Ricordare Illich, per me e per
coloro che appartengono alla mia generazione (che è appunto
quella di Illich), significa ritrovare, attraverso la memoria,
le tracce del percorso che ci ha condotto al giudizio che noi
oggi diamo della realtà che ci circonda e alla presa
di coscienza il più lucida possibile dellalternativa
storica dinanzi alla quale noi ci troviamo. Proiettiamo forse
il nostro pensiero su una posizione datata facendola apparire
anticipatrice e straordinariamente profetica? Certamente, ma
il senso di questa proiezione sta proprio nella possibilità
di assumere Illich come nostro interlocutore attuale: come per
tutti i grandi pensatori la sua storicità non è
un limite che lo costringe prima o poi allobsolescenza,
ma lo straordinario contributo, concreto e ad un tempo universale,
metatemporale, alla formulazione di un giudizio che non si riduca
allinterpretazione di fatti che, con il loro superamento,
travolgano con sé il pensiero che ne ha preso atto, ma
che è destinato a rimanere elemento di una rappresentazione
dinamica grazie alla quale chi pensa e agisce nel mondo gli
può essere consapevolmente, appunto lucidamente presente
e attivamente attento alle sue necessità.
È proprio questo il merito fondamentale di Illich, il
suo contributo allelaborazione di un giudizio grazie allidentificazione
dei criteri che lo costituiscono come una vera e propria presa
di coscienza radicale. Leggendolo, o ascoltandolo per chi ha
potuto farlo, si ha immediatamente limpressione di essere
posti in grado di vedere le cose con una partecipazione e ad
un tempo una distanza che permettono di coglierle nel loro significato
non contingente, di avere cioè a disposizione delle argomentazioni
grazie alle quali si può ripigliare dallinizio,
dalla radice semplice ed elementare, ma per questo non parziale
e già compromessa, ogni percorso costruttivo che ci è
dato di dover affrontare. Per questo il destino di Illich, al
quale si alludeva sopra, è pure oggi in qualche modo
cinico e baro: il suo ricordo è schivato,
rimosso, perché ben pericoloso in un momento storico
in cui la difesa strenua ed estrema dei pregiudizi consolidati
e deleteri è affidata allignoranza, allobnubilazione
delle coscienze, al rifiuto di ricominciare dal principio, pazientemente,
a tessere i fili del nostro sapere e del nostro fare. È
questa la già tanto denunziata morte (uccisione) della
filosofia. Bisogna dire che questa sorte è toccata anche
fin dallinizio ad un pensiero così radicale da
essere interpretato, anche a sinistra, mettendo avanti, come
si direbbe ora, una serie di se e di ma, a cui si appende sempre
il realismo teorico e pratico di chi è portato a identificare
la realtà con i fatti e a considerare in qualche modo,
per diritto o per traverso, il risultato storico come insuperabile
se non dal suo interno, cioè tenendo fermi appunto, come
criteri di giudizio, quelle stesse prospettive attraverso le
quali si è giunti a quei risultati. Come se la continuità
della storia non includesse anche continuamente discontinuità
introdotte dal pensiero e dallazione guidata dal pensiero,
che dispongono, per loro costituzione, di un distacco critico
che permette alluomo di fare, in qualche modo, la storia.
Altrimenti la libertà sarebbe poca cosa.
Listituzionalizzazione
Ricordare Illich è dunque riscoprire un criterio di
giudizio che permette di vedere la realtà storica, che
ci riguarda, nel suo insieme; ed è il criterio della
deistituzionalizzazione. E per istituzione si intenda la realtà
e il simbolo di quella storicizzazione assoluta che va sotto
il nome di realismo. Listituzione è la risposta
organizzata a bisogni ovvero a domande che lindividuo
rivolge alla società nella convinzione che essa possa
supplire alla sua impotenza ad esercitare un diritto e quindi
trasferendo questa necessità soggettiva ad un meccanismo
oggettivo che via via si costituisce in logica oggettiva e diventa
così pretesa esclusiva di disporre degli strumenti necessari
a soddisfare quei bisogni e quelle richieste. Il diritto si
trasforma così, a sua volta, in dovere e lobbligo
sociale di intervenire e di provvedere passa al soggetto individuale
come dipendenza assoluta e appunto obbligo di rivolgersi senza
alternativa allistituito ed autorizzato fornitore di servizi.
Così si costituisce il monopolio istituzionale e il rapporto
tra individuo e società si rovescia perfettamente, poiché
non è più lattività del soggetto
individuale che associandosi fonda e controlla continuamente
lorganizzazione delle risposte sociali e quindi della
società intesa come soggetto collettivo e dialogante
tra di sé, ma è la società organizzata,
tendente alla conservazione della propria figura definita una
volta per tutte, ad imporre le proprie regole ed i propri procedimenti
e quindi assumendo nella propria oggettività tutta la
soggettività degli associati espropriandoli proprio di
ciò che essa sarebbe invece chiamata a sostenere e a
garantire realmente. Loriginaria giustificazione dellistituzione
si perde con la trasformazione di questa in interlocutore obbligatorio
e assolutamente autoreferenziale. Attraverso questa autoreferenzialità
passano tutte le regole di comportamento che invece di mettere
in grado gli associati, cioè la comunità, di esercitare
la propria libertà creativa trasferiscono direttamente
quel potere a chi, in un modo o in un altro, cioè con
la forza o con il consenso, è incaricato o si incarica
di esercitarlo concentrandolo in sé per il bene
e al servizio di tutti. Ogni istituzione è a rischio
di questa ambiguità, dalla famiglia alla scuola, dal
luogo di lavoro alla società tutta. La società
organizzata tende a sostituire monopolisticamente ogni processo
di realizzazione della relazionalità che è un
aspetto dellindividualità di ciascun soggetto umano
e che per essere mantenuta nella sua verità deve poter
fare riferimento continuo a se stessa ed alla propria formazione
progressiva. La società deve fare liberi,
come la società deve essere fatta dalla libertà
effettiva degli associati.
Il monopolio espropriante
Contestare listituzione significa per Illich contestare
questo monopolio espropriante che mantiene in uno stato di inferiorità
e di dipendenza permanente ed anzi progressiva gli individui
che compongono la società e che invece di maturare attraverso
e grazie ad essa sono costretti sempre più e in ogni
campo ad obbedire a chi comanda con una giustificazione che
riduce di molto la differenza tra metodi violenti e metodi democratici
quando questi si avvalgono di mezzi di persuasione che fanno
del consenso una vera e propria abdicazione alla libertà
di giudizio e cioè allesercizio effettivo della
coscienza. La società dei consumi interiorizza semplicemente
la costrizione sociale, trasformando la paura della repressione
in vergogna della emarginazione. Il paradosso è che la
libertà circolante nella democrazia dei consumi libera
tutte le forme di licenza corruttrice ed oltretutto miope e
contraddittoria in funzione di un unico scopo, quello dellinteresse
esclusivamente individuale che, per corrispondenza allabrasione
sociale dellindividualità, elimina semplicemente
la relazionalità come condizione e partecipazione allumanità
comune.
La convivialità
Lalternativa? Illich la indica nella convivialità.
Si tratta di recuperare, senza i salti e i rovesciamenti della
mediazione artificiale che invece di essere tramite di sviluppo
sostituisce e cancella i passaggi naturali, i processi
attraverso i quali la razionalità costitutiva di ogni
soggetto costruisce via via i rapporti reali, li esercita e
li sperimenta in continuazione, attribuendo alla società
il connotato e le dimensioni autentiche di un soggetto collettivo
che non estrania né espropria i singoli ma li immerge
in un dialogo fecondo che, mentre li fa uscire dalla solitudine,
riversa su di loro, a sua volta, la propria acquisita e crescente
forza inventiva, smontando ogni volta la tentazione istituzionale
e mantenendo linsieme in perenne attenzione cosciente,
giudicante, partecipe, creativa.
Convivialità significa prima di tutto condivisione, gioiosa
partecipazione reciproca: il che non vuol dire beota negazione
delle difficoltà e dei triboli dellesistenza, ma
attivazione continua, gli uni per gli altri, della meraviglia
che fa risuonare in noi la bellezza della realtà e permette
di affrontare la sofferenza come una dimensione interna, mai
catastrofica, di un percorso che si manifesta sempre come bene
se è costruito insieme in uno scambio generoso di ciò
che ciascuno scopre e realizza per sé.
Questo stare vitalmente intorno ad un tavolo circolare, che
la parola convivialità evoca, annulla le differenze gerarchiche
mentre riconosce e attiva le differenze grazie alle quali ciascun
uomo è al principio e alla fine di ogni processo, connota
in qualche modo di sé la storia che nasce dal discorso
comune (dalla conversazione) e realizza quella reciprocità
di fondo tra individualità e relazionalità che
costituisce lo straordinario paradosso di un soggetto collettivo
che non sopprime i soggetti singoli poiché è grazie
alla loro realtà attiva che esso esiste e compie a sua
volta la sua insostituibile funzione vitale.
La demistificazione del potere
Con questo Illich è in pieno nel processo di demistificazione
del potere e dellautorità, quella clamorosa scoperta,
o riscoperta se si fa attenzione a tutte le anticipazioni dellumanità
cosciente e pensante, che sfugge sempre, ed è addirittura
sfuggita a molta parte della contestazione rivoluzionaria dellultima
storia, che leguaglianza tra gli uomini è sì
un diritto strutturale ma non si attiva realmente se non attraverso
una effettiva eguaglianza di partecipazione sociale, non contraddetta
dal rientro per la finestra, cioè sul piano dei fatti,
del monopolio organizzativo, scacciato dalla porta, cioè
dalle parole dichiarative grazie a cui si finge la definitiva
eliminazione di uno schema metodologico di differenze qualitative
e quantitative che si riaffacciano poi con tutta la forza (ahimè)
necessaria, cioè dellextrema ratio quando si passa
poi davvero alloperatività.
Anche questo rapporto tra le parole non è semplice e
ovvio: le parole sono astratte, inefficaci, ingannevoli quando
i fatti pretendono una loro logica autonoma, uno sbrigativo
passaggio espresso dallimperativo basta con le parole,
vogliamo i fatti. Ma quali fatti se non quelli guidati
dalle parole, dalle idee elaborate e confrontate, dalle parole
come discorso conviviale: ecco la conversazione.
Quali connotati positivi può avere allora listituzione
se non quelli che le possono derivare dalle condizioni che ne
fanno un principio attivo di presa di coscienza, di capacità
di disporre delle idee e delle parole da parte di tutti coloro
che attraverso il dialogo sociale scoprono la propria umanità
e sono messi in grado di esercitarla? Il problema della scuola,
il primo che Illich affronta con clamorosa e radicale denuncia,
è per questo esemplare.
La descolarizzazione
La descolarizzazione non è il rifiuto o leliminazione
della dimensione educativa ma la sua restituzione alla trasversalità
universale; ogni azione ha, lo si voglia o no, un versante pedagogico
ed è alla restituzione di questo aspetto di strutturale
reciprocità dinamica dellazione umana che bisogna
porre esplicita attenzione. Ogni istituzione come oggettiavazione
operativa deve avere questo carattere della dinamicità
e quindi della provvisorietà strumentale che esalta esclusivamente
il potere derivante dallo stare insieme, potere dunque evidentemente
condiviso e da condividersi sempre più (questa è
la politica come pedagogia). La scuola come istituzione definitiva
e sclerotizzata, cioè autoritaria, impedisce questo processo
generale di coeducazione, sostituendolo con un indottrinamento
istruttivo che trasforma ogni uomo che vi passa (ogni alfabetizzato)
in tecnico a vari livelli, anche minimi, da cui è estromessa
come destabilizzante proprio quella competenza grazie alla quale
ogni uomo si riconosce appartenente ad una comune umanità,
la cui figura storica è via via attrezzata sì
di competenze particolari e strumentali ma soprattutto di una
coscienza di sé che le deriva dalla cultura intesa come
giudizio, come approssimazione alla verità, come ininterrotta
meraviglia di fronte allesistenza.
Quando Illich parla di descolarizzazione della società
denunzia lesito espropriante di una mediazione che, intrapresa
per rispondere a domande e richieste tese a sapere, cioè
a conoscere in qualche modo la realtà secondo verità,
si costituisce poi come oggetto definitivo essa stessa di sapere,
una nuova realtà non più giustificata dalla ricerca
ma termine organizzato di un sistema di affermazioni e dunque
di informazioni che con le domande proposte non hanno più
niente a che fare o che, meglio, sostituiscono le risposte come
referenti dialettici intendibili soltanto appunto come risposte,
con un sistema di dati che tendono per loro natura, cioè
per forza di autonomia, a mantenersi, crescere e giustificarsi
secondo una logica tutta interna ed autoreferenziale. Questa
è la confusione, indotta dalla scolarizzazione, tra processo
e sostanza: chi vi approda ha modo poi di entrare, essendone
autorizzato ma per questo costretto senza alternativa se non
lemarginazione, nel meccanismo sociale costituito come
un o dentro o fuori, una realtà forte che
mentre nutre e supporta i suoi associati, li obbliga ad una
fedeltà accecante poiché impedisce loro di vedere
lartificio fittizio di unoperazione che sostituisce
il sapere e dunque il giudizio riducendosi alla funzione di
giustificazione dellapparato di mantenimento di una società
data a cui viene meno lo strumento della giustizia, cioè
ogni momento critico del rapporto tra domanda e risposta. Un
vero e proprio cogito interruptus poiché, invece di attrezzare
il bisogno del singolo soggetto pensante degli strumenti necessari
ad un giudizio autonomo interno alla realtà (la verità
soggettiva verificata mediante procedimenti in qualche modo
oggettivi), la cultura prodotta e distribuita scolasticamente
trae pedissequamente dalla storia risposte storiche date per
definitive, veri e propri pregiudizi che impediscono, oltre
che lo sviluppo del sapere, laccesso personale dei singoli,
mediante lapprendimento, ai vari processi di presa di
coscienza della realtà. È qui che deve valere
la distinzione tra processo e sostanza (il mezzo non deve essere
il messaggio, ciò che avviene in una società alienata,
come osserverà Mac Luhan), il che comporta una infinita
variazione di procedure grazie alle quali il sapere è
appropriato, e dunque accessibile, nelle infinite situazioni
e alle infinite sensibilità esperienziali che connotano
la personalità di ciascun uomo.
Universalità della dimensione pedagogica
Lapprendimento viene così liberato dalla dipendenza
esclusiva dallinsegnamento: la dimensione pedagogica si
ritrova come un aspetto del sapere e dellagire di chiunque,
anche del più modesto uomo la cui esperienza ha una potenzialità
di comunicazione conoscitiva che è infinitamente e imprevedibilmente
superiore al riconoscimento formalizzato che la codificazione
sociale ne può dare. Illich segnala i casi e i successi
dellapprendimento cogestito da partners di cui
uno dispone semplicemente di un sapere che ne costituisce la
capacità comunicativa e relazionale (vedi una lingua,
una capacità tecnica) e laltro ha bisogno di acquisire
quegli strumenti per comunicare a sua volta con la realtà
che lo circonda. La scuola manca assolutamente di questa condizione
concreta e perciò insegna in modo statico, vale a dire
ciò che non serve e a chi non ne ha bisogno (avendo in
realtà altri bisogni e dunque altre attese che, disattese,
lo disgustano e lo rendono ormai irrimediabilmente ignorante).
E questo avviene con un dispendio enorme di denaro, di risorse,
di energie e di organizzazione che si potrebbero risparmiare
soltanto se si desse ascolto alla figura reale della richiesta
di sapere ed alla presenza nella realtà sociale di ogni
epoca e di ogni situazione di una straordinaria ricchezza di
elementi educativi che non attendono altro che di essere attivati
con pochissima spesa e con una reale partecipazione di tutti
coloro che vogliono sapere.
È evidente che una prospettiva di questo genere scardina
completamente un sistema di potere cioè una forma sociale
fondata sul potere, sulla sua elaborazione concentrata e sul
suo esercizio e richiede la costruzione (la restituzione) di
una alternativa cioè della cogestione come autogestione.
È ciò che Illich chiama convivialità.
La società vivente
Le persone di una tale società a cui pensa Illich non
sono il risultato ma il principio stesso, il fondamento di una
operatività che deriva direttamente dalle doti che le
costituiscono nella loro semplice esistenza. Il rapporto reale
attiva queste doti il cui esercizio incrociato e molteplice
costruisce via via una società che non è già
costituita a priori rispetto a ciascuno dei suoi membri: egli
non vi si deve inserire, ma è piuttosto in grado di attribuirle
i connotati viventi che egli elabora semplicemente vivendo.
Il segreto di questo passaggio, dalla vita di ciascuno alla
realtà sociale, sta nellattivazione di quella dimensione
che si è chiamata pedagogica, lutilizzazione della
forza comunicativa come istituzione di un rapporto creativo
di risultati, cioè di una crescita comune. Si tratta
di una istituzione la cui oggettività non è altro
che lesercizio reale della soggettività attivata
dalla reciprocità. Il rischio di sclerosi espropriante
è evaso continuamente dalla possibilità di appropriarsi
in ogni momento della iniziativa, e questo coincide con la libertà.
Sostanzialmente la funzione sociale è liberatoria, e
il suo principio sta nella libertà stessa dei singoli
attivata dalla relazione.
Convivialità richiama il convivere, una cerimonia di
fruizione in comune della vita, con tutta la gioia del riscontrare
nellaltro, negli altri, per sorpresa, la risposta possibile
alle proprie domande, un fare comunicativo che passa dagli uni
agli altri e fornisce ciascuno di ciò che ha bisogno
per vivere da uomo. Questa è una società che coincide
con la reale attività di relazione dei suoi membri, sta
e cade con la loro vita: vivendo essi elaborano, definiscono,
sviluppano gli strumenti che permettono loro, sia praticamente
che a livello di coscienza, di fabbricarsi le condizioni necessarie
e sufficienti per la propria umanità. Nellhomo
faber/sapiens cè già tutta levoluzione
ulteriore e interna alla sua costituzione: da quel momento il
suo problema è quello di sventare, continuamente e con
precisa attenzione, lambiguità che gli strumenti
che via via egli elabora portano con sé, trasformando
in espropriazione unattività il cui senso sta tutto
nellappropriarsi della vita e che dunque richiede una
misura, un giudizio, la consapevolezza del rischio di ogni possibile
e temibile esagerazione.
La scolarizzazione come principio
Illich identifica nella scolarizzazione il principio invasivo
dellistituzionalizzazione sociale generale: è lì
che i processi significativi vengono requisiti e il bambino
si abitua a rivolgersi ad una serie di protesi che, mentre lo
attrezzano artificialmente ad ogni bisogna, lo privano della
possibilità, cioè della capacità di fruire
direttamente delle indicazioni di un ambiente significativo.
Lalternativa è proprio una società come
ambiente significativo, in cui le istituzioni, invece di manipolare
le indicazioni della realtà varia e dinamica ordinandola
in pacchetti la cui logica di mantenimento sostituirà
totalmente la funzione vitale in coloro che da quel momento
da quel mantenimento dipenderanno, non avranno altro compito
ed altra giustificazione che quella di mettere in grado gli
utenti di essere autonomamente attivi, giudicanti
e liberi. Una sorta di ossimoro fecondo che demitizza la necessità
dellistituzione, la cui provvisorietà funzionale
consisterà nelloperazione di autoeliminazione,
di sostituzione progressiva della propria necessità con
la maturazione comunitaria. Una maturazione che ha sì
una progressività, uno sviluppo (e questa è la
storia come presa di coscienza successiva crescente) ma che
richiede sin dallinizio limpostazione del rapporto
istituzione/comunità in termini tali che la prima valga
come strumento interno della seconda e non come referente dialettico
assoluto definitivamente ineliminabile in nessuna occasione.
Questa versione statica dellistituzione reintrodurrebbe,
come di fatto reintroduce, unaltro concetto di storia,
la ricorrente dialettica tra positivo e negativo, tra buoni
istinti e cattivi istinti umani, alla cui neutralizzazione sarebbe
addetta insostituibilmente listituzione. Controllo, contenimento,
repressione: questo è il compito della legge. Il corretto
processo di umanizzazione dellumanità punta invece
sulla presa di coscienza, che a questo punto è evidente
come sia impedita invece che favorita da istituzioni che si
fondano sul presupposto dellincapacità originaria
delluomo di organizzarsi i percorsi per la propria realizzazione.
Non alluomo singolo associato ma ad un mitico fantasma
delegato (formalmente o no) spetterebbe questa liberazione dallimpotenza,
che però paradossalmente rimarrebbe eternamente tale
a giustificare lesistenza necessaria di un referente dialettico
fattosi a tutti gli effetti potere. Assolutamente diseducativo
poiché estraniante, interruzione, sbarramento di quei
processi grazie ai quali, come dimostrano i primi anni di vita
dei bambini, si esercita laspetto dinamico della natura
delluomo, cioè il suo statuto di apprendista,
di persona che si fa persona. Perché ciò accada
bisogna restituire al rapporto sociale la sua forza educativa,
quel passaggio osmotico di capacità e di virtù
che sta alla base di ogni invenzione civile e culturale. La
legge sta forse alla base dellarte, della solidarietà,
del riconoscimento reciproco o non è piuttosto lestremo
e disperato rimedio alla constatazione della loro assenza, cioè
del loro bisogno insoddisfatto? Dove non cè giustizia
si ricorre alla legge, e questo ricorso sostituisce definitivamente
la giustizia ed il suo bisogno. Così la scuola si pretende
cultura: ma quale invenzione culturale è mai nata dalla
scuola e non piuttosto dalla sua contestazione (o addirittura
dallindifferenza nei suo confronti)?
Ecco dunque in che senso la descolarizzazione è centrale
nella prospettiva della deistituzionalizzazione: poiché
la scuola impedisce leducazione, il ricasco
reciproco sociale della maturazione di ciascuno, la formazione
stessa della società come soggetto collettivo vivente
dellattività di ciascun soggetto singolo che la
compone e che anche grazie ad essa, come fatto unitario, trae
da sé il meglio che lo riguarda e riguarda il rapporto
con i suoi simili.
La restituzione sociale
Il testo principale di Illich Descolarizzare la società
è scritto negli anni della contestazione (60/70)
in cui è attribuito e quindi richiesto alla stessa istituzione
di autoriformarsi, cioè di trasformarsi radicalmente
grazie alla riappropriazione, da parte di tutti i suoi fruitori,
insieme ai suoi operatori, delle condizioni originarie e giustificative
in vista delle quali esse sono nate. Il che comporta a volte,
e allestremo, la propria autodemolizione come premessa
alla restituzione sociale dei processi di soddisfazione di un
bisogno. Il secondo passo è proprio quello educativo,
leducarsi collettivamente cioè reciprocamente a
identificare con esattezza bisogni e procedimenti adatti a soddisfarli,
demistificando le induzioni generate dalla confusione del bisogno
con limpotenza; confusione che produce il proliferare
di una serie di altri bisogni artificiali che prendono il posto
di quello originario e lo trasformano appunto nellincapacità
del soggetto di provvedere in qualche modo a sé e lo
consegnano mani e piedi ad una organizzazione che provvede,
con lapparenza e dunque lalibi della soddisfazione
del bisogno, a privarlo di ogni autorizzazione e di ogni energia
autonoma. Così il cittadino non esce dalla condizione
di suddito, e lo Stato sociale non è altro che il rafforzamento
del Potere concentrato. Non si è mai sentito parlare
di una politica sociale di destra? molti esiti delle rivoluzioni
sociali del secolo ventesimo fanno capo a questo equivoco.
In questa denunzia della trasformazione di autorità,
e quindi autorizzazione, in potere si mette in rilievo che quello
che conta non è il più o il meno della disponibilità
dellistituzione ad essere partecipata e quindi ad assumere
i bisogni reali nella propria logica prospettica ed operativa,
ma è limpossibilità dellistituzione
di non porsi come filtro, come imbuto attraverso cui deve passare
ogni processo costruttivo umano per farsi sensato. Questa centralità
dellistituzione taglia corto ed impedisce ogni sforzo
del soggetto umano di realizzare di fatto le premesse della
propria soggettività: invece che potersi rivolgere alle
cose, a modelli, ai coetanei e compagni di strada e ad anziani
saggi capaci di comunicare la propria esperienza, come ad interlocutori
del proprio apprendimento, il giovane, o comunque lapprendista
è costretto a fare i conti con tutto questo come con
un patrimonio indiscutibile che egli deve semplicemente introiettare
per non interrompere uno sviluppo non di sé ma di una
storia che riguarderebbe, come forme di una fantastica umanità,
di volta in volta, aggregazioni mitiche che attraverso appunto
linsegnamento/apprendimento dovrebbero plasmare i singoli
soggetti alla propria immagine e somiglianza, integrandoli nel
proprio percorso definitorio. Illich tocca qui la radice del
problema e si figura un rovesciamento radicale di prospettiva:
deve essere restituita ai soggetti la propria capacità
di iniziativa dialettica nei confronti di un contesto, quello
sociale, che contiene in sé, come suo aspetto didattico,
gli elementi dinamici della costruzione comune, che possono
essere attivati solo da una attività comune, dallattivazione
permanente di una azione/prassi che non si identifica con la
fabbricazione, cioè con la produzione di oggetti, ma
attraverso questa, anche attraverso questa, si realizza come
permanente esercizio dellumanità di ciascun soggetto.
È questa la vera attività politica, come in questi
anni di contestazione radicale verrà messo in rilievo
anche da altri pensatori (vedi ad esempio Hannah Arendt) e che
Illich, con un richiamo non solo implicito allesperienza
greca e alla cultura medievale, identifica con lattività
educativa. Con lautoeducazione collettiva ovvero attraverso
la collettività. Per questo la descolarizzazione assume
la centrale importanza del disarmo dellistituzione sociale
e descolarizzare la società significa restituirle le
condizioni della propria essenziale soggettività. In
questa prospettiva si inscriveranno gli straordinari studi di
Illich sulla lettura come interiorizzazione dei significati
oggettivati dalla scrittura che i medievali inaugureranno superando
la lettura pubblica ad alta voce come rituale quasi esclusivamente
sociale, promotore di una cultura tendenzialmente oggettiva,
attraverso laccumulazione ripetitiva di suoni orientati
alla produzione di una uniformità unisona.
Scuola e cultura
Leggere Illich vuol dire respirare contemporaneamente le origini
di una cultura che per poter manifestare la propria essenzialità
deve essere liberata dalla sua ambiguità che la fa pretendere,
e così spesso nella storia la trasforma, come principio
del dominio, e insieme identificare esattamente lantidoto
di questo rovesciamento, cioè il ritrovamento del significato
di quelle origini nel riferimento alle dimensioni elementari,
naturali delluomo che si scopre come soggetto
ed esercita per tutta la vita le conseguenze, che sono anche
le condizioni, di questa scoperta. È questo ritrovamento
che la scuola impedisce, emarginando i più con lesclusione,
o con un pesante giudizio di inadeguatezza, dal processo di
apprendimento requisito in termini di sistema tutto precostituito,
cioè affatto indipendente e previo rispetto allesercizio
stesso dellapprendimento, che dovrebbe invece avere principio
in se stesso. Cosicché lautoeducazione che non
abbisogna di altro che dellattivazione dellaspetto
didattico/comunicativo delle doti di ciascun vivente, è
sostituita e dunque resa impotente dai dettami elaborati da
un sapere che fa riferimento a se stesso (ai propri metodi,
e fini, e privilegi) e affatto alle richieste reali e sensate
di chi vuole sapere. Così i più sono esclusi,
e la curiosità naturale e generale lascia il posto alla
logica di una costruzione maneggiabile da coloro che hanno il
coltello per il manico, cioè da coloro che possiedono
ed esercitano il sapere come privilegio discriminatorio. Ovvero
come lo strumento principale della discriminazione.
Per questo la deistituzionalizzazione scolastica è prioritaria,
poiché è nella scuola che si elaborano e si comunicano
i criteri di questa discriminazione, lobbedienza, laccettazione
dei dati di fatto. «La scuola è lagenzia
pubblicitaria che ti fa credere di aver bisogno della società
così comè». Illich sa qual è
il formidabile valore rivoluzionario della cultura come progressivo
processo di autocoscienza e quindi di acquisizione del giudizio
critico, e per questo denunzia la scuola come altrettanto formidabile
disarmo di questo potenziale esplosivo. Un esplosivo, se così
lo si può chiamare metaforicamente, finalmente pacifico
che rappresenta cioè le condizioni della trasformazione
sociale come normale procedura di costruzione della storia invece
che costretto esercizio della violenza clonata sulla violenza
del potere da cui ci si deve difendere. Interrompiamo il normale
processo di alienazione e ci affrancheremo dalla necessità
del ricorso alla violenza come strumento di liberazione dalla
violenza.
Questo significa restituire la speranza che è stata sostituita
storicamente dalle aspettative: la speranza, come apertura alla
vita di ciascun uomo, che è stata vanificata dalla costruzione
artificiale di aspettative in un gioco oggettivo di rimandi
tra possibilità operative e creazioni di bisogni che
le rendano concretamente reali e indefinitamente superabili.
Così si chiude il saggio sulla descolarizzazione, con
un richiamo allunico dono positivo che Pandora ha tenuto
ben chiuso nel suo vaso dopo essersi lasciati sfuggire tutti
i mali disperdendoli nel mondo, lunico bene divino che
ella ha riservato allumanità, la speranza come
respiro della soggettività.
Pietro M. Toesca
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