Può capitare che qualcuno ci attribuisca poteri che non abbiamo. Allorché mi trovai a lavorare per una certa istituzione – una mattina, in ufficio –, mi capitò di ricevere una visita che, da subito, mi apparve perlomeno strana. Si trattava di una persona che avevo davvero conosciuto, ma superficialmente e molti anni prima, che veniva per chiedermi un favore. Si spiegò ed io gli dissi che capivo – che non condividevo e capivo, per l’esattezza –, ma che in nessun modo avrei potuto aiutarlo: esulava del tutto dalle mie competenze. Questi insistette e, nel riprendere la sua perorazione, mi si fece più dappresso. Lo guardavo, ovviamente – come si guarda con fiducia la persona da cui non si ha nulla da temere – e, ad un dato momento, rischiando di cadere dalla sedia, mi sentii come preso in uno strano vortice. Mi feci forza e provai a rialzare il mio sguardo, mi accorsi che i suoi occhi erano diventati una sorta di punta nera di spillo, capii cosa mi stava succedendo – capii che stava ipnotizzandomi –, non senza fatica riuscii ad aprire un cassetto della scrivania e mi impegnai a riconoscere gli oggetti che conteneva: un timbro, la scatoletta dei fermagli, le puntine da disegno, la pinzatrice… Mi ripresi e, insomma, me la cavai. Evitando per quanto possibile l’incontro con i suoi occhi, gli ribadii che non ero proprio in grado di fargli quel favore – e neppure ero d’accordo sul fatto che un favore del genere andasse fatto da altri – e lo accompagnai amichevolmente all’uscita.
In un supermercato di Jesi, a quanto riferiscono le cronache del marzo di quest’anno, all’ipnotizzatore di turno è andata meglio. Si è presentato alla cassa e, come testimoniato dalle onnipresenti telecamere, si è fatto consegnare 800 euro dalla cassiera, che, praticamente, ha agito in stato di trance senza più ricordare alcunché dell’accaduto. Anche questa è una soluzione politica contro il caro-vita, ma, presumibilmente, non alla portata di tutti. Non tutti possono trasformarsi in ipnotizzatori in qualsiasi circostanza e non tutti si trasformano docilmente in loro vittime.
Venendo da molto lontano – ne parla il neoplatonico siriano Giamblico (270-330) –, l’ipnosi conquistò la ribalta del mondo colto in seguito all’epidemia di mesmerismo (dal tedesco Franz Anton Mesmer) diffusasi in Europa, a partire dalla Francia, dal 1780 in poi. L’idea di base era quella di un fluido – universalmente diffuso ma tanto sottile da non risultare visibile in alcun modo – che influenzasse reciprocamente corpi celesti e corpi viventi. Mesmer lo chiamava “magnetismo animale” ed uno dei suoi numerosi discepoli ovviamente in lotta fra loro, tal Petetin, lo tradusse in stati ipnotici durante i quali estraeva denti o amputava gambe nell’allegria sua e dei malcapitati.
La psichiatria di fine Ottocento, da Bernheim a Charcot, da Janet a Freud, come è noto, usò e abusò dell’ipnosi e ancora per Erickson costituì una via di accesso privilegiata all’inconscio. Nel 1886, fu anche al centro di un esperimento tentato dal filosofo Henri Bergson, il quale, dopo aver a lungo fissato le pupille di un adolescente e avergli intimato di dormire, ritenne di aver dato origine ad uno stato di sospensione fortunata della coscienza – tanto fortunata da consentire al soggetto ipnotizzato una specie di extralucidità. Bergson chiese allora al ragazzo di indovinare il numero della pagina del libro che lui teneva innanzi a sé e, sfoglia che ti sfoglia, dovette ammettere che quello non sbagliava un colpo. Tuttavia, ben presto arrivò alla conclusione che il ragazzo, in realtà, vedeva il numero delle pagine riflesso nelle sue stesse pupille. L’ipnosi non permetteva divinazioni, ma, comunque – fu la brillante conclusione – acuiva la sensibilità visiva.
L’interesse di un filosofo come Bergson non va preso come un passatempo della moda di allora. Ritroviamo, infatti, l’ipnosi – come problema – nel recente libro dedicato dalla psicologa inglese Susan Blackmore alla Coscienza, un’accurata sintesi delle ricerche più rilevanti in ordine alla definizione di questo sfuggente oggetto di studio dalle molteplici suggestioni. La Blackmore riferisce di alcuni esperimenti in cui si chiedeva al soggetto ipnotizzato di immergere le mani in acqua gelata. La risposta – una volta riportatolo allo stato di veglia – era che non aveva sentito dolore alcuno, ma, allorché l’ipnotizzatore, durante l’esperimento, diceva al soggetto “Quando ti metterò una mano sulla spalla, sarò in grado di parlare ad una parte nascosta di te”, ecco che, come appoggiava la mano, il paziente descriveva tutto il male che provava. Con il che le cose si complicano e gli operati sotto ipnosi – magari, prima invidiati – appaiono sotto una nuova luce, meno rassicurante. “Dopo oltre un secolo di ricerca”, è la conclusione della Blackmore, “non sappiamo ancora se l’ipnosi implichi uno stato speciale di coscienza o invece produca nella coscienza una vera e propria dissociazione”. Il problema può appassionare il filosofo e il neuroscienziato tenacemente convinti di dover considerare la coscienza qualcosa di fisico e non una categoria mentale fra le altre, ma per quello del supermercato di Jesi, quello degli 800 euro – diciamo la verità –, è presumibilmente superato.
Felice Accame
Note
Su Mesmer, la sua scuola, il suo ruolo negli anni della Rivoluzione Francese e sulla reazione degli intellettuali dell’epoca, cfr. R. Darnton, Il mesmerismo e il tramonto dei lumi, Medusa, Milano 2005. Per l’esperimento di Bergson, cfr. G. Scarpelli, Il cranio di cristallo, Bollati Boringhieri, Torino 1993, pag. 151. Coscienza di Susan Blackmore è pubblicato da Codice, Torino 2007. |