza delle fonti contenute nel nostro Archivio
per la sua ricerca. In occasione della pubblicazione del volume,
che cadeva nel sessantesimo anniversario del famoso schiaffo
al Maestro, Bergonzini riuscì a coinvolgere numerosi
studiosi e istituzioni e si fece promotore di un interessante
Convegno di studi (di cui uscirono successivamente gli Atti)
e addirittura di un Concerto al Teatro Comunale di Bologna,
diretto dal Maestro Riccardo Chailly, con l'esecuzione integrale
del programma del Concerto che Toscanini avrebbe dovuto dirigere
nel 1931 e che non poté avere luogo in conseguenza del
gesto oltraggioso. (Come è noto, Toscanini a Bologna
si rifiutò di aprire il Concerto con l'esecuzione della
Marcia Reale e di Giovinezza, e un fascista lo
schiaffeggiò provocando la reazione del Maestro che abbandonò
la città e decise di non salire più sul podio
di teatri italiani fino alla caduta del fascismo e della monarchia.
Negli anni successivi, abbandonato il nostro paese, fu uno dei
più decisi e fieri oppositori del regime fascista nuocendo
notevolmente alla sua immagine di fronte all'opinione pubblica
internazionale, presso la quale il Maestro godeva di grande
prestigio). In tale circostanza feci a Bergonzini una intervista,
che fu pubblicata su A rivista anarchica n. 184 di agosto-settembre
1991. Va rilevato che Bergonzini aveva anticipato alcuni dei
temi del libro nella sua relazione dal titolo Borghi e Toscanini,
presentata al Convegno di studi su Armando Borghi tenutosi a
Castel Bolognese il 17 e 18 dicembre 1988, i cui Atti sono apparsi
sul Bollettino del Museo del Risorgimento di Bologna (a. XXX,
1990).
Negli anni successivi i rapporti tra me e Bergonzini si erano
diradati, anche se non si erano interrotti del tutto. Aveva
apprezzato la rivista, che aveva conosciuto in occasione dell'intervista,
e per qualche tempo si era abbonato. In seguito, parlando con
una comune amica, non aveva nascosto di sentire una certa attrazione
per l'anarchismo, forse anche per reazione alla crisi generale
di valori che aveva colpito la sinistra istituzionale. In maniera
abbastanza sorprendente aveva però aggiunto che l'ostacolo
principale a una sua piena adesione all'anarchismo era rappresentato
dall'atteggiamento nei confronti della religione.
La sua morte è capitata in un periodo in cui mi trovavo
all'estero, ed è questa la ragione principale per la
quale ne sono venuto a conoscenza solo per caso da poco tempo.
Forse però mi sarebbe sfuggita lo stesso, dato lo scarso
rilievo che i giornali hanno dato alla notizia. Sono andato
a consultare le raccolte di alcuni tra i principali quotidiani,
e ho trovato solo un asciutto articolo sul Resto del Carlino
e un altro poco più ampio sulle pagine di Bologna della
Repubblica (che vengono distribuite solo in Emilia-Romagna).
Può sembrare incredibile, ma sul giornale del partito
in cui ha militato per tutta la vita e a cui ha dato tanto,
non è comparso neppure un trafiletto a cura della redazione.
I lettori dell'Unità hanno appreso della sua morte
da due scarni necrologi, presumo a pagamento, a cura della famiglia
e della Segreteria bolognese dei DS. Pochi giorni dopo, del
resto, l'Unità interrompeva le pubblicazioni,
considerata ormai solo un peso e un aggravio economico da autorevoli
dirigenti del partito di riferimento. Che sia una rivista anarchica
a dovere oggi ricordare, quasi da sola, il partigiano e lo storico
della Resistenza Bergonzini, l'intellettuale e il militante
mai pentito di essersi schierato dalla parte del movimento operaio,
mi sembra un segno dei tempi sul quale meriterebbe riflettere.
Gianpiero Landi
La marcia mondiale delle donne
5000 gruppi di donne di 157 paesi hanno partecipato alla Marcia
mondiale contro la povertà e le violenze. La marcia è
stata lanciata l'8 marzo di quest'anno ed ha visto molte iniziative
in tanti paesi del mondo. La tappa italiana, a Roma, il 30 settembre,
ha visto un migliaio di donne di gruppi e associazioni italiane
e di immigrate. Purtroppo la tappa è stata organizzata
con una sfilata al mattino (dalle dieci in poi) perché
poi il pomeriggio le donne di Rifondazione avevano l'iniziativa
contro la povertà fatta dal loro partito. A Bruxelles,
il 16 ottobre, assente Prodi che ha mandato a riceverle la commissaria
Diamantopolou, le donne delegate (hanno sfilato circa 40mila
donne ma non lo sapeva nessuno) hanno consegnato le richieste
preparate dalle donne europee.
A New York si è svolta la conferenza "Pechino +
5", presso l'Onu, per ridiscutere la piattaforma che era
stata stesa dalla conferenza mondiale sulla condizione femminile
di Pechino (1995). Anche in questa occasione, come a Pechino,
si sono attivate le donne delegate dai loro Paesi ma anche le
delegate delle associazioni non governative. Si calcola che
siano arrivate a New York oltre diecimila donne. Sulla discussione
per ridefinire l'attuazione di norme contro la violenza intra-familiare
sulle donne, si sono schierati a difesa di "valori tradizionali"
i seguenti Paesi: Vaticano, Pakistan, Libia, Algeria, Nicaragua,
Polonia e Kenya. Il che la dice lunga sulla politica vaticana
nel mondo, su questo argomento così come sull'ostacolare
l'applicazione delle risoluzioni in materia di pianificazione
famigliare, diritto all'aborto, e prevenzione dell'Aids. Ricordiamo
di nuovo a questo proposito i Paesi che in sede di discussione
(Aia, 1999) si sono schierati contro l'attuazione dei provvedimenti
per la prevenzione dell'Aids e la salute riproduttiva nei paesi
più poveri: Vaticano, Nicaragua, Guatemala, Malta, Argentina,
e 11 paesi islamici. Ricordiamo anche che nel mondo, secondo
l'ultimo rapporto Unicef, 14 milioni di donne sono diventate
sieropositive per contagio coniugale, e che in alcuni paesi
africani si applica la credenza che un rapporto con una vergine
purifichi dall'Aids.
(Per i dati sulla situazione delle donne nelle famiglie si può
consultare l'ultimo rapporto Unicef su internet. Per notizie
sulla Conferenza mondiale si può consultare Unifem, o
www.womenews.net coi suoi link).
Francesca "Dada" Knorr
Testi consultati e consigliati:
Sull'etica:
-Virginia Held, Feminist Morality: Transforming Culture,
Society and Politics, 1993, The University of Chicago Press.
(Etica Femminista, Feltrinelli, Torino, 1997).
-Sarah Lucia Hoagland, Lesbian Ethics: Toward New Value,
ILS, Palo Alto, California, 1988 (Etica Lesbica. Verso nuovi
valori. Antelitteram, Fano, tiratura limitata, 2000).
Circa i pregiudizi eterosessuali sul lesbismo:
-Rosanna Fiocchetto, Quattro luoghi comuni, in Squaderno
1, 1989, Estro editrice (chiedere a Cli, via S. Francesco di
Sales 1b, 00165 Roma).
Sulla donna globalizzata:
-Slavenka Drakulic, Come siamo sopravvissute al comunismo
riuscendo persino a ridere, Il Saggiatore, Milano 1994.
Sul pensiero antimilitarista di Marina Padovese:
-Donne contro la guerra, Germinal 80, Trieste 1999.
-Fuori la guerra dalla storia, introduzione a Donne
contro la guerra. Interventi e testimonianze dall'ex Jugoslavia
a cura di M. Padovese e Salvo Vaccaro, Edizioni La Zisa, Palermo
1996.
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