Montignoso è un comprensorio territoriale che si estende sui pendii apuani. Ci si arriva da Massa seguendo un percorso in salita che tocca diversi piccoli centri abitati e diverse frazioni, che tutti insieme formano il comprensorio comunale, senza una vera e propria città o paese detentori di quel nome. Strade strette che seguono la china dei monti in mezzo a una vegetazione toscana verde e rigogliosa, che profuma di terra e piante e ti adombra deliziosamente lo spirito, lontano dai chiassi e dalle nevrosi tipiche delle città. Un luogo che trasmette una sapienza antica, meravigliosamente conservata dai suoi abitanti, che di primo acchito ti appaiono dolci, pacati e saggi.
A Montignoso, distribuiti tra i suoi piccoli luoghi abitati, vivono diversi compagni e compagne anarchici, da quel che ho capito qualche decina, ben integrati culturalmente con gli altri abitanti, in costante rapporto tra loro, fermi nei principi e nell’adesione all’ideale. Da diversi anni in settembre questi compagni organizzano una festa davvero singolare, per quel che mi riguarda affascinante: la festa della patata. Quest’anno si è svolta domenica 16 settembre in località Pasquilio. Mi ci hanno invitato e con sommo piacere mi ci sono recato con Antonietta, la mia compagna, spinti entrambi da una grande curiosità di conoscere e vivere quella situazione così particolare.
Eravamo praticamente in mezzo a un bosco, vicino a un ristorante in sintonia col contesto, a una chiesina in sasso eretta dai partigiani dopo la liberazione, a qualche abitazione. Il luogo della festa era uno spiazzo terrazzato su un pendio, dove era stato allestito un tendone capiente, sotto il quale nel centro troneggiava uno splendido bandierone anarchico e, fissato al suolo, si distendeva un solido tavolone con panche rustiche ai lati. La festa si svolgeva vicino a un orto montano dove, assieme ad altri ortaggi, da diversi anni i compagni coltivano in particolare patate; sembra che in questa zona crescano più saporite. Così hanno scelto proprio la patata, da loro stessi coltivata con competenza e amore, come occasione per organizzare un incontro ritualizzato in cui si mangia, si beve, si scambiano opinioni, si canta e si rafforzano amicizia e solidarietà.
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Montignoso (Massa), 16 settembre. Qui sopra e nelle immagini
successive: momenti della Festa della patata |
Senza un programma predefinito
Mi ha particolarmente incuriosito il fatto che fosse una festa molto partecipata totalmente priva di un programma vero e proprio. Ho subito pensato che ci vuole davvero un gran coraggio a metter su una festa in mezzo al bosco senza un programma, per il solo piacere di ritrovarsi lasciando alla situazione e al caso l’incombenza di determinare le cose. Già questa è una notevole novità del tutto controtendenza, in tempi in cui dovunque tutto è superorganizzato, calcolato e programmato in ogni aspetto d’immagine e presenza. Dovunque si vada impera la parola d’ordine che lo spettacolo dev’essere assicurato e si allestiscono palchi e baldacchini supercostosi di vario tipo, carichi di luci colori e tecnologia. Una volta dopo l’altra, con perspicacia e sontuosità, sono riusciti a trasformarci in fruitori e consumatori in ogni aspetto della nostra vita.
Alla festa della patata di Montignoso lo spettacolo, nei termini di spettacolarizzazione cui siamo abituati dalle sagre istituzionali, non c’era proprio. Tutti e tutte i/le partecipanti/e siamo stati protagonisti e nessuno lo è stato in particolare. Quella festa era semplicemente un luogo concreto dove, senza dover seguire e rispettare un programma predefinito, ci si è incontrati per stare bene insieme decidendo sul posto cosa si voleva e doveva fare, dalla tarda mattinata fino a notte. Ognuno ha portato qualcosa, ha partecipato, ha mangiato e bevuto, se ne ha avuto voglia ha cantato e ballato, con calma gioia e pacatezza. I cani, tranquilli, erano parte della festa e i bambini si sono sollazzati o insieme tra loro o con gli adulti, tra odori suoni e rumori della natura.
L’unica cosa concordata preventivamente è stata che le pietanze dovevano in qualche modo essere a base di patate. Già un pasto tutto a base di patate è una grossa novità e un grosso azzardo. Rischiava di essere un monogusto monotono. Invece… mani sapienti e diverse avevano dato forma e concretezza a piatti gustosi e originali, capaci di solleticare con delizia i palati e le narici. Elia, un arzillo e simpatico canuto compagno carrarino, a un certo punto con enfasi contenuta ci ha detto: «Compagni! Se ci fosse l’anarchia sarebbe sempre così. Una continua festa. Naturalmente prima tutti avremmo lavorato per prepararla, ma ognuno secondo la sua volontà.» Parole semplici e concetti fermi, frutto di una vita da anarchico, di riflessione intensa e di desiderio. Quelle parole mi hanno fatto pensare e mi sono immerso nel loro messaggio.
Ci stavano dicendo che quando realizzeremo l’anarchia, se mai ci riusciremo, il senso della vita sociale e individuale tenderebbe a cambiare completamente, perché le cose si farebbero per il piacere di soddisfare i bisogni comuni e di ognuno, mentre il senso dello stare insieme starebbe nel piacere di stare insieme. Non si dovrebbe più lavorare per sopperire al ricatto del salario e non si sarebbe più costretti a devolvere le proprie vite per far accumulare ricchezze e poteri ad oligarchie fameliche e senza scrupoli. Si convivrebbe per costruire relazioni creative e piacevoli, condividendo la festa della gioia di vivere, di una società fatta di esseri umani che si organizzano per vivere tutti al meglio, smettendo di essere oberati dalle preoccupazioni allucinanti delle bollette, degli orari di lavoro stabiliti sulle nostre teste da gerarchie di dirigenti, dalle scadenze continue ed esasperanti delle burocrazie e delle oligarchie di potere che, a loro esclusivo vantaggio, studiano continuamente come organizzarci ed occuparci la vita per convincerci di averne bisogno.
Mentre mi stavo godendo quella magica situazione coi compagni e le compagne presenti, a un certo punto la mente spontaneamente si è agganciata a tutta la bagarre, ancora freschissima, del V-day grillesco in atto in Italia. Era appena passata una settimana dal fatidico 8 settembre, quando nella piazza di Bologna, seguito in contemporanea da molte altre piazze italiane, il simpatico comico Beppe Grillo si era esibito in uno spettacolo satirico all’insegna del “vaffanculo” ai politici professanti di casa nostra, i cui strascichi, incalzati dalla direzione sapiente di una macchina mediatica di tutto rispetto, si ripercuoteranno per diverse settimane, generando commenti di ogni tipo, conati, deliri quasi mistici, adesioni entusiastiche, rifiuti sdegnati, amore e odio.
Da una parte la festa anarchica della patata, che si svolgeva quasi in sordina in un clima di vivificante intimità collettiva in mezzo a una magnifica natura montana, completamente autogestita e, priva di spettacolarizzazione, capace di essere potente spettacolo in sé. Dall’altra un prototipo di spettacolo tecnologicamente e mediaticamente superorganizzato, in cui dal palco di una grossa città un mimo di altissima professionalità era in grado di dirigere e indirizzare le emozioni e i sentimenti di centinaia di migliaia di individui, desiderosi di farsi dirigere emozionalmente e di godere di quella satira aggressiva e puntuale contro il potere frustrante delle oligarchie politiche di casa nostra; cacciato dalla televisione e dai luoghi deputati, Grillo è stato in grado di costruirsi un proprio luogo di spettacolo, capace di enfatizzare il suo successo.
Liberazione dal potere
Due cose completamente diverse l’una dall’altra, addirittura sull’orlo della contrapposizione, che però mi giungevano paradossalmente accomunate da una misteriosa linea rossa praticamente invisibile e impercettibile: il bisogno sempre più diffuso di sperimentare modi di partecipare a e di vivere la vita collettiva, che nascono dal disagio e dal rifiuto di accettare come ci gestiscono la vita. Anche se in modi del tutto diversi, tutte e due cercano un’alternativa al presente stato di cose, con risultati alla fin fine quasi contrapposti.
Al di là di tutto quello che vari commentatori e diversi politici di professione gli hanno vomitato addosso dopo la doccia mediatica del V-day, non penso proprio che si possa dire che ciò che Grillo ha messo in moto sia “antipolitica”. Ha ragione quando ribatte che semmai la sua è un’operazione “antipolitici”.
Nella sua denuncia non c’è affatto un rifiuto della politica, bensì un’accusa motivata a come, i politici di professione appunto, la gestiscono. E già questo porsi, in tempi in cui è diventato luogo comune parlare di “casta politica”, fa grande audience. È vero che, probabilmente per bisogni di comunicazione satirica legata alle necessità dello spettacolo, nelle sue proposte c’è una buona dose di retorica ed anche di demagogia. Ma non è questo il problema.
Il fatto che il parlamento si liberi di deputati e senatori che siano stati giudicati colpevoli dai tribunali della repubblica, non è di per sé salvaguardia di pulizia. Non impedisce a quelli che vi rimangono di fare altrettanto, magari con un po’ più di furbizia per non farsi beccare. Fra l’altro, addio per sempre alle candidature protesta, che a suo tempo, quando non si commetteva l’errore ingenuo di supporre che il parlamento borghese potesse essere un luogo d’esempio di pulizia morale, furono concepite dai rivoluzionari per liberare a furor di popolo dei compagni incarcerati per le loro idee. Come pure il fatto che gli eletti non possano esserlo per più di due legislature non garantisce affatto che l’elite delegata sappia governare “bene”, neppure nel senso di come auspicherebbero questi neoriformisti “grillisti” da avanspettacolo.
Semmai il problema è che tali proposte illudono di migliorare il sistema vigente, invece di offrire possibilità alternative per affossarlo e sostituirlo. In realtà, dal punto di vista della lotta per la liberazione dal potere dominante, hanno tutto l’aspetto di voler essere un lifting al sistema per farlo apparire un po’ più appetibile, in tempi come questi in cui, proprio per il suo costante operare a destra a manca e al centro, è talmente screditato da non riuscire ad essere concepito riformabile ormai nemmeno dagli stessi addetti ai lavori. Grillo, al di là della sua straordinaria capacità di aggredire le nefandezze dell’attuale classe dirigente, in sostanza non fa altro che offrire la sua arte per cercare di rendere migliore un sistema di potere che, al contrario, andrebbe definitivamente abbattuto, perché è strutturalmente un luogo di garanzia del mantenimento di rapine sistematiche e di abiezione morale perché si regge sulla sottomissione dei più deboli.
Oculata gestione mediatica
A Montignoso invece è tutt’un’altra musica. E non tanto per le scontate differenze organizzative e tecnologiche. Quanto per il senso con cui quella festa anarchica è stata fatta, per il significato di cui è portatrice. Naturalmente i compagni e le compagne che l’hanno organizzata non si sono mai neppure sognati di proporla e viverla come simbolo di alcunché. Non se lo immaginano neppure che in qualche modo possa diventarlo. Sono io, compagno “migrante” da un’altra zona, che l’ho vissuta con una valenza simbolica per le emozioni che mi ha regalato e per le riflessioni che mi ha stimolato sul posto.
Ma la sua simbolizzazione non mi porta minimamente a sentirla come modello da proporre. Sarebbe errore fatale se lo facessi. Non può essere considerata come prototipo da riprodurre, mentre la ritengo paradigmatica per i significati intensi e profondi che veicola, per il senso di reale alternativa al presente stato di cose che mi rappresenta. La sua capacità autogenerativa, l’atmosfera e il clima umano e sociale che vi si respiravano sono frutto di quella situazione specifica e sono nati lì perché solo lì potevano prendere corpo e forma. Mi piace immaginare e sognare tante feste come questa, ognuna diversa dall’altra e con caratteristiche proprie determinate dai compagni dalla gente e dai vari posti in cui sorgono. Un proliferare però non parcellizzato, come si trattasse di tante amebe l’una separata dall’altra. Al contrario, tutte in contatto tra loro, a scambiarsi esperienze, idee e significati. Un insieme di feste coordinate, che sperimentano come riorganizzare la società alle radici, in un trionfo della riscoperta della complessità e della molteplicità sociali.
Questo e non altro è il senso profondo che mi ha regalato la “festa della patata” degli anarchici di Montignoso: la capacità territoriale di autogestirsi senza troppe fanfare e complicazioni tecnologiche. Cosa ben diversa dallo spettacolo di Grillo, frutto di un’oculata gestione mediatica e con l’intento di rendere accettabile un sistema di potere che non lo potrà mai essere, perché segnato dall’aspirazione a dominarci, sottometterci, sfruttarci.