A partire dal 16 novembre Giorgio Gaber ha iniziato, al
Teatro Lirico di Milano, la rappresentazione del suo nuovo spettacolo
Libertà obbligatoria, scritto in collaborazione
con Luporini.
Da diversi anni gli spettacoli di Gaber rappresentano un fatto
culturale rilevante e ogni nuovo spettacolo suscita un ampio
dibattito. In questi giorni molte radio libere hanno ospitato
Gaber per dibattere le sue scanzonate critiche alla società
dei consumi, per trasmettere le sue canzoni e i suoi divertenti
monologhi che mettono a nudo i problemi sommersi da pseudovalori.
Gaber, al di là del divertimento, trasmette allo spettatore
la sua angoscia di artista e di uomo che vede la distruzione
dellindividuo in questa società massificata tutta
protesa nelladorazione del nuovo Moloch: la produzione,
a cui tutti più o meno inconsciamente ci immoliamo.
La ricerca di Gaber sullindividuo è arrivata a
maturazione, e Libertà obbligatoria ha uno
spessore di contenuti e di analisi decisamente superiore agli
spettacoli precedenti. Dopo aver assistito a una rappresentazione,
abbiamo voluto incontrare Giorgio Gaber. Con lui abbiamo discusso
a lungo delle tematiche sviluppate in questo suo ultimo lavoro.
Facciamo un discorso generale sullo spettacolo. Mi sembra
che negli altri spettacoli che hai fatto, sempre puntati sullesame
dellindividuo, ci fosse però anche un discorso
più generale sulla società. In questultimo
spettacolo, invece, mi sembra che tu sia andato ancora più
verso lindividuo e il discorso sociale, che pure è
presente, è ormai solo fatto in rapporto allindividuo.
Non condivido molto quello che hai detto perché mentre
negli spettacoli precedenti i problemi individuali erano scissi
da quelli sociali, in questo spettacolo non cè
differenza tra il politico e lesistenziale. Mi pare che
il discorso sia continuo. Parte con i reduci del 68 e
descrive la crisi dellindividuo con la sua perdita di
identità, il suo non sapere chi è, il suo bisogno
di avere una carta di identità per riconoscersi e lo
segue in tutti gli sforzi che fa per togliersi di dosso questo
peso della produzione che lo schiaccia, la sua ricerca di libertà
che troppo spesso si rivela non antagonistica al sistema e alla
produzione. Quindi ho abbandonato in un certo senso il discorso
teorico staccato, e ho tentato di inserirlo nella nostra esistenza.
Ecco, a parte Lona, la canzone del cane, che è
più legata agli spettacoli precedenti, mi sembra che
lo spettacolo abbia una sua continuità, nello sforzo
delluomo di trovarsi.
Daltra parte, parlando dellindividuo spappolato
di oggi non si poteva non parlare della sua impossibilità
di avere dei rapporti umani validi.
Nella canzone Lona cè un discorso che
è strettamente legato alla coppia, cè questo
senso di oppressione causato dagli affetti dove lamore
è una cambiale che prima o poi la paghi e
che finisce con una dichiarazione di impotenza perché
alla fine Lona la porteresti sul camion se tu fossi un camionista.
È il vecchio ricatto dellamore che chiede senza
chiedere.
Io tenderei a fare una grossa distinzione fra lisolamento
e la solitudine perché mentre il primo ti viene sempre
imposto dal sistema, la solitudine è una cosa fondamentale
nella vita di un individuo perché nella solitudine ciascuno
di noi deve conoscersi e accettarsi per quello che è.
Altrimenti ognuno porta le sue angosce, le sue nevrosi, la sua
difficoltà ad accettare se stesso allinterno della
coppia, del gruppo o della comune e, inevitabilmente la coppia,
il gruppo, la comune risentono di tutti questi problemi e te
li ributtano in faccia. Ecco, io credo che solo dopo essersi
accettati nella solitudine si possa poi riuscire ad avere un
rapporto di coppia.
Nello spettacolo concludo il primo tempo con Luomo
che muore. Dopo aver analizzato lindividuo sotto molteplici
aspetti arrivo alla sua morte, allaccettazione della morte
per la vita, per la vita delluomo nuovo. Oggi tutti parlano
il sistema parla di ricomporre questuomo che è
a pezzi, che il sistema stesso ha mandato in pezzi, perché
il sistema capitalistico è quello che brucia di più,
che consuma anche i valori delluomo. Oggi tutti dicono
rivalutiamo in modo nuovo il lavoro, la famiglia ma questo non
è più possibile perché non si possono ricomporre
i pezzi in cui luomo è ridotto perché luomo
vecchio non è più proponibile. Lunica soluzione
è reinventarsi, attraverso laccettazione di se
stessi per quello che siamo. È un discorso un po
incasinato, ma che mi piace perché dà questo senso
positivo alla morte, cioè dà la capacità
di rinnovarsi, di andare avanti.
La seconda parte dello spettacolo è invece più
positiva. Da una visione, anche se confusa, delluomo spappolato,
si passa alla ricerca dei mezzi per uscire da questa situazione,
luomo cerca la sua identità rivoluzionaria.
Il monologo La coscienza è molto bello, con
quella immagine della coscienza individuale che è un
salvagente e la coscienza collettiva che è un canotto.
Bisogna quindi ricongiungere queste due coscienze perché
altrimenti da una parte continuiamo a preoccuparci solo dei
nostri foruncoli personali e ad andare in India e dallaltra
diamo un calcio nel sedere alla moglie perché siamo impegnati
politicamente, siamo sul canotto, abbiamo la coscienza collettiva.
Ecco, questo discorso del personale e del politico è
un po di moda, non ti sembra?
A me non piace per niente questa divisione che è assolutamente
artificiosa. Non esiste il personale e il politico. Esiste lindividuo
che è luno e laltro insieme, e non può
essere diversamente. Non si tratta quindi di ricomporre il personale
e il politico, ma si tratta di vivere ogni momento come momento
politico, globalmente.
E qui arriviamo al discorso più strettamente politico
che si fa nel secondo tempo, sui partiti e sul loro slittamento.
E mi sembra che i partiti si siano abbastanza risentiti per
la tua presa in giro, vedi la critica apparsa sullUnità.
Tu critichi i partiti, ridicolizzi le elezioni e poi passi al
discorso sulla libertà e sulla massificazione. E nel
monologo Il tennis tu dici: non giocate al tennis,
giocate al calcio, che è come dire rivendicate
la vostra cultura di classe. Ma oggi esiste una cultura popolare
di cui ci si potrebbe riappropriare?
No, non è possibile. Ma quello che mi premeva di sottolineare
è che da un lato esistono individui che accettano passivamente
tutto quanto viene loro propinato dal sistema e dallaltro
esistono quelli che credono di porsi in modo antagonistico al
sistema, ma il loro antagonismo è fasullo e nel giro
di breve tempo viene subito recuperato. Vedi la moda dei jeans
che ormai alimentano vere e proprie industrie. Questi due tipi
di individui vengono comunque massificati, non esiste più
alcun tipo di differenza né nei gusti né culturale.
Siamo arrivati allappiattimento.
Panorama e LEspresso non sono
reclamizzati da Carosello eppure tutti comprano queste riviste.
Nessuno ci ha imposto di vestirci in un certo modo, siamo noi
che lo scegliamo credendo di essere antagonisti, ma in realtà
non lo siamo per niente perché tutte le nostre scelte
sono comunque funzionali alla produzione. Siamo quindi liberi
e schiavi allo stesso tempo.
Siamo arrivati alla critica dellAmerica.
Tutto questo appiattimento, di gusti e anche di personalità,
ci deriva, secondo me, dal modello americano importato di libertà.
Il divorzio, laborto legalizzato, non sono conquiste che
possono veramente cambiare la nostra vita, servono solo a rendere
più funzionale il sistema. Come non cambiano la qualità
della nostra vita la scelta di andare in India, di portare un
orecchino, di mettersi i jeans. Noi crediamo, i giovani credono
in questo modo di diversificarsi ma in realtà cadono
in un altro tipo di conformismo e di massificazione di derivazione
americana.
Il fatto più tragico, è che oggi non sappiamo
più niente, non sappiamo chi sono i nostri nemici perché
ce li ritroviamo anche dentro noi stessi e quindi non sappiamo
contro chi e come combattere. Io ad un certo punto dico paradossalmente
che mi piacerebbe avere un dittatore. È ovvio che si
tratta di una sparata, ma in questo modo voglio far scaturire
un desiderio di chiarezza, quella chiarezza che oggi non esiste.
Quando cera il fascismo tu potevi accettarlo passivamente,
accettarlo attivamente o potevi ribellarti sapendo a quali conseguenze
andavi incontro. Ma sapevi sempre contro chi combattevi, con
chi avevi a che fare. La situazione era chiara. Un regime dittatoriale
ci può togliere la libertà, mai le nostre idee.
Il regime socialdemocratico di stampo americano e italiano ci
toglie le nostre idee, i nostri gusti, la nostra personalità.
È come un cancro che ti entra nel corpo e che non riesci
più a toglierti. È una libertà obbligatoria,
e questo è un po il senso di tutto lo spettacolo.
Nel monologo Incontro con Marx, infatti, Marx dice
i padroni stanno diventando impersonali e questa
analisi mi fa venire in mente Paul Sweezy. Mi sembra che qui
ci sia loperazione politica più precisa che tende
a mettere in ridicolo i marxisti attuali; ma tu cosa ti proponevi
con Il sogno di Marx?
Io riconosco a Marx, nella mia ignoranza, un certo senso del
movimento della storia. Ho citato lui per prendere in giro la
figura del militante marxista di oggi che si muove spinto da
una fede vera e propria nei dogmi marxisti che ritiene intoccabili,
che crede in Marx come in un Dio. Poi mi interessava approfondire
il discorso sulle classi, sui padroni, sullimperialismo,
che è un imperialismo di pace e non di guerra, e sulla
produzione vista non più come un nemico individuabile
ma come un nemico che si infiltra nelle tue fibre si tramuta
in cancro sociale.
Abbiamo discusso finora dello spettacolo che, tra parentesi,
è molto bello, che scava a fondo nellindividuo
e nella società portandone alla luce molte magagne; però
quando lo spettacolo finisce hai limpressione che lindividuo
Gaber, in definitiva, non prenda posizione.
Non saprei rispondere a questa tua impressione. Quello che
è certo è che la mia posizione è quella
che emerge dallo spettacolo; lo spettacolo mi rappresenta, se
lo spettacolo è sfumato vuole dire che la mia posizione
è sfumata. Non ci sono strategie precise dietro lo spettacolo.
Io dico quello che penso, le cose che mi interessano e attraverso
lo spettacolo cerco di spiegarmi il più possibile. Direi
proprio che lo spettacolo sono io.
Luciano Lanza
(ripreso da A n. 52 del dicembre 1976-gennaio 1977)
Dal
monologo I partiti:
E
mia madre, la mamma, una santa
Azione Cattolica
destra della DC, nel dopoguerra
Ha votato PCI.
E allora uno dice: comè cambiata la mamma!
Che dialettica!
No lei è rimasta uguale, tale quale.
Sono i partiti che
ssvvtt!
slitten
slittano!
Viva!
E se i partiti slittano, da vecchio uno si trova a essere
più rivoluzionario
nominalmente.
Io ci ho un figlio
extraparlamentare.
Non beve, gente seria che non scazza.
Ecco, se rimanesse lì
DP
quella roba lì
tra tre o quattro anni
Un partito di centro!
ssvvtt!
Capito lo scivolo?
Bisognerebbe saltare sempre,
come fa la lepre
E chi ce la fa?
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*Le foto
che accompagnano l'articolo sono di Reinhold "Deny"
Kohl
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