Spesso è possibile cogliere dei segni che indicano, molto più di descrizioni argomentate e prolisse, il clima più profondo e più veritiero di una situazione. Accade, talvolta, che questi segnali risultino essere delle eccezioni o degli abbagli per un analista sociale, così come tutto questo può diventare un indicatore ideologico trasformato in immaginario che obnubila la comprensione più chiara e trasparente di fatti e idee. Queste preoccupazioni devono essere sempre tenute presente perché capire, al di là dell’apparenza, appare sempre più urgente e indispensabile, soprattutto in ambito sociale, culturale e politico. Fatti a prima vista diversi, comportamenti apparentemente non collegabili tra loro, se opportunamente valutati per la loro vera significatività, possono suggerirci spesso chiavi di lettura della realtà più che mai rivelatrici e non indurci in errori di valutazione.
Ma veniamo dunque ad alcune considerazioni dettate proprio da fatti diversi, con protagoniste personalità differenti. Si tratta di due episodi che riguardano complessivamente le due espressioni più accreditate della sinistra italiana, quella legalitaria e istituzionale e quella movimentista. Mi riferisco, in particolare, alle considerazioni espresse dallo storico della letteratura e «maitre à penser» Alberto Asor Rosa e alla morte (omicidio brutale) del «pacifista» Vittorio Arrigoni. Due fatti distanti tra loro, due protagonisti probabilmente quasi incompatibili per stili di vita e forse anche ideali, accomunanti però da alcuni aspetti che vorrei qui evidenziare.
La notizia dell’omicidio di Vittorio Arrigoni per mano di fondamentalisti islamici nella striscia di Gaza, hanno provocato una giusta e doverosa indignazione comunemente condivisa. L’attivista italiano viveva nei martoriati territori governati da Hamas e svolgeva in questi luoghi, da anni, un’intensa attività a sostegno delle rivendicazioni palestinesi, accettato e sostenuto, nella sua azione, dall’organizzazione palestinese con la quale egli collaborava attivamente. Infatti i rappresentanti di Hamas gli hanno tributato gli onori dovuti a un combattente per la loro causa e hanno prontamente identificato gli assassini.
L’importanza delle sfumature
Arrigoni aveva fatto una sua scelta coerente, di tipo politico e ideologico, di stare dalla parte di Hamas, contro lo stato di Israele. Le sue posizioni, a quanto ci è dato sapere dalle notizie apparse nei vari media, erano fortemente precise e schierate, tanto da fargli criticare e condannare anche scrittori israeliani come Oz e Yeoshua ritenuti comunque complici («con le mani sporche di sangue» sembra abbia sostenuto) dello stato che occupa, da più di quarant’anni, impropriamente una terra che non gli appartiene. Un uomo, Arrigoni, sicuramente coerente, che ha dedicato la sua vita a lottare, in modo intransigente, e a combattere, con tutte le forme possibili, un nemico odiato e disprezzato. Insomma una persona che, dal mio punto di vista, difficilmente si potrebbe considerare pacifista.
Ma accade spesso che siano considerati pacifisti coloro che sono schierati in modo politicamente corretto a prescindere dalle loro convinzioni per nulla non violente. Sarà, ma ci pare che pacifismo sia qualcosa di diverso. La madre di Vittorio Arrigoni, comprensibilmente distrutta dal dolore, ha chiesto e ottenuto che il corpo del figlio venga riportato in Italia senza transitare da Israele, perché l’attivista aveva combattuto tutta la vita contro lo Stato ebraico. Il suo gesto, simbolico, è effettivamente la incarnazione di un simbolo potente che rappresenta la tragica estremizzazione violenta e ingiusta dell’intera area regionale.
Sono luoghi e spazi umani e simbolici, che in azioni come questa, rendono ancora più manifesti significati forti come la confluenza di intransigenze diverse: quella di Israele (che occupa violentemente territori palestinesi), quella del fondamentalismo palestinese di Hamas; quella del gesto della madre a cui hanno assassinato il figlio proprio persone per le quali lui ha sempre combattuto. Ma è un atto, quello della madre rispettosa del volere del figlio, che, come ha scritto nel “Corriere della sera” lo scrittore israeliano Etgar Keret, «nel voler distinguere il bene dal male, nega completamente la possibilità di qualsiasi ambiguità e di ogni sfumatura di grigio».
La terra di Israele e i suoi sette milioni di abitanti sono così abbietti che al loro contatto si rischia di profanare quel corpo? Negare il diritto agli ebrei e agli arabi che abitano questo territorio di avere uno spazio fisico, organizzato secondo i loro voleri, servirà forse a risolvere il problema dell’altrettanto diritto dei palestinesi ad averne uno proprio? L’ultimo viaggio di Arrigoni diviene così un simbolo ancor più forte di odio, di guerra e di rifiuto verso chi si considera indistintamente dei nemici, per nulla un simbolo di pace e di rispetto delle diversità. Sarebbe ipocrita e facile concludere queste osservazioni sostenendo che ognuno pianga i suoi morti, anche se la tentazione è forte, ma i morti tra coloro che credono in una giusta causa a favore della libertà e che sono vittime della loro coerenza, vanno rispettate indistintamente, ma non possono essere trasformate in simboli di ulteriore odio e violenza. Questo è invece ciò che accade in molti ambienti della sinistra che assegna patenti di pacifismo a proprio uso e consumo, purché il nemico sia sempre quello dichiarato e rispondente a un cliché ben definito. Questo vizio di fondo allontana la possibile intesa culturale con questi protagonisti delle lotte contro Israele, ma non ci esime dal continuare la nostra battaglia per una molteplicità di società diverse che vivano rispettandosi reciprocamente.
La personalizzazione del male
L’altra questione, invece, è meno emotivamente coinvolgente, ma rivela ancora una comune ossessione, tra le sinistre, più forte che mai, che impedisce al nostro paese, anche solo di pensare a una possibile via d’uscita a breve tempo dal berlusconismo imperante. Asor Rosa (quello, giusto per la memoria, che alla fine degli anni sessanta in un suo testo tuttora molto apprezzato a sinistra, definiva il nostro Pietro Gori un autore piccolo borghese), in un articolo pubblicato dal Manifesto il 13 aprile dall’eloquente titolo “Non c’è più tempo”, invoca l’intervento di carabinieri e forze dell’ordine in genere, coadiuvati dalla Magistratura, per stabilire in Italia un governo di salute pubblica, indispensabile per azzerare il governo attuale. Un golpe a fin di bene, un apocalittico appello a un intervento da ultima spiaggia, per disarcionare i veri golpisti. E qui siamo di fronte all’altra ossessione delle sinistre italiane, quella che personifica in un uomo i mali del mondo.
I nostri lettori mi permetteranno di risparmiarmi l’elenco dei guasti di questo governo, spero siano scontati. Ma questa cultura spocchiosa ed elitaria, saccente e per nulla popolare, che domina i profeti delle sinistre italiane, è veramente ormai troppo autoreferenziale e subdolamente autoritaria. I paladini della democrazia (quella che legittima solo il proprio potere e non quello che esce dalle consultazioni elettorali), ormai divenuti anche i più patrioti (non si sono mai viste tante bandiere italiane sventolate e fatte proprie da tutti, anche da quelli che in teoria dovrebbero essere i più internazionalisti), sono disperati (giustamente) per le espressioni governative della società italiana. Tralasciano però il fatto, aimè questo sì disperante, che i nostri governanti sono l’incarnazione dei sogni e delle aspettative di gran parte del nostro popolo e che l’ipocrisia della cosiddetta società civile (un ossimoro da spendere al bisogno) è in realtà la falsa tentazione ideologica delle sinistre italiane (ma non solo a quanto sembra). Nel caso di Asor Rosa, di fronte alla propria impotenza ormai irreversibile, si è arrivati al punto di pensare che della cosiddetta società civile, quella parte cioè di persone che prima di tutto odiano il nemico, poco importa se hanno anche una qualche idea di società diversa da quella attuale, fanno parte anche poliziotti e magistrati vari, che con un governo da loro sostenuto, potranno purificare gli italiani dal male del governo attuale. Una contorsione intellettuale, una straziante e allucinante scorciatoia giustificata dalla convinzione che in Italia non esiste più la democrazia. Certo noi non avevamo bisogno di Asor Rosa per sapere che ormai di oligarchia si tratta ma, purtroppo, a destra come a sinistra.
Questa sinistra poi appare sempre più incapace di far tesoro dei propri errori, di analizzare a fondo le radici della deriva del sistema democratico e, magari, pensare a un’idea di democrazia diretta invece che rappresentativa. Infatti nel mercato di compravendita parlamentare, a cui sono avvezzi tutti, la preoccupazione di tutti i partiti è sempre stata quella di ribadire il non vincolo (costituzionale) del mandato parlamentare. Il che equivale a dire che un eletto non deve rispondere a nessuno delle sue scelte, mentre ci sembrerebbe più opportuno, oltre che più democratico, sostenere invece che uno rappresenta qualcun altro su un obiettivo specifico e non in eterno, come invece accade nei sistemi parlamentari.
Il berlusconismo purtroppo è, non solo dentro la testa di molti italiani, ma, nei suoi tratti “sviluppisti” e “modernizzatori”, dentro le sinistre seppur in gradualità diverse.