«Hanno preso i nostri frutti, tagliato i nostri rami, bruciato i nostri tronchi, ma non potranno mai uccidere le nostre radici.»
Popol Vuh
libro sacro della cultura maya quiché |
Introduzione
Sono più di sei mesi che nel mondo si sente parlare delle lotte che hanno agitato lo stato messicano di Oaxaca, cominciate con le proteste sindacali degli insegnanti della storica Sezione XXII del Sindacato Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione (SNTE) fino alle mobilitazioni organizzate dall’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca (APPO) e alla successiva violentissima repressione delle autorità statali e federali. Come è stato possibile giungere ad un livello di coinvolgimento popolare così grande? Quali sono stati i fattori che hanno permesso al popolo di organizzarsi, resistere e far sentire la propria voce?
Si è scritto poco sulla situazione politica e sociale oaxaqueña e questo articolo cerca umilmente di far conoscere l’altra Oaxaca, non quella delle mete turistiche, come Puerto Escondido e Huatulco, dal folklore e dalla famosa gastronomia del mole (1) e del cioccolato, con cui tanti messicani e stranieri sono abituati a identificare questo paese, per arrivare alla Oaxaca che lotta da tempo immemorabile per la dignità degli oppressi che resistono e si ribellano ai propri oppressori.
Oaxaca è uno stato di dimensioni medio-grandi appartenente alla Federazione messicana situato nel sudest della costa dell’Oceano Pacifico. La popolazione totale è di circa 3,5 milioni di persone di cui più di 1 milione appartengono alle diverse minoranze indigene autoctone, rappresentando così lo stato messicano con maggiore presenza indigena (2).
Insieme agli stati di Chiapas e Guerrero, Oaxaca è uno degli stati in cui si presenta in modo più grave l’emarginazione e l’esclusione sociale, in questo grande Messico che conta in totale circa 104 milioni di abitanti. In Oaxaca l’80% dei 570 municipi non dispongono dei servizi basilari come acqua corrente, fognature ed energia elettrica senza contare i servizi sanitari ed educativi che gran parte della popolazione non ha mai visto arrivare nelle proprie comunità. I conflitti agrari, l’emarginazione, l’emigrazione, la violazione sistematica dei diritti umani e i conflitti elettorali fanno parte della quotidianità e della realtà sociale del paese.
Comunità indigene,
resistenza e autogoverno
Ingiustizia e soprusi non sono le uniche caratteristiche di Oaxaca e questa terra spesso dimenticata ha una lunga storia di lotta popolare e resistenza indigena. La presenza nello stato di ben 16 etnie di ascendenza indigena diverse ha espresso una storia millenaria di resistenza contro le pratiche di dominio, nella quale si possono identificare processi organizzativi comunitari, azioni tese alla riconquista dell’autonomia e all’autodifesa dei propri territori dall’invasione spagnola ad oggi. Non dimentichiamo neanche la zona del litorale caratterizzata da un mix etnico con le popolazioni africane che arrivarono alla costa come cimarrónes (3), e che da sempre si affiancano alle lotte sociali oaxaqueñe.
Le forme millenarie di resistenza hanno ricevuto linfa vitale dalla presenza di usi e consuetudini radicate nella storia di queste popolazioni: è importante accennare che in Oaxaca si concentra il maggior numero di municipi che si governano sulla base di queste norme, spesso derivanti dall’epoca pre-ispanica. L’invasione spagnola ha saputo prevalere militarmente e piegare la resistenza indigena sfruttando le divisioni tra etnie e avvantaggiandosi delle epidemie provocate dal contatto con gli invasori (p.es. il vaiolo) ma le forme di autogoverno basate sugli usi e le consuetudini hanno saputo sopravvivere.
Nel 1521 Huaxyacac, nome originale della regione che gli spagnoli non potevano comprendere e pronunciare, fu sottomessa e il nome della regione fu cambiato in Oaxaca dando quindi origine a una lunga serie di atti di resistenza da parte delle popolazioni autoctone. Va segnalato che la regione Mixe, situata nell’area montagnosa a nord, non è mai stata conquistata militarmente dagli invasori.
Con le armi in pugno gli spagnoli conquistarono comunque terre e ricchezze naturali e soffocarono ogni resistenza nel sangue: nella storia umana mai si era assistito ad un genocidio di queste proporzioni e, in meno di trent’anni, gli uomini appena arrivati stabilirono in Messico il Viceregno della Nuova Spagna.
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Oaxaca (Messico), 2006 – Un momento degli scontri (foto APPO) |
Ricardo Flores Magón
e il Partito Liberale Messicano
La resistenza dei popoli indigeni del Messico e, specialmente, quelli della zona oaxaqueña è stata costante non solo nei confronti dell’invasore spagnolo, francese o nordamericano, ma anche ai governi conservatori o progressisti del Messico indipendente ed al gruppo che ha conquistato il potere attraverso la sconfitta della cosiddetta Rivoluzione Messicana. I più radicali esponenti del movimento che originò il processo rivoluzionario in Messico furono i fratelli anarchici oaxaqueños Flores Magón fondatori del Partito Liberale Messicano (PLM) e del periodico “Regeneración” che diventò organo ufficiale del Partito (4). La priorità dell’ala più radicale (anche detta magonista) del PLM fu sempre quella di lavorare per una rivoluzione totale sia economica che politica e sociale.
Il magonismo, attraverso azioni, proclami, articoli, programmi, ribellioni, assemblee, si legò naturalmente alla lotta tradizionale di resistenza dei popoli indigeni. Questo legame fra lotte indigene e magonismo fa parte di una tradizione socialista determinata dal comunalismo tradizionale dei popoli nativi. Il magonismo che nacque come movimento politico nel 1892 si compose quindi tradizionalmente di tre componenti: il liberalismo messicano, l’anarchismo europeo e il comunalismo indigeno riuniti spesso in una sintesi proficua che impresse un carattere distintivo ai processi rivoluzionari messicani. Nel movimento magonista parteciparono uomini e donne di diverse regioni del paese e di razze e tradizioni distinte. Molti degli esponenti morirono in carcere o negli scontri violenti con le truppe federali, altri arrivarono a importanti cariche governative o furono eletti deputati, altri ancora entrarono nel movimento zapatista mentre la maggior parte semplicemente morirono in povertà.
Il movimento magonista, come tante altre correnti popolari, alla fine è stato sconfitto: la rivoluzione convertita in governo non poté che soccombere. Chi riuscì a capitalizzare la forza espressa da questo movimento sociale si vide però obbligato ad adottare alcuni dei postulati programmatici del magonismo e questa circostanza si riflesse in alcuni caratteri rivoluzionari di quel documento, completamente disatteso, che è la costituzione politica che nacque nel 1917 dalla cosiddetta Rivoluzione Messicana. Senza dubbio, il magonismo costituì la forza principale di opposizione alla tirannia di Porfirio Diaz, ma alla fine non riuscì a far prevalere il suo avanzatissimo progetto sociale (5).
Sul termine “magonismo” e sull’appartenenza al Partito Liberale Messicano fino ad ora utilizzato vale la pena di ricordare le parole dello stesso Ricardo Flores Magón: “noi membri del Partido Liberal Mexicano non siamo magonisti, siamo anarchici”, dicendo questo per una ragione molto chiara: “non sono magonista, sono anarchico. Un anarchico non ha idoli”.
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Oaxaca (Messico), 2006 – Un carica della polizia (foto Notimex) |
Dopo la Rivoluzione
Messicana tradita
I conflitti vissuti nello stato di Oaxaca non sono stati risolti con le promesse tradite del periodo della Rivoluzione Messicana (1910). La mancata soluzione del problema della terra per i campesinos, si aggiunge all’aumento esponenziale della pressione governativa, volta a realizzare ulteriori espropri di terre comunitarie per soddisfare interessi commerciali ben noti, potentati nazionali ed internazionali. L’ubicazione geopolitica strategica degli stati del sudest messicano, tra i quali in particolare Oaxaca e Chiapas, rappresenta un importante conquista strategica per gli interessi sovranazionali del capitale grazie alla presenza di grandi risorse naturali situate nei territori indigeni.
In Oaxaca sono presenti importanti giacimenti di uranio e titanio e, quindi, non sorprende che nelle regioni dove sono presenti ricchezze naturali, il governo abbia iniziato una vera e propria guerra come, per esempio, nella regione abitata dal popolo Loxicha. In questa regione, la repressione brutale del governo, a partire dal 1996, ha avuto come pretesto la lotta contro l’EPR (Ejercito Revolucionario Popular) e ha causato minacce, arresti, torture e, logicamente, grandi spostamenti di popolazione. Questa situazione non è limitata alla regione Loxicha ma si ripropone come strategia generalizzata in diverse aree dello stato.
Il problema della terra, non solo genera attriti fra i campesinos e le autorità statali e federali, ma provoca anche divisioni e conflitti fra le popolazioni indigene: molte Comunità si sono viste coinvolte in guerre fratricide, causate dalla tensione sull’utilizzo delle terre coltivabili. Questi conflitti sono una costante non solo in Oaxaca, ma in tutto il Messico e gli interessi dei governi giocano un ruolo importante nel provocare conflittualità che possono poi essere utilizzate per ridurre il dissenso nei confronti delle speculazioni. Utile notare l’impotenza colpevole delle agenzie governative, preposte alla soluzione dei conflitti come, per esempio, la Secretaria de la Reforma Agraria.
La strategia di non risolvere i conflitti agrari e anzi di fomentare divisioni e conflitti tra le comunità indigene che, sfortunatamente, spesso finiscono in tragedia, rappresenta uno degli assi strategici dell’azione governativa. Il governo si lava le mani ed accusa le Comunità indigene di non saper risolvere conflitti di carattere etnico, utilizzando questa presunta incapacità per occupare il territorio con militari o forze di polizia, sorvegliare e minacciare le Comunità e, quindi, favorire lo sfruttamento delle risorse naturali. Quando non esiste una disposizione al conflitto da parte delle Comunità, sono i corpi paramilitari che provocano, intimidiscono, minacciano e, quando necessario, violentano e assassinano persone innocenti. In questo modo si ottiene lo stesso risultato: problemi tra comunità, costruzione di basi militari, e poco a poco, totale controllo del territorio attraverso la militarizzazione di tutta la regione interessante ai fini dello sfruttamento delle risorse. Ricordiamo il massacro di Agua Fria, municipio di Santiago Textitlán, dove, nel giugno del 2002, 26 operai di una segheria sono stati assassinati mentre rientravano alle relative Comunità. Il governo accusò prontamente gli abitanti della Comunità vicina, benché la tipologia delle armi utilizzate, le modalità della violenza e la tattica del massacro mostrassero chiaramente uno stile militare (6).
Questo clima di ingiustizia, nel quale le Comunità indigene sono costrette a vivere, non è l’unico elemento da considerare: Oaxaca è una regione chiave per il narcotraffico, un altro problema che il governo evidentemente non ha interesse a risolvere, lasciando le comunità alla mercé di paramilitari e trafficanti di droga. In queste condizioni, nelle quali il governo non garantisce la sicurezza degli abitanti, non stupisce che, in molte comunità indigene ,siano stati creati gruppi di autodifesa per proteggere la terra che coltivano e la propria vita.
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Oaxaca (Messico), 2006 – (foto Telesur) |
Agricoltura, economia
e flussi migratori
L’economia delle comunità indigene si basa principalmente sull’agricoltura, si coltivano granoturco, caffè e fagioli principalmente per autoconsumo: sovente le coltivazioni in forma comunitaria riguardano le terre marginali (ovvero a bassa produttività e resa), delle zone collinose e montagnose, poco interessanti per il capitale. Nell’ultima decade, il prezzo del caffé ha seguito un trend discendente di medio periodo, si sono moltiplicati gli intermediari e l’agricoltura ha perso ulteriormente capacità di produrre reddito. Inoltre, il governo ha continuato ad attuare i propri piani contro le comunità realizzando modifiche sostanziali all’articolo 27 della Costituzione Messicana che riguarda le proprietà comunali (7). Ai margini delle comunità, soprattutto nel sud dello stato, si trovano industrie marginali come birrerie e raffinerie.
Non stupisce quindi che il popolo oaxaqueño conviva quotidianamente con l’emigrazione, principalmente verso le aziende agricole e industriali degli Stati Uniti d’America e del nord del Messico. Molti paesi si sono quindi svuotati, molte famiglie hanno dovuto separarsi e, con l’emigrazione massiccia, sono nati gravi problemi d’identità culturale, tossicodipendenze, comportamenti antisociali che portano alla rottura il tradizionale tessuto comunitario, base della vita dei popoli indigeni da millenni.
Tutti i governi succedutisi in Messico hanno favorito la spoliazione delle ricchezze naturali, presenti nei territori abitati dai popoli indigeni, da parte del capitale, soprattutto estero: dall’invasione spagnola, passando dal governo saccheggiatore del Generale Santa Anna alla dittatura dell’oaxaqueño Porfirio Diaz all’inquietante Carlos Salinas de Gortari fino ad arrivare a Vicente Fox. Quest’ultimo formulò un piano di saccheggio sistematico: il Plan Puebla Panamà che prevede la costruzione di corridoi industriali, maquiladoras (8), autostrade d’interconnessione ecc.. Il Plan Puebla Panamà non è soltanto industrializzazione: qui si intende attuare un complesso d’interventi politici, economici e militari sebbene la propaganda governativa lo concepisse come un piano di pacificazione e sviluppo.
Di fronte a queste problematiche, il popolo oaxaqueño non poteva subire passivamente il furto dell’identità, della terra e, in generale, di tutto il proprio patrimonio presente e futuro: la gente ha cominciato ad organizzarsi, resistere, lottare e in questo contesto di tensione costante si sono sviluppate importanti e durature esperienze di organizzazione sociale che, in alcuni casi, hanno dato origine a gruppi di guerriglia rurale.
La situazione descritta evidenzia alcuni importanti interrogativi: i popoli indigeni e contadini sono un ostacolo per i governi? È possibile che questa strategia sia effettivamente pianificata per eliminare il problema alla radice, consentendo lo sfruttamento delle ingenti risorse naturali? E qual è la ragione per mantenere queste popolazioni nell’indigenza per decenni, obbligandoli a lasciare la propria terra per intraprendere un esodo verso nord? Perché il governo favorisce e fomenta divisioni e conflitti agrari tra le comunità contadine? A chi conviene? Gran parte dei movimenti sociali radicali e armati in Messico, hanno avuto origine nelle zone rurali cosiddette sottosviluppate: nel caso in cui queste sacche di sottosviluppo venissero riconvertite nel sistema produttivo alienato, tipico del capitalismo, questi movimenti potrebbero sorgere? Questa strategia sembra configurare un tentativo per togliere spazio vitale a qualsiasi opposizione sociale.
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Oaxaca (Messico), 2006 – (foto Telesur) |
Contesto
politico
Occorre ricordare che Oaxaca, negli anni ’70, si caratterizzò con Guerrero come lo stato più instabile e conflittuale della repubblica. Tutto iniziò con il movimento studentesco del ’68, che seppe coordinarsi con settori del proletariato e sottoproletariato metropolitano (venditori ambulanti, autisti d’autobus, ecc.) e con contadini “del valle”, regione limitrofa alla città, appoggiando scioperi e occupazioni di terra. Il COCEO (Coordinamento Operaio Contadino Studentesco di Oaxaca) fu represso nel sangue, i sopravvissuti si divisero tra chi proseguì la via democratica e pubblica e chi scelse la lotta armata e clandestina. Dai primi nacque nell’Istmo la COCEI, il primo sindacato indipendente del Messico, dai secondi la guerriglia metropolitana della Lega comunista 23 di settembre, presto annientata dai corpi della repressione. Probabilmente chi resistette, ritiratosi in montagna, formò parte del successivo PROCUP-Partido de los Pobres, attivo in Oaxaca dagli ultimi anni ’70. La spaccatura tra le due correnti non fu indolore, si contarono regolamenti di conti con morti da ambo le parti, questo è un fattore che aiuta a spiegare i successivi eventi e comportamenti.
La Sezione XXII di Oaxaca, è stata sempre una spina nel fianco del potere, a mostrare la propria incompatibilità ai piani di privatizzazione dell’educazione con forme di lotta radicali (sciopero a oltranza, blocchi stradali, ecc.), ed al di fuori del “gioco democratico”. All’interno di quest’organizzazione il gruppo di CMPIO, i maestri bilingue d’origine indigena, ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione e organizzazione di quadri nelle comunità. Per il resto “la società civile” si è organizzata in una miriade d’associazioni (se ne contano più di 200), ma, a parte rare eccezioni, nessuna riveste un ruolo realmente antagonista per molte cause: per la paura che regna a dichiararsi ufficialmente “contro” un potere che attua la repressione nella più totale impunità; per l’illusione in un “cambio democratico” rappresentato dalle elezioni e dal PRD (Partito della Rivoluzione Democratica, ormai frazionato in decine di correnti in scontro tra loro e corrotto dai suoi delegati fino alla dirigenza).
La necessità di difendersi dai soprusi dei cacicchi e i loro eserciti, dai pistoleri privati e di stato, ha generato, soprattutto dal ’94, un armamento generalizzato delle comunità e l’organizzazione di eserciti popolari di autodifesa: dai fucili da caccia e il machete, al mitragliatore Kalashnikov (AK47). Sia chiaro, questo processo non è di per sé rivoluzionario, né antagonista: molto spesso questi gruppi d’autodifesa si scontrano tra loro, tra gruppi etnici differenti, tra comunità in lotta per definire i limiti della terra, come già detto prima, o per divisioni religiose ora che, conformemente agli schemi della guerra di bassa intensità, decine di nuove sette religiose made in USA sono state finanziate e appoggiate per dividere l’unità comunitaria. L’insurrezione zapatista ha però dato una nuova spinta all’unificazione di alcuni di questi gruppi il cui livello di coscienza politica in molti casi è infinitamente superiore anche a quello dei contadini ribelli chiapanechi, grazie al lavoro, che da un trentennio la sinistra rivoluzionaria ha compiuto, nascosta dalle montagne e dalla selva, nella più totale clandestinità.
Nel ’94 l’esercitò entrò per la prima volta in numerose comunità con vari pretesti, dalla ricerca di “armi e esplosivi” alle operazioni “umanitarie” di soccorso dopo il terremoto e l’uragano Paolina, si crearono BOM (Basi d’Operazione Mista), ossia raggruppamenti di Esercito, Polizia Giudiziaria, Polizia Preventiva e Gruppi Speciali di Rapido Intervento, le principali strade di collegamento si sbarrarono con posti di blocco (da Oaxaca città al confine con il Chiapas se ne possono contare almeno 6 soprattutto contro l’immigrazione clandestina di Guatemaltechi e Salvadoregni), si costruirono nuove caserme e si costituirono nuove unità militari. Riassumendo, ci si preparava alla guerra. Uno studio ufficiale elaborato dal Governo dello stato di Oaxaca, riconosce la esistenza di “due grandi zone situate nella Sierra Madre Sur e nella Costa di Oaxaca, con caratteristiche geofisiche, estensione territoriale, densità di popolazione, indice di povertà e analfabetismo, condizione sociale e incomunicabilità adeguate alla guerriglia” (9).
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Oaxaca (Messico), 2006 – (foto Telesur) |
Evoluzione del movimento anarchico
nello stato di Oaxaca
Negli ultimi decenni, la maggior parte delle lotte organizzate nello stato di Oaxaca, sono state d’ispirazione marxista, anche grazie alla penetrazione di questa ideologia tra i maestri bilingue di cui ho parlato in precedenza. L’influenza di questa tradizione ideologica è estesa a tutto il territorio nazionale, anche grazie all’arrivo in Messico di insegnanti e intellettuali di sinistra, fuggitivi ed esiliati delle dittature sudamericane degli anni ’70, questi nuovi arrivati in alcuni casi collaborarono alla stesura del programma educativo nazionale Messicano e, quindi, fino ai nostri giorni i ragazzi delle scuole medie superiori trovano nei libri scolastici le teorie di Marx ed Engels.
In Oaxaca esiste però un’importante eccezione: il 18 novembre del 1997, le organizzazioni indigene e campesine OIDHO, CODECI, UCIZONI, UCD, FIOB e CODEP annunciarono la nascita del Consejo Indígen y Popular de Oaxaca “Ricardo Flores Magón” (CIPO). Questo fu l’inizio di un processo di coordinamento e unificazione tra comunità che ben capivano l’esigenza di affrontare insieme i problemi comuni. Il CIPO ha iniziato un progetto di sviluppo integrale nella sfera sociale, economica, culturale ed ecologica basata sul presupposto del rispetto e della difesa di tutti i diritti umani. Il CIPO si identifica con gli obiettivi di Ricardo Flores Magón e dei suoi compagni e compagne del vecchio Partido Liberal Mexicano.
“Quando parliamo o leggiamo del magonismo immediatamente nascono concetti come Antiautoritarismo, Solidarietà, Mutuo appoggio, Spirito Comunitario, Antiindividualismo o Comunalismo: noi indigeni diciamo che in questa concezione della politica nessuno è stato più vicino a noi rispetto a Ricardo Flores Magón e, d’altra parte, per natura e cultura vogliamo sottolineare che come indigeni siamo magonisti. Quando si nasce e si vive in una comunità indigena, il concetto di potere è irrilevante perché, chi svolge un incarico o un servizio, lo fa per conto della collettività e le decisioni più importanti vengono prese in assemblea, che si chiami comunitaria, generale o popolare. I problemi degli abitanti della comunità non vengono trattati in privato ma attraverso udienze pubbliche e sono risolti dagli usi e dalle consuetudini (10)”.
Il CIPO si è caratterizzato per la costante ricerca del dialogo non violento ma, ciò nonostante, ha sofferto durante la propria esistenza, così come altre organizzazioni indigene, repressione, arresti, tortura, assassini e tutti i tipi di aggressione. Uno dei suoi rappresentanti e fondatori oggi si trova esiliato in Canada. In Oaxaca è infatti difficile organizzarsi e la repressione è sempre rimasta all’ordine del giorno, quindi, non stupisce che ci siano stati gruppi che hanno scelto la lotta clandestina ritenendo impossibile il dialogo con i potenti che stanno in alto, con quei governi che hanno rifiutato più volte il confronto e la negoziazione pacifica preferendo minacciare, reprimere e torturare.
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Oaxaca (Messico), 2006 – (foto Telesur) |
Oaxaca oggi: “El Pueblo Unido
jamàs serà vencido”
Il primo maggio 2006, i maestri della storica sezione XXII del Sindicato Nacional de Trabajadores de la Educaciòn (SNTE) iniziarono, come ogni anno, a mobilitarsi per chiedere non soltanto miglioramenti salariali ma anche chiedendo con forza al governo la cessazione della repressione contro chi lotta per un miglioramento sociale e che, anno dopo anno, soffre la politica della “mano pesante” da parte delle autorità governative oaxaqueñe. Tanto per cambiare, il governo decise di non dialogare con i professori e questi iniziarono quindi un presidio permanente. Il 22 di maggio diverse organizzazioni, anch’esse abituate a trovare la porta del governo perennemente chiusa alle loro istanze, appoggiano la lotta degli insegnanti. Tra queste la Promotora por la Unidad Nacional Contra el Neoliberalismo (PUNCN) e il Frente de Sindicatos y Organizaciones Democráticas de Oaxaca (FSODO).
Il 14 di giugno, il governo tenta un’azione di forza per sgomberare il presidio degli insegnanti, ma la risposta ferma dei presenti costringe la Polizia Municipale a ritirarsi dai suoi intendimenti. Purtroppo, i “tutori dell’ordine” seguirono il proprio normale costume commettendo diverse violenze nei confronti dei manifestanti.
La violenza della polizia fornisce nuova linfa al movimento sociale oaxaqueño: la gente, dopo molti anni di lotta e resistenza, capisce che deve unire le proprie forze e, quindi, i differenti movimenti e organizzazioni sociali di Oaxaca trovano uno spazio comune per incontrarsi nel movimento iniziato dagli insegnanti della Sezione XXII. Molti movimenti e organizzazioni (365 per la precisione, tra questi anche il CIPO) che per diverse ragioni lottavano separatamente, si uniscono per un obiettivo comune, utilizzando uno strumento tipico della tradizione democratica delle comunità creando,
tre giorni dopo i fatti del 14 giugno, l’Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca (APPO). Lo slogan “¡El Pueblo Unido Jamàs serà vencido!” si poteva ascoltare nelle grida dei manifestanti, ricordando ai nostalgici le battaglie sociali che sconvolsero il Messico nell’anno 1968, inizio della “guerra sporca”. Per molti messicani questo rappresenta l’inizio di un gran movimento, che si estenderà a tutto il paese a partire da Oaxaca, culla di rivoluzionarie e rivoluzionari. Sarà purtroppo anche l’inizio di una nuova e più feroce guerra sporca contro tutti quelli che osano alzare la voce..
Asamblea Popular
de los Pueblos de Oaxaca
“La APPO si costituisce tenendo conto delle tradizioni democratiche dei nostri popoli in cui ogni decisione si prende in Assemblea nell’interesse di tutti: così nasce la APPO” (11).
Questa organizzazione inizia a manifestarsi organizzando mega-cortei, ai quali il Governatore dello Stato di Oaxaca Ulises Ruiz Ortiz aveva precedentemente dichiarato guerra, in quanto espressione scomoda del dissenso nei confronti del suo operato. Successivamente, la APPO occupò mezzi d’informazione come Canal 9 e Radio Universidad, così come più di 25 palazzi di proprietà municipale, ottenendo quindi una grande visibilità e forza per il presidio.
La APPO ha tentato di uscire dalla situazione di un sistema mediatico che garantisce ai potenti di ridurre l’opposizione sociale all’invisibilità: da questo punto di vista l’esempio più illuminante è stato quello dell’EZLN che, per le dimensioni della lotta e l’influenza acquisita attraverso l’utilizzo dei mezzi di comunicazione, è riuscito ad evitare di essere spazzato via con la violenza. In Oaxaca, per mezzo dell’occupazione di Radio Universidad e del Canal 9 il movimento trovò il modo per far sentire la sua voce e per esprimere liberamente le proprie richieste, considerato che le televisioni e le radio non entrano nel conflitto sociale se non per rappresentare la voce dei potenti. La voce degli oppressi riesce quindi ad arrivare all’opinione pubblica con la sua prima richiesta: le dimissioni del Governatore Ulises Ruiz Ortiz appartenente al Partido de la Revolución Institucionalizada (PRI).
Per contrastare questa enorme mobilitazione popolare il governo statale ha utilizzato le solite tattiche: gruppi di poliziotti sono stati organizzati in ronde di intimidazione nei confronti dei manifestanti e del presidio, che, nel frattempo, rimaneva ben visibile al centro della città di Oaxaca. A causa di queste continue aggressioni, la APPO cominciò a costruire barricate per garantire la propria sicurezza nei confronti dei tentativi di sgombero con la forza. La strategia di resistenza poteva funzionare contro le sole forze di polizia, ma il governo ha aggiunto ai corpi repressivi istituzionali come la Polizia Federale Preventiva, gli infiltrati, i gruppi di paramilitari di alto livello come gli Zetas (12) addestrati dai tristemente famosi gruppi di Kaibiles (13) per disarticolare il movimento. Vale la pena di menzionare le diverse segnalazioni che hanno denunciato la presenza di gruppi di infiltrati all’interno della APPO, che, con le loro azioni ed atti provocatori hanno dato via libera alla repressione.
Con le strategie tipiche della guerra di contrainsurgencia, il governo è riuscito a sgomberare il presidio, eliminare le barricate e sgomberare le installazioni occupate ma non è riuscito a dissolvere l’organizzazione: ha assassinato, arrestato e torturato i simpatizzanti dell’APPO ma non è riuscito a fermare il processo rivoluzionario. La battaglia del 25 Novembre ha lasciato un’eredità pesante al movimento: arresti arbitrari di oltre 150 compagni e compagne, la detenzione arbitraria di più di 150 compagni e compagne, la distruzione di case private, il sequestro di persona, la violenza sessuale e, in generale, l’imposizione di uno stato di emergenza e la cancellazione delle garanzie costituzionali nella capitale dello stato. Lo stato di diritto, con cui tanto si riempiono la bocca i politicanti borghesi, non è altro che il diritto da parte loro di esercitare il potere sui più deboli (14). Tutto questo perché? Per non rispondere alle domande legittime degli insegnanti che soltanto chiedevano aumenti salariali, miglioramento delle scuole rurali, pasti garantiti per gli studenti bisognosi che spesso vanno a scuola senza mangiare. Così come la richiesta di fermare la repressione contro le lotte sociali, nelle quali partecipano tanti maestri coinvolti nella vita delle comunità che chiedono conto delle ingiustizie che il governo commette contro i popoli indigeni, agendo da vero e proprio punto di riferimento per l’organizzazione e la lotta di molte comunità.
I gruppi guerriglieri che operano nella zona hanno dichiarato di rispettare il processo pacifico di lotta che la APPO ha iniziato motivando il non intervento con il desiderio di non fornire un pretesto al governo per stigmatizzare, ancora di più, il movimento.
In Messico e in tutto il mondo le manifestazioni di solidarietà con la APPO non si sono fatte aspettare: si sono organizzate manifestazioni di fronte alle rappresentanze diplomatiche messicane all’estero (15) così come negli uffici governativi della capitale messicana. Dopo i barbari atti di repressione da parte del governo, la lotta non si è conclusa e il popolo di Oaxaca e del Messico ci invita a prestare attenzione a quello che succede e, soprattutto ci chiede di non lasciarli soli in questi momenti determinanti per tutto il popolo messicano.
Per concludere questo articolo non voglio scrivere un finale di apprezzamento semplicistico, che a volte caratterizza i messicani che vivono in Europa: preferisco dare spazio a una sintesi delle posizioni della APPO, tratta da una Dichiarazione Politica della APPO stessa, lasciando a loro l’ultima parola sulla prosecuzione della lotta.
“Oggi il clima politico che si vive in Oaxaca è coperto di terrore grigioverde militare: continuano gli arresti, le distruzioni illegali, i sequestri di persona, l’intimidazione e la persecuzione contro gli insegnanti, i delegati e i militanti della APPO, le azioni militari nelle scuole della capitale e se questo non fosse sufficiente, la detenzione politica di Flavio Sosa Villavicencio (componente della Comisión Única de Diálogo y del Consejo Estatal de la APPO) e dei compagni e compagne che lo accompagnavano. [... Ma] la nostra lotta è giusta, legittima e necessaria e per questo può contare sull’appoggio di ampie masse popolari in Oaxaca, nel Messico e in tutto il mondo con azioni di protesta e solidarietà per l’allontanamento del tiranno e delle truppe di occupazione. [...] Lo scorso 1º Dicembre centinaia di migliaia di operai, indigeni, contadini poveri, maestri, mezzadri, casalinghe, studenti, etc. sono usciti nelle strade senza paura per combattere la militarizzazione dello stato e le dimissioni del tiranno [...].
Tutto questo ci porta a riflettere sullo stadio attuale della lotta della APPO per poter identificare le nuove rotte per le quali dovremo camminare se vogliamo raggiungere la vittoria che il nostro popolo ha pianificato di ottenere. [...] Il momento attuale ci chiama a riorganizzare le nostre forze e approfittare al massimo di tutto il potenziale del nostro popolo, che sente una forte indignazione e odio di classe nei confronti dei nostri nemici e i loro apparati statali: occorre avanzare nella costruzione di nuovi APPO settoriali, municipali, rinforzando quelli regionali e statali. [...] Recupereremo le strade, le pubbliche piazze, gli spazi e tutto quello che ci hanno strappato con la forza perché abbiamo la capacità di decidere da soli del nostro futuro. Per questo alziamo ancora le nostre bandiere di lotta politica per la caduta del tiranno, il ritiro della Polizia Federale Preventiva, la libertà immediata e incondizionata degli arrestati, il ritrovamento in vita dei desaparecidos politici, così come la necessità di convocare un’Assemblea Statale Costituente, che rediga e approvi una Nuova Costituzione e dove siano rappresentati i legittimi interessi del popolo [...]” (16).