Chissà cosa avrà pensato
il papa, sabato quattro novembre (giorno oltretutto
del Suo onomastico) nel trovarsi di fronte a una folla di tre-quattromila
parlamentari e uomini di governo, provenienti dal mondo intero
e ansiosi di festeggiare, alla Sua augusta presenza, il "Giubileo
del politico". Avrà pensato, probabilmente, che
non se ne poteva più e che anche se l'anno santo finora
aveva rappresentato - a detta di tutti - un grande successo,
nonché il degno coronamento del Suo pontificato, era
una bella fortuna che stesse volgendo alla fine e che di categorie
socioprofessionali da ricevere, laudato Deo, ne restassero
soltanto tre o quattro. Si sarà chiesto, anche, che cos'altro
gli sarebbe toccato nella prossime settimane, visto che per
il Giubileo degli sportivi era stato costretto a sorbirsi una
noiosissima (finta) partita di calcio e per quello dei politici
a presenziare, sia pur solo in parte, a una altrettanto noiosa
(e altrettanto finta) assemblea parlamentare. La prossima volta
sarebbe toccato, salvo errore, alle forze di polizia, il che
comportava l'inquietante possibilità di doversi sorbire,
per motivi di protocollo, chissà quale altra sceneggiata:
un falso scontro a fuoco, per esempio, o una finta perquisizione
o un arresto simulato. Magari, per amor di realismo, quello
del Cardinale Giordano.
Ma forse i Suoi pensieri saranno stati di un tono più
alto e più compiaciuto. Avrà riflettuto, da uomo
di cultura qual è, sul fatto che quell'incontro, in definitiva,
poneva fine, ancorché nessuno avesse sentito il bisogno
di farlo notare, a una lunga, lunghissima disputa, quella della
Chiesa contro il sistema rappresentativo parlamentare, e che
il bilancio - tutto sommato - non poteva considerarsi negativo
per l'organizzazione alla cui testa era stato posto dallo Spirito
Santo. Un tempo la Chiesa, in quanto incarnazione storica del
principio di gerarchia, disprezzava e temeva il parlamentarismo,
che, d'altronde, era nato e si sviluppava in dichiarata opposizione
ai suoi principi e ai suoi interessi. I teorici dell'assolutismo
clericale, i Bossuet, i Lemaistre, i padre Gemelli, avevano
bollato a lettere di fuoco le teorie di chi voleva che l'autorità
promanasse dal basso e risedesse, in ultima analisi, in quel
"popolo" che l'episcopato considerava da sempre un
soggetto passivo di indottrinamento, incapace di acquisire valori
che non gli fossero proposti da un'Autorità debitamente
accreditata. Ancora ai tempi di Pio XI, che non ha regnato nel
Medioevo remoto, ma settant'anni fa, non mancavano i teorici
che, per giustificare la firma di un Concordato con Mussolini,
spiegavano con tono di sufficienza come la Chiesa non potesse
non preferire, per sua natura, di addivenire a un accordo con
quei governi che non avessero il bisogno di affrontare i rischi
di una ratifica parlamentare.
Il bacio della pantofola
Oggi, certo, questa polemica non ha ragione di essere. I rappresentanti
del popolo giunti dai quattro angoli del mondo si sono affollati
al bacio della Divina Pantofola e non hanno mostrato in alcun
modo di avere una qualche considerazione dell'autonomia del
loro ruolo e dell'impegno che laicamente li avrebbe dovuto legare
ai propri elettori. Erano lì, ansiosi come cagnolini
quando il padrone distribuisce i biscotti, intenti a concentrare
quante più banalità potessero nei tre minuti che
il programma gli concedeva e a sorbirsi, in cambio, le solite
prediche pontificie sui diritti umani, che sono una gran bella
cosa, ma non vanno intesi in senso individualistico (e chissà
in quale senso, allora, dovrebbero essere intesi, visto che
gli individui, in definitiva, ne sono i soggetti) e a prendere
buona nota delle raccomandazioni con cui li si esortava a vietare
a tutti per legge quei comportamenti che la Chiesa, in base
ai propri principi, considera disdicevoli. Assentivano compunti
quando il pontefice li esortava a rispettare il diritto alla
vita (nel senso di rendere impossibile l'aborto e di ostacolare
ogni possibile forma di contraccezione) e il ruolo naturale
della famiglia (che significa meno divorzio e, soprattutto,
niente legalizzazione delle coppie di fatto, omo o etero che
siano). Si compiacevano, pensando ai titoli dei giornali del
giorno dopo, agli inviti alla clemenza verso i carcerati e all'ospitalità
verso i reietti, anche se il loro programma elettorale si fondava,
più o meno larvatamente, sull'idea di sbattere in galera
tutti gli extracomunitari e di tenerceli quanto più a
lungo possibile.
Sia che parlassero a nome del Comitato di Accoglienza, come
Andreotti, del Comitato dell'Anno Santo, come Rutelli, dell'Internazionale
Democristiana come Casini o dell'Internazionale Socialista come
Veltroni, non sentivano in nessun modo il bisogno di distinguere
l'autorevolezza che è sempre opportuno riconoscere a
un pontefice dall'Autorità che costui concretamente rivendicava
al di fuori di quelle garanzie democratiche alla cui difesa
avrebbero dovuto essere istituzionalmente tenuti. Partecipavano
a una finzione, perché era ovvio che quella loro assemblea
non poteva far altro che simulare la logica delle assise parlamentari,
ma lo facevano con tanto convincimento da giustificare la perplessità
di chi si chiedeva se anche nei rispettivi Parlamenti il dibattito
fosse tanto predefinito e le conclusioni tanto scontate. Di
un parlamentarismo del genere, che non può rappresentare
altro che se stesso, non c'è Autorità che debba
o possa avere paura.
Perché se il parlamentarismo non serve a limitare, in
nome della Rappresentanza, i poteri dell'Autorità, a
cosa credete che possa servire?
Carlo Oliva
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