Rivista Anarchica Online


religioni

Torniamo a Melchisedech
di Carlo Oliva

 

Le tre religioni monoteiste sono per molti aspetti simili. Soprattutto sono tutte e tre pronte a soddisfare le necessità ideologiche del potere.

Non mi è mai stato facilissimo, in tutta confidenza, comprendere i tanti che in questi tempi grami fanno tanto gran parlare del “conflitto di civiltà” e lo illustrano specialmente con esemplificazioni e argomenti di tipo religioso. Non che di conflitti ci sia scarsità su questa terra ed è vero che la religione è stata ampliamente utilizzata, nei secoli, per motivarli, ma le fedi che costoro vedono in collisione, ciascuna alla testa di una sua specifica civiltà, si limitano, in genere, alle tre cosiddette “religioni monoteistiche” (“abramite”, per chi ama i termini dotti), vale a dire l'Islam, il Cristianesimo e quella forma moderna di Ebraismo che solo in certe enciclopedie ci si ostina a denominare “Giudaismo”, con un termine che ricorda un po' troppo gli usi derogatori di un passato recente per poter essere utilizzato a cuore leggero. E basta un punto di vista appena distaccato per rendersi conto, mi sembra, che le distinzioni tra queste realtà spirituali sono, in sostanza, ben poca cosa. Tutte e tre prevedono un Dio trascendente, eterno e increato, creatore dell'Universo (e quindi del genere umano) e dei singoli uomini lo considerano al tempo stesso padre affettuoso e severissimo giudice, attribuendogli la responsabilità di inserire post mortem la loro anima immortale in un sistema permanente di premi celestiali e punizioni durissime, a seconda del comportamento che ciascuno avrà tenuto nei suoi trascorsi terreni. Né molto diverse, a ben vedere, sono le norme morali cui i fedeli sono tenuti a conformarsi per ottenere la salvezza ed evitare la dannazione.

Stessa lunghezza d'onda

Certo, di differenze non ne mancano. La teologia cristiana è inutilmente complicata, per via della ben nota necessità di attribuire una natura divina al suo Fondatore, salvando allo stesso tempo il monoteismo di tradizione ebraica e quei passaggi nei testi “rivelati” in cui Egli entra manifestamente in contatto con un Padre divino altro da lui (né ho mai capito, a proposito, perché mai si sia sentita la necessità di complicare ancora di più le cose introducendo lo Spirito Santo). Islam ed Ebraismo hanno una struttura più semplice, ma danno molta (troppa?) importanza a tutta una serie di tabù e prescrizioni rituali di non facile spiegazione in una prospettiva puramente spirituale. Certe normative, specie sul piano sociale, sono incompatibili tra di loro, come nel caso dell'alternativa tra poligamia e monogamia, che comunque precedeva, nei vari sistemi sociali la predicazione dei rispettivi credo e, in ogni caso, si va riducendo sempre di più negli usi e nelle legislazioni dei paesi musulmani (salva, naturalmente, ogni opposta intenzione da parte dei fautori della shariya). E si sa il Cristianesimo è nato, a differenza degli altri due, al di fuori degli interessi politici e militari delle classi dirigenti del suo paese d'origine (i suoi adepti non cessano di vantarsene), ma in fondo, sono bastati tre secoli per far diventare anche la loro fede una religione di stato. Tutte differenze, come si vede, significative. Ma tali, forse, da contare fino a un certo punto: le somiglianze sembrano molto più significative e configurano quasi una identità, come si può facilmente comprendere quando si prende in considerazione l'abissale estraneità di altri pur rispettabili sistemi religiosi, tipo l'Induismo e il Buddismo, in cui, tanto per dirne una, l'ideale proposto all'individuo non è né la felicità eterna né l'eterna sopravvivenza, ma, piuttosto, l'estinzione definitiva nel Nirvana. Dal punto di vista del soddisfacimento di certe necessità spirituali, di quella ricerca di senso che può assillare una vita, non si può negare che Mosè, Gesù Cristo e Maometto (o chi per loro) non fossero sulla stessa lunghezza d'onda. Del resto l'alta cultura europea se ne è accorta almeno da sette secoli, come sta a dimostrare quella celebre quarta novella della prima giornata del Decamerone in cui Melchisedech giudeo con una novella di tre anella cessa un grave pericolo dal Saladino apparecchiatogli, raccontando la storia di quel tale, che non sapendo decidere a quale dei tre carissimi figli lasciare l'anello di famiglia, ne fa eseguire due copie perfette e a ciascuno consegna separatamente uno dei tre esemplari, così che i destinatari non potranno mai sapere se l'anello in loro possesso è quello giusto, ma in compenso non avranno mai dubbi sull'identico amore che il padre nutriva per tutti loro. E se, come sembra, si tratta di un apologo di origine mediorientale, è probabile che alla stessa conclusione fossero giunti anche prima del Decamerone i più illuminati degli Ebrei e dei Musulmani di allora.

Ma la fede non c’entra

Naturalmente esiste anche la bassa cultura (quella, per intenderci, dei gruppi dominanti, laici o ecclesiastici), che da sempre ha giustificato con la diversità religiosa le numerose stragi e le guerre cui le Genti del Libro (altro bel termine dotto per indicare gli aderenti ai tre monoteismi de quibus) si sono reciprocamente sottoposte, sforzandosi di applicarle, per sicurezza, alle proprie suddivisioni interne. Le Crociate all'epoca del Boccaccio erano già finite, ma dovevano ancora venire le guerre di religione europee, le conversioni forzate nel nuovo mondo, le conquiste coloniali e tutte le analoghe piacevolezza che hanno preceduto, sempre in nome della fede, gli attuali massacri in Medio Oriente e altrove. Solo che la fede, con queste cose, non c'entra davvero molto. Se si va a vedere un po' da vicino, si vede subito che le peculiarità in nome delle quali si dice di battersi sono di tipo puramente amministrativo o rituale: riguardano l'organizzazione chiesastica, i criteri da impiegare per definire gli obblighi e i doveri dei credenti, la scelta di chi li dovrà gestire e sanzionare in questo basso mondo, fungendo – come se niente fosse – da delegato di Colui che li gestirà e sanzionerà definitivamente nell'altro: problemi, tutto sommato, di potere, che nulla hanno a che fare né con la teologia né con la morale. E se si scava appena un poco di più, ovviamente, si fa in fretta a capire che anche a questi livelli di pretesti si tratta e che, stringi stringi, ci si scanna più per il possesso della terra e dell'acqua (come in Palestina, dove il problema base – mi sembra – resta quello della colonizzazione), del petrolio (in Medio Oriente e altrove) o del controllo strategico delle line di comunicazione planetaria (in Asia centrale), che per qualcosa che abbia a che vedere con le esigenze spirituali di chicchessia. Il vizio occulto della religione, quello che giustifica la celebre (e un po' impietosa) definizione marxiana di “oppio dei popoli” non è forse esattamente, come intendeva Marx, il fatto che in essa l'uomo si alieni in Dio, ma va cercato proprio in questa sua disponibilità a fungere da copertura di altri interessi, in questa sua incomprensibile tendenza a soddisfare docilmente le necessità ideologiche del potere. Onde la necessità, per gli spiriti religiosi, di ribellarsi, in primo luogo, contro le proprie autorità spirituali, negando loro con tutta l'energia necessaria il diritto a compire tali disinvolte operazioni. Ma questo, ovviamente, è più facile da dirsi che a farsi, come a noi europei potrebbe utilmente insegnare la storia della Riforma.
Cose vecchie, come si vede. Ma è un fatto che un mezzo millennio dopo quel tentativo i Ratzinger di questa terra, in perfetta concordia d'intenti con i muftì, gli ayatollah e quant'altri, continuano ad arrogarsi il diritto di prescrivere, con o senza la mediazione dell'autorità civile, norme e comportamenti obbligatori a chi crede e a chi non crede. Lo faranno, come si ostinano a ripetere, per il nostro stesso bene, quello che loro, grazie ai contatti diretti che intrattengono con l'Onnipotente, conoscono meglio di noi, ma il fatto che ci sia gente che approfitta di una delega concessagli in nome di una cosa seria come la fede per affermare il proprio potere anche nei confronti di chi non gli ha delegato alcunché va giudicato, come minimo, profondamente malinconico.
A noi resta il problema dello “scontro di civiltà”. Che vuol dire, tra l'altro, propaganda antimusulmana, arroccamento identitario, ineguaglianza civile, ostilità per le minoranze, incapacità di organizzare la convivenza etnica e tutto quello che ne consegue. Vuol dire, nel migliore dei casi, la tendenza a privilegiare una mal intesa “multiculturalità”, una concezione a mosaico, separatista, della molteplicità civile, ai danni degli sforzi di integrazione, di scambio culturale, di promozione del meticciato in nome della ragione e della libertà. Di fronte a tutto ciò, può sempre sembrare raccomandabile una breve riflessione sulla saggezza dell'antico Melchisedech.

Carlo Oliva