Quando osservo le immagini sul movimento genericamente definito degli “Indignados”, in particolare quelle sulla specifica componente americana di Occupy Wall Street, le metto in relazione con altre immagini in bianco e nero che ho acquisito nelle mie carte e nella mia memoria. Immagini della sede della Borsa di Parigi che prende fuoco nei giorni caldi del Maggio ’68, oppure le istantanee prese dal fotografo Larry Fink nel ’67 che ritraggono uno sparuto gruppo di anarchici a New York durante un corteo contro la cittadella finanziaria: “Wall street is War street” recitava uno dei cartelli del gruppo. Rivedo quelle immagini e le metto in relazione con le cronache e i commenti su questo nuovo fenomeno di protesta che specie negli USA si è ritagliato uno spazio originale e inedito, allargandosi e investendo molti centri abitati grandi e piccoli che si estendono dalla West alla East Coast americana. Del movimento delle occupazioni targate USA di questi mesi Occupy Wall Street si presta ad essere il più marcato simbolicamente, il più dirompente nel messaggio che propone e senz’altro il più esposto mediaticamente. Dal cuore della bestia della finanza mondiale ecco che spunta un segnale forte di rottura che pochi commentatori si erano azzardati a prevedere. Certo, ben sappiamo che la finanza mondiale scorre e si nutre utilizzando le reti immateriali che circondano il globo, ma è pur sempre vero che le persone in carne e ossa, dal cuore pulsante e dotate d’immaginario hanno ancora bisogno di identificare materialmente i luoghi simbolo del potere. E quale luogo meglio di Wall Street poteva prestarsi a rappresentare il simbolo del potere finanziario mondiale.
Il ruolo di David Graeber
Un movimento quello americano eterogeneo e composito, che riprende nelle sue dinamiche le “acampadas” spagnole del movimento 15 M tenute qualche mese prima, vale a dire la presenza costante e assidua di donne/uomini in uno spazio pubblico cittadino a manifestare il diritto di protestare contro le mostruosità dei poteri finanziari, delle lobby politiche e militari, unito alla richiesta di cambiamento, alla volontà di decidere senza la mediazione di organi istituzionali o partiti e sindacati di sorta e orgogliosamente senza rappresentanza ufficiale. Pratiche diffuse di democrazia diretta e autorganizzazione che hanno permesso per esempio a Oakland, sulla costa ovest degli USA, il 2 novembre 2011 di proclamare e gestire uno sciopero generale che ha coinvolto tutta la città.
Un movimento senza precedenti per la sua vastità nella recente storia americana, che possiamo connettere in linea diretta con le istanze “altermondiste” e le rivolte di Seattle del 1999. Che pur considerato nella sua eterogeneità ha espresso marcate istanze libertarie sia sotto il profilo organizzativo che quello rivendicativo. Sotto questo aspetto i media internazionali hanno avuto buon gioco indicando il movimento Occupy, soprattutto a New York, come veicolato dalla componente libertaria, e l’antropologo anarchico David Graeber come uno dei più attivi ispiratori della protesta (1). Gli ultimi mesi del 2011 hanno visto la centralissima Zuccotti Park a New York occupata da migliaia di manifestanti che hanno quotidianamente organizzato assemblee aperte e mobilitazioni, fino ad arrivare allo sgombero forzato del parco ordinato dal sindaco della città Mike Bloomberg. Nel volgere di alcuni mesi Occupy W.S. ha vissuto fasi di aggregazione, favorita dalla capacità inclusiva e democratica delle assemblee e delle commissioni di lavoro che l’hanno tenuta in vita, a fasi di dispersione e frammentazione causate soprattutto dallo sgombero forzato e dalla repressione operata dagli organi di polizia della città. Questo episodio tuttavia non ha impedito a molti manifestanti di riaggregarsi temporaneamente in altre zone della città.
Testimonianze dirette (2), che riportiamo in modo frammentario, ci parlano per esempio delle restrizioni di legge ai cortei:
“l’assembramento delle forze di polizia è quantomeno inquietante. Come è noto le regole per manifestare a N.Y sono molto rigide….tutti i manifestanti devono camminare sul marciapiede e non invadere la strada, pena l’arresto…”
A seguito dello sgombero forzato la polizia militarizza il centro cittadino e coglie l’occasione per impedire la rioccupazione di Zuccotti Park, la cronaca continua:
“il sindaco e il suo fido capo della polizia Kelly hanno infatti schierato un cordone di agenti intorno a Zuccotti park che impediva ai manifestanti di riprendere possesso del parco, nonostante la sospensione dello sgombero ordinata nella prima mattina dalla Corte Suprema dello Stato di New York…la presenza della polizia non ha comunque scoraggiato i presenti…quello che all’apparenza costituisce una sconfitta per Occupy W.S. e la fine dell’occupazione stabile di Zuccotti Park apre in realtà nuovi scenari per l’evolversi della protesta…come un’attivista sottolineava in mattinata – il parco è solo un simbolo, quello che conta sono le persone che partecipano alla protesta – …”
Successivamente il movimento si riorganizza per estendere al resto della città la protesta:
“Per festeggiare il suo secondo mese di vita OWS ha innescato un’onda creativa e contagiosa di disordine per le strade di New York…è però a Wall Street che si apre uno scenario da guerra civile. Qui nella prima mattinata il movimento aveva promesso che avrebbe bloccato l’avamposto del capitale globale, la borsa di N.Y. e le sedi delle principali banche del distretto finanziario sono protette da transenne e uomini di polizia…i manifestanti, che sono qualche migliaio, cercano un varco ma la polizia li ferma e ne arresta alcuni che provano a forzare il blocco. Si cercano altri varchi, ma non si passa…ma questo è solo l’inizio di una lunga giornata di protesta…”
La testimonianza continua facendo considerazioni sulle modalità della repressione poliziesca in USA, abituali nella sua storia fin dai tempi delle occupazioni delle fabbriche e delle marce per i diritti civili. Ma se Zuccotti Park è persa, non è persa la volontà di protestare. I manifestanti si disperdono e si riaggregano in vari punti della città, per ricomporsi poi al ponte di Brooklyn:
“La missione impossibile è fallita, ma l’dea è stata seminata. Al tempo stesso, comunque, nel distretto finanziario regna il caos…nel breve cammino verso Union Square si avverte la solidarietà dei lavoratori che incrociamo. Qualche commessa esce fuori dal negozio e gli operai smettono di lavorare, mentre dei muratori latinos battono il martello al ritmo di – All day all week occupy wall street –… arrivati nell’immensa piazza troviamo ad aspettarci centinaia di studenti provenienti per lo più dalla City University of N.Y….una piazza che appare subito come un’inestricabile tessuto di connessioni. Anzitutto, l’inglese non è più l’unica lingua, perché finalmente dagli altoparlanti della piazza si sente anche lo spagnolo, perché la presenza dei latinos è diffusa…spuntano i vessilli delle unioni dei metalmeccanici e delle infermiere, degli insegnanti e degli impiegati del terziario. E, al di la delle rappresentanze sindacali, ci sono anche padri e madri con i loro bambini, a dimostrazione che questa non è affatto una manifestazione violenta come certa stampa mainstream l’ha dipinta. Ma non per questo è meno radicale.
Perché la radicalità di una manifestazione si misura dalle idee che mette in circolo e da come queste idee riescano a costruire legami fino a poco tempo prima inimmaginabili. È senz’altro questo il più grande successo di OWS: aver costruito, sotto lo slogan del 99%, un linguaggio comune in cui possano coesistere, e connettersi, rivendicazioni diverse. L’intuizione del movimento è stata quella di non farsi intrappolare all’interno degli insidiosi schemi del populismo. Ha invece dato libero spazio a tutte le voci che per troppo tempo sono rimaste ai margini della società americana e ha dato loro un nome: il 99%...ma gli uomini di Bloomberg non possono bloccare un’intera piazza e devono lasciare passare il movimento quando si mette in marcia lungo la via pedonale del ponte…l’ingresso del ponte di Manhattan è militarizzato, così come lo è sulla sponda di Brooklyn. Ma la via pedonale è nostra. Il ponte di Brooklyn è occupato. Ed è uno spettacolo unico…e dalla via pedonale basta affacciarsi sulla carreggiata per capire che le idee di OWS hanno varcato Zuccotti Park…sul grattacielo della Verizon, gigante della telefonia sotto accusa per le sue pratiche antisindacali, è ben visibile ai manifestanti e alle auto la proiezione-sfregio – noi siamo parte di un movimento di rivolta globale. Noi stiamo vincendo –…”.
L'importanza dell'imprevedibilità
Sulla costa opposta degli USA, a Oakland importante centro portuale della West Coast, il movimento di protesta ha saputo condensare e mettere a frutto un percorso assembleare e partecipativo senza precedenti per la città. Occupy Oakland il 2 novembre 2011 ha indetto uno sciopero generale del comprensorio con l’appoggio indiretto delle centrali sindacali locali. Un avvenimento anche in questo caso innescato dalle brutalità della polizia a seguito dello sgombero del campo di Occupy Oakland. Uno sciopero generale che non accadeva in città dal 1946 e che ha avuto una grande eco in tutti gli USA. La testimonianza diretta (3) di un’attivista del movimento ci racconta:
“lavoro dall’altra parte della strada rispetto al campo di Occupy Oakland, e nell’ultimo mese ho visto cose incredibili dalla finestra del mio ufficio. Qualche giorno fa ho assistito alle azioni brutali della polizia contro manifestanti pacifici. Quello stesso luogo è stato il palcoscenico principale, il 2 novembre, del primo sciopero generale a Oakland dal 1946. Decine di migliaia di persone hanno supportato il movimento Occupy e si sono identificate nel 99%...la sera successiva alle violenze della polizia è stato convocato lo sciopero generale… giovani, studenti,lavoratori, rappresentanti sindacali, migranti, attivisti di tutti i tipi. All’assemblea generale… la maggioranza del 96% ha votato a favore dello sciopero…non sono stati i sindacati a convocare lo sciopero di Oakland , ma l’assemblea generale di Occupy. I sindacati e il consiglio locale del lavoro hanno dato il loro supporto allo sciopero in diversi modi, ma non potevano convocarlo ufficialmente, perché altrimenti avrebbero violato i contratti che avevano conquistato. I sindacati hanno comunque incoraggiato i lavoratori a partecipare allo sciopero…molti attivisti supportano il movimento Occupy, ma non occupano la piazza e vogliono trovare altre modalità di partecipazione… Lo sciopero è stato organizzato in una settimana. Anche se era appoggiato da diversi gruppi e dalle organizzazioni dei lavoratori, la città non si è completamente bloccata…però per tutti quelli che hanno partecipato è stata una giornata memorabile…cortei che vanno in differenti direzioni per tutto il giorno…l’atmosfera era più quella di un festival che di una protesta…il distretto finanziario del centro della città è stato chiuso e gli affari delle banche bloccati. Il quinto porto più grande del paese si è fermato. Le merci non potevano né entrare né uscire…c’è stata una partecipazione di massa da parte degli insegnanti, dei lavoratori del pubblico impiego, dei giovani e delle community organization…lo sciopero ha ispirato più gruppi a continuare la lotta contro le corporazioni e l’1%...Oakland è diventato il simbolo della resistenza delle persone e della forza del movimento… lo sciopero di Oakland ha aiutato a mettere in connessione il movimento dei lavoratori con il movimento Occupy…lo sciopero è stata la vittoria più grande degli attivisti per la giustizia sociale…abbiamo ancora molte sfide davanti a noi, ma Occupy ha dato nuova energia e vitalità al movimento per la giustizia sociale, come nient’altro nel corso della nostra vita”.
L’enfasi, comprensibile e giustificata, che trasmettono queste testimonianze coglie bene il senso di novità, di partecipazione e condivisione che i movimenti Occupy hanno lasciato nelle persone coinvolte, soprattutto negli USA. Questo sommovimento generale ha avuto e continua ad avere un fondamentale punto di forza nella sua imprevedibilità. Dal nostro osservatorio possiamo mettere insieme commenti parziali, ma non è ancora tempo di redigere sintesi definitive su quello che si delinea come un magma in movimento e in continua trasformazione. Osservare e imparare, come qualcuno ha voluto scrivere sugli occupanti americani. Buoni consigli di cui tener conto e che mi sento di rivolgere anche al movimento degli “indignados” del nostro paese, soprattutto dopo le polemiche seguite all’ infelice mobilitazione del 15 ottobre 2011 a Roma.
Volgendo lo sguardo al passato della storia americana possiamo osservare con quali mezzi i poteri dominanti USA hanno, di volta in volta, represso, marginalizzato, normalizzato i movimenti di protesta interni. In questo senso ci viene utile il fondamentale saggio sulla storia del popolo americano scritto da Howard Zinn (4). Per l’immediato futuro possiamo perlomeno prevedere che la galassia Occupy negli USA, così come nel resto del mondo, dovrà fare i conti con le contromosse dei poteri dominanti siano essi politici, finanziari, militari. Ma un’altra partita fondamentale il movimento Occupy USA dovrà vedersela al proprio interno, evitando di disgregarsi e promuovendo costantemente strategie adeguate per restare autonomo, inclusivo e capace di indicare inediti territori di partecipazione politica e sociale in senso libertario ed egualitario.
Orazio Gobbi
Note
- Vedi a tal proposito Drake Bennett “Chi c’è dietro al movimento americano” articolo apparso sul settimanale “Internazionale” del 4 novembre 2011.
- Mi riferisco a Michele Cento, attivista di Occupy N.Y., redattore di molto interessanti e puntuali cronache e commenti su Occupy USA, che ho riportato qui in modo frammentario. È possibile leggere l’intera parte dei suoi interventi aggiornati sul sito: www.connessioniprecarie.org. A Michele Cento debbo particolari ringraziamenti.
- Si tratta di Kimi Lee, donna, madre, migrante e attivista del collettivo Leftbay99 di Oakland. Il suo appassionato intervento per intero sul sitoweb citato alla nota 2.
- Naturalmente mi riferisco a: Howard Zinn “Storia del popolo americano, dal 1492 ad oggi” Il Saggiatore 2005. Opera del compianto studioso americano, scomparso nel gennaio 2010, considerato tra i maggiori storici di vicende sociali del ’900.