MEDITERRANEO. 3
Terra di Conquista?
di Mariano Brustio
Il Mare Nostrum continuerà
a sfornarci petrolio, nascondere risorse e naufraghi, accettare
i nostri rifiuti, diluire le nostre acque sporche insieme
a tutti i nostri affari e qualche volta, forse, ci permetterà
ancora di vedere le acciughe fare il pallone.
Il mare non cambia mai
ed il suo operare,
per quanto ne parlino gli uomini,
è avvolto nel mistero.
Joseph Conrad,
“Cuore di tenebra”
“L' Unione europea
promuove una gestione integrata su scala più ampia mediante
strumenti orizzontali, anche nel settore della tutela ambientale,
e mediante lo sviluppo di solide basi scientifiche attraverso
i propri programmi di ricerca. Queste attività contribuiscono
pertanto a una gestione integrata delle zone costiere”.
(1)
Ovvero: le parti contraenti (i paesi che hanno ratificato
la Convenzione di Barcellona sono Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina,
Croazia, Cipro, Commissione Europea, Egitto, Francia, Grecia,
Israele, Italia, Libano, Libia, Malta, Monaco, Marocco,
Serbia & Montenegro, Slovenia, Spagna, Siria, Tunisia
e Turchia) si impegnano a promuovere la gestione integrata
delle zone costiere, tenendo conto della tutela delle aree
di interesse ecologico e paesaggistico e dell'uso razionale
delle risorse naturali, ovvero il principio “chi
inquina paga” la gestione integrata delle zone
costiere, favorendo la protezione di aree di interesse ecologico
e paesaggistico e l'utilizzo razionale delle risorse naturali.
Conclusione: siamo tutti più tranquilli, nessun problema
rimarrà irrisolto, la pesca tornerà florida,
le coste pulite, la sicurezza sarà garantita e nessuno
più ci lascerà la vita perché tutti ci siamo impegnati.
Il commissario europeo per la pesca Borg, nel 2008 scriveva
così:
“Quella dell'Unione europea è una storia
di unità nella diversità.
L'Unione offre ai suoi Stati membri gli strumenti per
mettere in comune la propria influenza e presentarsi con
una posizione unitaria sulla scena mondiale, ad affrontare
problemi che incidono profondamente per noi sulla pace,
sulla prosperità e sul benessere economico. In
quest'opera, tuttavia, l'Unione non appiattisce le differenze
tra gli Stati membri e le regioni; cerca anzi di conservare
la diversità delle rispettive culture e tradizioni.
Questo principio vale anche per la politica comune
della pesca.
L'industria della pesca dell'Unione europea è
una delle più diversificate al mondo e la flotta dell'Unione
comprende sia navi fattoria intente alla pesca del merluzzo
artico nell'infuriare di tempeste forza nove, sia pescherecci
a palangari di dieci metri che catturano sardine nelle
tranquille acque costiere dell'Adriatico, sia pescherecci
con reti a circuizione che solcano le calde distese dell'Oceano
Indiano in cerca di tonni. La politica comune della pesca
deve gestire un settore che si estende, da un estremo
all'altro, dal singolo appassionato che pratica la pesca
sportiva fino alle società multimilionarie quotate
in borsa, e che interessa l'intera catena del mercato,
dal punto di cattura alla vendita finale, passando per
le fasi intermedie dello sbarco, del trasporto, della
lavorazione e della distribuzione”.
Il
7% delle acque mondiali
E infatti se ci guardiamo bene in giro da qualche parte
ci accorgiamo che è stato creato Il Fondo europeo
per la pesca (FEP) che fornisce finanziamenti agli operatori
della pesca e alle comunità costiere per aiutarli
ad adattarsi al mutare delle condizioni, salvaguardando
gli aspetti ecologici, e renderli flessibili dal punto di
vista economico. Il FEP dispone di un bilancio di 4,3 miliardi
di euro per il periodo 2007-2013. Sono disponibili finanziamenti
per tutti i comparti del settore: pesca in mare e in acque
interne, acquacoltura (allevamento di pesci, molluschi e
piante acquatiche) e trasformazione e commercializzazione
dei prodotti ittici. Le comunità di pescatori più
colpite dai recenti cambiamenti avvenuti nel settore ricevono
una particolare attenzione. I progetti vengono finanziati
sulla base di piani strategici e programmi operativi elaborati
dalle autorità nazionali. I finanziamenti del FEP
sono destinati a cinque settori (assi) prioritari:
adeguamento della flotta (demolizione dei pescherecci, ecc.);
acquacoltura, trasformazione, commercializzazione e pesca
in acque interne (ad esempio per promuovere la transizione
verso metodi di produzione più rispettosi dell'ambiente);
misure di interesse comune (migliorare la tracciabilità
o i sistemi di etichettatura, ecc.), sviluppo sostenibile
delle zone di pesca (ad esempio per diversificare l'economia
locale); assistenza tecnica per finanziare la gestione del
fondo.
E in effetti all'Italia sono stati assegnati ben oltre 424
milioni di euro sino al 2013, (7458 km di coste) contro
i 734 milioni per fare un esempio della Polonia che ha 440
km di mare.
Ora, non ho riportato questo dato perché, con malizia, qualcuno
mi potrà dire che i polacchi mi sono antipatici,
ma forse sarà che in Polonia sono stati negli anni
fatti piani di sviluppo ben diversi dai piani italiani.
Se ci spostiamo per esempio sui laghi italiani, una recente
indagine del Corriere della Sera riporta che dalle 400 barche
di pescatori di professione del 1991 siamo scesi alle 196
del 2011.
Nel 1997 in Italia erano censite circa 15593 imbarcazioni
costituenti l'intera flotta di pesca, saliti a 19.363 nel
1998, scese di nuovo a 15.100 secondo la relazione finale
della Commissione Europea per la Pesca nel 2009. Siamo quindi
di fronte ad una lenta agonia del settore, malgrado ci siano
fondi consistenti per il mantenimento e il rilancio stesso,
ma come vediamo di fronte ad una assenza di piani tecnici,
i fondi rimangono a disposizione di quelle nazioni più lungimiranti,
tanto che i mercati del pesce in Italia rischiano la chiusura
(vedi quello di Chioggia). Del resto il Mare Nostrum rappresenta
il 7 per cento delle acque mondiali, ma ha il triste primato
di avere 60 volte catrame galleggiante superiore a quello
dell'Oceano Indiano, inoltre la pescosità riflette
i gusti degli italiani che preferiscono pesce di allevamento
o acquacoltura come spigole e orate piuttosto che le varietà
nazionali, compreso il Tonno rosso a rischio per la sovra-pesca.
La conseguenza è che nel mercato globale di oggi
importiamo il 37 per cento in più rispetto al 1991. E i
nostri fondi europei sono assorbiti da altri.
Ben altro primato rispetto alla pesca, è detenuto
dal Mare Nostrum in termini di vite letteralmente risucchiate
nei suoi gorghi. Dal 1988 ad oggi sono morte 18.058 persone
e di queste solo nel 2011 sono 2.251. Spagna, Italia, Tunisia,
Malta, Egitto, Libia, tutti piangono i morti annegati, gente
disperata arrivata da chissà dove per sbarcare nella
ricca Europa.
Privilegio per pochi
Amnesty International ha partecipato alla Marcia per la
pace Perugia-Assisi lo scorso 25 settembre, all'insegna
di “1500 morti nel Mediterraneo. Europa dove sei?”.
Italia Terra promessa dei 27.000 albanesi di venti anni
fa, e il Mediterraneo strumento, mezzo, veicolo, ponte verso
la libertà. Cosa si è fatto ad oggi? Campi
chiusi come galere a Lampedusa mentre qualcuno si comprava
la villa nuova. E ogni volta che succede i titoli riportano
“Emergenza sbarchi immigrati”. La nostra memoria
è troppo corta per riportarci ai tempi di Ellis Island.
è più facile negare, o guardare dall'alto della nostra
torre d'avorio. E dimenticare i morti nel Mediterraneo.
Ripeto, 18.000 morti annegati, 2.250 solo nell'2011.
Tutte le civiltà moderne hanno avuto origine nel
Mediterraneo. Egizi, Greci, Etruschi, Romani, Micenei, Arabi,
per non parlare della religione cristiana. Così come, inevitabilmente,
le più atroci guerre. Quelle finite, quelle dimenticate,
quelle lampo e quelle di cui si parla poco e quelle ancora
in corso. Prendiamo per esempio la civiltà nuragica
in Sardegna. I Nuraghi ancora oggi dall'origine e dall'uso
controversi, tutto erano meno che abitazioni. Oggi considerati
i più antichi monumenti megalitici d'Europa, erano messi
lì, ogni 4, 5 km quadrati, a difesa del territorio. Come
peraltro più tardi le Torri Saracene. Anche loro messe lì
con lo stesso scopo. Il popolo sardo non ha mai amato il
mare, anzi lo ha sempre considerato veicolo da dove sbarcava
l'invasore, tanto che dapprima e anche ora, i villaggi e
paesi di Sardegna non sono sulla costa, ma all'interno.
Quindi se ci si doveva difendere, era dall'invasore che
portava guerra e morte, attraverso il mare.
E attraverso il mare, il Mediterraneo, solcavano e solcano
tutt'oggi le navi. Costruite appunto in quelli che oggi
sono diventati i cantieri navali più grandi e importanti
del mondo. Genova, dall'Ansaldo alla Fincantieri. Marghera,
Livorno, Trieste, Ancona, Palermo, Napoli. Insomma, tutta
la nostra economia, o almeno gran parte di questa, non sarebbe
tale se il Mare Nostrum non ci avesse dato la possibilità
di essere usato per il nostro scopo.
22 paesi che si affacciano sul Mediterraneo, 400 milioni
di persone di cui 143 milioni sulle fasce costiere, in aggiunta
a175 milioni di turisti.
Il 50% dei centri abitati con più di 100.000 abitanti non
dispone di validi sistemi di depurazione delle acque, il
60% delle quali finisce nel mare. In gran parte dei Paesi
del Mediterraneo sudorientale oltre l'80% delle discariche
non è soggetto a controlli. Rifiuti agricoli, acque
dolci che trasportano in mare agenti patogeni, metalli pesanti,
inquinanti organici, oli e sostanze radioattive finiscono
nel Mediterraneo.
Risale al novembre 2006 il programma d'azione nell'ambito
dell'iniziativa “Horizon 2020” per la salvaguardia
delle risorse del Mediterraneo, la lotta all'inquinamento
e successivamente un programma dedicato alla ricerca e beneficio
“della sostenibilità climatica, dall'energia
pulita alla mobilità sostenibile”, “all'azione
per il clima”, “all'agricoltura sostenibile”.
E in tutto questo tempo il Mediterraneo, Mare Nostrum, continuerà
a sfornarci petrolio, nascondere risorse e naufraghi, accettare
i nostri rifiuti, diluire le nostre acque sporche insieme
a tutti i nostri affari e qualche volta, forse, ci permetterà
ancora di vedere le acciughe fare il pallone. Ma sarà
solo privilegio per pochi.
Mariano Brustio
- Gazzetta ufficiale dell'Unione europea 23.10.2010 accordi
internazionali del 13 settembre 2010. Decisione del Consiglio
relativa alla conclusione, a nome dell'Unione Europea,
del protocollo sulla gestione integrata delle zone costiere
del Mediterraneo della convenzione sulla protezione dell'ambiente
marino e del litorale del Mediterraneo.
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