È evidente che non si può ridurre l’opera di Kafka a una dottrina politica, quale che sia. Kafka non presenta discorsi, ma crea personaggi e situazioni, esprime nelle sue pagine sentimenti, atteggiamenti, una Stimmung. Il mondo simbolico della letteratura non è riducibile a quello discorsivo delle ideologie, l’opera letteraria non è un sistema concettuale astratto, sulla falsariga delle dottrine filosofiche e politiche, ma è creazione di un universo immaginario concreto, fatto di personaggi e di cose.
Questo, però, non c’impedisce di ricercare i passaggi, i punti di collegamento, i legami sotterranei tra il suo spirito antiautoritario, i sentimenti libertari, le simpatie socialiste, da un lato, e i suoi scritti principali dall’altro. Sono vie privilegiate per accedere a quello che potremmo chiamare il suo paesaggio interiore. Le inclinazioni socialiste di Kafka si erano manifestate assai presto: secondo il suo amico d’infanzia e compagno di liceo Hugo Bergmann, il giovane Kafka, per manifestare le proprie opinioni, portava un nastrino rosso all’occhiello della giacca. L’amicizia tra i due s’era un po’ raffreddata nell’ultimo anno di scuola (1900-1901) perché “il suo socialismo e il mio sionismo erano troppo forti”. Quel dissidio non impedì a entrambi di reagire nello stesso modo davanti al nazionalismo tedesco. Quando, a un incontro dell’Unione degli studenti tedeschi di Praga, cui appartenevano tutti e due, fu intonato il rituale Wacht am Rhein, i due amici rimasero seduti e per conseguenza furono messi immediatamente alla porta… Di quale socialismo si tratta? Non esistono testimonianze che attestino rapporti del giovane Kafka con la socialdemocrazia ceca o austriaca. Come non ce ne sono, d’altronde, su eventuali rapporti con il partito comunista della nuova Repubblica cecoslovacca negli anni del primo dopoguerra, anche se uno dei fondatori di quel partito, Stanislav K. Neumann, conosceva lo scrittore e aveva pubblicato Il fuochista su una rivista letteraria ceca nel 1920. In ogni caso, l’adesione al socialismo di Kafka, di cui parla Bergmann, è di molto anteriore all’ottobre 1917.
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Particolare della copertina dell’edizione francese
(Editions Stock, 2004) |
Interesse per
la rivoluzione russa
È vero che Kafka aveva manifestato un interesse per la rivoluzione russa: in una lettera del settembre 1920 a Milena, fa riferimento a un articolo sul bolscevismo che aveva prodotto una forte impressione, come rileva, nel “mio corpo, i miei nervi, il mio sangue”. Secondo i curatori della nuova edizione tedesca delle lettere a Milena, si trattava di un articolo di Bertrand Russell, intitolato Sulla Russia bolscevica, apparso sul “Prager Tagblatt” del 25 agosto 1920. Ma Kafka aggiunge questa frase, che mi sembra molto importante: “A dire il vero, non l’ho preso esattamente così com’è, ma ho cominciato a farne una trasposizione per la mia orchestra”. Questa osservazione si applica in modo generalizzato a tutte le cose che lo hanno “influenzato”: non si tratta mai di una ricezione passiva, ma di una rielaborazione selettiva, di una singolare “messa in musica”. Vediamo qual è il contenuto dell’articolo di Bertrand Russell, per meglio capire la presa di posizione di Kafka.
Quel testo, il primo di una serie di cinque pubblicati sul periodico londinese “The Nation” nel luglio e agosto 1920, tenta di tratteggiare un giudizio equilibrato del potere sovietico, mettendo in luce tanto la dedizione alla causa dei bolscevichi (che Russell paragona ai puritani di Cromwell per la loro “combinazione di democrazia e fede religiosa [e] l’inflessibile obiettivo politico e morale”), quanto le loro tendenze dittatoriali e la loro intolleranza. Nella lettera a Milena Kafka spiega che ha eliminato la fine dell’articolo, perché contiene critiche che non gli sembrano giustificate. Quali? Russell criticava, nell’ultimo paragrafo di quell’articolo, quelle che egli definiva le tendenze imperialiste dei bolscevichi nella riconquista della Russia asiatica, e prevedeva che in breve tempo il loro potere sarebbe stato simile a quello “di qualunque altro governo asiatico”. Questa osservazione era parsa fuori argomento a Kafka: sono accuse “che non sono al loro posto nell’insieme”. Il suo punto di vista è chiarito in un’altra lettera a Milena, successiva di qualche settimana: “Io non so se hai capito la mia osservazione sul bolscevismo. Ciò che gli viene rimproverato dall’autore, giustifica ai miei occhi i più alti elogi possibili qui sulla terra (höchste auf Erden mögliche Lob)”. A quale critica di Russell fa riferimento? Non a quella del paragrafo eliminato, perché Milena non poteva conoscerlo, ma a un’argomentazione più generale di quell’articolo. Il filosofo inglese trovava molte cose da rimproverare ai comunisti russi, ma quella che gli sembrava più pericolosa era l’idea di estendere la rivoluzione su scala mondiale, il loro internazionalismo fanatico: “Il vero comunista è completamente internazionale. Lenin, per esempio, […] non è più attento agli interessi della Russia che a quelli di altri paesi; la Russia è, in questo momento, la protagonista di una rivoluzione sociale e, in quanto tale, ha un valore per il mondo, ma Lenin sarebbe pronto a sacrificare la Russia piuttosto che la rivoluzione, se dovesse presentarsi questa scelta alternativa”. In altri termini, quello che a Kafka sembra degno di lode nei rivoluzionari russi è appunto ciò che Russell contesta loro, ovvero un impegno radicalmente internazionalista. Vedremo come quella sensibilità da “socialista cosmopolita” di Kafka sia confermata da certe testimonianze. Gustav Janouch gli attribuisce questo commento, in una conversazione del 1920: “In Russia stanno tentando di costruire un mondo perfettamente giusto. È una vicenda religiosa”. Kafka vede nel bolscevismo una specie di religione; e il blocco economico e gli interventi contro la Russia gli sembra che annuncino “grandi e terribili guerre di religione che infurieranno sul mondo”. Queste frasi attestano un interesse (critico) per l’esperienza sovietica, ma allo stato attuale della documentazione nulla fa pensare a un rapporto qualunque tra lo scrittore e il movimento comunista. Nessun testimone l’ha mai incontrato a una riunione di comunisti cechi e nei suoi scritti personali (lettere e diari) non si fa cenno ad autori rappresentativi di questa corrente politica.
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Michal Kacha, uno dei principali esponenti anarchici praghesi |
Simpatia per
i socialisti libertari
Invece molte testimonianze di contemporanei parlano della simpatia che egli nutriva per i socialisti libertari cechi e della sua partecipazione ad alcune loro iniziative. Dunque, bisogna orientare in questa direzione le ricerche, se si vuole sapere quale sia il socialismo “troppo forte” (come dice Bergmann) del giovane Kafka. All’inizio degli anni Trenta, mentre faceva ricerche per la stesura del suo romanzo Stefan Rott (1931), Max Brod aveva raccolto alcune indicazioni da uno dei fondatori del movimento anarchico ceco, Michal Kacha. Esse riguardano la presenza di Kafka alle riunioni del Klub Mladych (Club dei Giovani), organizzazione libertaria, antimilitarista e anticlericale frequentata da molti scrittori cechi, come Stanislas K. Neumann, Michal Mares, Jaroslav Hasek, Frana Srámek. Brod inserì queste informazioni, che gli erano state “confermate da un’altra fonte” (purtroppo non indicata), nel suo romanzo e scrisse che Kafka “assisteva spesso, in silenzio, alle riunioni del Club. Kacha lo trovava simpatico e lo chiamava ‘Klidas’, che potremmo tradurre ‘il taciturno’ o, più precisamente, secondo il dialetto ceco, ‘colosso di silenzio’”. Max Brod non ha mai messo in dubbio l’autenticità di quella testimonianza, che citerà ancora nella sua biografia di Kafka. La seconda testimonianza è quella dello scrittore anarchico Michal Mares, che aveva conosciuto Kafka incontrandolo per strada (erano vicini di casa). Di questo documento esistono due versioni un po’ differenti: la prima è apparsa nel 1946 in una rivista ceca, senza attirare l’attenzione; la seconda, più dettagliata e probabilmente più precisa, è stata pubblicata in allegato al pregevole libro di Klaus Wagenbach sul giovane Kafka (uscito in Germania nel 1958), che è la prima opera che mette in luce i rapporti dello scrittore con gli ambienti libertari praghesi. Secondo Mares, Kafka aveva partecipato, dietro suo invito, a una manifestazione contro l’esecuzione di Francisco Ferrer, l’educatore libertario spagnolo, nell’ottobre del 1909.
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Michal Mares, poeta anarchico |
Durante gli anni 1910-12 avrebbe preso parte ad alcune conferenze anarchiche sull’amore libero, sulla Comune di Parigi, per la pace e contro l’esecuzione del militante parigino Liabeuf, organizzate dal Club dei Giovani, dal circolo Vilem Körber (anticlericale e antimilitarista) e dal movimento anarchico. In occasione di queste riunioni avrebbe incontrato un ex compagno di studi, Rudolf Illowy, oltre a vari scrittori e poeti, come Stanislas K. Neumann, Frana Srámek, Karel Toman o Jaroslav Hasek. E una volta avrebbe addirittura pagato cinque corone di cauzione per far liberare il suo amico dalla prigione. Mares sottolinea, come Kacha, il silenzio di Kafka: “Per quanto ne so, Kafka non faceva parte di nessuna di quelle organizzazioni anarchiche, ma aveva per esse una forte simpatia, da uomo sensibile e aperto ai problemi sociali. Però, nonostante l’interesse che nutriva per quelle riunioni (vista la sua assiduità), non interveniva mai nelle discussioni”. Lo stesso interesse si sarebbe manifestato anche nelle sue letture: Parole di un ribelle di Kropotkin (il libro gli era stato regalato dallo stesso Mares), gli scritti dei fratelli Reclus, di Bakunin e di Jean Grave. Esiste un’altra versione dei ricordi di Mares, inedita, che non si differenzia molto dalle due precedenti, salvo per qualche dettaglio, ma in cui si trova la seguente osservazione: “Mi ricordo della collera di Kafka contro i giovani americani quando venne a sapere che la redattrice di ‘Mother Earth’, Emma Goldman, questa donna generosa e coraggiosa, era stata spogliata in pubblico e cosparsa di catrame e di piume”. Con ogni evidenza Mares ha sovrapposto due fatti diversi: il primo, del 1909, riguarda le molestie organizzate da un gruppo di giovani studenti ai danni di Emma Goldman, in occasione di una conferenza da lei tenuta all’università di Ann Arbor nel Michigan (dove essa riuscì comunque a parlare); il secondo, del 1911, riguarda il sequestro a San Diego di un amico di Emma, Ben Breitman, da parte di una banda di vigilantes, che l’aveva effettivamente malmenato, spogliato e coperto di catrame e piume. L’interesse di Kafka per Emma Goldman si spiega non solo con il fatto che in quel periodo si stava documentando sull’America, per scrivere il suo primo romanzo, ma anche per la simpatia e l’attrazione che nutriva per le donne coraggiose e indomite, che non avevano paura di affrontare qualsiasi ostacolo. Nella corrispondenza e negli scritti del nostro, incontreremo spesso accenni a queste figure femminili ribelli, il cui archetipo era senza ombra di dubbio la sorella Ottla, che Franz ammirava per come sapeva opporsi all’autorità paterna.
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Illustrazione per “Il processo”.
Davanti alle porte della legge - Incisione su legno
di Sergio Birga (1963) |
Gentili
e divertenti
Il terzo documento è costituito dalle Conversazioni con Kafka di Gustav Janouch, pubblicate in una prima edizione nel 1951 e in una seconda, notevolmente ampliata, nel 1968. Questa testimonianza, che si riferisce a uno scambio di corrispondenza con lo scrittore praghese nel corso degli ultimi anni della sua vita (a partire dal 1920), fa ritenere che Kafka avesse conservato una certa simpatia per i libertari. Non solo definisce gli anarchici cechi persone “molto gentili e molto divertenti […] così gentili e amabili che non si può credere a tutto quello che dicono”, ma le idee politiche e sociali che egli esprime nel corso delle discussioni restano fortemente segnate dalla corrente libertaria. Così, la sua visione del capitalismo come sistema gerarchizzato di dominio è vicina a quella anarchica, per l’insistenza sul carattere autoritario del sistema. Questa sua visione è esplicitata durante una discussione con Janouch riguardo a una caricatura di George Grosz che rappresenta il capitale come un grassone seduto sui soldi dei poveri. Secondo Kafka, l’immagine “è insieme giusta e sbagliata. Giusta solo in un senso. […] Il grassone con il cappello a cilindro vive alle spalle dei poveri che opprime, è giusto. Ma è completamente sbagliato che quel ciccione sia il capitalismo. Egli domina i poveri nel contesto di un dato sistema, ma non è lui il sistema. Non ne è nemmeno il padrone. Anzi, anche lui ne porta le catene, che non sono rappresentate nel disegno. […] Il capitalismo è un sistema di dipendenze che procedono […] dall’alto al basso e dal basso all’alto. Tutto è dipendente, tutto è concatenato. Il capitalismo è una condizione del mondo e dell’anima”. Parimenti, il suo atteggiamento scettico rispetto al movimento operaio organizzato sembra ispirato dalla diffidenza libertaria nei confronti dei partiti e delle istituzioni politiche: dietro agli operai che sfilano in una manifestazione di strada, “ci sono già i segretari, i burocrati, i politici di professione, tutti i sultani moderni ai quali essi stanno preparando la strada… La rivoluzione evapora e resta soltanto il vaso di una nuova burocrazia. Le catene dell’umanità torturata sono di carta da ufficio”. Quale rivoluzione aveva in mente quando pronunciava queste parole? Quella d’Ottobre del 1917 o quelle della Germania e dell’Austria del 1918-19? È impossibile dirlo. In ogni caso, l’ultima frase, quella sulle catene di carta, non riguarda solo il destino tragico delle rivoluzioni, ma il fenomeno burocratico in ogni sua manifestazione. Nella seconda edizione delle Conversazioni, che dovrebbe riportare la versione completa degli appunti, smarrita nel dopoguerra e ritrovata molto più tardi, Janouch cita questo scambio di battute con Kafka: “‘Ha studiato la vita di Ravachol?’. ‘Sì e non solo quella di Ravachol, ma anche la vita degli altri anarchici. Ho approfondito la biografia e le idee di Godwin, Proudhon, Stirner, Bakunin, Kropotkin, Tucker e Tolstoj, ho visitato diversi circoli e raduni, ho investito nella faccenda molto tempo e denaro. Nel 1910 partecipai alle sedute degli anarchici cechi a Karolinental, nella trattoria Ai due cannoni, dove si riuniva il gruppo anarchico Club dei Giovani […]. Qualche volta Max Brod mi ha accompagnato a queste riunioni, che in fondo però non gli piacevano affatto. […] Per me invece tutto ciò era una cosa molto seria. Ero sulle tracce di Ravachol. Più tardi queste tracce mi condussero a Erich Mühsam, a Arthur Holitscher, all’anarchico viennese Rudolf Grossmann […]. Tutti costoro cercavano di realizzare la felicità umana senza il ricorso alla grazia. Li capivo. Tuttavia […] non potei continuare a marciare a lungo al loro fianco”. Tutti i critici concordano, però, sul fatto che questa seconda versione sia meno credibile rispetto alla prima, soprattutto per la sua origine poco chiara (appunti perduti e ritrovati). Per giunta, in questo passo c’è un errore palese: Max Brod, per sua stessa ammissione, non aveva mai accompagnato l’amico alle riunioni anarchiche, non solo, ma ignorava del tutto la sua partecipazione alle attività dei libertari praghesi.
Secondo queste diverse testimonianze, Kafka avrebbe smesso di partecipare alle riunioni anarchiche dopo il 1912. Per quale ragione? Gustav Janouch, in un libro su “Kafka e il suo mondo” pubblicato nel 1965, se la prende con la tesi “totalmente falsa” secondo la quale “l’interesse di Kafka per gli anarchici si sarebbe spento sotto l’influenza dei processi intentati nel 1910 e 1911 contro gli antimilitaristi cechi”. Una tesi del genere, continua, può essere proposta solo da persone che non hanno mai capito o conosciuto la personalità di Kafka e il “suo impegno integrale per l’essere umano”. Secondo lui, lo scrittore aveva smesso di frequentare quelle riunioni solo a causa del potere dittatoriale che esercitava allora sugli ambienti libertari un certo Vohryzek, che in seguito (dopo l’apertura degli archivi imperiali nel 1918) si era scoperto essere un infiltrato della polizia. Aggiunge poi che, anche se era rimasto deluso dal dilettantismo degli anarchici praghesi, Kafka non aveva tagliato del tutto i ponti con molti membri di quei circoli, perché “ne ammirava la lotta, anche con mezzi del tutto insufficienti, per dare un senso alla vita”. Come per i testi di Janouch citati in precedenza, è difficile separare nettamente i ricordi autentici dalle aggiunte posteriori.
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Illustrazione per “Il processo”.
Incisione su legno
di Sergio Birga (1963) |
Contro ogni
forma di nazionalismo
A queste tre testimonianze note, se ne può aggiungere una quarta, a quanto pare ignorata da tutti i biografi e critici. Si tratta di un articolo di Leopold B. Kreitner (1892-1969), uscito con il titolo Ritratto di Kafka da giovane, su una piccola rivista nordamericana. Secondo Kreitner (ex studente del liceo dove aveva studiato Kafka, che lo aveva incontrato spesso negli anni 1912-1914), lo scrittore praghese “negli ultimi anni dell’università e in quelli decisivi che seguirono si era rivolto, sul piano politico e filosofico, verso una sorta di cosmopolitismo socialista e aveva respinto qualsiasi forma di nazionalismo”. Kreitner ricorda di avere appreso da Jaroslav Hasek e da Karel Toman (un poeta anarchico) che Kafka “partecipava spesso” agli incontri del Club dei Giovani, un gruppo di poeti e scrittori cechi che si trovavano nel piccolo albergo U Brejsku, “dove si svolgevano discussioni animate di letteratura, arte, filosofia, e si esprimevano opinioni in gran parte anarchizzanti”.
Si tratta di quattro testimonianze (alle quali si dovrebbe aggiungere quella anonima che confermava a Brod le affermazioni di Kacha) che descrivono con maggiori o minori particolari i legami di Kafka con gli ambienti socialisti libertari praghesi. È probabile che qualcuna di queste testimonianze contenga inesattezze e deformazioni della realtà. Lo stesso Klaus Wagenbach ammette, riguardo a Mares, che “certi dettagli sono forse sbagliati” o, quanto meno, “esagerati”. Secondo Max Brod, Mares, come tanti altri testimoni che hanno conosciuto Kafka di persona, “tende a esagerare”, soprattutto per quanto riguarda i propri rapporti di amicizia con lo scrittore. Quanto a Janouch, se la prima versione dei suoi ricordi dà un’impressione “di autenticità e di credibilità”, perché ha in sé i segni distintivi del modo di parlare di Kafka, la seconda gli sembra molto meno attendibile.
(…). L’ipotesi di un interesse di Kafka per le idee anarchiche, suggerita dalle quattro testimonianze citate, è tanto più credibile in quanto è confermata da numerosi riferimenti nelle pagine intime da lui scritte. Per esempio, in una lettera a Max Brod del novembre 1917 manifesta il proprio entusiasmo per un progetto di rivista (“Fogli di lotta contro la volontà di potenza”) proposta dall’anarchico freudiano Otto Gross. E, soprattutto, nei suoi diari si trova questo imperativo categorico: “Non dimenticare Kropotkin!”.
Certo, non è possibile dire a che cosa si riferisse con quell’esclamazione, ma si può almeno tentare di scoprire a quale opera di Kropotkin facesse riferimento. Si tratta, con molta probabilità (così ritiene il curatore dell’edizione francese dei Diari) delle Memorie di un rivoluzionario (1887) nell’edizione tedesca, che secondo Brod era uno dei libri preferiti di Kafka. Perché s’interessava tanto alla vita di quel principe russo che aveva sposato la causa rivoluzionaria ed era diventato anarco-comunista? Oltre alle peripezie avvincenti di un’esistenza nomade e cosmopolita, alle lotte, alla prigionia e alle evasioni di un pensatore libertario che sognava “la soppressione di tutti i governi”, al coraggio e alla determinazione di un uomo che aveva saputo rompere i legami con la sua classe per unire la propria sorte a quella degli oppressi, che cosa aveva potuto attrarlo tanto di quelle memorie? Voglio azzardare un’ipotesi, alla luce di quanto sappiamo degli interessi personali di Kafka: uno dei temi forti del libro di Kropotkin è quello della lotta dei figli contro il “dispotismo dei padri”, gran sostenitori del servaggio. Il giovane principe aveva dovuto subire di persona l’autoritarismo paterno, la sua simpatia andava ai domestici e ai servitori soggetti alla brutalità e ai capricci del capofamiglia. Per questo aveva preso (per parafrasare una formula che Kafka adotta nella Lettera al padre) “le parti dei servi”, giurando solennemente: “Io non sarò mai come lui!”.
Secondo Kropotkin, è la rivolta dei giovani delle classi agiate contro “la schiavitù domestica”, fatta di dispotismo paterno e di una “sottomissione ipocrita da parte delle mogli, dei figli e delle figlie”, che li spinge a criticare lo stato di cose esistente e a diventare “nichilisti”, ovvero nemici giurati dell’autocrazia zarista e del servaggio. In quasi tutte le famiglie ricche, scrive sempre Kropotkin, era in corso una lotta accanita “tra i padri e i figli e le figlie, che difendevano il proprio diritto di disporre della propria esistenza seguendo il proprio ideale”. A me pare che sia questa connessione intima tra la ribellione contro il “giogo domestico” e la rivolta contro lo Stato l’aspetto che poteva interessare lo scrittore praghese, più che i particolari del conflitto tra federalisti e centralisti in seno alla Prima Internazionale o delle pratiche sindacali degli orologiai del Jura.
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Franz Kafka |
Scontro con
la tirannia paterna
Lo stesso leitmotiv si ritrova in un altro dei libri preferiti di Kafka, secondo Brod: si tratta di Passato e presente, le monumentali memorie di Aleksandr Herzen, più volte citato nei Diari. Si può considerare questo grande pensatore russo dell’Ottocento un socialista semi-anarchico (come lo definisce Isaiah Berlin), vicino a Proudhon, soprattutto in gioventù, e a Bakunin, al quale dedica, nelle sue memorie, un capitolo pieno di ammirazione. Anche in questo caso colpisce l’importanza dello scontro con la tirannia paterna nella vocazione del ribelle. I passi relativi nelle memorie di Herzen richiamano, quasi parola per parola, certi paragrafi della Lettera al padre: “Derisione, sarcasmo e un profondo disprezzo, freddo e caustico: ecco le armi che mio padre utilizzava come un artista, utilizzandole contro di noi [i suoi figli] e contro i servitori […]. Io ero un estraneo per mio padre e mi sono unito alle cameriere e ai servitori, conducendo una piccola guerra contro di lui”. Pur non essendo un anarchico a rigor di termini, Herzen si chiedeva se “la coscienza razionale e l’indipendenza morale sono compatibili con la vita in uno Stato”.
Un altro autore libertario che aveva attirato l’attenzione di Kafka era il socialista ebreo tedesco Arthur Holitscher (1869-1941), la cui opera Amerika heute und morgen (1912) fu una delle fonti principali del romanzo America. Holitscher descriveva in quel libro le proprie impressioni di un viaggio nell’America del Nord e non nascondeva la propria simpatia per gli anarcosindacalisti dell’Industrial Workers of the World (IWW), per William Haywood ed Emma Goldman, mettendo a confronto la loro combattività e il loro radicalismo con l’incoerenza del “socialismo accademico” dei dirigenti socialdemocratici, persi nei meandri della “macchina dei compromessi” (Kompromissmühle) parlamentare. Holitscher avrebbe pubblicato la sua autobiografia nel 1924, con il titolo Lebensgeschichte eines Rebellen (Storia della vita di un ribelle), che Kafka leggerà nel marzo di quell’anno, come attesta la sua corrispondenza. In quell’opera Holitscher racconta della propria ribellione contro i genitori borghesi (che erano contrari alla sua attività letteraria), la sua attrazione prima per il socialismo e poi per l’anarchismo (Ravachol, Reclus, Grave, Kropotkin).
Certo, l’attenzione di Kafka non era rivolta soltanto verso le autobiografie di autori libertari. S’interessava anche ad altri percorsi, soprattutto alle memorie di donne socialiste che avevano votato la propria esistenza alla lotta per l’emancipazione femminile, come Lily Braun (sulla quale ritornerò) e Malwida von Meysenbug. Quest’ultima, democratica rivoluzionaria vicina al socialismo, amica di Garibaldi e di Mazzini, governante dei figli di Herzen, combattente del 1848, esule a Londra, aveva fatto fin da giovane la scelta di “liberarsi dall’autorità della famiglia” per seguire le proprie “convinzioni personali” e battersi per i diritti delle donne.
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Michael Löwy
Kafka
sognatore ribelle
traduzione di Guido Lagomarsino
136 pp.
€ 13,00 |
Concludiamo questa breve rassegna delle letture libertarie di Kafka con un autore citato due volte nei Diari, il poeta e scrittore ceco Frana Srámek, direttamente impegnato nell’attività dei circoli anarchici praghesi. Nella biblioteca di Kafka si trova una copia di Flammen (Fiamme), una raccolta di racconti di Srámek d’ispirazione libertaria e antimilitarista, tradotti dal ceco al tedesco dal suo amico Otto Pick, con un’introduzione di Hermann Bahr, che presenta l’autore come un seguace del sindacalismo rivoluzionario e discepolo di Georges Sorel. (…).
Sul numero 303 della rivista (novembre 2004) pubblicammo un sunto, ripreso dall’edizione francese, curato dal periodico “Alternative libertaire” dal titolo Suprema rivolta dello spirito.
Il disegno vicino al titolo rappresenta Kropotkin e apparve sulla stampa anarchica ceca.