Mentre scrivo, siamo alle soglie dell’autunno, è difficile immaginare come evolverà la situazione politica italiana nelle prossime settimane. Quello che a me sembra evidente è che non cambierà molto. Si è paralizzati da una somma di impotenze che cristallizzano il panorama politico-affaristico-malavitoso che è sotto gli occhi di tutti.
Prevale il terrore che un eventuale ricorso alle urne sovverta il sistema Italia.
Berlusconi sa bene che, nell’ipotesi dovesse perdere il potere gigantesco che ha acquisito nell’ultima tornata elettorale, con una maggioranza schiacciante sia alla Camera che al Senato, non solo i suoi avversari ma anche i suoi amici/dipendenti lo farebbero a pezzi. Crollato l’apparato che si è creato a difesa dei suoi interessi e che alimenta la sopravvivenza della sua corte dei miracoli, non gli resterebbe che la via dell’esilio, quella via già percorsa dal suo sodale di un tempo, Bettino Craxi.
L’opposizione (o presunta tale) è inguardabile. Non riesce neppure a costituire un nucleo credibile di soggetti che si siedano attorno ad un tavolo per tentare di elaborare, non dico una strategia di lungo termine, ma neppure una tattica di emergenza che li renda presentabili ad un eventuale corpo elettorale. Utilizzano giornali compiacenti per lanciare appelli e vaneggiare su futuri scenari nei quali si affermino progetti politici che non sono in grado neppure di delineare ma che promettono di elaborare non si sa bene a quale epoca. L’unica cosa in cui riescono alla perfezione è di dimostrare ad un’opinione pubblica frastornata la conflittualità interna che li corrode.
Tra queste due armate Brancaleone sopravvive una palude di incredibili morti-viventi che, al crollo della vecchia DC, i becchini hanno dimenticato di seppellire. I Casini, i Pisanu, i Rotondi, ma anche i Rutelli, le Binetti, i Cesa e via dicendo sono anime morte vaganti nelle notti di questa povera Repubblica.
Non meraviglia che in questo regno delle streghe prendano corpo esistenze preistoriche che imbraccino spade e lance di latta, occultino il viso in elmi sgangherati e compiano riti propiziatori a divinità celtiche, evocate da menti deliranti. Personaggi come Borghezio, Bossi padre e Bossi figlio, il giullare Calderoli e il pallido Cota, evasi inopinatamente dagli antri cavernosi di leggende del terrore, sono qui tra noi a mordere la coda di Berlusconi e ad appestare l’aria del Paese.
Che succederà nei prossimi mesi? Che volete che succeda se i protagonisti della nostra contemporaneità sono quelli bonariamente descritti in queste righe?
Il fondo del barile
Succederà invece molto nella vita della gente.
Tutti gli indicatori economici concordano nel sostenere che siamo assai lontani dalla soluzione della crisi. Una crisi che coinvolge certamente l’intero vecchio Continente, ma in particolare l’Italia che non possiede anticorpi efficienti.
Per non tediarvi con cifre e commenti tecnici, vorrei solo accennare al crollo dei titoli di Stato i cui rendimenti dall’aprile di quest’anno si sono dimezzati.Così in Europa i titoli a dieci anni USA e Gran Bretagna dal 4% si sono ridotti al 2,4%, mentre i titoli tedeschi sono scesi dal 3,4% all’1,8%.
Di per sé questi indicatori non descrivono lo stato della crisi, ma sono rivelatori delle aspettative degli investitori sulle capacità del Vecchio Continente di arginare la crescita del debito pubblico e il timore che, per venirne in qualche modo a capo, gli Stati inneschino processi inflattivi. Insomma, la preoccupazione è che ad una stagnazione della crescita si aggiunga (lo aggiungiamo noi) la solita tassa (l’inflazione) sui già poveri.
L’andamento della crescita, del resto, non promette nulla di buono. Se si eccettua la fiammata tedesca (+ 3,7% su base annua) per l’incremento dell’esportazione, gli altri Paesi di Eurolandia non crescono molto al di sopra dell’1 – 1,4%. Ma soprattutto non crescono i consumi, come è naturale quando aumentano le espulsioni dai cicli produttivi di lavoratori che non trovano alternative in un mercato del lavoro bloccato, anzi, in arretramento, e quando si falcidiano i redditi degli occupati.
Qui da noi il governo ha raschiato il fondo del barile e non ci sono soldi nemmeno per concludere i lavori dei cantieri aperti. Gli unici indici in aumento sono quelli delle rendite parassitarie. In prima fila le banche che strozzano l’economia reale con il tirare i cordoni del credito e si coalizzano per penalizzare quel poco del risparmio privato che ancora resiste.
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Pomigliano d’Arco (Na) – operai Fiat in attesa
di fronte al cancello d’ingresso della fabbrica |
Marchionne e la nuova borghesia
C’è poi l’attacco frontale ai diritti dei lavoratori, conquistati con grandi sacrifici alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso con il contratto collettivo dei metalmeccanici e culminato nel 1971 con lo statuto dei lavoratori.
Marchionne è stato chiaro in proposito. La battaglia che ha ingaggiato per conto della Fiat, ma anche per il tornaconto dell’intero apparato industriale in Italia e non soltanto, ripropone lo schema premoderno dell’impresa come luogo del lavoro forzato, del padrone che è arbitro assoluto della vita del proprio dipendente, al quale nega ogni diritto. Il ricatto è il dirottamento dei propri investimenti in territori alternativi più accoglienti.
Ad una sfida di queste dimensioni, la lotta per la sola difesa del posto di lavoro non paga. Governo e sindacati, tranne nicchie di resistenza poco significative in rapporto all’entità delle questioni in gioco, si schiereranno con l’impresa, come hanno già fatto per lo stabilimento Fiat di Pomigliano, e il lavoratore si troverà ancora una volta solo, senza alcuna tutela.
A questo punto il ricorso a fantasmi del passato come la lotta di classe è un abbaiare alla luna ed un alibi per giustificare la propria impotenza.
La classe non c’è più. Così come l’aveva teorizzata Marx all’epoca della prima rivoluzione industriale, è stata travolta già alla fine della seconda rivoluzione fordista, ha perso definitivamente i suoi connotati con l’informatizzazione dei processi produttivi e l’avvento delle tecnologie di frontiera.
In questa fase la protagonista è una nuova borghesia preparata ad affrontare i piccoli e grandi problemi dell’economia capitalistica. Quella categoria di salariati dell’industria manifatturiera che concorreva alla valorizzazione del capitale (Marx) e che, secondo il suo teorizzatore, sola costituiva una opposizione significativa al capitalismo (contadini, artigiani, piccoli commercianti, ecc. costituivano un sottoproletariato a rimorchio dei lavoratori dell’industria), ebbene questa classe ha mancato l’appuntamento con la storia, e nel secondo millennio si trova ad essere espulsa dai cicli della nuova produzione capitalistica.
A noi anarchici spetterebbe il compito di rielaborare una strategia della rivoluzione che unisca tutti gli uomini liberi, a prescindere dai ruoli che la logica del dominio ha tradizionalmente loro assegnato. Proseguiremmo così il cammino tracciato dai nostri Maestri che si sono sempre opposti ad ogni forma di discriminazione tra gli uomini e si sono sempre battuti per una società di liberi ed eguali. Un grande tavolo per rivedere forme di lotta che ci affranchino dal riformismo, ci liberino da formule stantie che non ci hanno portato da nessuna parte e ci consentano di aggregare tutti gli uomini che già intendono intraprendere, anche inconsapevolmente, il cammino verso una esistenza libertaria.