migranti Le braccia dei migranti AgenziaX ha appena
pubblicato un libro che raccoglie, con un taglio antropologico,
le voci di alcuni migranti. Ne è autore Andrea Staid, nostro
collaboratore. Foto di Chiara Beretta
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di Elena Violato Contro gli identitarismi e contro l'avanzare di questa globalizzazione la proposta contenuta nel libro di Andrea Staid è quella del meticciato, che non dev'essere necessariamente un dato di fatto ma innanzitutto un atteggiamento mentale. Migranti,
immigrati, stranieri, clandestini, rifugiati, richiedenti asilo,
arabi, asiatici, africani, sudamericani... insomma Loro... e
Noi. Elena Violato
di Andrea Staid Tra le numerose testimonianze riportate nel libro, abbiamo scelto di riproporre qui quelle di due migranti, rispettivamente dalla Mauritania e dal Ghana. Dalla Mauritania / Moktar Ho
27 anni arrivo dalla Mauritania, da una città vicino al deserto,
molto povera con pochissime possibilità di trovare il lavoro. In
Europa ci sono arrivato nel 2006. Sono approdato in Spagna
passando per Ceuta. In quel periodo insieme ad altri amici
marocchini avevamo iniziato delle lotte contro i muri che
separavano il Marocco dalle vostre città . Non so se lo sai, ma
Ceuta, che è nel nord del Marocco, in realtà è Europa,
Spagna. Però i soldi mi servivano Quella notte anche se ho avuto paura è stata
una bella esperienza perché alla fine ce la abbiamo fatta. La
cosa più difficile non è stato uscire dalla prigione ma una
volta fuori muoversi a piedi con il buio senza sapere dove
andare. Decidiamo di dividerci per non farci notare e ognuno va
per la sua strada io riesco ad arrivare in poche ore di cammino
al primo paese, Millas. In questo posto che non avevo mai sentito
nominare, ho avuto fortuna di trovare dei ragazzi che mi hanno
offerto una sigaretta chiedendomi come ero arrivato lì. Dopo che
gli ho raccontato la mia storia, uno di loro mi dice che può
aiutarmi. Mi parla di suo zio che ha della terra e che se volevo
poteva farmi lavorare da lui. Io accetto anche se in realtÃ
pensavo a come proseguire il mio viaggio e alla telefonata a mio
zio. Però i soldi mi servivano per forza e soprattutto non
sapevo come muovermi, dove andare. Provavo un senso di totale
spaesamento e ripensavo alle mie giornate prima della partenza
per il Marocco e se devo dirti la verità le rimpiangevo ma come
ti dicevo prima non potevo tornare a casa. Quando esco di casa, ci penso sempre Anche a Genova non è stato semplice, grazie a
mio zio avevo cibo e un letto nella sua casa. Ho cominciato a
lavorare con lui nei mercati. Ma il problema dei documenti
rimaneva. Il
mio viaggio per arrivare in Italia è iniziato nel deserto tra
l'Africa sub-sahariana e i Paesi del Maghreb. Io abitavo in
Ghana. Ho iniziato la mia traversata a bordo di un camion guidato
da un ragazzo di Tripoli. All'epoca non parlavo italiano A Tripoli ho lavorato tre mesi per accumulare
soldi, mangiavo il meno possibile, non uscivo mai e non conoscevo
quasi nessuno, facevo una vita orribile. Ma alla fine avevo i
soldi che mi chiedevano e sono partito. Era una notte nellâestate
del 2002. Il viaggio in mare è stato se possibile ancora più
duro di quello nel deserto, prima di tutto perché io non avevo
mai viaggiato in mare e poi perché la barca era piccola e noi
eravamo tanti, quasi tutti uomini africani, poche donne e solo
due o tre bambini, se non ricordo male. Parlando poi in Italia
con tanti amici africani penso che io sono stato fortunato perché
nella nostra barca non è morto nessuno, anche se in molti sono
stati male. Sinceramente mi sento afritaliano A Modena scendo in stazione molto presto di
mattina, sono totalmente spaesato e anche se dentro di me sono
felice, capisco che la mia situazione è complicata, non ho
nessuna carta che dice che posso stare in Italia. Per fortuna
incontro dopo poche ore dei ragazzi Ghanesi che mi aiutano
subito, mi invitano a mangiare nella loro casa e mi spiegano che
è meglio se non me ne vado in giro troppo senza il permesso di
soggiorno. Questi ragazzi sono stati la mia salvezza perché per
un mese mi hanno fatto dormire sul loro divano, facendomi
conoscere gli italiani giusti che mi hanno aiutato a trovare
lavoro. Sono stato nelle campagne per sei mesi, venivo pagato
poco ma almeno riuscivo a mangiare e a permettermi una stanza in
affitto. Il problema del permesso però rimaneva perché non
lavoravo in regola. Andrea Staid Per chi rimane senza soldi il viaggio si tramuta in tragedia. Secondo diverse testimonianze le oasi del deserto nigerino e libico sarebbero disseminate di schiavi. Giovani partiti dall'Africa occidentale alla volta dell'Europa e rimasti bloccati senza soldi per proseguire né per ritornare.
I piatti dei migranti di Andrea Perin Che cosa mangiano i migranti? Si può parlare
di meticciamento anche a tavola? Si
può definire meticcia una cucina? Se la si affronta nel suo
percorso storico nessuna tradizione è pura, ognuna si è
modificata nel corso tempo con scambi e ingressi. La stessa
cucina italiana, una delle più ricche e articolate al mondo, non
è un modello codificato e unitario bensì una rete di saperi e
pratiche, strutturatisi in secoli di storia grazie anche alla
posizione centrale che la penisola occupa nel Mediterraneo e che
ha portato a secoli di occupazioni subite (e imposte), commerci
con tutto il mondo, immigrazioni ed emigrazioni (1).
Da ultimo, i poderosi trasferimenti che portarono milioni di
persone dal sud al nord, che hanno rimescolato ancora gusti e
ingredienti. Orgoglio culturale «à lâera del politeismo alimentare che
spinge le persone a mangiare di tutto, senza tabù, generando
combinazioni soggettive di alimenti e anche di luoghi ove
acquistarli, neutralizzando ogni ortodossia alimentare». Nel
primo rapporto Coldiretti/Censis del 2010 sulle abitudini
alimentari degli italiani si evidenzia che âil rapporto con il
cibo è una dimensione sempre più soggettiva, espressione
dellâio che decide e che, a partire dalle proprie preferenze,
abitudini, prassi e aspettative, nonché dalle risorse di cui
dispone, definisce il contenuto del carrello e della tavolaâ.
Solo per il 30,4% la propria alimentazione deriva ormai dalla
tradizione familiare (3). Accorciare le distanze Il cibo definisce chi appartiene e per
esclusione identifica lo straniero, ma non è solo questo: è
anche il primo grado di scambio e di riconoscimento dellâaltro.
Mangiare il cibo del diverso, dello straniero, vuol dire
accorciare le distanze e appropriarsi di un pezzetto
dellâidentità altrui, farla propria. Se è vero che il âsapore
è sapereâ, è sempre possibile imparare nuovi gusti. Una sorta di meticciato industriale Una prima causa di meticciamento, forzata, è
dovuta alla sostituzione degli ingredienti originali con le con
materie prime del luogo: «Questa ricetta che vi presento oggi è
il bulz come lâabbiamo mangiato a Pasqua in Romania a Moeciu
preparato però quando siamo tornati a casa con la farina di mais
italiano, la salsiccia bolognese e il formaggio che abbiamo
comprato in Romania.» (14) Andrea Perin
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