Lo spauracchio del fascismo ritorna sempre. A volte con apparente determinazione,
a volte con blandizia, fiaccamente. È sempre pronto a vomitarci addosso tutta la schifezza simbolica delle sue rappresentazioni. Colpisce ai fianchi il nostro immaginario per inebetirlo e spossarlo. Assieme agli effetti devastanti dell’imbonimento mediatico tende a impedirci di gestire una nostra autonoma produzione immaginativa, volta a creare una situazione desiderante che voglia istituire un’alternativa capace di superare il presente che ci sta rimbecillendo.
In realtà sono convinto che si limiti ad essere solo uno spauracchio, seppur tendenzialmente portatore di malefici rovinosi effetti. Il fascismo come regime è lontano dal poter ritornare qual è stato. Oggi c’è qualcosa di meglio per il potere in auge, di molto peggiore dal nostro punto di vista, estremamente più raffinato e insinuante, perché più efficiente, più invadente e strettamente connesso con la biopolitica del biotere foucaultiani. Foucault ci offre una panoramica che apre le possibilità dello sguardo. Si riferisce a un potere impersonale e onnipresente, un insieme di rapporti di forza diffusi in ogni luogo localmente e non riconducibili ad una sola sede. Il biopotere è potere sulla vita per il possesso della vita. È potere interiorizzato che si riproduce all’interno delle relazioni sociali garantendo l’efficienza del potere strutturale/gerarchico.
Il fascismo invece è un fenomeno politico storicamente e ideologicamente definito e circoscritto, parte dell’ampia gamma delle politiche autoritarie (autoritarismo). Memore della sua sconfitta, quindi della sua fallacia, il potere in auge, espressione continuativa della tensione a dominare, si è evoluto e perfezionato. Ha affinato le arti e lo ha superato nell’efficacia d’imposizione dominante. Ne usufruisce dell’esperienza, continuando per esempio ad usare alcune tecniche e tecnologie di gestione gerarchica, come metodi polizieschi e alcune leggi “speciali” (motivate sempre da situazioni di emergenza), oppure a volte chiudendo un occhio su alcune aggressioni di nostalgiche squadracce. Ma il tutto mescolato alla melassa retorica di un democraticismo di facciata, che formalmente dichiara di voler rispettare e garantire i diritti individuali e le libertà civili.
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Gianfranco Fini |
Squadracce criminali
Il fascismo promulgò leggi speciali non emergenziali ma ordinarie, mise fuorilegge la libertà di riunione, di stampa, di parola, di autonoma organizzazione sindacale e cooperativa, ufficializzò la supremazia del duce quale comandante supremo e dittatore, cui bisognava obbedire e inchinarsi e che non si poteva criticare. Fu una dittatura istituita e legalizzata, che si è retta sulla repressione violenta e feroce di ogni forma di dissenso e sull’eliminazione formale e codificata di ogni libera espressione, legata all’obbligo di legge di esaltare il duce, imposto come luce e modello da seguire pedissequamente. Inoltre s’installò al governo della monarchia sabauda per mezzo della violenza di squadracce criminali che, protette dalle oligarchie agrarie e industriali, dalle forze dell’ordine e dalla monarchia, con tutte le quali era d’accordo, avevano il compito riconosciuto di bastonare e piegare il movimento operaio ed ogni altra formazione politica alternativa e di sinistra.
A dimostrazione di quanto sto affermando l’illuminante discorso che Fini, attuale presidente della camera dei deputati e storico leader di An, ha pronunciato alla festa dei giovani di An sabato 13 settembre. Ha esordito dicendo di cogliere l’occasione per “mettere i puntini sulle i” ed ha invitato sostanzialmente la destra attuale a rinnegare il fascismo e a riconoscersi nei valori dell’antifascismo. Ha così messo in riga i suoi colonnelli La Russa e Alemanno, rispettivamente ministro della difesa e sindaco di Roma, che cinque giorni prima, in occasione delle celebrazioni dell’8 settembre, avevano tentato di recuperare nostalgicamente il regime mussoliniano scindendo l’aberrante scelta razzista delle leggi antiebraiche dall’opera ordinaria e meritoria del regime. Fini ha chiarito che la destra di oggi non può più essere nostalgica del fascismo, mentre si deve riconoscere tout court nell’antifascismo democratico e nei suoi valori, riconoscendosi pienamente nella costituzione nata dalla resistenza al fascismo, cui fra l’altro la destra al governo ha giurato fedeltà.
Ma si è spinto oltre. Ed è in questo oltre la parte più interessante delle sue dichiarazioni. Ha innanzitutto definito quali sarebbero i valori dell’antifascismo che dovrebbero diventare patrimonio condiviso della destra attuale: libertà, uguaglianza e giustizia sociale. Poi, con grande semplicità e chiarezza, quasi lapidaria, ha affermato che tutti i democratici sono senz’altro antifascisti, ma non tutti gli antifascisti sono democratici. Evidente riferimento al bolscevismo di matrice sovietica che ha ispirato per decenni la politica del partito comunista. Il tutto per affermare senza ambiguità che il valore fondante dell’antifascismo democratico cui ora dice di ispirarsi è il ripudio incondizionato di ogni totalitarismo, sia di destra sia di sinistra.
Angolatura ben diversa
Di primo acchito vien da dire: tanto di cappello e onore all’intelligenza politica. Ma il problema a mio avviso è altro e richiede una visuale da un’angolatura ben diversa. Abbisogna l’intervento di un’ermeneutica della teoria politica capace di scandagliare il senso. Ritengo che Fini rappresenti un’avanguardia, politico e intellettuale, di un autoritarismo politico imperante, di cui la tendenziale nuova destra è l’espressione più avanzata. Ha perfettamente capito che il fascismo, nei termini in cui si è storicamente manifestato, non solo non è più servibile, ma può addirittura essere d’impaccio. Per azzardare un parallelismo metaforico, si ripropone più o meno ciò che successe con la rivoluzione francese, che s’impose in nome dell’eguaglianza, della libertà e della fratellanza universali e generò due mostri, uno succedutosi all’altro: prima il regno del terrore, poi il colonialismo della dittatura bonapartista.
È in atto un processo voluto di omologazione significante, di slittamenti semantici, che riporta alla neolingua ipotizzata da Orwell in 1984, in cui il Grande Fratello obbliga e induce a pensare e credere che la guerra sia pace e la pace guerra. Quando Fini afferma che anche la destra deve riconoscersi nei valori dell’uguaglianza, della libertà e della giustizia sociale, quindi aderire con sentimento e convinzione alla costituzione nata dalla resistenza, ha presente la prevalenza culturale del mondo attuale e la necessità della sua conservazione. L’uguaglianza, la libertà e la giustizia sociale di cui parla non corrispondono a vera uguaglianza vera libertà e vera giustizia. Nella realtà delle cose sono la traduzione strumentale che ne ha fatto il potere vigente il quale, pur sancendone la validità di principio, nel legiferare e nell’esercizio esecutivo del comando nei fatti garantisce il loro contrario e il mantenimento della loro negazione.
Come si può infatti parlare di uguaglianza quando, a livello della stratificazione sociale, è vigente il massimo della disuguaglianza di condizioni e di trattamento? Quando ci sono sacche di povertà e miseria che convivono con livelli iperbolici di ricchezza? Quando ci sono oligarchie finanziarie e dirigenziali che si permettono condizioni di vita da nababbi, mentre la grandissima maggioranza delle persone fa fatica ad arrivare alla fine del mese ed è costretta a fare i conti quotidianamente con condizioni di vita altamente precarie? Come si può parlare di libertà quando ci troviamo sempre più regolamentati e controllati, dobbiamo continuamente rendere conto ad autorità giudicanti di ciò che facciamo e pensiamo, ci troviamo di fatto esclusi dalle decisioni che incombono sulle nostre vite e non possiamo esercitare il diritto di partecipare alle scelte che ci riguardano? Come si può parlare di giustizia quando si fanno leggi ad personam che favoriscono i potenti ed ogni angolo di strada trasuda d’ingiustizia per le condizioni in cui il sistema costringe?
Fini, come tutta la liberaldemocrazia imperante, di destra o di sinistra la sostanza non cambia, ha introiettato la convinzione che basti l’atto formale di dichiarare e sancire i principi per far si che essi siano operanti. Ma il sistema di potere che permette a lor signori di rivestire ruoli di rilevanza è talmente fondato su disuguaglianza, illibertà e ingiustizia, che il solo volerlo conservare non significa altro che rinnegare quegli stessi principi che a parole dicono di difendere.
La stessa democrazia, che nei presupposti teorici dovrebbe essere la prevalenza del popolo, unico titolare sovrano, sui suoi governanti, attraverso la vigente finzione della rappresentanza elettorale è diventata un puro e semplice paravento, il cui scopo è quello di garantire attraverso il consenso la permanenza del comando alle oligarchie di potere. Può permettersi di non impedire formalmente la libertà d’espressione perché ha maturato la capacità di non far ascoltare e sapere ciò che dici o fai: ognuno si può esprimere liberamente, ma attorno ha il vuoto, la sua voce si dilegua nel vento mediatico e riesce a comunicare solo con la ristretta nicchia con cui è in contatto. Abbiamo così che la democrazia in atto non ha affatto bisogno di legalizzare la dittatura per esercitare dall’alto la sua pressione dominatrice. Riesce ad esser ugualmente forte e impositiva, a differenza della dittatura sorretta da un assenso generalizzato. Oggi, la democrazia che subiamo non è totalitarismo. È peggio! È totalizzante.
Sempre e soltanto la destra?
Di fronte a questa evidenza mi appare sempre più penoso il lamento costante dei residui della sinistra di continui incombenti pericoli di svolte fasciste ogni volta che ci sono sferzate autoritarie. Come se soltanto il fascismo fosse l’unica forma strutturale dell’autoritarismo politico. Come se l’autoritarismo “democratico” vigente non fosse in sé sufficiente, per certi versi, come più sopra ho scritto, peggiore. In proposito in particolare si distinguono le ambiguità della sinistra autoritaria non parlamentare, che vedono fascistizzazioni in ogni recrudescenza autoritaria istituzionale. Forse perché dietro la loro visione è ancora prevalente l’interpretazione ideologica che soltanto il capitalismo e la destra possano essere fautori e detentori dei metodi dell’autoritarismo politico. Secondo loro il nemico della libertà è sempre e soltanto la destra e non lo è mai l’atteggiamento e il pensiero della sinistra autoritaria.
Ritengo questo modo di pensare e interpretare il mondo sempre più obsoleto. Soprattutto, la sinistra autoritaria mi appare sempre meno chiara in ciò che propone e vuole. Anch’essa, come noi, dichiara di voler lottare per l’alternativa sociale, ma non si capisce bene per quale. Dato che frequentemente con insistenza ripropone vecchi stereotipi del marxismo ideologizzato, più o meno mascherati, mi piacerebbe capire dove vuole parare. Propugna ancora la dittatura del proletariato? Mira ancora allo stato/partito padrone? La gestione che vuole instaurare è ancora autoritaria, poliziesca e dittatoriale, come lo è stato storicamente il bolscevismo? Soprattutto, combatte ancora l’autoritarismo “democratico” legato al capitalismo per affossarlo e sostituirlo con l’autoritarismo della dittatura autodefinitasi “proletaria”? Se è così, come purtroppo temo, allora la loro è una lotta ideologica ormai vecchia e stantia, che non solo non c’interessa, ma che noi anarchici dovremmo osteggiare con grande energia.
Noi siamo per il trionfo della libertà, dell’uguaglianza, della giustizia, della solidarietà sociali. Quelle vere però. Non quelle legate a dichiarazioni di principio, alla Fini, che lasciano il tempo che trovano perché si scontrano col degrado della realtà in cui ci troviamo calati. Ci rifiutiamo di distinguere ideologicamente se la repressione e le nefandezze del potere vengano da destra o da sinistra, contrastando le prime ed esaltando le seconde. Per noi qualunque potere gerarchico che s’imponga e comandi dall’alto con la forza, la prepotenza e l’inganno va sempre combattuto. Aspiriamo ad una società che rinunci definitivamente ad ogni forma di potere autoritario e lottiamo indomiti perché riesca ad essere istituita dall’insieme della società.