Sempre più spesso, nel nome di una presunta tolleranza si è disposti ad ignorare anche le più plateali ingiustizie, prevaricazioni e violenze che caratterizzano il quotidiano. La parola d’ordine è sempre la stessa: nessuno può arrogarsi la pretesa di avere la verità in tasca e dunque, come ovvia conseguenza, bisogna accettare le diverse posizioni, anche se sono del tutto antitetiche alle nostre.
Che bello! Come suona bene! Una meravigliosa fanfara democratica che aleggia nell’atmosfera rassegnata dei nostri immaginari.
Eppure, qualche verità in tasca, a ben frugare, dovremmo pur averla individuata.
Quando un popolo, un’etnia, un genere, una specie vengono massacrati, schiavizzati, imprigionati, sfruttati, la verità urla assordante chiedendo di fare qualcosa. Come si fa, in questi casi, a sostenere che, in fondo, i massacratori che la pensano diversamente da noi, hanno il diritto di continuare a massacrare e schiavizzare?
Il movimento anarchico, che queste verità in tasca conosce molto bene, per sua caratteristica intrinseca non è mai stato disposto a starsene con le mani in mano. Il movimento anarchico ha sempre perseguito, attivandosi nei modi più diversi, tutta una serie di verità in tasca che si chiamano antifascismo, antirazzismo, antimilitarismo, antisessismo...identificando in molte pratiche ed ideologie la base fondante dello sfruttamento e delle repressione.
Ma in fondo, tutti i movimenti di liberazione, partono da una verità inoppugnabile, evidente, violenta. Quando qualcuno toglie la libertà ad un altro, quando qualcuno con qualunque mezzo assoggetta un altro al suo volere, quando qualcuno persegue i suoi interessi applicando l’ideologia del dominio, deve essere contrastato. Non è possibile accettare e rassegnarsi. Occorre, invece, ribellarsi, boicottare, far sentire la propria voce. Perché la mancanza di tutto questo, in effetti, ci rende complici del dominio e dell’ingiustizia. Il dominio e l’ingiustizia, infatti, si nutrono e prosperano rigogliosi proprio grazie al silenzio, alla rassegnazione e a questo nuovo e distorto concetto di tolleranza.
Nel 1600 Renè Descartes, filosofo e scienziato, sosteneva che gli animali non potessero provare alcun tipo di emozione, che fossero come dei vegetali o degli automi che si muovevano guidati esclusivamente dal loro istinto bestiale. A ben pensarci, questa sua tesi era l’unica accettabile se si desiderava continuare a sfruttare, imprigionare, mutilare e uccidere gli animali diversi da noi. Oggi, dopo innumerevoli scoperte e studi di etologia, nessuna persona di buon senso può negare che gran parte degli animali possano provare rabbia, piacere, noia, tristezza, gioia. Quasi ogni animale rinchiuso in una gabbia cercherà in tutti i modi di uscirne nel tentativo di riconquistare la sua libertà, quasi ogni animale desidera vivere con il suo branco o il suo stormo, proprio come molti umani desiderano vivere con la propria famiglia, la propria tribù, i propri gruppi di affinità.
Siamo di fronte, quindi, a popolazioni di persone non umane che hanno un modo diverso dal nostro di interpretare il mondo.
Dominando e sfruttando queste popolazioni, gran parte degli umani applicano platealmente e pedissequamente l’ideologia razzista (o meglio specista) sostenendo che tutto ciò che è diverso da noi non ha valore, non ha pensiero, non ha cultura, non ha diritti. Può quindi essere schiacciato e assoggettato ai nostri voleri, può essere usato in qualsiasi modo per soddisfare i nostri bisogni, i nostri capricci.
Quando si sostiene di non essere d’accordo a voler estendere anche agli animali i diritti più elementari, si scorda sempre di spiegare il perché. Perché una persona umana ha il diritto alla libertà ed una non umana può essere segregata in gabbia, mutilata, alimentata forzatamente e uccisa? Forse perché l’uomo fu creato ad immagine e somiglianza di dio e gli venne concesso l’appalto per sfruttare ogni animale terrestre? Forse perché noi siamo più intelligenti e loro un po’ più stupidi? O perché siamo i più forti, i più cinici, i più arroganti? O forse perché si è sempre fatto così, e certi insegnamenti si tramandano inesorabilmente senza possibilità di discussione?
Il movimento anarchico del futuro (e si tratta di un futuro molto molto vicino) sarà ovviamente antispecista perché l’antispecismo non è nient’altro che la naturale evoluzione di questo movimento, perché l’antispecismo smaschera senza vie d’uscita l’ideologia del dominio.
Chi se n’è accorto sta già lavorando in questa direzione. Gli altri, le altre si stanno comportando da bravi conservatori che si arroccano sulle vecchie posizioni solo perché cambiare comporta degli atteggiamenti che si credono scomodi. Mai come in questo caso si comprende tanto bene come sia difficile rinunciare alla propria posizione di potere, al proprio trono che consente di essere i padroni indiscussi con tanti schiavi che esistono al solo scopo di servire i propri interessi. E visto che gli animali non possono ribellarsi da soli, appare chiaro che a compiere un passo indietro debbano essere gli umani. Un passo indietro che mandi all’aria il trono, il dominio, il potere. Una passo indietro che permetta anche alle altre popolazioni di esistere in libertà, dignità e rispetto.
Non esiste alcuna buona ragione per accettare lo sfruttamento e la schiavitù di altri esseri senzienti, soprattutto per un anarchico, per un’anarchica. Crollate miseramente tutte le motivazioni legate alla sopravvivenza, scoperti finalmente i disastri ambientali connessi indissolubilmente allo sfruttamento animale, non resta proprio più nulla. A parte, naturalmente, il gusto del dominio, il piacere del potere, la conservazione di stereotipi e di condizionamenti ereditati da vecchie culture basate sulla violenza, sulla gerarchia, sul diritto del più forte.
Francamente non occorrono particolari approfondimenti etici o filosofici per comprendere tutto questo, per avere la percezione di come lo sfruttamento animale sia la base per costruire lo sfruttamento degli uomini e delle donne. È tutto davanti ai nostri occhi. In fondo basterebbe aprirli e chiedersi il perché.
È dunque importante sottolineare che l’antispecismo e la sua pratica di lotta per la liberazione animale, non sono soltanto una forma di attivismo contro l’ingiustizia perpetrata ai danni di popolazioni non umane, ma sono anche metodi per scardinare la grammatica dello sfruttamento: quel senso di superiorità prettamente umano che consente di dominare altre razze, generi, etnie, specie e minoranze di ogni tipo.