“Se
ne andava per la sua strada, tranquillo, con quella
serenità che è propria dei saggi che non
devono rendere conto che a loro stessi.
Una dozzina di album, milioni di dischi venduti, Brassens
era tra noi da sempre e sarà con noi per sempre.
Non è certo una consolazione ma rimane pur sempre
un grande augurio.”
Richard
Cannavo
Le Matin de Paris
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Georges Brassens ci lascia
il 29 ottobre 1981, senza clamore come tutta la sua vita trascorsa
all’insegna della discrezione. Non temeva né
la solitudine né il silenzio, si vestiva di umiltà
di fronte alla vanità altrui, sapeva capire gli sguardi
di tutti compresi quelli degli animali, e la sua voce ha cantato
l’amore, l’amicizia, levandosi in una ferma condanna
contro la guerra, la morale benpensante e l’arbitrio
dell’autorità.
Brassens, il poeta, l’anarchico che scriveva su Le
Libertaire, il timido dall’aspetto burbero che
rassicurava con la sua figura imponente, i suoi baffi, la
sua pipa e il sorriso sulle labbra.
A 30 anni dalla sua scomparsa Parigi, dal marzo all’agosto
2010, gli ha reso omaggio dedicandogli una grande mostra allestita
negli ampi spazi della Cité de la Musique, affidata
alla ricerca e alle cure della giornalista Clémentine
Deroudille e all’originalità del disegnatore
Joann Sfar che hanno tradotto la loro passione per il cantautore
francese in una esposizione che ha ripercorso la vita e la
carriera di questo immenso artista.
Un percorso atipico quello di Brassens, libertario, riservato,
grande letterato e fine conoscitore della poesia francese,
non solo uno straordinario autore di canzoni ma anche un musicista
appassionato di jazz e ammiratore di Charles Trenet che nel
vortice del successo seppe affermare e trasmettere al pubblico
la sua tranquillità interiore.
Meglio
la radio
La mostra, ormai conclusa,
suddivisa in due spazi di uno stesso edificio, ci ha raccontato
al piano superiore la vita dell’artista, dell’autore
e del personaggio di successo, la dimensione privata e quella
pubblica; a quello inferiore, ci ha condotti alla scoperta
della “posterità” di Brassens.
I curatori si sono avvalsi di numerosi partner, primo fra
tutti l’INA, l’Institut National de l’Audiovisuel,
dai cui archivi audio e video sono emersi documenti rari ed
inediti.
Ascoltare e visionare tutte le emissioni radiofoniche e televisive,
gli scatti fotografici, è stato l’approccio al
mondo di Brassens con cui Clémentine Deroudille e i
suoi collaboratori hanno cominciato ad esplorare ed approfondire
la realtà in cui si è formato l’uomo e
l’artista, una totale immersione nelle sue parole e
nei suoi gesti, nella quotidianità di questo infaticabile
lavoratore, uno straordinario “artigiano” della
parola, perfettamente cosciente del suo talento e del valore
della sua arte, che nella tranquillità della banlieu
parigina, nella sua stanza all’Impasse Florimont, ha
composto la maggior parte delle sue canzoni.
Nessun mezzo al pari della radio, nel percorso di allestimento
della mostra del trentennale della sua scomparsa, è
stato in grado di rendere al meglio la figura dell’uomo
di lettere, di far comprendere l’essenzialità
delle sue parole, Brassens infatti non si dimostrò
mai troppo a suo agio di fronte alle telecamere o sul palcoscenico.
A questi supporti audio e video si sono aggiunti gli scatti
e i manoscritti provenienti dagli archivi di Serge Cazzani
e di numerosi privati, amici e collezionisti.
Riesaminare a fondo le testimonianze e renderle fruibili al
pubblico negli spazi della Cité de la Musique, ricreare
suggestioni, ripercorrere un’intera epoca, entrare in
un mondo fatto di privato e di pubblico, in una dimensione
intima alla scoperta dell’uomo che non ha mai lasciato
il posto all’artista ma lo ha reso ancor più
grande, ha significato far tornare il visitatore indietro
nel tempo, al tempo di Brassens
Il percorso della mostra “Brassens ou la liberté”,
ha accompagnato i visitatori dall’infanzia dell’artista
(Sez.1 L’apprentissage de la liberté) nato a
Sète fino alla giovinezza trascorsa nel Sud della Francia,
lo ha condotto da Parigi a Basdorf in Germania, li ha riportati
insieme al protagonista di questa straordinaria seppure troppo
breve avventura umana e professionale, nella capitale, agli
spazi angusti dell’Impasse Florimont al n. 9, da Jeanne
e Marcel, dove più che altrove prese forma e colore
il mondo di Georges Brassens.
Da qui, ormai intrapreso il suo cammino artistico, consolidate
le amicizie storiche con Pierre Onteniente (soprannominato
Gibraltar), René Fallet, Pierre Nicolas e con la compagna
di una vita Joha Heiman, che lui chiamava Püppchen, “bambola”
e che gli sarà accanto fino agli ultimi istanti la
carriera di Georges Brassens andrà in crescendo di
pari passo al suo impegno civile e morale.
La sua vita artistica è stata suddivisa dai curatori
in tre fasi (Sez. 2 Auprès de mon arbre), il momento
della letteratura, quello della scrittura e della composizione
con il supporto visivo di manoscritti, alcuni dei quali, ritrovati
nel Giugno del 2010, esposti per la prima volta.
La
sua dimensione “planetaria”
Si giunge al cuore pulsante
della mostra con la sezione “Morte aux vaches, vive
l’anarchie” (Sez. 3 Le libertaire), espressione
usata in Francia fin dalla seconda metà dell’Ottocento
per insultare la polizia ed estesa a tutti coloro che vestivano
un’uniforme; fu infatti fin dal 1946 che Brassens prese
a collaborare con la rivista Le Libertaire, sulle
cui pagine, come nelle canzoni seppe esprimere con tono irriverente,
la sua ferma intenzione di lottare contro l’ipocrisia
della morale borghese e delle sue sciocche convenzioni, schierandosi
dalla parte dei più deboli, degli emarginati, contro
ogni forma di autorità costituita, aderendo agli ideali
anarchici. Le sue battaglie contro l’ingiustizia sociale,
contro la pena di morte, alla quale si oppose con forza e
determinazione gli costarono l’ostracismo dalla radio
di Stato per molti anni.
Di questo percorso fanno parte anche gli spazi dedicati al
Brassens privato, ritratto nei momenti meno conosciuti e più
intimi, che si affiancano a quelli della sezione successiva
dedicata all’artista che incontra il pubblico (Sez.
4. – Le spectacle), dal palco di Bobino, alle tournées
fino alle sale parigine per giungere alla fine della prima
parte con la consacrazione e i grandi duetti con personaggi
che a lui si legano in maniera inscindibile, da Charles Trenet
a Patachou, da Tino Rossi a Jean Bertola, Henry Salvador,
Moustache, Nana Mouskouri e molti altri nomi dell’universo
musicale francese dagli anni ’60 fino a poco tempo prima
della sua scomparsa..
Scendendo al piano inferiore dello spazio che ospita la mostra
ci si ritrovava invece proiettati nel colorato mondo dei fumetti
di Joann Sfar, una biografia a tratti immaginaria ridisegnata
dalla matita di un artista che ha inventato storie che hanno
viaggiato sullo stesso piano delle vicende reali di Brassens
tradotte nella visione eclettica e un po’ irriverente
dell’autore.
Lasciati alle spalle gli spazi ludici per i ragazzi e l’area
dedicata alle attività didattiche, il palco dei concerti
che si sono susseguiti dall’inaugurazione della mostra
fino alla fine di giugno con cadenza settimanale ogni venerdì,
è il momento di guardare “oltre”, verso
la dimensione “planetaria” del nostro protagonista
che è stato cantato al di là dei confini della
sua patria fino alle ex colonie della Polinesia francese.
La sua voce, la sua arte non conoscono confini, come le sue
idee.
E a coronamento di un viaggio
sulle tracce di un personaggio dunque eccezionalmente popolare,
tanto da scommettere che tutti, almeno una volta nella vita,
abbiano intonato, in qualsivoglia parte del mondo, una delle
sue canzoni: Le gorille, Auprès de mon
arbre, Les amoureux des bancs publics o altre,
un artista per sua scelta poco spettacolare, un libertario
che ha sempre preferito seguire la strada dell’individualità
a quella della lotta collettiva senza mai rinnegare le proprie
convinzioni si apre il grande palcoscenico di Bobino, quello
del récital del 1969.
E questa volta, tra gli applausi del suo pubblico, cala il
sipario.
A bientôt Georges, le tue canzoni hanno tutta la vita
davanti a noi!