Rivista Anarchica Online


 

Incontro hacker a Parma

L'Hackmeeting è l'incontro annuale delle comunità e delle controculture digitali italiane. A Parma, 1, 2, 3 settembre, si sono tenuti tre giorni di seminari, giochi, feste, dibattiti, scambi di idee ed apprendimento collettivo.
Durante l'Hackmeeting si ritrovano quanti si riconoscono nel termine "hacker", in gergo scherzoso “acaro”, inteso non come il criminale informatico dell'immaginario collettivo, ma come persona curiosa, desiderosa di apprendere e di condividere le proprie conoscenze tecniche e non.
L'attitudine hacker si manifesta nella nostra quotidianità, nel voler capire e modificare la realtà, non solo informatica, ma anche reale, concreta con la quale ci troviamo a fare i conti ogni giorno.
L'Hackmeeting è quindi uno spazio dove condividere saperi e confrontarsi con altri desiderosi di fare altrettanto. Sostanzialmente, se vogliamo interpretare l'evento in chiave teorica, “creare saperi senza fondare poteri”.

Parma, 1-3 settembre. La sede dove si è svolto l'Hackmeeting (foto Ettore Brocca)

Per la nona edizione, a differenza degli anni precedenti, l'Hackmeeting si è tenuto in uno stabile ASL abbandonato, situato in via Buffolara 8 a Parma, appositamente occupato e reso operativo (allacci di luce, acqua, ma soprattutto di “banda!”, ossia la fondamentale connessione ad internet), in vista dei primi di settembre.
Durante l'evento sono stati organizzati seminari e dibattiti autogestiti, aperti al pubblico e gratuiti, in cui si è parlato di tecnica, ma anche di politica. C'è tra l'altro da precisare che a prescindere dai partecipanti che avevano segnalato preventivamente il dibattito, chi aveva qualcosa da dire si inseriva nel palinsesto della giornata e poteva, senza particolari problemi, irrorare avide menti grazie agli studi ed all'esperienza acquisita, ma anche, in virtù del principio paritario, ricevere critiche ed ampliare le proprie conoscenze grazie agli interventi dei partecipanti.
Si è portato avanti inoltre il discorso sui diritti digitali, sulla scelta del software libero, l'opposizione alla logica dei brevetti e del copyright tradizionale, la costruzione di server autogestiti, lo studio e la sperimentazione di fonti energetiche pulite, i risvolti dell'uso sociale delle tecnologie e dell'incontro tra tecnologie e sessualità, i problemi legati al lavoro in campo informatico, l'autodifesa della propria privacy, lo studio dei dispositivi di controllo e di sorveglianza, la resistenza alla censura.
Una kermesse che ha coinvolto una serie infinita di problematiche senza soffermarsi alla critica sterile, proponendo alternative possibili nel rispetto dell'autodeterminazione di ciascun individuo.
Da non dimenticare i momenti ricreativi la sera ed i problemi amministrativi, se così possiamo chiamarli, ovvero i rapporti con le forze dell'ordine e con il giornalismo allineato, i quali sono stati allietati dalla Sezione Sarcasmo, a tratti crudele. Gli scambi di battute tra quest'ultima e l'ambito legale sono stati impagabili sul piano della goliardia verbale, dell'arguzia grammaticale, ma soprattutto delle espressioni interrogative delle ignare vittime.
Perché hacking non è solo informatica, linguaggi di programmazione e autoreferenzialità, è anche, come abbiamo visto un modo di concepire la realtà.
Un hacker non si ciba solo di chip e di codice, ma quotidianamente si confronta con le problematiche abitative, con il precariato, con “la fine del mese” – aspetti che non possono essere ignorati.
Per questi motivi viene coinvolta la “politica” in senso lato – molte volte travisata e confusa sia da alcuni che si sentono dentro, sia da coloro che non hanno mai rivolto lo sguardo alle problematiche sociali. La politica dell'hackmeeting, non è né di matrice giacobina, né di matrice istituzionale; potrebbe definirsi addirittura postanarcoide, la quale punta al superamento degli schemi tipici del XX secolo e guarda già ad un mondo liberato dalla paura, dal controllo mediatico, dal pregiudizio, dalla finzione, dai grossolani tentativi di dominazione dell'uomo sull'uomo.
I termini in questo senso si sprecano, non entro quindi nelle diatribe postmeeting, si potrebbero aggiungere critiche e controcritiche, ma non è funzionale ad avere un quadro generale della manifestazione.
Le opinioni lasciano il tempo che trovano, l'Hackmeeting intanto sopravvive e si prepara già per il decimo anniversario. I partecipanti entusiasti promettono grandi cose. Chi vivrà vedrà.

Stay tuned ;).

Ettore Brocca
ettore.brocca@autistici.org

Linkografia essenziale:

http://www.hackmeeting.org
http://it.wikipedia.org/wiki/Hackmeeting
http://www.technorati.com/search/hackmeeting
http://www.technorati.com/search/hackit
http://www.ippolita.net

 

Medecins sans Frontieres:
più di 30 anni di aiuto umanitario
Un incontro con Caroline Prat di MSF

Tra giugno e luglio in molte città della Francia i volontari di MSF stazionavano con i loro camion all'interno dei quali erano state ricostruite situazioni di vita quotidiana nei campi profughi e negli ospedali dove opera l'organizzazione umanitaria. Il visitatore poteva ascoltare in cuffia le testimonianze di chi sta intervenendo a sostegno delle vittime del colera, della malaria, della fame, della guerra… in varie aree del mondo, dal Sudan all'Indonesia, dalla Cecenia al Congo.
Ho intervistato Caroline Prat, Mediatrice per la Comunicazione di Medecins Sans Frontieres, la principale organizzazione umanitaria francese.
"In maggio – ci spiega l'attivista – Jean-Hervè Bradol è stato rieletto per la terza volta presidente di MSF e questo è sicuramente un segno di continuità".
Nel gennaio del 2005 J. H. Bradol era stato al centro di una forte polemica per "aver chiesto di sospendere gli aiuti in denaro ("arret de dons") per MSF a quindici giorni di distanza dall'onda tsunami del 26 dicembre 2004". Era arrivato a definire "nèocolonialistes" coloro che invece volevano proseguire con l'invio di denaro. "Non dobbiamo dimenticare – precisa Caroline – che si riferiva alle donazioni specificatamente inviate per il dopo-tsunami, donazioni che, per rispettare la volontà dei donatori, non potevano essere utilizzate altrove. Per noi a quel punto era più importante la solidarietà esercitata direttamente sul posto".
Già l'indomani MSF aveva inviato volontari e materiali in Indonesia e Sri Lanka. "Possiamo dire – prosegue la portavoce – che a livello locale autorità e volontari hanno saputo rispondere alle esigenze immediate: cure mediche, sostegno psicologico, utensili e materiali per la ricostruzione. Nel caso dello tsunami gli aiuti dei governi hanno raggiunto un livello senza precedenti, ma non erano sempre una garanzia di aiuto equo e disinteressato, adatto alla situazione. Non dimentichiamo che, purtroppo, c'erano molti più morti che feriti e questo fatto era determinante per il tipo di intervento".
Si era parlato di "un presunto rischio di epidemie, ma in gran parte si trattava di un'invenzione mediatica che ha prodotto una sorta di psicosi. Con il nostro gesto, con la richiesta di sospendere l'invio di denaro, abbiamo voluto ricordare che i problemi, le emergenze sanitarie ci sono sempre e in ogni angolo del pianeta, non solo quando ne parla la televisione. Talvolta alcune catastrofi si prestano ad essere spettacolarizzate e nel caso dello tsunami la gente, almeno in Francia, si è sentita maggiormente coinvolta per la presenza di turisti occidentali".
Alla fine, anche se MSF aveva chiesto la sospensione, "non è stato ugualmente possibile utilizzare una parte degli aiuti ricevuti. Abbiamo allora chiesto ai donatori di poterla trasferire ad altre situazioni e bisogna dire che soltanto una piccola parte ha voluto essere rimborsata".

Nantes. Il camion con la mostra di MSF (foto di Gianni Sartori)

Pensando a quanto è avvenuto e avviene in Somalia, Bosnia, Cecenia, Iraq, Congo... ho chiesto all'esponente di MSF che cosa ne pensano oggi del Nuovo Ordine Mondiale e degli "interventi multilaterali per risolvere i conflitti" che, in passato, alcuni esponenti di MSF (come Bernard Kouchner sul Kurdistan iracheno nel 1991) sembravano prendere in considerazione. Ha premesso che "MSF è una ONG che non ha una particolare vocazione a farsi coinvolgere nella politica", ma che tuttavia si permette di "denunciare ciò che è intollerabile nel mondo. Per esempio abbiamo denunciato, attraverso una mostra esposta in varie nazioni, le sofferenze della popolazione in Palestina. Da parte sua nel 1994 J. H. Bradol aveva criticato pubblicamente François Mitterand per aver appoggiato il regime di Kigali negli anni precedenti il genocidio dei Tutsi. Nel 1995, per aver testimoniato sul massacro di Kibeho, MSF venne espulsa dal Rwanda. In Rwanda – ricorda Caroline – vennero uccisi anche alcuni impiegati tutsi di MSF. Due anni fa la stessa sorte è toccata a due nostri volontari in Afghanistan dove, al momento, non siamo più presenti. Noi in Afghanistan, come del resto in Iraq, non ci siamo schierati. Abbiamo dato assistenza alla popolazione, agli sfollati e ai rifugiati, ma a questo punto non possiamo rischiare la vita di altri volontari". Due volontari sono morti anche in Sudan nel 1989 a causa di un attentato e altri sono rimasti vittime di lunghi sequestri: nel Daghestan nel 2002 e in Iraq nel 2003.
Nel 1991 a MSF è stato assegnato il Premio Nobel della Pace, un riconoscimento che in genere va a "persone fisiche". In questo caso "è stato dato a MSF in quanto "persona morale". Sicuramente ne abbiamo guadagnato in credibilità ed è servito a farci conoscere maggiormente dall'opinione pubblica. Il Nobel è anche una garanzia di serietà, un riconoscimento per il lavoro svolto da tutti i volontari. Con i fondi del premio MSF lanciò una campagna per favorire l'accesso ai medicinali essenziali nei paesi poveri".
Ho posto a Caroline Prat un'ultima domanda sul Darfour, dove è attualmente impegnata l'organizzazione. "Tecnicamente nel caso del Darfour non si potrebbe parlare di genocidio, non essendoci una vera pianificazione dello sterminio, ma la situazione è ugualmente molto grave. Migliaia di sfollati e di rifugiati dipendono dalle ONG per la loro sopravvivenza, ma gruppi di miliziani e di ribelli non rispettano gli spazi umanitari e attaccano perfino i campi profughi. Quella del Darfour è attualmente la missione più impegnativa di MSF. Ci occupiamo dei feriti, dei bambini sottoalimentati, della fornitura di acqua potabile. Inoltre MSF ha denunciato con forza le violenze delle milizie appoggiate dal governo di Khartoum".

Gianni Sartori

 

Nantes e Bretagna:
continua la mobilitazione contro il nuovo aeroporto

In tutto il nord-ovest della Francia non si arresta la mobilitazione contro il previsto aeroporto di “Notre-Dame-des-Landes”, a circa venti chilometri da Nantes. Tra le numerose iniziative la più spettacolare è stata sicuramente la manifestazione del 25 giugno 2006. Nonostante il tempo piovoso, circa 4000 persone, soprattutto famiglie, si sono riunite a Fosses-Noires, tra praterie e bocage, in un ambiente ancora incontaminato, protetto da migliaia di querce secolari. Dopo un pic-nic collettivo, i manifestanti si sono riuniti per formare una grande “fresque humaine”: Aeroport, no!, mentre al microfono proseguivano gli interventi. I “resistants” di Larzac hanno portato il loro incoraggiamento agli “amis bretons” e alla loro azione in difesa della terra. Sono intervenuti anche gli antinucleari, varie associazioni protezioniste, Greenpeace, la Confédération Paysanne, gli autonomisti bretoni (di sinistra!) di Emgann. Dominique Voynet, esponente dei Verts, ha raccontato che “quando ero al ministero dello Sviluppo del territorio e dell'Ambiente, ho potuto esaminare il progetto di Notre-Dame-des-Landes. All'epoca si ragionava in termini di aeroporti internazionali piuttosto che di piccoli aeroporti distribuiti sul territorio, come quello di Angers, di Saint-Nazaire o di Rennes. Ma ora – ha proseguito Voynet – con il petrolio a 70 dollari la situazione è completamente cambiata”. Sulla stessa linea un altro esponente del partito ecologista, Yves Cochet: “Il rincaro del petrolio non va a favore del traffico aereo, soprattutto di quello delle compagnie a basso costo”. E ha concluso che “noi abbiamo la speranza di poter seppellire questo progetto”. Tra i militanti di base sembra circolare meno ottimismo. Guy, Paul e Jérôme sono ambientalisti e pacifisti da vecchia data. Hanno vissuto molti anni a Larzac ed erano a Genova nel luglio 2001. “Chi ha i soldi e il potere vuole a tutti i costi costruire l'aeroporto e probabilmente ci riuscirà”, mi dicono. Ma non per questo rinunciano a lottare. Sono qui dall'alba come benévoles (volontari) per montare il palco, i gazebo e preparare la grande manifestazione.

Nantes. Cartelli contro l'aereoporto (foto di Gianni Sartori)

I fautori del progetto sostengono che entro il 2010 l'aeroporto di Nantes-Atlantique sarà saturo, ma per gli esponenti della Confédération Paysanne “queste previsioni sono completamente infondate, così come lo erano quelle che nel 1970 prevedevano 5 milioni di passeggeri entro il 2000. Invece siamo ancora a due milioni”. Sono 35 anni che questo progetto è nato, ma “al momento di realizzarlo – sostengono – è già troppo tardi. Il degrado ambientale, l'aumento della temperatura, la fine ormai annunciata del petrolio sono solo alcune delle ragioni per cui questa opera è inutile oltre che nefasta”. L'area individuata per l'aeroporto si trova in una zona di bocage ancora ben conservata, un corridoio naturale tra la valle dell'Erdre, la Brière e l'estuario della Loire dove esiste una eccezionale varietà di flora e fauna, altrove scomparse da tempo. E la realizzazione dell'opera porterebbe alla “distruzione totale di queste ricchezze naturali”. Infatti un aeroporto concepito per 9-10 milioni di passeggeri comporterebbe più di 130.000 movimenti all'anno tra decolli e atterraggi; 350 aerei di media ogni 24 ore; un aereo ogni 2-3 minuti dalle 8.00 alle 19.00; 30 aerei all'ora nelle ore di punta.

Gianni Sartori