Mi sono un po’ stupito, vi dirò, per come tutti coloro che hanno sentito il bisogno di commentare pubblicamente l’avvenuto battesimo pasquale del noto Magdi Allam, si siano parimenti sentiti in obbligo di premettere alle loro analisi l’estrinsecazione del più profondo rispetto per una decisione e una scelta così squisitamente private. C’era, in quella mossa retorica, qualcosa che proprio non convinceva. A parte il fatto che il modo migliore di rispettare una decisione di natura privata sembrerebbe quello di non commentarla affatto, non mi sentirei di affermare che ci sia molto di privato in un battesimo. Sarà un fatto di quel genere la conversione, almeno nella misura in cui lo consente la natura sociale e collettiva del fenomeno religioso, ma il battesimo certamente no: non per niente lo si celebra in pubblico, alla presenza di testimoni qualificati, se ne annotano gli estremi in appositi registri e se ne rilascia, a richiesta, una certificazione che, fino a qualche tempo fa, aveva persino valore legale. Né d’altronde le motivazioni con le quali il neo convertito ha ritenuto di giustificare la sua decisione, in una lettera-articolo pubblicata in prima pagina sul più diffuso quotidiano nazionale, sembrano attenere esclusivamente alla sfera privata o a quella religiosa: Allam riprende, di fatto, una serie di temi che già prima di questa Pasqua avevano caratterizzato la sua attività pubblicistica: si diffonde sulla “oscurità di un’ideologia” – quella islamica – “che legittima la menzogna e la dissimulazione, la morte violenta che induce all’omicidio e al suicidio, la cieca sottomissione e la tirannia”, si riferisce a un islam “fisiologicamente violento e storicamente conflittuale” non molto diverso da quello tratteggiato dal papa nella famigerata lezione di Ratisbona, depreca il fatto che la chiesa finora sia stata “troppo prudente nella conversione dei musulmani” e, in definitiva, anche se conclude con un devoto “prego Dio affinché questa Pasqua speciale doni la resurrezione dello spirito a tutti i fedeli in Cristo”, specifica di riferirsi soprattutto a quei fedeli “che sono stati finora soggiogati dalla paura”, inscrivendosi abbastanza nettamente nella ben nota tematica dello “scontro di civiltà”. Tutte posizioni che, nonostante un evidente cambio di tono e una serie di parziali smentite, vengono sostanzialmente confermate nelle successive prese di posizioni del celebre giornalista (compreso l’intervento sul “Corriere” di ieri).
Ipocrisia pretesca
Ce n’è quanto basta, in definitiva, perché i commentatori di parte islamica, anche quelli non particolarmente estremisti, si siano sentiti offesi, o per lo meno turbati, da un gesto che, più che esporre i motivi dell’accettazione di una nuova fede, sembra voler sottolineare quelli per abiurare la vecchia, per non dire che il fatto che il papa stesso si sia degnato di impartire il sacramento a tanto catecumeno non può non far pensare a una consonanza di idee che, nel massimo reggitore della chiesa, un poco inquieta. Si sa che Benedetto XVI non ha mai considerato prioritari i valori dell’ecumenismo, ma, francamente, che in tema di rapporti tra le religioni avalli le impostazioni care a un Magdi Allam non fa ben sperare per la pace religiosa del pianeta. È vero che padre Lombardi, portavoce della Santa Sede, ha dovuto dichiarare, giorni dopo, che “accogliere nella chiesa un nuovo credente non significa evidentemente sposarne tutte le idee e le posizioni” e che le opzioni che Magdi Allam ha tutto il diritto di esprimere “rimangono idee personali, senza evidentemente diventare in alcun modo espressione ufficiale delle posizioni del Papa o della Santa Sede”, ma c’è modo e modo di accogliere i convertiti e quelle precisazioni, più che una vera e propria presa di distanza, ricordano uno di quei tratti di ipocrisia pretesca per cui la curia romana, con gli annessi e connessi, è così tristemente famosa.
Il battesimo, si sa, è una cosa seria. Non è soltanto una cerimonia d’ingresso nella chiesa come organizzazione, né, come si apprendeva un tempo dal catechismo, una sorta di lavacro che elimina la macchia del peccato originale e, già che c’è, di quanti altri peccati il battezzando possa avere commesso di persona. Se così fosse, avrebbe ragione il protagonista di quel racconto di Apollinaire – si intitola, mi sembra, Le Juif Latin, ma in Italia, al solo scopo di farlo rientrare in una antologia in cui aveva ben poco a che fare, ne hanno fatto L’ebreo che leggeva storie di vampiri – che, desideroso di essere battezzato, per potere a suo tempo accedere al Paradiso, preferiva rinviare la cerimonia quanto più in là nel tempo, fino all’ultima delle occasioni, all’articulo mortis, in modo di poter fruire della più ampia amnistia possibile per i peccati commessi e quelli ancora da commettere. Il battesimo, da un punto di vista storico e antropologico, è un rito di iniziazione: esprime, attraverso l’immersione e l’emersione dall’acqua (simbolizzate, in tempi più accomodanti, da una semplice aspersione), nient’altro che la morte del soggetto originario e la sua successiva rinascita in forma nuova. Nella prospettiva cristiana, l’uomo muore come peccatore e rinasce come redento. Tanto è vero che a chi, essendo adulto, ha già un nome, ne viene generalmente imposto uno nuovo. Magdi Allam ha aggiunto un nuovo nome al suo, ma di un nuovo inizio non sente – evidentemente – il bisogno: il battesimo, anzi, lo conferma nelle convinzioni già espresse e nelle prese di posizione per cui già si è reso famoso. Come dire che da esponente dell’islam moderato (com’era comunemente considerato prima) è diventato un corifeo del cattolicesimo fondamentalista, che non sembra, tutto sommato, un passaggio di cui compiacersi.