Andrea Breda
Modelli ed esperienze
Inizio subito esprimendo un accordo di base con le idee e i concetti espressi nell’articolo di Andrea Staid sullo scorso numero. Ovviamente il fatto di essere d’accordo non mi impedisce di provare a sottolineare alcuni punti critici, nel tentativo di tracciare i confini del nostro ragionamento e, perché no, di superarli. Andiamo con ordine; occorre individuare alcuni punti fermi che diano forma al nostro “confine”.
Il primo punto è sicuramente la concezione della cultura come “prodotto dell’interazione comunicativa fra esseri umani”, sempre rinegoziabile, che implica la differenza in termini positivi e strutturali, costantemente soggetta a contaminazioni e inesorabilmente legata ai limiti biologici dell’essere umano.
Corollario immediato del primo punto, è l’impossibilità di definire la cultura una volta per tutte, in quanto sviluppandosi a partire dagli accordi tra i soggetti, non ha leggi proprie.
Il secondo punto fermo, è la consapevolezza della relatività strutturale della mia, della nostra, visione dell’anarchismo, in quanto processo culturale oltre che politico, anche se per compiere le nostre scelte dobbiamo ragionare in termini assoluti.
Il terzo punto fermo è la scelta del confronto e della partecipazione come strumenti per affrontare e risolvere, con consapevolezza e responsabilità, la tensione fra questa assolutezza individuale e il relativismo strutturale.
L’insieme di queste considerazioni è ben riassunto quando si dice “... solamente conferendo all’anarchia un significato dinamico, comunicativo, negoziale, inventivo, conflittuale, anche con se stessa, [che] questa idea può ancora vivere e agire per il cambiamento della società, del dominio e dell’autorità”.
Ora che abbiamo ben delineato i confini del nostro ragionamento è possibile gettare le basi per l’evasione del nostro pensiero. Personalmente penso che per andare avanti sia necessario affrontare alcune tematiche che sono pressoché inesplorate del pensiero anarchico e libertario, vuoi per superficialità vuoi per timore di non trovare le risposte. In primo luogo si pone con emergenza la necessità di sviluppare un discorso che miri a conciliare il soggetto refrattario alla società del dominio, e propenso al cambiamento, con il bisogno di sicurezza e di razionalizzazione di fronte all’ignoto. Bisogno che penso sia sempre presente nell’uomo, sia pur in gradi differenti a seconda delle singole specificità. Penso che una delle difficoltà maggiori che il movimento anarchico ha incontrato nel corso della sua storia, in termini di comunicazione e quindi partecipazione, siano dovuti in misura significativa a questa carenza; così come le relazioni di dominio traggono linfa vitale da questa mancanza, in quanto l’insicurezza è un arma forte contro il cambiamento.
Un altro passo avanti, in questa direzione, andrebbe fatto a mio avviso rispetto alla definizione, non tanto dei fini, ma degli obbiettivi. Penso che sia realistico oltre che condivisibile pensare che gli obbiettivi attuali siano “la proliferazione delle resistenze e il moltiplicarsi degli spazi sottratti al potere”, al dominio direi io. Dobbiamo però cercare di essere il più concreti possibile quando si parla di obbiettivi in termini di comunicazione verso l’esterno, pena il sorgere dell’incertezza nelle persone con cui cerchiamo di comunicare, con il risultato di un rifiuto delle nostre alternative e una chiusura dei nostri interlocutori. In questo senso siamo avvantaggiati, in quanto le esperienze pratiche in questo campo sono più numerose, per una volta, delle elucubrazioni teoriche e forniscono un ampio bagaglio di argomentazioni pratiche, concrete e realizzabili nell’immediato. Bisogna però ancora sviluppare una concettualizzazione che permetta a tutte queste esperienze di mettersi in rete e federarsi, in maniera funzionale al bisogno di certezza espresso dal corpo sociale. E ci tengo a sottolineare che in questo caso la pratica è ben più avanti della teoria.
Le due linee di superamento che ho cercato di evidenziare urlano a gran voce una precisa necessità: modelli per il cambiamento. La mia speranza è che il dibattito contemporaneo si faccia carico di sviluppare modelli che consolidino le esperienze che già esistono, che permettano a nuove esperienze di concretizzarsi, garantendo allo stesso tempo quel margine di certezza che spinga i soggetti ad abbandonarsi al vortice del cambiamento senza la paura di affogare. Forse le pagine di questa rubrica forniranno alcune delle risposte...
Andrea Breda
A.sperimenti
Una proposta da leggere
Come degna conclusione dello studio portato avanti in questi mesi, il gruppo A.sperimenti ha deciso di pubblicare le relazioni del seminario tenutosi il 6 novembre 2010 dal titolo “Rivoluzione?” che ha visto tra gli altri la partecipazione di Thomas Ibanez e Eduardo Colombo.
Il seminario è stato organizzato in collaborazione col Centro Studi Libertari/Archivio Pinelli e si è tenuto presso la nuova sede del Centro a Milano.
Nell’ultimo anno il gruppo di studi libertari A.sperimenti ha approfondito alcune tematiche la cui analisi ha sollevato, quasi naturalmente, alcuni interrogativi di carattere...rivoluzionario. Il percorso che abbiamo sviluppato ci ha portato dai discorsi sul potere all’autogestione, dalla questione inerente alla natura umana a quella del cambiamento e della mutazione culturale. Ci è sembrato naturale, arrivati a questo punto, affrontare in un seminario la tematica “rivoluzione”. L’esigenza che abbiamo è da un lato quella di riattualizzare il dibattito circa l’idea e la pratica rivoluzionaria, alla luce del nostro presente e degli sviluppi in campo teorico degli ultimi decenni; a partire dalle analisi sul potere diffuso e le relazioni di potere fino alle analisi psicosociali che analizzano i rapporti fra individuo e corpo sociale, al fine di formulare risposte concrete e proposte pratiche che rispondano al nostro bisogno di uguaglianza e libertà. Dall’altro, ci sembra fondamentale confrontarci con chi, nel proprio percorso di lotta, ricerca e sperimentazione ha già tentato di attualizzare e dare un senso pratico al fantasma e mito della Rivoluzione, interrogandosi sulla molteplicità semantica che essa racchiude e sui differenti comparti dell’immaginario che ha occupato in passato e che attualmente occupa. L’intenzione è di render conto della ricchezza delle posizioni che vengono assunte nel dibattito rivoluzionario.
Tante questioni che abbiamo voluto affrontare tutte in una volta assieme a studios*, compagn* con visioni, conoscenze e approcci diversi.
Se da un lato la multidisciplinarità che ha caratterizzato l’incontro ha avuto l’effetto positivo di arricchire il dibattito, dall’altro ha avuto anche quello “negativo” di aprire molte porte e chiuderne poche. C’è anche da dire che la ricchezza polisemica del termine Rivoluzione già di per sé crea “confusione”: un termine troppo significante rischia di non significare più nulla.
Nonostante queste difficoltà pensiamo che la giornata del 6 novembre sia stata un’esperienza significativa e che abbia fornito ai presenti l’occasione per gettare i semi di una progettualità pratica e teorica che si spera possa andare al di là dei temi trattati.
Per chi c’era e per chi non c’era; per chi avrebbe voluto esserci e per chi non ne sapeva nulla; per i curiosi e gli scettici...chiunque può richiedere una copia cartacea scrivendoci una mail o scaricarlo comodamente dal nostro blog.