Ricordando Horst Fantazzini
Avevo sperato di conoscerlo, finalmente, il giorno in cui a
Bologna uscì Ormai è fatta, il film tratto dal suo libro autobiografico.
Ma ancora una volta, lennesima, per Horst Fantazzini non si
volle concedere ciò che per altri sarebbe stato normale: neppure
quel paio dore pomeridiane da trascorrere in una sala cinematografica,
godendosi almeno una soddisfazione in unintera vita agra.
Enzo Monteleone decise di girarlo dopo aver trovato il libro
per caso (ma esiste il caso?) su una bancarella dellusato
o dellinvenduto... E lui, come anche Stefano Accorsi, aveva
conosciuto Horst andando a trovarlo in carcere per discutere
dei mille dettagli del film in progettazione, e me ne parlò
come di un uomo di profonda dolcezza e istintiva simpatia, con
cui si era instaurata una collaborazione immediata, schietta,
amichevole.
Io, invece, Ormai è fatta lavevo letto praticamente appena
era stato pubblicato, e anche qui per i casi della vita (sempre
pensando che forse il caso non esiste), lo leggevo nello stesso
periodo in cui conoscevo suo padre Libero, quando mi trasferii
a Bologna e presi a frequentare il Cassero di Porta Santo Stefano,
dove il vecchio Fantazzini era una presenza costante assieme
alla compagna Maria, coppia che ai miei occhi di ventenne ancora
colmo di entusiastici propositi, appariva a dir poco leggendaria...
Ricordo però che Libero non parlava volentieri di Horst, e quando
lo faceva camuffava lamarezza e la malinconia con qualche frase
un po burbera, lui che era sempre così bonario e disponibile
con chiunque e in qualunque situazione... Horst, ai suoi occhi
di ottantenne che aveva afferrato la vita per le corna senza
rassegnarsi a nessun destino che non fosse quello da lui scelto,
faticava non poco ad accettare il destino di un figlio finito
sulle prime pagine come rapinatore gentile quanto scalognato,
e sicuramente al vecchio partigiano, al combattente anarchico
che andava fiero del proprio passato e lottava contro un presente
saccheggiato dai cialtroni di sempre, bruciava troppo quel tono
patetico con cui certa stampa dipingeva il figlio a cui non
ne andava bene una, e che continuava a tentare evasioni impossibili
ottenendo soltanto un accanimento feroce e ottuso, comunque
spietato e violento come Horst non era e non sarebbe mai stato.
Da vecchio padre, poi, chissà che strette al cuore ogni volta
che vedeva quella copertina di Ormai è fatta, con Horst crivellato
di pallottole e coperto di sangue dopo la fallita fuga da Fossano...
Luscita del film fu loccasione per una iniziativa di solidarietà
alluomo divenuto lemblema di un caso giudiziario abnorme e
abominevole: persino i pluriomicidi non trascorrono più di trentanni
in carcere, e quella sera Stefano Accorsi, che ha interpretato
il giovane Horst, e Francesco Guccini, nel fugace ruolo del
padre Libero, parteciparono non come attori del film ma come
cittadini indignati contro quellaccanimento di una giustizia
ingiusta. Ma, come si leggeva nel retro di copertina del suo
racconto autobiografico, la domanda è se una società ingiusta
può emettere condanne giuste...
Alla fine (e non immaginavo fossimo così vicini alla fine
di questa storia), Horst lho potuto abbracciare soltanto pochi
mesi fa, quando aveva ottenuto la semicarcerazione (perché passare
la notte in galera non è semilibertà, la libertà o è tale
o non è, non ci sono modi per spezzettarla e frammentarla),
e in poche ore mi ha confermato ciò che già immaginavo: avevo
di fronte un uomo che era riuscito straordinariamente a mantenere
intatta la dolcezza danimo, malgrado trentaquattro anni di
prigionia, di sogni calpestati, di folli imprese al limite del
suicidio, di rivolte disarmate e pestaggi vigliacchi, di mille
ingiustizie enormi o piccolissime, ma non per questo meno brucianti,
compresa quella che gli aveva impedito di vedere il suo film,
fosse stato anche con gli schiavettoni ai polsi e due guardie
ai lati...
Quando è tornato dentro per lultima mancata impresa
sgangherata, con lumiliazione di apparire più patetica che
criminosa, la categoria di cinici e superficiali che vanno comunemente
sotto la definizione di benpensanti hanno malpensato: Visto?
Era e resta irrecuperabile.... Ma chi potrebbe mai giudicare
il gesto di un uomo che ha subìto trentaquattro anni di non-vita
senza aver mai tolto la vita a nessuno?
E adesso che il cuore di Horst si è fermato, penso che i cuori
dei ribelli, chissà, forse continuano a battere nei cuori degli
altri ribelli che restano e dei ribelli che verranno... Perché
nessuno muore mai del tutto finché cè qualcuno che lo ricorda,
finché resta viva la memoria di quei battiti affidati magari
a un libro, a un film, ma soprattutto a quel sorriso dolce e
un po venato damarezza, il sorriso di chi non si rassegna
e sogna ancora, malgrado tutto, malgrado il mondo che ci ritroviamo
attorno...
Pino Cacucci
Per
Horst
ormai
è fatta, davvero...
per tutta la libertà che ti hanno negato
per quella che non siamo riusciti a darti
per quella che non hai riconosciuto....
senza rimorsi e rimpianti.....
il mio cuore
vola alto come un falco quando ti penso...
Valeria Vecchi
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La violenza è lessenza dello stato
Uno dei modi di presentare le dimensioni di ciò
che è accaduto in Argentina tra 18 e 20 dicembre è di offrire
alcuni dati sulla repressione: secondo le informazioni fornite
dalla stampa, sono state uccise 29 persone, anche se potrebbero
esserne di più; giovedì, soltanto nella zona di Plaza de Mayo,
nel centro di Buenos Aires, 7 persone sono state assassinate.
Ci sono stati centinaia di feriti e migliaia di detenuti
solo in Buenos Aires più di mille. Alcuni dei detenuti sono
stati torturati nei posti di polizia e dentro le unità mobili.
Sonno anche circolate voci sul funzionamento di centri clandestini
di detenzione e sullesistenza di desaparecidos, ma queste non
sono state convalidate.
In alcuni posti di polizia, i poliziotti hanno rifiutato le
domande di habeas corpus presentate per conto dei detenuti,
affermando che questi ultimi non cerano. Ogni tipo di strumento
è stato usato per sopprimere quelli che hanno preso parte della
lotta popolare contro la repressione.
Sebbene la linea ufficiale sia stata quella di non riconoscere
le vittime, i morti ci sono, unulteriore prova che la violenza
è lessenza dello stato. Sebbene il governo abbia negato che
le forze di repressione abbiano usato armi da fuoco, i morti
ci sono, coi loro corpi perforati nella schiena e nella testa
da pallottole di piombo. Uomini, donne e bambini investiti dai
cavalli della polizia montata, teste e corpi gonfiati dalle
botte. Corpi irritati come conseguenza dei gas lacrimogeni e
di vomito. Gelidamente, come ai tempi della dittatura, il governo
ha ammesso solamente che alcuni eccessi sono stati commessi.
Un altro modo di presentare ciò che è accaduto, almeno nella
città di Buenos Aires, è parlare del danno recato al distretto
finanziario, i circa 60 isolati dove sono concentrati il capitale
finanziario e le imprese internazionali. Là tutto era distruzione,
vetri rotti, rottami, incendi. Ciò che è cominciato come centinaia
di atti di iconoclastia anti-capitalista si è presto trasformato
nella distruzione estesa, in cui le migliaia di persone che
avevano preso possesso delle strade hanno dato sfogo alla loro
ira.
Comè cominciato tutto questo? Non entreremo qua nelle cause
più profonde, visto che questo ci porterebbe indietro di varie
decadi nel tempo; ci limiteremo ai fatti immediati che hanno
acceso la miccia. Il 3 dicembre il governo nazionale ha decretato
la bancarizzazione delleconomia [obbligando i pagamenti per
mezzo di conti bancari], ha bloccato la liberazione dei depositi
a termine fisso, il quale ha punito soprattutto gli investitori
piccoli, per tentare di compiere coi requisiti della politica
di zero deficit della Fmi e di prevenire la continuazione della
fuga del capitale. Questo ha paralizzato leconomia nazionale,
costituendo un colpo di grazia per i liberi professionisti ed
i piccoli commercianti, per non parlare dei settori più emarginati.
Il punto debollizione sociale stava solamente a distanza di
giorni.
I primi saccheggi hanno luogo martedì 18 a Cordoba e Entre Rios;
la mattina di mercoledì si estendono alla cintura urbana che
circonda Buenos Aires e alle altre città del paese. La psicosi
si sparge come una piaga per tutta lArgentina. Aumentano le
voci che orde di predatori identificati convenientemente come
piqueteros [il nome dato ai contestatori che construiscono
barricate sulle strade e sui ponti per interrompere le attività
economiche] stanno devastando i quartieri. Lo scopo è quello
di destabilizzare il governo e allo stesso tempo di mettere
poveri contro poveri, di deviare la lotta di settori popolari
per costruire una società nuova. La destra e i peronisti optano
per la guerra psicologica per spianarsi la via verso il potere.
Il governo nazionale risponde alla crisi profonda sociale dichiarando
lo stato di assedio con una durata di 30 giorni. Ancora una
volta le rivendicazioni popolari vengono criminalizzate e represse
con forza. La delibera presidenziale si annuncia formalmente
mercoledì alle 23 circa. Immediatamente migliaia di persone
escono nelle strade, costituendo uno dei più grandi atti di
disubbidienza civile visti dal ritorno della democrazia rappresentativa.
Il suono di centinaia di migliaia di casseruole battute e dei
clacson delle macchina riempiono tutti i quartieri di Buenos
Aires, mentre le persone, molte di loro sventolando bandiere
argentine, marciano verso il parlamento e la Casa Rosada
il palazzo di governo. Quando Plaza de Mayo è piena di uomini
e donne, di bambini e anziani, la polizia spara gas lacrimogeni
contro la folla. La risposta generale è pacata, anche se alcuni
gruppi dirigono la loro rabbia contro le banche, le affissioni
pubblicitari, i telefoni pubblici e i ristoranti McDonalds.
Alle 3 del mattino, nonostante le suppliche dei partiti politici
e dei sindacati, la gente continua a resistere nelle strade
allo stato di assedio, e la presenza della polizia è limitata.
Le notizie delle dimissioni, prima del ministro delleconomia
e poi del resto del consiglio di ministri, incoraggia la forza
popolare. Ma alle quattro circa cominciano le cariche della
polizia, con gas lacrimogeni e pallottole di gomma e
di piombo. Sui gradini del Congresso 15 isolati da Plaza
de Mayo cade la prima vittima fatale.
Nonostante la repressione, alcuni gruppi rimangono nelle strade.
Giovedì a mezzogiorno, la polizia carica violentemente quelli
che stanno manifestando in Plaza de Mayo. La gente viene calpestata
dai cavalli della polizia montata, debilitata dai gas, picchiata
e sparata addosso. La piazza viene svuotata, ma le lotte per
le strade cominciano in tutto il centro urbano.
Lavanzata della polizia viene contrastata durante ben otto
ore, usando solamente barricate, pietre e molotov. Le ore passano,
e le notizie dei compañeros morti intensificano il senso di
rabbia. Alle 19 circa, quando viene comunicata ufficialmente
la dimissione del presidente, la polizia carica violentemente
i manifestanti che ancora rimangono nella zona dellObelisco.
Allo stesso tempo, le battaglie infuriano nel resto del paese.
In Paraná, capitale della provincia di Entre Rios, la gente
tenta di bruciare la sede del governo provinciale. Nella città
di Cordoba, cercano di ridurre la sede municipale a ceneri.
In La Plata, capitale della provincia di Buenos Aires, i manifestanti
tentano di occupare ledificio legislativo provinciale.
Mentre tutto questo sta accadendo nelle strade, la classe politica
riesce solo a colmare il vuoto di potere che ha causato la fuga
patetica in elicottero del presidente dimissionario Fernando
De La Rua. Dalla convenzione di governatori Giustizialisti [Peronisti]
che si sta svolgendo nella provincia di San Luis, la notizia
viene accolta come una grande vittoria. Non dimentichiamo che
il giorno precedente loro stessi avevano rifiutato di formare
un governo di coalizione, precipitando così linevitabile collasso
del governo del partito Radicale. Quindi il governo Radicale,
disfatto dalla lotta popolare, viene rapidamente sostituito
dai Peronisti. Ramon Puerta il quale, come presidente
del senato, ha preso il posto di De La Rua afferma: In
nessuno momento è mancato il leadership istituzionale.
Le ultime azioni del governo di De La Rua sono state quelle
di levare lo stato di assedio, di insistere sulla parità peso-dollaro
e di dire che la loro rinuncia non era a causa della lotta popolare,
bensì al vuoto di potere provocato dai Peronisti. Puerta ha
imposto nuovamente lo stato di assedio nelle province di Entre
Rios, San Juan e Buenos Aires, anche se alcune ore dopo lo ha
levato.
Le mobilitazioni popolari avevano anche un aspetto più profondo.
La gente ha respinto non solo la classe governante (politici
e sindacati) e il piano economico dettato dalle istituzioni
finanziari internazionali, ma anche la politica come mezzo per
creare un progetto sociale diverso. Tutti i media hanno presentato
questi giorni storici come una vittoria per la società civile,
delegitimizzando coloro che hanno partecipato alla lotta popolare
e gli emarginati che hanno perso la vita nelle strade. La fuga
di De La Rua rappresenta una vittoria popolare, nonostante le
manovre della destra e del Peronismo per fomentare la destabilizzazione
politica.
la Biblioteca Popolare
José Ingenieros
Buenos Aires, 26 dicembre 2001
(traduzione dallo spagnolo di Leslie Ray)
Ricordando Vernon Richards
Vernon Richards, deceduto alletà di 86 anni,
essendo nato a Soho il 19 luglio 1915, era figlio dellanarchico
italiano Emidio Recchioni che, dopo essere evaso da un bagno
penale alla fine dellOttocento aveva aperto il famoso negozio
King Bomba al 31 di Old Compton Street.
Nel 1935, a ventanni, dopo essere stato estradato dalla Francia
in seguito al patto Hoare/Laval, Vero Recchioni aveva anglicizzato
il proprio nome e aveva cominciato a pubblicare a Londra la
rivista Free Italy/Italia libera, in collaborazione con
Camillo Berneri, esule dallItalia e che sarebbe poi stato assassinato
a Barcellona dagli agenti staliniani.
Nel 1936, allo scoppio della guerra civile e della rivoluzione
in Spagna, si unì ai veterani di unaltra rivista anarchica,
Freedom, per pubblicare un giornale di lingua inglese
che desse voce agli anarchici spagnoli: Spain end the World,
in un momento in cui, come più tardi ebbe a dire il suo amico
George Orwell, in Inghilterra si sentiva solo la versione News
Chronicle / News Statesman degli eventi spagnoli.
Nel corso della Seconda Guerra mondiale il giornale prese il
titolo di War Commentary. La figlia di Berneri, Maria
Luisa, era diventata la compagna di Vernon Richards e gli fu
accanto fino alla tragica scomparsa sua e del bambino appena
dato alla luce, nel 1949. Intanto la redazione del giornale,
che nel 1945 aveva ripreso il nome originale di Freedom,
era stata arrestata in blocco e incriminata per sobillazione
nei confronti di esponenti delle forze armate. Vernon Richards,
insieme a John Hewetson e a Philip Sansom, rimase in prigione
per nove mesi.
Uno degli aspetti più positivi di questo periodo dincarcerazione
fu lopportunità che gli fu data di riprendere a suonare il
violino e addirittura di formare una piccola orchestra con altri
musicisti in prigione. Quandera un bambino libero di scorrazzare
per le strade di Soho, aveva studiato il violino sotta la guida
dello zio di John Barbirolli, da ragazzo aveva suonato il repertorio
orchestrale, aveva assistito alla grande serie di concerti beethoveniani
diretti da Toscanini alla Queens Hall, alla fine degli anni
trenta, e si era fatto autografare il programma dal maestro.
Agli amici resta il rimpianto di non averlo più sentito suonare
dopo che era uscito di prigione.
Pur essendo laureato in ingegneria civile, non riprese mai più
lesercizio della professione, asserendo che una delle cose
che aveva imparato in prigione era lidiozia di inseguire una
carriera. Si guadagnava da vivere gestendo il negozio di sua
madre, finché, cambiata latmosfera di Soho negli anni cinquanta,
riuscì a venderlo. Dopo di che lavorò come fotografo indipendente
e come giardiniere e poi lagente di viaggio per la Spagna di
Franco e per lUnione sovietica di Breznev, convinto che il
turismo creasse legami che avevano un influsso liberatore e
spalancasse le frontiere più chiuse. Nel 1968 si trasferì insieme
a Pete Hewetson in una piccola tenuta nel Suffolk, dove coltivò
per quasi trentanni prodotti naturali.
Aveva continuato a dirigere Freedom settimanale dal 1951
al 1964, ma poi fu sempre pronto a riprendere il suo ruolo di
redattore tutte le volte che pensava che il giornale prendesse
una direzione sbagliata. Solo negli anni novanta cessò la sua
collaborazione con questo periodico cui aveva ridato vita sessantanni
prima. In questo periodo il marchio editoriale di Freedom Press
fece uscire dalla redazione di Whitechapel un numero incredibile
di libri.
Era merito suo: nel corso degli anni cinquanta scrisse, a puntate
mensili, la sua opera tante volte ristampata e tradotta, Lessons
of the Spanish Revolution, frutto di tante sere domenicali
trascorse con la sola compagnia della sua fedele bottiglia di
Valpolicella.
Ripensando allimpegno di unintera vita dedicata al mantenimento
di una presenza anarchica nelleditoria britannica, gli amici
pensavano che alla base ci fosse stato lesempio di suo padre,
che era stato coinvolto in un fallito complotto per assassinare
Mussolini. Ma io lho sentito con le mie orecchie criticare
seccamente suo padre definendolo terrorista borghese. In effetti
la personalità anarchica che più lo influenzò fu Errico Malatesta,
e il suo libro Malatesta: Life and Ideas è stato letto
in tutto il mondo.
Con il suo impegno assoluto per leditoria anarchica, è stato
anche uno spietato sfruttatore del lavoro degli altri. Del gruppo
straordinario che aveva animato negli anni quaranta, George
Woodcock, Philip Sansom e John Hewetson, nessuno era rimasto
in termini di amicizia con lui, che, per parte sua, incapace
di ammettere di avere spesso agito come un manipolatore, considerò
il loro distacco dalla sua cerchia come una prova del fatto
che tutti erano rimasti sedotti dalle lusinghe del capitalismo.
Alla fine degli anni novanta alcuni suoi ammiratori favorirono
la pubblicazione da parte di Freedom Press di quattro suoi libri
di fotografie, a partire del suo famoso ritratto di Orwell e
di suo figlio Richard nel 1946, sul volume George Orwell
at Home.
Unimprevista coda a questo tributo gli venne dalla cittadina
catalana di LEscala. Vernon aveva cominciato a portare villeggianti
in quel paesino poverissimo nel 1957, fotografandone gli abitanti.
Nel 1999 il Centro Studi Catalani realizzò un prezioso album
di fotografie che, per gli abitanti del luogo è diventato una
preziosa testimonianza della dignità dei loro nonni in quei
tempi duri.
Colin Ward
(traduzione dallinglese di Guido Lagomarsino)
Ricordando Giovanni Marini
La sera del 23 dicembre 2001 un infarto ha stroncato
prematuramente, a 59 anni, la vita di Giovanni Marini, il poeta
dei folli e dei giusti. Al suo rientro la madre lha trovato
privo di vita. La notizia è stata diffusa dalla stampa locale
del 27 dicembre 2001, a tumulazione avvenuta e per questo nessuno
dei compagni e degli amici ha potuto rendere a Giovanni Marini
lestremo saluto.
È sopravvissuto quasi trentanni a una sentenza di
morte pronunciata nei suoi confronti dai fascisti di Salerno.
Lanarchico Giovanni Marini, nato il 1 febbraio 1942 a Sacco,
un paesino allinterno del Cilento, doveva morire una sera
destate di molti anni fa. Era il 7 luglio del 1972 quando sfuggìi
a una vile aggressione fascista, nel corso della quale perse
la vita una dei suoi aggressori, il giovane Carlo Falvella.
La città di Salerno in quelli anni fu teatro di moltissime azioni
fasciste, come incendi, devastazioni di sedi e aggressioni a
militanti della sinistra, fino ad un assalto alla redazione
del quotidiano Il Mattino.
Giovanni Marini era impegnato in una contro-inchiesta su uno
strano incidente stradale che aveva provocato la morte di cinque
anarchici calabresi, Giovanni Aricò, Annalisa Borth, Angelo
Casile, Francesco Scordo, Ligi Lo Celso, avvenuto il 27 settembre
1970 sullautostrada nei pressi di Ferentino, a pochi chilometri
da Roma, dove i nostri compagni si recavano per consegnare i
risultati di una loro inchiesta sulle stragi fasciste, che avevano
cominciato ad insanguinare lItalia. Le carte e i documenti
degli anarchici di Reggio Calabria non furono mai ritrovate.
Nellincidente, avvenuto allaltezza di una villa di Valerio
Borghese, fu coinvolto un autotreno guidato da un salernitano,
che procedeva con i fari posteriori spenti. Pare che lautista
avesse simpatie fasciste. Marini doveva accertare se era stato
un incidente casuale oppure organizzato e per questo aveva ricevuto
molte minacce telefoniche, ma non sappiamo a che cosa approdarono
le sue indagini.
Nella prima serata del 7 luglio 1972 a Salerno si consumò lennesima
provocazione da parte di Carlo Falvella e di Giovanni Alflinito,
due militanti del MSI. Falvella per provocare una sua reazione,
incontrandolo, gli diede una gomitata, ma Marini che passeggiava
in compagnia di Gennaro Scariati, nato nel 1955 a Salerno, non
reagì. E ben fece perché il lungomare di Salerno era strapieno
di fascisti pronti ad intervenire per dar man forte ai camerati
certamente mandati in avanscoperta.
Più tardi Marini e Scariati, ai quali nel frattempo si era aggiunto
per puro caso il giovane Francesco Mastrogiovanni, nato nel
1951 a Castelnuovo Cilento (Sa), ridiscendendo tranquillamente
Via Velia per andare a teatro, incontrarono nuovamente i due
giovani missini. Ai due Mastrogiovanni disse di lasciarli in
pace e per tutta risposta vide luccicare la lama di un coltello
che lo ferì alla gamba, svenne e cadde sul marciapiedi. A questo
punto intervenne Giovanni Marini, che riuscì a disarmare gli
aggressori e, impossessatosi del coltello che aveva ferito Mastrogiovanni,
nella colluttazione ferì Carlo Falvella, un giovane fascista
di 21 anni. I fascisti di fronte allimprevista e coraggiosa
reazione se la diedero a gambe, limitandosi a soccorrere i
loro due camerati e poco dopo Falvella morì allospedale. Mastrogiovanni,
sanguinante per la ferita alla gamba, dovette ricorrere allautostop
per recarsi in ospedale.
Marini si costituì subito dopo e fu dichiarato in arresto insieme
con Mastrogiovanni e con Scariati, che si costituì dopo alcuni
giorni e venne prosciolto in istruttoria, mentre Mastrogiovanni
sarà scarcerato ma imputato per rissa.
Nonostante un manifesto della federazione provinciale del PCI
di Salerno che definiva Marini uno sciagurato, allanarchico
salernitano sfuggito ad unaggressione fascista andò subito
la solidarietà del movimento anarchico e della sinistra extraparlamentare
(una prima sottoscrizione a loro favore fu fatta dal sottoscritto
tra i compagni che partecipavano alla manifestazione per il
centenario del Congresso dellInternazionale svoltosi a Rimini
nel 1872).
Falvella fu seppellito con tutti gli onori dovuti a chi cade
nel corso di una battaglia e lo stesso Giorgio Almirante che
precedentemente, in un comizio a Firenze, aveva incitato allo
scontro fisico e altri esponenti missini si recarono a Salerno.
Intanto Marini, descritto come un mostro, una belva anarchica
assetata di sangue, per punizione peregrinava incessantemente
da un carcere allaltro e a Caltanissetta fu destinato in una
buia e umida cella. E non smise mai di denunziare le incivili
e aberranti condizioni di vita riservate ai carcerati.
Il processo iniziò a Salerno per il 28 febbraio 1974. Il collegio
difensivo era costituito dal senatore comunista Umberto Terracini,
dagli avvocati Giuliano Spazzali, Gaetano Pecorella e Francesco
Piscopo del foro di Milano e dallavv. Marcello Torre di Pagani
(ricordo che poco dopo larresto, di mia iniziativa, mi ero
recato a Potenza per proporre allavv. Tommaso Pedio di assumere
la difesa, ma non lo trovai e poi seppi del collegio difensivo).
Tra i difensori degli aggressori, lavv. Alfredo De Marsico,
già ministro della Giustizia di Benito Mussolini e uno dei collaboratori
del famigerato codice Rocco, e gli avvocati salernitani Dino
Gassani e Giacomo Mele, esponenti missini di rilievo e di provata
fede.
Il 13 marzo 1974 il tribunale di Salerno, adducendo motivi di
ordine pubblico, sospende il processo spostandolo a Vallo della
Lucania, dove riprende il 30 giugno del 1974. Fu seguito da
numerosi compagni e compagne venuti da ogni parte dItalia anche
per testimoniare e manifestare solidarietà a Marini, oltre che
dagli inviati dei maggiori quotidiani italiani (chi scrive lo
seguì per lInternazionale di Ancona, Espoir di Tolosa e
Le Monde Libertaire di Parigi). A Vallo della Lucania, il
PM Zarra chiese la condanna di Marini a diciotto anni di carcere.
Invece il tribunale presieduto dal giudice Fienga lo condanna
a dodici anni, con tre anni di sorveglianza e allinterdizione
dai pubblici uffici, assolvendo Mastrogiovanni e il missino
Alfinito dallaccusa di rissa. Al processo dappello che si
tiene a Salerno dal 2 al 23 aprile 1975 la condanna viene
ridotta a nove anni di carcere, dei quali ne sconta sette.
Quando viene scarcerato Gerardo Ritorto, presidente socialista
della Comunità Montana del Vallo di Diano di Padula, mio tramite,
gli offre un lavoro che accetta.
Marini però portava nelle sue carni le insanabili ferite della
detenzione e della persecuzione carceraria e, purtroppo, vedeva
dappertutto nemici e così un giorno sfasciò dei mobili in
un ufficio della Comunità Montana.
Venne arrestato e licenziato.
Uscito distrutto dal carcere, purtroppo Marini si era illuso
di trovare un suo mondo, senza rendersi conto che molte cose
erano cambiate, che i valori politici si erano assottigliati
e sopravvivevano presso una piccola minoranza o si erano addirittura
perduti.
Così una volta fuori, persa la serenità, Giovani Marini pur
avendo vissuto il periodo della detenzione con una grande coerenza
e combattività è andato via via autoemarginandosi dalla vita
e dal movimento anarchico.
Aveva trovato un conforto nella poesia e già durante la detenzione
il volume E noi folli e giusti, pubblicato nel 1975 dalleditore
Marsilio, aveva ottenuto un lusinghiero successo arrivando a
vincere il Premio Viareggio per la poesia. Continuava a scrivere
poesie e di tanto in tanto pubblicava per proprio conto dei
libricini, che mandava per lo più in dono ad un ristretto gruppo
di amici (li stampava presso la stessa tipografia dove stampo
le mie edizioni, dove qualche volta lo incontravo).
A Salerno lo si incontrava raramente che trascinava faticosamente
il suo corpo acciaccato e dolorante, e per la città Marini era
un estraneo e una figura scomoda.
Lascia agli altri, a noi tutti la sofferenza di pensarlo e
ripensarlo, ha scritto in un articolo per Il Mattino del
28 dicembre 2001 Ernesto Scelza assessore Ds alla provincia
di Salerno, uno degli amici di allora che continua: Per alcuni
rimaneva quello della tragica aggressione del 1972, per molti
un problema, per troppi un ingombro. Giovanni Marini è stato
contraddizione lacerante. Sensibilità esasperata, nervi scoperti,
tensioni emotive e nevrosi scoperte. Ha vissuto i nostri tempi,
come da sempre gli ultimi fra gli uomini sono dannati a vivere
i propri (
) Tenero e spietato, con sé e con tutti. Era
semplice fino alla perversione. Era la vita che amava e che
sempre ci sfugge.
Franca Rame, in unintervista a Barbara Cangiano, pubblicata
da La Città del 28 dicembre 2001, sottolinea la sua generosità
e sulla base di una generica e vaga confidenza che sarebbe
stata fatta da Marini preferì addossarsi le colpe per non far
finire nei guai un compagno più giovane che, proprio perché
minorenne, avrebbe scontato anche una pena minore.
La cosa non è nuova, perché emerse anche al processo dappello
di Salerno, ma non fu presa in considerazione, proprio perché
generica e inconsistente.
Il destino ha voluto che Giovanni Marini morisse da solo, nella
lontananza dagli amici e dai compagni, che non lo avevano di
certo dimenticato ed erano comunque partecipi delle sue vicende
umane.
Giuseppe Galzerano
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