Rivista Anarchica Online


Spagna

Cronaca di una morte annunciata

di Steven Forti e Claudio Venza

Le elezioni dello scorso 20 novembre hanno visto un tracollo socialista più forte del previsto. E gli indignados...

 

Le forze progressiste dei paesi dell’Europa mediterranea non ricorderanno con simpatia questo novembre 2011. O almeno non dovrebbero farlo. Due cambi di governo pilotati dall’esterno e delle elezioni stravinte dalla destra. Non è certo un bel panorama. Mentre l’Italia e la Grecia vengono affidate dai mercati e dalle istituzioni europee a due tecnocrati di fiducia, la Spagna ritorna dopo otto anni in mano alla destra. La stessa destra che, una dozzina d’anni fa, favorì la speculazione edilizia che sta a monte dell’attuale crisi economica internazionale e che ha colpito duramente la penisola iberica. D’altronde anche il socialista Zapatero, idolo per qualche tempo anche in Italia, aveva ripetutamente dichiarato, già nel 2004, di voler continuare la politica economica del suo predecessore, il reazionario e guerrafondaio José María Aznar.
Nel caso spagnolo i mercati non si sono nemmeno dovuti prendere la briga di intervenire. Zapatero ha sempre fatto bene i compiti che la UE, il BCE e il FMI gli hanno assegnato. Così, a partire dalla primavera del 2010, in una Spagna che quasi di colpo si ricordava delle sue enormi debolezze strutturali, il governo socialista aveva scelto una politica di “misure anticrisi”. Oltre ai tagli all’educazione e alla sanità e la drastica riduzione del salario ai funzionari pubblici aveva portato alla modifica della Costituzione del 1978 con l’inclusione della limitazione per legge del rapporto deficit-Pil. Che altro si poteva chiedere a un governo di “sinistra” in evidente contraddizione con le istanze popolari che prometteva di difendere? Le elezioni anticipate. E così è stato.
Le elezioni del 20 novembre sono state la cronaca di una morte annunciata, forse voluta, di certo provocata del socialismo spagnolo del postfranchismo. La vittoria del Partido Popular nelle elezioni amministrative, locali e regionali, del maggio scorso era stato un chiaro segnale della tendenza esistente, confermata dai sondaggi pre elettorali. La destra ha superato il 44% dei voti espressi e ha conquistato la maggioranza assoluta alla Camera con 186 seggi. Dopo essere stato sconfitto due volte consecutive (2004 e 2008) da Zapatero, Mariano Rajoy – il delfino di Aznar, quello della partecipazione alla guerra in Iraq respinta da quasi tutto il popolo spagnolo – ha ottenuto finalmente la chiave della stanza dei bottoni. I socialisti hanno preso una batosta colossale, passando da 169 a 110 deputati e fermandosi al 28% dei voti. Il loro grande apparato di decine di migliaia di professionisti della politica e dell’amministrazione, con tutte le clientele relative, ha perso oltre 4 milioni di voti. Izquierda Unida, la sinistra verde post comunista, ha aumentato il consenso passando da 2 a 11 deputati. Il partito centralista (Unión Progreso y Democracia) formato qualche anno fa dalla ex socialista Rosa Díez, ha ottenuto 5 seggi in polemica con gli autonomisti baschi e catalani che, a loro volta, sono cresciuti notevolmente. Se nei Paesi Baschi, che ha circa il 3,5% della popolazione dello Stato spagnolo, la novità è stato il sorprendente risultato della sinistra semindipendentista raccolta nella nuova sigla Amaiur (7 deputati), in Catalogna sono stati i nazionalisti e cattolici di destra di Convergencia i Uniò (CiU) ad ottenere un risultato storico. Hanno superato – per la prima volta da decenni – i socialisti piazzandosi come il partito più votato nella grande regione mediterranea (16 deputati). Un dato su cui vale la pena soffermarsi. Al governo in Catalogna da oltre un anno, CiU ha portato avanti una serie di politiche neoliberiste durissime, con chiusura di ospedali e ambulatori e tagli nelle università e nelle scuole, che hanno scatenato proteste e mobilitazioni quasi quotidiane. Malgrado tutto ciò, per un fenomeno che però si è verificato altre volte, il partito di Artur Mas ha guadagnato oltre 230 mila voti, superando il milione di elettori e avvicinandosi ai migliori risultati dalla transizione postfranchista.

Quando la sinistra copia la destra

Almeno due sono le morali che si possono trarre dall’esperienza elettorale spagnola. La prima è che più le cose vanno male economicamente e più gli elettori sono attratti dalle posizioni di destra (il caso catalano è rilevante). La seconda è che la sinistra, adottando le stesse politiche della destra, ha tolto ogni residua illusione sul fatto di costituire un’alternativa al neoliberismo dilagante.
Il 20 novembre apre senza dubbio una nuova tappa politica per la Spagna. Durante la campagna elettorale Mariano Rajoy, il vincitore delle urne, non ha praticamente fatto dichiarazioni rispetto al suo futuro governo. Solo in questi giorni ha annunciato, anche se in una forma più sottile di quella di Monti, un periodo di lacrime e sangue per gli spagnoli, affinché il paese iberico possa ritornare ad essere un “esempio” per l’Europa.
Quella del 20 novembre pare una data elettorale non scelta a caso. Proprio il 20 novembre del 1936, in piena Guerra Civile, veniva fucilato José Antonio Primo de Rivera, uno dei fondatori del fascismo spagnolo e proprio il 20 novembre del 1975 moriva il dittatore Francisco Franco, aprendo le porte ad una parziale e contraddittoria transizione alla democrazia. Proprio lo stesso giorno il Partido Popular, che del franchismo è, in fin dei conti, il figliastro, ha ottenuto il suo miglior risultato elettorale in democrazia.

Il ruolo degli indignados

L’analisi della situazione spagnola non può fermarsi alle ambiguità tipiche delle elezioni politiche. A parte il fatto, non solo statistico, che al gioco hanno partecipato, a seconda delle regioni, dal 60 al 70% degli aventi diritto, il fermento e le speranze di cambiamento stanno seguendo altre strade. A partire dal 15 Maggio, quasi tutte le città spagnole sono state investite da movimenti di base, i cosiddetti indignados, che hanno trasformato molte piazze centrali in altrettanti agorà di autentico dibattito politico non legato alle scadenze elettorali, ma che guardava molto più avanti. La partecipazione in prima persona dei cittadini ha sconvolto le abitudini di grandi fette di popolazione che si sono rese conto della centralità delle proprie iniziative, quasi sempre estraniandosi dalla logica della delega e delle urne. Uno degli slogan più usati nelle assemblee di migliaia di partecipanti affermava: “No nos representan”, rivolto alle imminenti e vuote elezioni. Era molto diffuso il rifiuto del binomio di fatto tra socialisti e popolari attraverso la fusione delle due sigle: “No al PPSOE”.
Questo nuovo movimento, diffuso in tutto il territorio spagnolo, ha coinvolto, con gli strumenti della democrazia diretta e pacifica, diversi milioni di cittadini delusi dai vertici politici e finalmente fiduciosi nelle proprie possibilità di opporsi alla gigantesca truffa nascosta sotto la comoda etichetta della crisi. Dalle enormi assemblee di Plaza del Sol a Madrid o di Plaza Catalunya a Barcellona, sono sorte strutture rionali che hanno iniziato subito a opporsi agli sgomberi violenti di famiglie indigenti, vittime del meccanismo economico e giuridico dominante. Da esempi simili di lotta autogestita e solidale, contro il potere statale corrotto e oppressivo, può nascere quella forza di cambiamento e di liberazione da capitalisti e burocrati. In fin dei conti le recenti elezioni hanno semplicemente cambiato di etichetta partitica allo stesso sistema dominante contestato da forti settori del popolo spagnolo, giovanile e non solo.

Steven Forti e Claudio Venza