alternative. 1
Quando sai che le chiavi di casa stanno sotto il vaso
di Valentina Volonté
Ovvero: esiti imprevisti del progetto «Il mio villaggio.
Per una politica dei quartieri e del quotidiano», Cronaca di vita, teorie ed esperienze tra Milano, Lione...
Questo articolo è una visione
parziale e personale di un'esperienza che vivo con compagne
e compagni italiani, francesi, svizzeri... da ormai qualche
anno. È una storia piccola che mi accompagna e
che mi ha portato a focalizzare meglio alcuni nodi della
mia azione politica nei territori. Le voci riportate in
corsivo provengono da un questionario distribuito a chi
è attivo nel progetto.
V.V.
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Tutto nasce per me dalla necessità
di essere mobile. Mobile fisicamente e mentalmente. Sempre più
mi è necessario creare una rete di salvataggio autonoma
che possa essere in grado di sostenerci, amplificare, moltiplicare
i nostri percorsi di autogestione. Perché sempre più
mi sento lontana dalle scelte imposte; sempre più, anche
le millantate certezze ci si sgretolano davanti. Investire sulle
persone è la strada che mi interessa.
Il mio villaggio è la metafora di una vita non parcellizzata,
in uno spazio a misura delle nostre gambe, dove è possibile
incidere direttamente sulle nostre vite. Per questo ci sta bene
l'aggettivo possessivo davanti: quando ti senti di appartenere
e riconosci in un luogo la tua storia c'è la spinta per
organizzarti. «Si diventa cittadini del mondo a condizione
di appartenere a un luogo» (1).
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Milano
2011. Scambi di pratica e pensieri |
Un po'
di storia. Tentativo di dipanare la matassa
Maggio 2008. Un gruppo di milanesi si sposta a Lione per scoprire
il quartiere della Croix Rousse e incontrare le realtà
locali alternative. Quando proposi ad Alex, un caro amico croix-roussiano,
di pensare a 4-5 giorni di visite e incontri nel quartiere Croix-Rousse,
nessuno dei due sospettava il potere generativo di questa esperienza!
In effetti quel gruppo di persone che si conoscevano poco o
niente si è messo in gioco a 360°. Ci muovevamo inizialmente
ispirandoci a un concetto poco elaborato di turismo alternativo.
Da subito però ci è stato chiaro che stavamo facendo
autoformazione. Viaggi di autoformazione: è così
che abbiamo cominciato a chiamarli dall'anno seguente, dando
il nome « il mio villaggio» al progetto e introducendo
le nozioni di territorio e di quotidiano in questa storia.
La volontà forte veniva da un gruppo nato all'interno
del collettivo dell'associazione Scighera (2)
di Milano e dal desidero di spingere sull'acceleratore rispetto
ai tanti discorsi emersi durante il congresso «Ri-volta
la carta, pratiche di autogestione e di libera organizzazione»
(3) svoltosi quell'anno in Torchiera (4).
L'idea del Mio villaggio – certo non nuova – era
creare sapere condiviso sul nostro saper fare ma anche sul nostro
saper essere in situazioni autorganizzate; per farlo volevamo
spostarci, visitare, incontrare, prendere le distanze dal nostro
quotidiano, tessere e trovare luoghi, collettivi, persone complici.
Bisogno di ossigeno da una Milano sempre più soffocante
dalla quale è difficile staccarsi... Ci inventammo quindi
questo progetto per rispondere in primo luogo a una nostra esigenza
vitale e avere un passe-partout per entrare a casa degli altri.
Maggio 2010: eccoci al secondo viaggio dei milanesi a Lione.
Durante questi giorni incontrammo Lau et Toff dell'associazione
di educazione popolare Crefad (5). Con loro
si organizzarono due viaggi di lionesi a Milano e due di milanesi
a Lione. Con altri gruppi andammo poi anche 2 volte alla Plaine
di Marsiglia per il carnevale autogestito, contatto nato da
un'altra storia fortemente intrecciata a questa: gli incontri
internazionali di canto popolare e sociale che riuniscono vari
cori italiani e stranieri (tra cui Le voci di mezzo di Milano).
Nello stesso mese la Croix-Rousse (dove io mi ero nel frattempo
trasferita e dove Andrea, un altro milanese viveva da circa
un anno) venne invitata come quartiere ospite alla festa del
quartiere Grottes a Ginevra.
Settembre 2010. Grazie ai contatti presi a Ginevra, la Scighera,
il ludobus della cooperativa Alekoslab e il coro delle Voci
di mezzo vengono invitati al festival autogestito della Croix-Rousse-Vogue
la Galére. (6)
A maggio 2012 sarà la Scighera a essere invitata alla
festa del quartiere Grottes a Ginevra con la sua rete artistica
dei pesci piccoli. Recentemente un'attivista di Lione originaria
di Brema ha aperto una nuova via verso Brema. Così descrive
la voglia che le rimane attaccata dopo il viaggio a Milano nel
2011: «a casa mia c'è una piccola meraviglia
e voglio mostrartela, come in un incantesimo politico»
(Ginevra-Grottes riunione della rete, ottobre 2011).
E se
dalla nostra finestra vedessimo il mare?
Guardo dalla finestra di un palazzo di Piazza Schiavone, quartiere
Bovisa, Milano, in un mattino di novembre: paesaggio desolante,
piazza grigia, gasometro, parco giochi di plastica «oasi»
per bambini. Dov'è la bellezza? Ci avevamo mai veramente
pensato, che forse il luogo dove stiamo ci influenza molto di
più di quanto la nostra volontà affermata e creatrice
non faccia?
Intorno a questa semplice domanda, cominciammo noi di Scighera
in particolare a farcene delle altre talmente a portata di mano
da sembrare banali: che ne è della nostra quotidianità,
dei gesti che automaticamente fanno parte della nostra vita,
fare la spesa, bere un bicchiere, salutare il vicino? Che ruolo
hanno nella nostra azione politica? Non ci sentiamo forse divisi,
parcellizzati in tempi e luoghi? Abitare un luogo e agire politicamente
in e per quel luogo che cosa aggiunge o toglie al nostro modo
di autorganizzarci? Queste domande le chiudiamo in valigia e
le rimettiamo sul tavolo, insieme al vino rosso buono che offriamo
ai nostri ospiti. Si tratta di un lento percorso di autoconsapevolezza
vissuto in collettivo, fatto di piccole scoperte e piccoli dettagli.
Nel Maggio 2010 intitolammo il viaggio alla Croix-Rousse Semi
di alternativa. Percorsi individuali e crescita collettiva sul
terreno fertile del quartiere. Quei giorni andammo ad ascoltare
diverse testimonianze di persone che avevano scelto quel quartiere
per vivere e creare la loro esperienza alternativa. E visitammo
anche il quartiere della Guilliotère dove da diversi
anni si istallano persone con progetti collettivi interessanti,
per guardare la Croix-Rousse da un altro punto di vista cittadino.
Da questi incontri trasparivano chiaramente alcuni elementi
dell'azione nel territorio di questi individui e gruppi : spontaneità
– che quasi sfiora l'inconsapevolezza – dell'essere
in uno spazio geografico e comunitario; tradizione e stratificazione
di alcuni modi di essere nel tempo; rivendicazione aperta dell'identità
croix-roussiana; delusione, rigetto e quindi abbandono di questo
luogo... Senza entrare nei dettagli, ciò che importa
dire è che il tema del «qui» non poteva essere
anodino ed era fondante sia nell'iscrizione temporale che nel
presente, nel quotidiano, nell'ora. Se per la Scighera il quartiere
era uno spazio (ancora una volta) da costruire con le nostre
volontà e passione politica e ancora troppo poco di bisogno
concreto, di necessità, lì era già il terreno
di gioco del quotidiano, delle relazioni, dell'ordinario.
Il movimento squatter delle Grottes negli anni '70-'80, l'onda
di giovani artisti e alternativi che nello stesso periodo occupava
le case sulle Pentes della Croix-rousse, l'immaginario legato
alle lotte degli operai della seta (i Canuts), il mare che mitiga
il clima ma non la creatività alla Plaine, sono ingredienti
– tanto per fare degli esempi – che un abitante
di quei quartieri può utilizzare per creare e sperimentare
modi di azione e trasformazione. Facendolo si inserisce in un
continuum, un insieme di storie e di storia che troviamo
nelle scritte sui muri, nel modo di camminare per strada, di
utilizzare lo spazio pubblico. Cioè in pratiche di invenzione
del quotidiano, con elementi ordinari, non eclatanti, quasi
banali.
Questi elementi generano però ancora dei progetti interessanti
e un modo di vivere il quartiere come uno spazio del collettivo.
Non si tratta di una tradizione soffocante: questo passato lascia
grandi spazi di creazione in un «qui» (il territorio)
e nell' «ora» cioè nel quotidiano che si
stratifica e si fa storia attraverso l'azione autorganizzata.
E questo è attribuibile al fatto che queste storie creano
un immaginario. Poco importa la veridicità degli avvenimenti,
non ci interessa fare gli storici, ma osservare quanto questo
passato smuove un immaginario rivoluzionario e la voglia di
autorganizzarsi.
Un «qui» e un «ora» che chiamiamo «il
mio villaggio» come metafora di un modo di appropriarsi
di un territorio come spazio delimitato, di appartenenza, di
negoziazioni, capace di strutturare le condizioni pratiche dell'esistenza
di un individuo o di un collettivo sociale e di informare in
cambio questo individuo o collettivo sulla(e) propria(e) identità.
«Un quotidiano che si inventa attraverso mille modi di
bracconaggio» (7).
Si torna a casa con la voglia di «fare quartiere»
e con la voglia di guardare con occhi diversi il nostro luogo
di vita e di azione. La Scighera non si trovava alla Bovisa
per una storia con questo quartiere ma per una semplice opportunità
avuta nel 2006 di uno spazio abbastanza grande per quello che
si aveva in testa di fare. Fare della Bovisa «il mio villaggio»
era una sfida da prendere con il giusto entusiasmo...
«L'entusiasmo per alcune esperienze incontrate nei
viaggi genera una forte spinta a cambiare in meglio la Scighera,
a rivederne meccanismi forse troppo consolidati. Si scopre che
spesso le realtà incontrate hanno problemi analoghi,
si imparano metodi diversi per affrontarli. Inoltre i contatti
creati nel corso dei viaggi stanno creando una rete internazionale
di artisti che potrebbe cominciare a produrre frutti molto interessanti
per quanto riguarda la programmazione degli eventi. Il mio villaggio
ha contribuito a far conoscere l'esperienza della Scighera ben
oltre i confini nazionali.»
«Il mio villaggio credo ci costringa sempre di più
a non essere autocentrati e autoreferenziali.»
«Ha portato una nuova forma di azione, arricchito le
altre, ci ha fatto incontrare e lavorare con nuova persone e
realtà, dare una migliore visibilità locale alla
nostra associazione e rendere più grazioso il nostro
quotidiano».
«Di sicuro, insieme al fatto che per la prima volta vivo
in un vero «quartiere», ha contribuito a farmi apprezzare
e promuovere il quartiere stesso come unità di vita e
posto adatto a conoscersi e fare delle belle storie e vivere
bene, mentre prima avevo sempre visto nella città il
solo lato «anonimato e guerra per la sopravvivenza»,
che pure in realtà mi affascina ancora molto. In ogni
caso, ha contribuito a insegnarmi a considerare il mio quartiere
come casa mia, piuttosto che tutta la città una casa
squattata di cui non ho le chiavi. Mi ha anche fatto riflettere
e apprezzare meglio il modo di vivere «alternativo»
conviviale e comunitario che ho in realtà sempre cercato
di mettere in pratica senza farmi troppe domande.»
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Lione
2009. Canzoni il primo maggio |
Per
una trasformazione collettiva del nostro quotidiano
Di esiti ce ne sono stati, contraddittori, belli visibili,
altri stanno nella prospettiva di ognuna e ognuno, ancora come
sogni... Le Taz (8) in Piazza Schiavone,
le parate in quartiere, il corso di teatro popolare «Ascolto
il tuo cuore città» per citarne alcuni. Più
di tutto importa sentirsi in cammino, avere aperto una finestra
su di un mare che non c'è e che per arrivare dovranno
passare delle ere geologiche.
Certamente la Bovisa non raggiunge gli standard di vivibilità,
convivialità, spontaneità che abbiamo visto alla
Plaine di Marsiglia, alla Croix-Rousse di Lione o alle Grottes
di Ginevra e non c'è (a differenza dei quartieri citati)
un'alta concentrazione di realtà autorganizzate e alternative
che aumenta quindi la possibilità di legami affinitari.
Quindi che facciamo vedere ai nostri ospiti?
La vicina Torchiera è fuori dal quartiere, alcuni dei
soggetti con i quali Scighera collabora da anni, non stanno
in quartiere... Certo c'è la cooperativa edilizia, esempio
di libera organizzazione, la sede dell'Anpi, il circolo, il
Rino e la Franca, memoria storica della Bovisa operaia... ma
manca un legame affinitario profondo... come lo facciamo l'incantesimo
politico??
Dietro la nebbia il retro di Milano. Alla ricerca del villaggio
che non c'è. Il titolo del viaggio, nel febbraio
2010, dei lionesi a Milano. Il fatto di ricercare cosa mostrare,
mi ha permesso personalmente per la prima volta di vedere io
stessa delle cose. Però l'anno successivo con il viaggio
“La testa nella luna e i piedi per terra: piccole utopie
di territorio”, dopo discussioni e rinunce, la scelta
di Scighera fu quella di andare a cercare altrove, privilegiando
la rete cittadina al territorio, facendo della rete basata sull'affinità
e allargata alla città, il suo territorio.
È chiaro che se la ipotesi di fondo è che il territorio,
il quartiere, il mio villaggio sono un'unità interessante
per permettere una trasformazione collettiva del nostro quotidiano,
stavamo facendo una deviazione su una strada secondaria. Forse
non siamo a caccia di risposte, ma di domande... «Il quartiere:
una buona scala per trasformare, creare, inventare i nostri
quotidiani?» Una risposta a mio avviso interessante sta
nelle replica di un'attivista del progetto: «Non è
una cattiva domanda, ma contiene un po' troppo la risposta.
Sarebbe più interessante cercare altre domande che domandano
di più, più stimolanti. La nozione di villaggio
non è tanto per me un'unità territoriale ma un
modo di abbracciare l'altro con le sue differenze e somiglianze,
una specie di avvicinamento per incontrarsi.»
Il mio villaggio, unità spaziale, comincia ad andare
stretto al alcuni...
È indicativo che l'idea di locale che il mio villaggio
porta con sé, anche se un locale internazionale, accompagnandosi
alla necessità dell'affinità, ci porti a spostare
lo sguardo sempre più in là rispetto al luogo
dove siamo ora. Il mio villaggio diventa così in parte
un pretesto per l'incontro perdendo un po' dell'idea iniziale
del territorio come laboratorio di sperimentazione alla nostra
portata (cioè non essere possibili prede di un potere
centrale mortifero, agire nel piccolo, creare nicchie creatrici
e contaminanti...) e di collaborazione con gli abitanti, interpellati
in quanto abitanti, prima che di ogni altra identificazione,
su dei bisogni comuni. Un'idea insomma di forme di cooperazione
in un'ottica di trasformazione sociale tra chi abita un luogo
come prima fonte di appartenenza. Questo allontanamento da questa
idea, sebbene ricchissimo di spunti e riflessioni, può
essere un po' rischioso a mio avviso, perché ci porta
in maniera un po' esclusiva nel terreno della relazione interpersonale
e interculturale e meno su quello della politica del quotidiano.
Il mio villaggio rischia di perdere di potenza rispetto al cambiamento
concreto del nostro luogo di vita. Questa «deriva»
può essere forse un passaggio obbligato per ritornare
al quartiere e ai suoi abitanti, cioé all'idea di comunità
basata sul luogo e in un secondo tempo sull'affinità?
Ce lo chiediamo.
È importante dire che Il mio villaggio non è una
rete di realtà e soggetti libertari. Ognuno porta la
sua storia. Però dal mio punto di vista, il carattere
politico del Mio villaggio sta proprio nel fatto di non voler
ricercare a tutti i costi un'appartenenza apertamente libertaria,
ma di scovarne i tratti un po' ovunque, nelle forme di resistenza
al dominio e nelle forme di creazione di alternative sociali.
Oggi ancora di più rigettiamo l'idea di intervenire a
un livello macro della società, per alimentare invece
una rete sempre più forte di connessioni tra «pesci
piccoli»su scala internazionale. Crediamo nella rete di
mutuo-aiuto che può nascere dalle persone e dai loro
progetti, senza l'illusione di garanzie istituzionali. In questi
anni le collaborazioni sono nate da incontri casuali, altre
volte da volontà specifiche, tutte legate dalla stessa
necessità di cambiamento e trasformazione del mio villaggio,
qualcosa che è alla nostra portata.
Non solo una rete di persone e progetti, ma anche di case, divani,
colazioni al bar, aperitivi in terrazza, canzoni e libri...
come in ogni scambio umano, ma che acquista un «meta»senso:
sai che lo fai dentro a un sistema che porta dei valori e non
è il couch surfing, non dormo e basta sul tuo
divano, partecipo a un'idea diversa dei rapporti umani e del
loro farsi società.
«Mentre scrivo sto a Berlino; vivo a Lione e lavoro
al Kotopo un bar associativo dove per la prima volta sono entrato
durante un viaggio di scigherini in primavera. Il mio villaggio
è per me una rete in continuo cambiamento di persone
e cose che mi interessano, a livello personale (per la mia vita)
e generale (per l'idea di evoluzione politica e sociale che
sogno per il mondo intero); e poi, e questo mi riguarda più
direttamente, è il sogno di poter creare un luogo di
vita come ho sempre sognato, non in un posto ma in tanti posti
(tutti i posti del mondo), di poter essere tra amici (coi quali
conoscere, pensare e creare un mondo che mi/ci piaccia) in ogni
posto, come ad esempio ora che scrivo di questo e intanto, allo
stesso tavolo, in una casa collettiva alla periferia di Berlino,
giovani tedeschi discutono delle emozioni che hanno provato
nelle attività della loro associazione nell'ultimo anno.
Il fatto di sentirmi parte di una rete multiforme, internazionalista
e multi-linguista, senza una localizzazione statica (anche in
senso politico) è per me «il mio villaggio»,
il villaggio nel quale voglio vivere!»
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La
testa nella luna e piedi per terra. Viaggio milano 2011
manifesto su di un muro della Bovisa |
Nel
segno dell'educazione popolare
Non è un caso che molte persone che ruotano attorno
al mio villaggio provengano dal mondo dell'educazione e della
formazione. Abbiamo incontrato e apprezzato l'universo contraddittorio
e variegato dell'educazione popolare francese, che i compagni
e compagne del Crefad ci hanno fatto conoscere. La denominazione
stessa pone parecchi interrogativi sulla sua origine e la sua
posizione in una prospettiva libertaria.
È proprio dall'incontro/scontro tra questa storia profondamente
radicata nella società francese e lo sguardo portato
dal nostro gruppo riguardo agli stessi temi, che c' è
stato e continua a esserci un bel rimescolamento di carte. I
temi in questione: l'approccio al socio-culturale, una generica
formazione nell'ambito dell'educazione all'autonomia in prospettiva
libertaria, un percorso nei centri sociali autogestiti, un rapporto
distante con lo Stato e le sue articolazioni (si veda l'articolo
«fare opera di emancipazione»
in questo numero di A). «L'educazione popolare, più
che un movimento o la designazione di spazi dove dovrebbe essere
all'opera, è un modo di essere: apprendimento, sviluppo
dello spirito critico, responsabilizzazione, riflessione etica,
per tutti e da tutti, per tutta la vita, ovunque. Siamo convinti
che sia più interessante il percorso, il camminare che
cercarsi un posto nella società, che sia vitale creare
le nostre condizioni di emancipazione di fronte alle costrizioni
sociali, culturali, politiche e morali che ci vengono imposte
e che ci imponiamo. Siamo coscienti dei meccanismi che frenano
o complicano questo modo di fare, ed è per questo che
abbiamo bisogno di metodi e d'immaginare dei mezzi per agire.»
(9)
Scoprire progetti collettivi, incontrare altre persone con percorsi
e origini diverse: in che modo gli altri, altrove, in contesti
politici e sociali diversi, associano i loro obiettivi ai loro
mezzi?
Capire meglio le interazioni tra le azioni, il luogo di vita,
le condizioni di vita là dove ci spostiamo e qui dove
viviamo. Quali pensieri accompagnano l'azione? Stiamo andando
nella direzione di uno scambio di pensiero e di metodi piuttosto
che di pratiche. Non si può trattare solo di cercare
modelli da riprodurre, ma di sviluppare la propria capacità
di pensare l'azione. La dimensione autoformativa sta qui: nel
sapere che ci si sta formando, nel mettersi in una postura riflessiva
rispetto alla propria capacità di pensare e di apprendere.
Nel costruire un discorso e una narrazione sulla propria azione.
Il mio villaggio cerca di creare questo contesto spazio-temporale
della riflessione/riflessività che pero é azione
perché allo stesso tempo tesse una rete.
È inverno, fa un freddo cane, sono le 11 di sera. Scendo
dal treno alla Stazione di Genève Cornavin. Ho il tempo
di bere una birra alla Buvette de Cropettes. Non ho avvertito
Sam che arrivavo stasera, ma so che le chiavi di casa stanno
lì sotto il vaso di fiori. Quanto c'è di rivoluzionario
in questo?
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Lione
2011. Mani che cucinano. Momenti di convivialità |
Voci
del villaggio
Il mio villaggio mi ha lasciato l'incontro con esperienze
associative simili alla mia, ma anche di azioni dirette e rivendicazioni
senza mediazioni (soprattutto il carnevale della Plaine a Marsiglia,
ma anche la parata con il Crieur Public alla Croix Rousse),
da una parte mi hanno confermato la situazione di estrema difficoltà
che viviamo in Italia, a Milano, rispetto a queste cose, soprattutto
a causa della burocrazia cieca e repressiva che da noi strangola
ogni barlume creativo. Dall'altra mi hanno convinto che gran
parte del nostro immobilismo è dovuto a mancanza di coraggio
e creatività, ad un'accettazione eccessivamente supina
della situazione. Per questo mi sono dedicato molto alla creazione
di un gruppo informale di azione diretta, lo sciame, e di eventi
come gli aperitivi autogestiti e le TAZ, che spero possano evolvere
in qualcosa di più visibile e determinante. Anche se
rimango dell'idea che la dimensione territoriale debba essere
circoscritta al quartiere.
Percepisco il «Mio Villaggio» come un ponte fra
varie oasi. Ponte che permette l'incontro, la contaminazione,
lo scambio e quindi la crescita delle oasi che vengono messe
in contatto, collegate.
Il «mio villaggio» offre la possibilità
alle persone che vi partecipano di auto-formarsi, di costruire
su misura delle proposte culturali, umane e politiche. Il mio
villaggio porta un'attenzione particolare al territorio inteso
come spazio dove si svolge l'azione quotidiana delle persone,
i loro rapporti sociali, il loro agire politico: rimette in
discussione il tema del «Vivere un luogo».
Grazie al «Mio Villaggio», lo spazio dove attuare
la progettazione si espande e apre nuovi orizzonti di senso:
l'incontro fra realtà e persone di territori diversi
avviene tramite affinità elettive e reciproca curiosità,
aspirazione ad accogliere contaminazioni, in un modo non forzato
bensì spontaneo e entusiasta e quindi estremamente efficace.
Un senso di possibilità e vicinanza con realtà
e contesti 'formalmente' diversi;la sensazione che, pur agendo
e partendo da contesti politici e culturali diversi, si possono
mischiare le carte e gli sguardi. mi ha aiutato a dare contorni
più netti alle specificità italiane e alle nostre
reazioni. Un bisogno sempre maggiore, impellente, di vivere
lo spazio pubblico come mio, di agire gesti che me lo fanno
appartenere (dagli aperitivi informali di sciame, alle mazurke
clandestine..) una prova tangibile di ampliamento dell'orizzonte.
Un sogno. L'idea che attraverso pratiche di azioni quotidiane
radicate in un territorio all'interno di macrosistemi cittadini,
si possano diffondere conoscenze, strumenti politici diretti,
modalità espressive culturali e artistiche, al fine di
creare un'importante rete internazionale di scambi. Il mio villaggio
dunque è sì un luogo fisico circoscritto in un
macrosistema, ma è anche un villaggio.
Valentina Volontè
info ilmiovillaggio@gmail.com
www.ilmiovillaggio.org
Note
- Francoise Choay, L'utopie aujourd'hui c'est retrouver le
sens du local, revue Urbanisme, p.2
- Associazione culturale, progetto collettivo intorno a uno
spazio osteria/sala culturale a Milano www.scighera.org
- http://ri-voltalacarta.noblogs.org/
- Cascina occupata autogestita a Milano dal 1992
- Centro di ricerca, studio e formazione all'animazione e
allo sviluppo, associazione di educazione popolare in rete
con 9 associazioni e cooperative in Francia http://www.reseaucrefad.org/
- http://voguelagalere2011.blogspot.it/
- Certeau, M. de, 1980, L'invention du quotidien 1. Arts
de faire, Paris, Union générale d'éditions;
trad. it. 2001, L'invenzione del quotidiano, Roma,
Edizioni Lavoro. p.6
- Zone temporaneamente armoniche, momenti di riappropriazione
di Piazza Schiavone con musica, canti, ciclofficina, baratto...
- Tratto da un testo interno al Crefad.
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