movimento anarchico
1968/1977 un decennio davvero rivoluzionario
di Massimo Varengo
Nelle lotte di piazza, certo, ma anche all'interno del mondo anarchico.
La nuova fase del movimento, la parola d'ordine dell'autogestione,
la difficile integrazione tra vecchi e giovani, il protagonismo
nelle fabbriche e nelle scuole. E gli anni '70.
Dietro e dentro, la storia delle organizzazioni anarchiche e di altre aggregazioni libertarie.
Elementi di storia e riflessioni di un militante FAI tuttora “in pista”.
Non vi è dubbio che il
congresso internazionale di Carrara abbia rappresentato uno
spartiacque tra vari modi di intendere l'esperienza anarchica,
la pratica organizzativa, la stessa presenza libertaria nella
società. Dopo di esso nulla sarà come prima, e
non tanto per quanto nel Congresso si è espresso, ma
per quello che ha evidenziato, reso tangibile, dando consapevolezza
soprattutto ai giovani militanti che vi hanno partecipato (e
per i molti altri che, non potendoci essere, ad esso facevano
riferimento) della dimensione internazionale dell'anarchismo,
del loro costituire una comunità mondiale portatrice
di valori che per essere in piena sintonia con i movimenti di
quegli anni dovevano rinnovarsi e problematizzarsi, pur nella
relazione con le esperienze precedenti.
È innegabile che sul finire degli anni '60 le idee libertarie
si rivitalizzino ed incontrino una crescente simpatia nelle
giovani generazioni, nel mondo della scuola e della cultura.
I giovani si presentano quasi come una 'classe' intendendo con
questo l'insieme unitario di bisogni e rivendicazioni che dal
sud al nord, dall'est all'ovest, vengono riconosciuti e perseguiti
in una logica di liberazione complessiva contro le istituzioni
totali, dalla famiglia alla scuola, dalla fabbrica all'esercito
alla ricerca di soluzioni alla ossificazione di un sistema sempre
più centralizzato, gerarchico, chiuso di fronte ai nuovi
comportamenti.
Ma è l'intera società che sembra spinta sulla
strada della decentralizzazione, dell'autonomia e del federalismo,
riscoprendo pensieri e pratiche abbandonate ormai da molto tempo.
Lo statalismo appare in crisi, emergono richieste di autonomie
locali e di controllo sociale di base, la stessa industria,
e non solo per rispondere alle rivendicazioni di una classe
operaia concentrata, si indirizza verso un'organizzazione produttiva
decentrata. Negli stessi paesi sedicenti comunisti si cerca
di trovare uno sbocco alla stasi sociale con esperienze di autogestione
operaia e contadina. La ricerca di risposte alla definitiva
burocratizzazione dei paesi a capitalismo di stato si alimenta
dei nascenti miti castrista e maoista, letti ed enunciati in
chiave antiautoritaria. Proudhon, Bakunin, Kropotkine ritrovano
passioni ed interessi da parte di settori significativi della
gioventù ribelle, dopo anni di oblio e di calunnie.
È in questo clima che gli anarchici si ritrovano a Carrara
in un contesto di ribellione antiautoritaria montante. Una ribellione
che provoca contraccolpi profondi nelle centrali partitiche
e sindacali e che non lascia indenne il movimento anarchico,
investito di critiche per le sue carenze ed il suo scarso protagonismo
da parte di molti giovani partecipanti ai movimenti in corso
.
Se il congresso di Carrara rappresenterà, in quel periodo,
e sia pure casualmente, il momento più alto di un confronto
interno tra diverse generazioni, tra diversi modi di leggere
la realtà e di agire in essa, il dibattito non si esaurirà
in esso e continuerà negli anni a venire, rinnovando
in profondità assetti e orientamenti. D'altronde le problematiche
che l'anarchismo doveva affrontare non erano di poco conto,
quando fu chiaro che le tensioni libertarie della rivolta si
stavano spegnendo, non solo a causa della reazione dei poteri
forti, ma anche perché soffocate da avanguardismi apparentemente
intransigenti che riproponevano vecchi armamentari di rivoluzioni
lontane e fallite, e dalla nascita e dallo sviluppo di partiti
e partitini che rispolveravano proposte e progetti ripescati
nella variegata tradizione di matrice marxista, del tutto inadeguate
alle istanze originarie del movimento.
Non dimentichiamo che la parola che più echeggiò
in quella primavera del '68 fu AUTOGESTIONE, sia nelle università
che nelle fabbriche, per poi propagarsi a macchia di leopardo
su tutto il movimento internazionale; le sue espressioni furono
l'azione diretta, il rifiuto della delega, l'assemblearismo,
l'occupazione, l'insubordinazione alla legalità borghese,
la violenza rivoluzionaria contro la violenza della repressione
e dell'oppressione, la critica del leaderismo. L'esperienza
delle collettività spagnole del 1936 riemerge dal gomitolo
della storia ritrovando attenzione e stimolando energie.
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Carrara
– il raduno di fronte al Teatro degli Animosi, sede
del Congresso |
Carrara,
31 agosto 1968, Teatro degli Animosi: manifestazione pubblica |
La
mancanza dei quarantenni
Ma l'energia non fu sufficiente, e se la ribellione giovanile
rappresentò il primo movimento rivoluzionario al di fuori
della tradizione del movimento operaio organizzato la sua forza
non fu tale da creare una condizione realmente rivoluzionaria
e le forze della repressione, grazie alle minacce di intervento
militare, alla politica delle stragi, al sostegno dei poststalinisti
e dei socialdemocratici, riuscirono progressivamente nel loro
intento di far retrocedere il movimento.
L'autogestione rimase all'orizzonte, non riuscì a concretizzarsi
e la rivoluzione libertaria che aveva sbeffeggiato l'autorità
ovunque si manifestasse, dalla famiglia alla scuola, alla fabbrica,
al partito, al sindacato, rinculò disperdendosi nei mille
rivoli della resistenza quotidiana, lasciando comunque un monito
alle generazioni future, un monito che ritroviamo nelle parole
di Sarkozy quando denunciava ‘lo spirito del ‘68
e il suo perdurante lascito nella società'.
Rifluito il movimento molti si rivolsero agli anarchici, il
cui movimento apparve come il più coerente continuatore
degli avvenimenti del maggio, l'agente rivoluzionario per eccellenza.
In breve tempo adesioni e gruppi si moltiplicarono senza sosta.
Quello che appare subito chiaro è che non fu facile l'innesto
tra la generazione dei vecchi militanti, che sono stati in carcere,
hanno vissuto l'esilio, hanno combattuto – armi alla mano
– il fascismo, portatori di un bagaglio enorme di esperienze
e, purtroppo, di sconfitte e quella dei giovani contestatori,
freschi di barricate e con le mani sporche di sampietrini. Il
vecchio movimento appare ai giovani fermo, ideologicamente ed
organizzativamente lontano dai fermenti in corso, arrovellato
nei suoi annosi dilemmi dovuti fra l'altro alla scissione della
FAI del 1965 e al lascito della sconfitta spagnola e della partecipazione
al governo.
Poche sono le personalità che riescono ad entrare in
sintonia con la gioventù ribelle, mentre prevale nei
più la preoccupazione che scelte, giudicate immature,
possano pregiudicare l'esistenza stessa del movimento.
La mancanza della generazione dei quarantenni si fa particolarmente
sentire ed il divario di vita e di esperienze tra i vecchi ed
i giovani pesa nella rielaborazione di un anarchismo che sia
all'altezza dei tempi, di un anarchismo che sappia innestare
nel vecchio tronco della propaganda divenuta ripetitiva e atemporale
i nuovi germogli della critica sociale contemporanea. Solo i
gruppi giovanili anarchici riuniti nella FAGI e nei GGAF, già
operativi prima del '68, concentrati in poche località,
e che hanno vissuto la contestazione Provo e Beat, appaiono
in grado di dare risposte organizzative e teoriche ai tanti
giovani che si rivolgono all'anarchismo per soddisfare il loro
bisogno di concretezza rivoluzionaria.
Ma un po' dovunque si formano gruppi e circoli e non solo in
zone ove la presenza anarchica si è mantenuta –
con una sede, una bacheca per il giornale, il manifesto a scadenza
rituale – ma anche in zone ove essa era di fatto scomparsa.
Spesso ai margini del movimento 'ufficiale', se non addirittura
profondamente critici, molti di questi gruppi si caratterizzano
per l'unità di base con altre realtà ideologicamente
differenti, ricevendo spesso e volentieri l'accusa di essere
dei 'marxisti libertari'. Ove non si danno gruppi anarchici
si assiste alla partecipazione libertaria nei vari collettivi
di lotta i quali, dopo una fase iniziale, molto raramente manterranno
le loro caratteristiche autogestionarie; infatti nella maggior
parte dei casi si arriverà progressivamente alla formazione
di un ceto politico che sfumerà le posizioni originarie
in una forte politicizzazione ideologica a carattere partitico.
Con l'uscita dalle università e l'incontro con le lotte
degli operai impegnati sul fronte del rinnovo dei contratti,
si avrà non solo l'avvio della costruzione di un blocco
sociale potenzialmente rivoluzionario nella ricerca della soluzione
alla questione sociale così come allora veniva posta,
ma anche la spinta alla costruzione del soggetto politico per
eccellenza, il partito, che avrebbe dovuto dirigere il processo
di rottura e di cambiamento, secondo la tradizione marxista.
Spento il furore libertario, rimaneva da incasellare la spontaneità.
Mentre gruppi e partiti si moltiplicavano e competevano tra
loro per la conquista dell'eredità del PCI, per gli anarchici
si poneva il problema di dare corpo alla resistenza sia ai processi
di recupero istituzionale che di gerarchizzazione politica.
Si assiste allora ad un impegno crescente sul terreno della
lotta sociale, mentre il tema dell'organizzazione assume una
importanza progressiva per la necessità evidente di creare
coordinamenti di settore, di dare risposte su un piano territoriale
più ampio.
Ed è proprio in questa situazione di grande conflittualità
sociale e di ricerca della via migliore per uno sbocco rivoluzionario
della crisi italiana, che la reazione passa al contrattacco
e riprende l'iniziativa con 'la strategia della tensione', con
la politica della strage. La spinta proletaria e la contestazione
giovanile, che dal luglio 1960 in un crescendo continuo fino
all'esplosione delle lotte del 1968/1969 avevano scosso dalle
fondamenta il potere borghese, si dovettero misurare con una
reazione belluina che non ebbe alcun timore di ricorrere alle
bombe e al massacro di piazza Fontana, per fermare il movimento
operaio e studentesco e costringerli sulla difensiva, sgominare
gli attivisti politici e sociali rivoluzionari, criminalizzare
ed emarginare gli anarchici.
La risposta del movimento fu immediata anche se lo scollamento
di fatto esistente tra le organizzazioni storiche e i gruppi
giovanili di recente formazione, favorì, all'indomani
della strage, il sorgere di qualche titubanza da parte dei militanti
più anziani.
Smascherare le menzogne dello Stato che voleva addossare agli
anarchici la responsabilità di tante vittime innocenti
divenne una necessità assoluta, non tanto e non solo
riguardo al fatto specifico, ma per conquistarsi e mantenere
un'agibilità sociale che veniva ridotta e negata dall'azione
manipolatoria e repressiva delle forze della repressione. Furono
anni di mobilitazione continua contro nemici potenti e agguerriti,
interni ed esterni, in un mondo segnato dalla divisione in blocchi,
dalla guerra cosiddetta fredda, dal sedicente confronto tra
capitalismo e 'comunismo', che mascherava in realtà un'unitarietà
d'azione contro gli oppressi e gli sfruttati nelle rispettive
aree di influenza. Si trattava però di una mobilitazione
a carattere sostanzialmente difensivo che aveva perso gran parte
dell'energia e della baldanza, evidenziate nel maggio.
Il movimento anarchico, obiettivo dichiarato della manovra
repressiva, rispose stringendo le fila e superando i motivi
di polemica precedente, isolando le realtà giudicate
possibili strumenti di ulteriori provocazioni e costruendo
un'unità d'azione imperniata sulle strutture allora operanti
sul campo, il Comitato nazionale pro vittime politiche, la Croce
Nera, il Comitato politico giuridico di difesa, per assistere
i compagni vittime della repressione, per smascherare gli assassini
di Pinelli, per sostenere la campagna di denuncia della ‘strage
di stato' e ribaltare lo stato di cose presenti. Parallelamente
si trattava anche di non esaurire la propria azione su questo
versante, anche se la situazione lo imponeva, ma di mantenere
e sviluppare l'intervento nel luogo di lavoro, nella scuola,
nel territorio per valorizzare l'immagine dell'anarchismo come
portatore delle istanze di liberazione e di giustizia sociale.
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Antonio
Cardella, Umberto Marzocchi e Alfonso Failla al tavolo
della presidenza |
I
giovani dal 20 all'80%
In questa direzione erano particolarmente attivi i gruppi
e i collettivi costituitisi sull'onda del movimento del '68
e che, di fronte alla nuova situazione, e alla necessità
di dare risposte adeguate, venivano spinti a forme superiori
di organizzazione, a carattere regionale e nazionale, individuando
soprattutto nella FAI l'insieme anarchico più rispondente
ai propri bisogni.
Se la strage di Milano aveva avuto come obiettivo la dispersione
dell'anarchismo, i suoi risultati furono decisamente opposti;
nella misura in cui fu chiara la natura reazionaria delle bombe,
il movimento attrasse a sé nuove e numerose adesioni,
aumentando la propria attività, raccogliendo simpatie
crescenti in tutti gli ambiti, conquistando una visibilità
mai avuta nel secondo dopoguerra.
Per dare un dato: al Congresso nazionale della FAI tenuto a
Carrara nell'aprile del 1971 la partecipazione dei giovani era
intorno al 80% del totale, mentre precedentemente al 1968 essa
si aggirava sul 20%. Il movimento continuava a rinnovarsi, con
l'adesione di energie nuove che rimpiazzavano quelle ormai esaurite.
Il rinnovamento più significativo avveniva nella FAI
data la sua particolare struttura organizzativa legata ad un
patto associativo sostanzialmente generico e passibile di varie
letture e detentrice di un organo di stampa a diffusione nazionale
con cadenza settimanale, Umanità Nova.
Altre associazioni, come i GAF e i GIA, registravano invece
cambiamenti meno significativi grazie al diverso modo di concepire
l'organizzazione, basata com'era su piccoli gruppi d'affinità
e di tendenza (i GAF) oppure sull'affermazione di un'ortodossia
anarchica poco idonea a concessioni ai nuovi adepti (i GIA).
Prendendo in esame la FAI si può meglio capire come l'afflusso
di energie nuove abbia prodotto modificazioni tali da innescare
poi un processo di instabilità durato per un lungo periodo.
I temi dell'organizzazione, della 'lotta di classe' e della
violenza rivoluzionaria divennero gli argomenti portanti di
convegni e congressi. A partire dal congresso dell'aprile del
1971, svoltosi in un clima di grande effervescenza e determinazione,
si imboccò la strada della collegialità, della
rotazione degli incarichi e del rinnovamento profondo delle
strutture federative in una superamento di fatto della situazione
precedente, legata sostanzialmente ad una forma di personalizzazione
degli incarichi, dovuta in primo luogo allo scarso ricambio
militante.
La Commissione di Corrispondenza, con compiti di coordinamento
definiti, venne affidata ad un gruppo di giovani fiorentini
(Durruti) e non più a individualità, con l'impegno
a ruotare l'incarico dopo un periodo di due anni. Parallelamente
la redazione di Umanità Nova venne affidata alla responsabilità
collegiale di un gruppo romano (Bakunin). Venne istituito un
Consiglio Nazionale, composto dai delegati delle federazioni
e dei gruppi di ogni singola regione, con il compito di coordinatore
delle attività dei gruppi cui erano affidati i compiti
di rappresentanza della federazione (CdC e UN). Si nominarono
varie commissioni di studio affidate sempre a gruppi con l'obiettivo
di approfondire le varie tematiche e proporle come tema di intervento
della FAI. Si propose infine una presa di contatto con le altre
federazioni, GIA e GAF, ed i gruppi autonomi per convocare un
congresso generale che ponesse all'ordine del giorno la riunificazione
del movimento.
Con queste decisioni si diede l'avvio ad un fase completamente
nuova della vita associativa della FAI: sorsero e/o si svilupparono
numerose federazioni a carattere regionale o provinciale, con
un intervento reale sul proprio territorio.
La radicalizzazione dello scontro sociale, l'offensiva repressiva,
le minacce di colpo di stato ed il dinamismo delle formazioni
fasciste intanto richiedevano strumenti sempre più adeguati
da parte del movimento che, forte della sua giovinezza e della
sua determinazione, era piuttosto privo di basi solide, di concezioni
teoriche pienamente condivise e di analisi aggiornate. L'adozione
del principio marxista della 'lotta di classe' apparve allora
a molti la chiave di comprensione della realtà sociale;
si trattava di portare all'esasperazione il conflitto di classe
individuato come motore della storia trascurando le profonde
modifiche che l'organizzazione del lavoro e conseguentemente
il movimento dei lavoratori aveva vissuto nel corso dei decenni
trascorsi, con l'integrazione di fatto dei sindacati nell'istituzione
statale e le continue rivendicazioni di garanzie avanzate nei
confronti dell'apparato statale divenuto dispensatore di servizi.
La dimensione umanistica dell'anarchismo, basata sullo sviluppo
della coscienza critica, sul conflitto tra libertà ed
oppressione, veniva da questi messa in sottordine e le rivendicazioni
ad esse attinenti, come la battaglia per la liberazione della
donna, contro l'invadenza clericale, il servizio militare, venivano
sostenute solo se coerenti con l'impostazione classista di fondo.
Vivace fu il confronto su questi temi che si riverberò
poi sulle due altre questioni che animarono il movimento: quelle
della violenza e dell'organizzazione.
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Domingo
Rojas interviene su Cuba e viene contestato dai giovani
francesi del “movimento 22 marzo” guidati
da Cohn-Bendit |
La
lezione malatestiana a proposito di violenza
L'esigenza di rispondere alle provocazioni fasciste portò
gli anarchici a essere presenti nelle mobilitazioni di piazza
concluse spesso con scontri con squadristi e polizia. Proprio
in uno di questi scontri morrà a Pisa sotto i colpi dei
celerini il giovane compagno Franco Serantini. A Salerno invece
Giovanni Marini, per difendersi da un'aggressione squadrista,
colpirà con un coltello il fascista Falvella, uccidendolo.
Nel nome di Marini si costituirono in tutt'Italia comitati di
difesa che posero all'ordine del giorno la necessità
della difesa militante dal fascismo e questo mentre anche in
Parlamento si faceva avanti, da parte della sinistra, la richiesta
di una messa fuori legge del MSI.
Lo scenario internazionale intanto si faceva più conflittuale:
mentre si intensificavano le bombe sul Vietnam e i colpi di
coda del fascismo si facevano sentire in Spagna, Grecia e Portogallo,
mentre riprendeva con vigore in Irlanda del nord l'azione dell'IRA
ed i gruppi armati palestinesi intensificavano i loro attacchi
contro obiettivi civili israeliani, mentre in Germania faceva
la sua comparsa la Banda 'Baader-Meinhof', nella FAI si sviluppò
una dura contrapposizione tra la Commissione di Corrispondenza
e la redazione di Umanità Nova, che prendendo a pretesto
i durissimi scontri avvenuti a Milano l'11 marzo 1972 tra polizia
e manifestanti di diversi gruppi della sinistra extraparlamentare
(Lotta Continua, Potere Operaio, ecc.) e di alcuni gruppi anarchici
di Milano e di Bergamo, produsse una rottura definitiva conclusa
con l'uscita dalla federazione del gruppo fiorentino, incaricato
della CdC, sostenitore di una linea di scontro frontale e della
solidarietà nei confronti di chi risponde alla violenza
dello Stato con la violenza, nella logica del colpo su colpo,
arrivando a teorizzare il frontismo con altri gruppi non anarchici
che condividessero l'uso della violenza nello scontro con i
fascisti.
Più o meno sulla stessa linea troviamo una nuova pubblicazione
uscita a Catania, 'La Sinistra Libertaria', emanazione di un
gruppo autonomo che editerà più tardi la rivista
'Anarchismo' e che si caratterizzerà per la proposta
di una relazione organizzativa di tipo informale tra gli anarchici
e per il sostegno a forme di insurrezione armata, oltre che
per una continua e dura polemica nei confronti della FAI e delle
altre organizzazioni anarchiche.
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Reazioni
alla contestazione dei francesi. Pietro Valpreda e Nico
Berti; al centro (seduto) Amedeo Bertolo e (alla sua sinistra)
Antonella Frediani |
L'adozione della lettura malatestiana del carattere e dell'uso
della violenza da parte degli altri gruppi federati promosse
di fatto una chiarificazione di fondo che permise alla FAI di
affrontare, criticamente ma saldamente, negli anni a venire
l'esplodere della lotta armata.
Superata la problematica della violenza e accantonato il tentativo
di scioglimento del movimento anarchico – in quanto manifestazione
sovrastrutturale e autoritaria a prescindere – nel movimento
'reale' portato avanti da gruppi influenzati dalle teorie situazioniste,
la questione dell'organizzazione e della sua strategia apparvero
a molti elementi fondamentali da affrontare per superare i limiti
nei quali ci si trovava ad operare: il problema non era più
di come affermare l'autogestione sociale intesa come prassi
collettiva, bensì diventava quello di come ci si organizzava
per affermare le pratiche autogestionarie all'interno degli
organismi di massa, di come in sostanza si organizzava la minoranza
agente nei confronti della classe.
C'è da dire che non tutti i gruppi seguirono questa strada;
ci fu chi, come il gruppo Azione Libertaria di Milano, diede
vita all'esperienza del Centro Comunista di ricerche sull'Autonomia
Proletaria, che pose le basi dello sviluppo di quella che fu
l'autonomia operaia negli anni a venire, distanziandosi nei
fatti dal movimento anarchico organizzato e preferendo forme
di presenza interna al conflitto sociale e di elaborazione militante
in un circuito in grado di attrarre militanti sia libertari
che marxisti prevalentemente di formazione consiliare e luxemburghiana.
Dal canto loro i GAF con la pubblicazione della rivista A, prima,
e con l'assunzione della redazione di Volontà poi, affinarono
la loro elaborazione teorica, sia rileggendo i classici sia
concentrandosi sull'analisi delle dinamiche sociali individuando
nella tecnoburocrazia la classe emergente e sviluppando una
dura polemica con quanti, nel movimento, rimanevano ancorati
al classico dualismo classista, borghesia e proletariato ed
alle sue forme di espressione, sindacato e minoranza politica.
I GIA, pur continuando la pubblicazione del loro periodico 'L'Internazionale',
si incamminavano verso un lento declino, contrassegnato da polemiche
nei confronti della FAI, accusata costantemente, a partire dalla
scissione del 1965, di dirigismo e autoritarismo.
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Faccia
a faccia tra Daniel Cohn-Bendit e Alfonso Failla |
Il
dibattito nella FAI
Nella FAI invece progressivamente si mise in evidenza da parte
di molti l'insufficienza del Patto Associativo e le carenze
del Programma, nell'illusione che una nuova forma organizzativa
potesse sopperire alle difficoltà oggettive di un movimento
generale in riflusso, alla scarsa incisività nel sociale,
al bisogno autoreferenziale di rivoluzione, al tutto e subito.
Contribuiscono poi al ripensamento organizzativo lo scontro
che si registra nelle piazze con i fascisti e la polizia e i
primi barlumi di forme di lotta armata in risposta ai ventilati
colpi di Stato che periodicamente si affacciano, insieme a nuove
stragi, nello scenario politico italiano.
Mentre la sinistra extraparlamentare si indirizza decisamente
verso forme gerarchiche di organizzazione, più o meno
tradizionali, accompagnate da servizi d'ordine più o
meno militarizzati, nel movimento anarchico e in molti gruppi
della FAI in particolare si fa strada l'illusione che solo un'organizzazione
omogenea dotata di una strategia uniforme e basata sulla responsabilità
collettiva possa rispondere alla potenza statale e alle esigenze
del conflitto sociale. Si rispolverano gli statuti dei G.A.A.P.
e la Piattaforma di Archinov e si sviluppa un teso confronto
politico che, complice le diverse e contrapposte letture dell'attentato
di Gian Franco Bertoli alla Questura di Milano (1973), sfocia
in una dura contrapposizione nel corso di un Convegno unitario
di movimento indetto sul caso Marini che porterà ad una
grave frattura all'interno della FAI, tra i fautori di un'organizzazione
di tipo piattaformista e chi invece sostiene l'impostazione
che Malatesta e Fabbri diedero all'UAI nel 1920, impostazione
raccolta nel 1965 e causa della rottura con i gruppi che daranno
poi vita ai GIA.
Il tentativo piattaformista che coinvolgerà allora molti
gruppi giovanili di recente formazione e di varia composizione
si muoveva in sintonia con quanto succedeva all'interno dell'IFA
ove il segretariato affidato ai francesi dell'ORA era portatore
delle medesime istanze, estremizzando su un versante efficentista
richieste organizzative molto diffuse.
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Il
direttore di “Umanità Nova” Mario Mantovani,
fautore dell'apertura del Congresso ai mass media |
I gruppi fuoriusciti cercheranno poi di articolare la propria
proposta indicendo un convegno nazionale di lavoratori anarchici
per coinvolgere tutti i militanti attestati su posizioni di
'classe', un convegno che raccolse molte adesioni, soprattutto
da parte della componente più giovane del movimento,
che pose l'azione sindacale al primo punto dei propri interessi
e che diede vita ad una fase di crescita di quello che si definì
'anarchismo di classe', articolato in varie e diffuse organizzazioni
regionali, tipo l'ORA della Puglia, l'OCL della Liguria, l'OAM
delle Marche, l'OARomana, il MACb di Bergamo e altre ancora.
Un insieme di organismi che dopo una fase di grande attivismo
attraversò poi una fase di profonda crisi non riuscendo
a risolvere la grande disomogeneità esistente al suo
interno e accantonata momentaneamente solo con il richiamo all'organizzazione
forte, efficiente, omogenea, di tipo maggioritario, un modello
questo destinato a sfilacciarsi sotto l'impeto del nuovo movimento
che darà origine al 1977, per poi approdare nella costituzione
della Federazione dei Comunisti Anarchici da parte di un insieme
di realtà che ruotavano intorno al gruppo Crescita Politica
di Firenze.
La FAI, dal canto suo, dopo la chiarificazione teorica sul tema
della violenza e su quello dell'organizzazione, risolti comunque
con un richiamo alla tradizione, manteneva vivo il dibattito
tra le diverse anime ad essa associate, e affidando nel 1974
il giornale ad un gruppo di giovani milanesi (Lotta Anarchica)
proseguiva nella sua scelta di rinnovamento che consentì
alla FAI di essere comunque in sintonia con i movimenti in atto
e momento di confronto con quanto si stava muovendo nel paese,
pur nell'impossibilità o nell'incapacità di trovare
adeguata sintesi alle istanze sollevate come nel caso del dibattito
sulla ricostruzione dell'USI.
Il movimento del '77, l'opzione armata, la repressione che ne
seguirà, apriranno poi un'altra fase per gli anarchici,
una fase di lotta, di riflessione e di ulteriore chiarificazione
che continuerà, a fasi alterne, fino ai giorni nostri.
Massimo Varengo
Un
libro + CD
Il congresso di Carrara del 1968 fu il momento costitutivo
dell'Internazionale di Federazioni Anarchiche, ma per
il movimento libertario divenne anche la straordinaria
occasione per un confronto allargato in un momento di
vasta e profonda conflittualità sociale e per fare
i conti con se stesso e le proprie proposte davanti al
mondo allora contemporaneo. Numerosi e significativi i
partecipanti: da Marzocchi a Failla, da Cohn-Bendit a
Joyeux, da Federica Montseny a Domingo Rojas, ai tanti
giovani che hanno poi costituito l'ossatura del movimento
anarchico odierno. Questo lavoro (Alla prova del
'68. L'anarchismo internazionale al Congresso di Carrara,
a cura di Roberto Zani, pagg. 288 [con CD],
0 15,00) consiste nella raccolta di diverse fonti: registrazione
audio dei momenti più importanti del congresso,
rassegna stampa dei giornali italiani che se ne occuparono,
commenti e analisi di studiosi e militanti, testimonianze
dei partecipanti, documenti congressuali. Una raccolta
di straordinaria importanza per la ricostruzione di un
momento storico i cui effetti si riverberano ancora oggi
sul nostro presente. Allegato al libro CD audio nell'originale
lingua francese con la traduzione italiana.
Richieste a: Zero in Condotta, casella
postale 17127 – MI 67, 20128 Milano
e-mail:
zic@zeroincondotta.org
– sito: www.zeroincondotta.org
cell.
377 14 55 118 – conto corrente postale 98985831
intestato a Zero in Condotta – Milano
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