Rivista Anarchica Online


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Solo per irregolari Rom e Sinti

Intervista a Italo Siena
di Andrea Perin

A colloquio con il medico, anarchico, che ha fondato il Naga a Milano 25 anni fa. Assistenza medica e non solo agli “ultimi”, compresi quelli che le leggi cancellano ed escludono.

Nel 1987 Milano era ancora una città “da bere”, esibiva ricchezza e arroganza. L’immigrazione era un fenomeno già significativo ma sostanzialmente ignorato dalla cittadinanza e dalle istituzioni.

Io faccio il medico di base dall’Ottanta e all’epoca facevo anche il medico scolastico, impegnato nel sociale. Vicino al mio ambulatorio, in fondo al Cimitero Maggiore, al Triboniano, c’era un campo nomadi. Una sera, nel 1986, sbucarono nel mio ambulatorio alcuni componenti del consiglio comunale che mi conoscevano e mi chiesero se potevo occuparmi dell’assistenza sanitaria di quel campo, dove c’erano delle persone malatissime, alcune con infarto e appena dimesse dall’ospedale. Così cominciai a frequentarli e a visitarli: andavo una o due volte la settimana, era un lavoro faticoso perché devi andare da loro, ti devi conquistare la fiducia...
A quei tempi gli immigrati a Milano non erano sentiti come un problema, non c’era neanche la legge Martelli (1), ma c’erano tantissime persone senza permesso di soggiorno: la situazione era tollerata, ma erano tutti senza servizio di assistenza sanitaria.
Quindi mi sono detto: per affrontare questo problema invece che andare da loro, se gli immigrati vengono in studio diventa molto più facile, con minor sforzo si riescono a curare più persone. Ma questo non potevo farlo da solo, quindi ho cominciato a pensare che era importante farmi aiutare da qualche collega e da qualche volontario.
Da anarchico, ritenevo di dover agire direttamente per cambiare il sociale senza aspettare o delegare.

Un punto di riferimento

Come venne accolta questa iniziativa?

Mi venne fatta l’obiezione che in questo modo ci si sostituiva allo stato, quindi non si lottava per il diritto ma si tappava un buco. Inoltre, creando un ambulatorio, si ghettizzava la problematica perché tutti gli immigrati si concentravano in studio.
Su questo avevo riflettuto e mi ero confrontato con altre realtà attive in quel periodo. C’era stato un tentativo di alcuni medici dell’Istituto Mario Negri di Milano di creare una rete di dottori disponibili per sparpagliare gli immigrati presso le varie zone. Però non aveva funzionato molto.
La mia risposta fu questa: “Tante mosche non si vedono, invece se le mettiamo insieme diventano un problema evidente, di politica e di lotta”.

L’iniziativa funzionò...

Funzionò perché poi gli immigrati si passarono la voce e nel 1987 fondammo il NAGA, una onlus per l’assistenza socio-sanitaria a stranieri e nomadi. All’epoca era formato prevalentemente da medici, perché la struttura ruotava intorno all’assistenza sanitaria, mentre i volontari si occupavano dell’accoglienza, della raccolta di farmaci, etc.
La sede era nel mio studio, dove era nato. Negli orari in cui era chiuso l’ambulatorio aprivamo come NAGA, venivano due o tre colleghi e visitavamo nella stessa stanza, mentre una serie di volontari stavano con dieci o quindici persone in sala d’attesa. Gli esami venivano fatti grazie a un ottimo direttore dell’ASL in questa zona.
A questo punto il Naga aveva cominciato a diventare un punto di riferimento, ma il problema era di non diventare una stampella dello stato, essere funzionale al sistema. Bisognava da una parte evidenziare i bisogni, farli risaltare, ma dall’altra cercare di lottare perché l’assistenza sanitaria diventasse un diritto per le persone prive del permesso di soggiorno.
In quegli anni c’era poi il bisogno di dare una risposta alla Lega Lombarda, che sosteneva che gli stranieri portavano le malattie infettive, cosa non assolutamente vera: come dimostrato da studi, sia nostri sia di altri, gli immigrati arrivavano sani in Italia e poi si ammalavano qui per le condizioni igieniche e ambientali in cui erano costretti a vivere.
Per dare una risposta “scientifica” a questo tipo di diceria nel 1989 organizzammo un grande convegno dal titolo “Il colore della salute”, invitando una serie di persone importanti, tra i quali ad esempio lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun.

Nello stesso periodo stavate cercando una nuova sede.

Erano anni che cercavamo una sede, a quei tempi a Milano c’era il centro-sinistra, c’era Pillitteri, che non ci ha mai dato nulla. Ci aiutò moltissimo una giornalista che era venuta a riprenderci mentre visitavamo nella vecchia sede: il servizio venne trasmesso più volte, prima sui rai tre regionale, poi sul nazionale, a mezzogiorno e a sera. Di colpo, dopo il servizio, il comune trovò la sede per noi, in via Bligny.
Quando andammo a vedere ci accorgemmo che il palazzo era decadente, e l’interno era anche peggio. Il Comune si vantava “Abbiamo dato una sede al Naga”, invece si trattava di un cumulo di macerie! Ma non avevamo alternativa, quindi lo prendemmo in affitto – regolare senza sconti – con tutti i lavori da fare a nostro carico.
La Lega delle Cooperative si fece avanti alla nostra richiesta di aiuto: “Ve lo ristrutturiamo noi, però con i nostri tempi, con i nostri materiali”.
Ci hanno impiegato un anno, un anno e mezzo.

Avete mai collaborato con altre associazioni?

All’inizio moltissime realtà in Italia ci chiesero se potevano chiamarsi Naga, ma siamo sempre stati contrari perché era bello che ognuno tenesse la sua autonomia, lavorasse nel suo contesto. Abbiamo spiegato che era meglio che ognuno avesse il proprio nome, la propria indipendenza, che potevamo coordinarci e incontraci tra realtà simili, ma non aveva senso che esistesse una struttura centralizzata.
Con altre associazioni abbiamo collaborato su progetti specifici, ad esempio con la Caritas di Roma per la definizione di una legge che prevedesse il diritto alle prestazioni essenziali mediche per tutti gli stranieri temporaneamente presenti in Italia – senza denunce. È una legge decente, ancora in vigore, dove è stabilito l’accesso in maniera gratuita a tutti i servizi sanitari per i bambini e anche per le donne in maternità responsabile – cosa che la Caritas non voleva, voleva solo la gravidanza escludendo l’aborto.
Questa legge venne scritta da noi con una serie di avvocati, ma venne portata avanti in parlamento soprattutto dalla Caritas che aveva i suoi agganci politici, e venne approvata nel 1991 quasi all’unanimità (2). Anche la destra l’aveva votata, tranne dalla Lega.

Come si è passati da un’attività basata solo sull’assistenza all’attuale organizzazione?

L’impostazione non è mai stata fissa, rigida, ma è cambiata nel tempo anche in relazione ai volontari che entravano, plasmavano e modificavano. Nel corso delle assemblee annuali ci rendemmo conto che non si poteva affrontare l’aspetto sanitario se non in un contesto che comprendesse i diritti, i permessi di soggiorno. Per cui decidemmo di cambiare lo statuto, di non occuparci più solo dell’aspetto sanitario, ma di occuparci dei diritti a 360°.

Naga - Medicina in strada (foto di Luana Monte)

Una passerella sospesa tra due sogni

Chi sono i volontari del Naga?

Sono persone giovani oppure in pensione che, per motivi religiosi o per motivi ideologici, sono entrati in una associazione che da una parte dà delle risposte concrete, com’è giusto che sia il volontariato che non può essere solo ideologico, ma nello stesso tempo lotta per una serie di diritti
Una ragazza di vent’anni mi ha detto: “Siccome io voglio costruirmi un domani diverso da quello che c’è adesso, voglio costruirlo insieme agli immigrati, voglio unirmi a questa associazione per conoscerli un po’ di più perché ci devo convivere, e voglio vivere in una società dove possono avere i loro diritti”.
Ultimamente siamo sui trecento volontari, ognuno porta le sue idee: c’è un’anima molto presente con il tema della carità, del dare i vestiti, i farmaci; c’è un’area attenta alla lotta per i diritti. Non siamo mai stati legati né a un sindacato né a un partito: ci occupiamo di una fascia di persone che non interessa nessuno, anzi da cui i partiti si tengono molto lontano (ad esempio dai rom).

Ci sono migranti all’interno del Naga?

Il problema grosso è che il migrante non riesce ancora a essere volontario, perché la sua situazione è ancora troppo presa dalla sopravvivenza. Probabilmente la seconda generazione potrà cominciare a essere volontaria, l’associazione sarà in mano a loro e sempre meno agli italiani.
Ci sono state delle alleanze con comunità strutturate, che si attivavano non tanto per proporre volontari, ma per fare in modo che le persone arrivassero a farsi curare, facevano trait d’union rispetto al NAGA.

Attualmente tu ti occupi soprattutto di rifugiati.

Tra immigrato e rifugiato c’è una bella differenza. L’immigrato arriva quando è pronto per emigrare, il rifugiato invece deve scappare e arriva in un luogo che non ha scelto, non ha scelto il tempo e non ha la rete amicale dell’immigrato – che arriva a Milano perché c’è il suo amico, il parente. L’immigrato ha un sogno, quello di fare fortuna e di poter tornare nel suo paese: cito sempre la frase di Ben Jallun “io sono quell’altro che ha attraversato il paese su una passerella sospesa tra due sogni”. In queste parole c’è tutta la forza dell’altro che non vuole essere assimilato a te, con l’orgoglio di dire “io sono quell’altro”.
Il rifugiato invece è un ponte che si è spezzato, perché non può più tornare: ha perso il posto di lavoro e un ruolo, arriva senza posti dove andare, con un percorso che non sa, senza amici, con la paura addosso.
Sono vittime di conflitti civili, fondamentalismi religiosi e regimi dittatoriali. Quindi sono in una situazione di estrema povertà, in situazione disperata dove non c’è nessun tipo di accoglienza.
Una categoria cui non viene dato nulla e a cui dobbiamo dare delle risposte, per cui abbiamo creato una struttura, NagaHar (3), uno spazio-casa, dove il rifugiato può riposare, ricostruire le coordinate spazio-temporali che ha perso. Un luogo accogliente dove c’è la possibilità di stare durante il giorno. Li aiutiamo a sbrigare le pratiche burocratiche, ma soprattutto li seguiamo da un punto di vista medico e psicologico. Si fanno controlli per accertare i danni delle torture e li si aiuta a riappropriarsi della propria vita, a ricostruire la propria identità.
Ora avremo una nuova sede molto più grande di quella vecchia, in affitto con il Comune mentre prima era con l’Aler. Nella vecchia sede abbiamo avuto un’accoglienza con bombe, incendio e minaccia con la pistola, perché c’era un po’ di criminalità a cui dava fastidio che ci fossero tanti immigrati. All’inizio è stato veramente pesante, sono state anche raccolte firme prima che entrassimo. Ma l’Aler non se l’è sentita di sbatterci fuori, avevamo tutte le carte in regola.

Andrea Perin

Note

  1. Legge n. 39, 28 febbraio 1990 NdR
  2. Legge 27 maggio 1991, n. 176.
  3. A” ha già pubblicato un’intervista a Italo Siena sul Naga-Har: 32 n. 283, estate 2002.

Che cos’è il Naga

Quando nel 2009 il Naga lanciò un appello contro la proposta di modificare la legge che vieta la segnalazione di pazienti clandestini da parte delle strutture sanitarie, Milano aderì partecipando a una intensa assemblea nella loro sede in via Zamenhof, forse una delle iniziative di maggior intensità in anni in cui le attività politiche antagoniste in città erano sbriciolata e sclerotizzate.
Questo perché, oltre alla validità della battaglia in sé, la credibilità del Naga era rappresenta sia dal lavoro di assistenza medica e legale ai migranti senza diritti, ma anche dalla coerenza con cui si era sempre rapportato senza accondiscendenza verso le istituzioni e verso i partiti, agendo con autonomia e autosufficienza.
Fondato nel 1987, oggi il Naga conta circa 300 volontari attivi all’interno di vari gruppi e attività, previa la partecipazione a un piccolo percorso di formazione.
Nella sede di via Zamenhof 7 è attivo dal lunedì al venerdì l’Ambulatorio medico, dove ogni anno vengono visitate circa 15.000 persone, con la possibilità di colloqui psicologici e visite specialistiche come quelle psichiatriche o ginecologiche. Sempre presso la sede sono attivi lo Sportello Immigrazione e Sos espulsioni: il primo segue le pratiche relative a regolarizzazioni, ricongiungimenti familiari, rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno, oltre a consulenza e orientamento in altri ambiti; il secondo ha l’obiettivo di fornire assistenza legale gratuita ai cittadini che hanno ricevuto provvedimenti di espulsione, trattenimento, dinieghi del permesso di soggiorno e d’asilo.
Medicina di Strada è un ambulatorio mobile rivolto a quella parte della popolazione migrante che vive in condizioni di forte isolamento, mentre l’unità di Cabiria raggiunge di notte le persone che si prostituiscono per strada per fornire un servizio di prevenzione sanitaria e di informazione legale. Il Gruppo Carcere svolge attività di segretariato sociale, educazione sanitaria e giuridica, incontri interculturali e fornisce supporto psicologico e legale ai detenuti stranieri.
Il Centro Naga-Har, istituito nel 2001 con sede propria, è aperto quotidianamente e i suoi volontari forniscono assistenza legale e sociale a richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tortura.
Anni di attività culturale e sul campo hanno portato alla costituzione di una biblioteca, di un archivio a disposizione di ricercatori e studenti universitari e alla realizzazione di documenti scaricabili in forma elettronica sul sito. Tra gli ultimi, tutti scaricabili da sito, si possono ricordare “Comunitari Senza Copertura Sanitaria”, un’indagine sulla mancata assistenza sanitaria a cittadini comunitari rumeni e bulgari a Milano (marzo 2012); “La doppia malattia”, un’indagine qualitativa sul campo per verificare l’effettiva prassi quotidiana dei singoli ospedali milanesi in relazione all’accesso alle cure per i cittadini stranieri irregolari e all’applicazione della normativa sanitaria in materia (aprile 2011); “Le malattie degli immigrati irregolari sono pericolose per gli italiani?” (gennaio 2010).
I finanziamenti sono affidati alle quote sociali e a progetti ma soprattutto alle donazioni, di Fondazioni e associazioni, ma in gran parte alle micro-donazioni da parte della cittadinanza.
Le linee generali e politiche sono affidate all’assemblea dei soci, che elegge ogni tre anni anche un Direttivo che ha il compito di rendere esecutivo quanto deciso dall’assemblea.
Ogni mese viene edito un mensile informatico, Nagazzetta, scaricabile da internet.

NAGA - Associazione Volontaria di Assistenza Socio-Sanitaria e per i Diritti di Cittadini Stranieri, Rom e Sinti
Via Zamenhof, 7/A - 20136 Milano - Tel: 0258102599 - Fax: 028392927
www.naga.it