alternative. 2
Fare opera di emancipazione
Intervista a Christian Maurel
di Leila
A che cosa potrebbe assomigliare un'educazione popolare critica?
A “un lavoro culturale nella trasformazione sociale e
politica”, risponde Christian Maurel, ricercatore e militante,
autore di “Educazione popolare e potere di azione.” 1
L'interesse nel tradurre questo articolo (dalla
Revue trimestrielle d'offensive libertaire et sociale,
n. 29, mars 2011, p.20-23, http://offensive.samizdat.net)
è quello di fare uno zoom su di una pratica educativa
ben radicata nella società francese che fa i conti
con un diverso rapporto allo Stato e alla società
civile. Con le sue specificità storiche e i suoi
riferimenti teorici, che non parlano di educazione libertaria,
l'educazione popolare può generare, nella pratica
esperienze di educazione all'autonomia molto interessanti
e allo stesso tempo essere asservita, addomesticata. Può
essere uno spunto di riflessione...
Valentina Volontè
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Il tuo libro si spende a favore di un ravvicinamento tra
le associazioni cosiddette di “educazione popolare”
e i movimenti sociali. Perchè?
Con il passare del tempo l'educazione popolare si è progressivamente
staccata dai movimenti sociali che le hanno permesso di emergere.
Non sappiamo con esattezza quando compare l'espressione educazione
popolare ma, alla fine del 19 secolo, si comincia a utilizzare
indistintamente “educazione popolare” e “educazione
operaia”. Questi due concetti sono quindi molto legati.
Alla fine del 19 secolo, l'educazione popolare è ciò
che il sociologo belga Luc Carton (2) chiama
“la dimensione culturale del movimento operaio”.
Questo movimento, mentre crea mutualismo, lotte sindacali, cooperazione,
allo stesso tempo costruisce un'intelligenza collettiva.
I suoi teorici si nutrono del movimento e al contempo lo animano:
Proudhon, Marx, Jaurès, Blanqui, ecc. E si crea una cultura,
partendo dall'azione. L'educazione popolare non è ancora
distaccata dai movimenti sociali. Col passare del tempo ne diventa
una branca, poi se ne separa e forma le proprie istituzioni,
lontano dai movimenti sociali. Oggi, una delle scommesse della
rivitalizzazione del senso dell'educazione popolare è
quello di ristabilire delle alleanze e dei legami con i movimenti
sociali. Si tratta di un'educazione popolare che permette di
prendere le distanze dalla nostra “socio-culturalizzazione”,
che, su richiesta delle politiche pubbliche, spesso consiste
nel curare i mali di una società in grande difficoltà
senza analizzarne i sintomi gravi .
L'educazione popolare corrisponde a una sensibilità
politica precisa?
Direi di no. Nelle tre correnti di pensiero dell'educazione
popolare, troviamo sensibilità molto diverse. La prima,
corrisponde al secolo dei Lumi e della Rivoluzione francese.
È il famoso rapporto Condorcet del 1792 sull'istruzione
pubblica: Condorcet non dice che istruirsi è imparare
a leggere, scrivere e contare, ma piuttosto essere in grado
di affrontare le responsabilità alle quali abbiamo il
diritto di essere chiamati, sviluppare il proprio ingegno e
tutti i talenti che abbiamo ricevuto dalla natura. Condorcet
va oltre. Dice che istruirsi, è imparare ad imparare,
diventare autonomi nel processo di apprendimento, e imparare
per tutta la vita. Prefigura l'educazione permanente. L'ambizione
politica è “sostituire l'ambizione di dominare
gli uomini con quella di illuminarli”.
La seconda corrente la troviamo nel movimento operaio. Pensiamo
alla famosa risposta che Fernand Pelloutier, il fondatore delle
Camere del lavoro, ha dato alla domanda “A cosa serve
il sapere?” “L'operaio deve avere coscienza della
sua infelicità”. Una delle funzioni dell'educazione
popolare, per chi è oppresso, è avere coscienza
della propria oppressione. E il primo atto di emancipazione,
è sapere ciò che determina l'oppressione. Pelloutier
si spingeva molto oltre, diceva “istruire per rivoltare”.
Per questo l'educazione popolare può avere una dimensione
sovversiva di fronte ai rapporti di forza e al dominio. Infine,
troviamo forme estremamente impegnate nel cristianesimo sociale.
Si tratta delle teologie della liberazione che fanno educazione
popolare in America Latina. Paolo Freire ad esempio era cristiano.
L'educazione popolare non deve essere confusa con l'istruzione
del popolo. Qual è la differenza?
L'educazione del popolo è una logica unilaterale autoritaria
che consiste a dare o imporre al popolo un punto di vista del
sapere e del comportamento, la “buona educazione”,
che corrisponde alla posizione della classe dominante in dato
momento. L'educazione popolare è su un altro piano. Si
iscrive piuttosto in una logica dell'atto educativo. È
basata sull'emergenza, l'immanenza, su ciò che preoccupa
le persone, sui saperi che hanno dentro di loro ma che non si
autorizzano a far emergere e a esprimere per costruirsi una
rappresentazione collettiva del mondo. Parlo di una logica di
costruzione collettiva ascendente, non in un' ottica discendente.
In altre parole, nell'educazione popolare, non siamo in un processo
di autorità ma di autorevolezza, ci si autorizza a fare
ciò che ci sembrava previamente vietato.
Può sembrare che le consultazioni cittadine [nella
cosiddetta democrazia partecipativa ndt] partano
anch'esse dal vissuto delle persone. In cosa l'educazione popolare
è diversa?
Nella consultazione, la cornice è definita dall'alto
dalle politiche pubbliche. Nell'educazione popolare no. In una
consultazione, se c'è un vero processo di educazione
popolare, le persone modificheranno la cornice della consultazione
per dire “Siete fuori strada, c'è altro di cui
parlare”.
Se siamo in un processo di emancipazione fatto dal popolo
stesso, si pone la questione del ruolo dell' educatore popolare,
sia esso un professionista, un militante o un ricercatore. Come
si può definire il suo ruolo?
È una questione veramente difficile. E penso che il concetto
più interessante per definire la buona postura dell'educatore
sia quella dell'“accompagnamento”. So che è
un concetto che ci propinano in tutte le salse (siamo accompagnati
del mondo del lavoro, nella scuola, nella fin di vita ecc.)
ma può avere una funzione educativa. Chi accompagna non
è davanti. Non indica per forza la buona direzione. È
a lato o dietro.
Questa immagine rimanda all'idea che il popolo non può
emanciparsi da solo, ma che allo stesso tempo la logica militante
e professionale dell'accompagnamento è un elemento essenziale.
L'accompagnatore è al tempo stesso un po' educatore,
un po' istruttore, un po' mediatore, un po' animatore, accompagna
qualcuno su di un cammino. L'animatore dell'educazione popolare,
che sia militante, professionista o ricercatore, deve offrire
alle persone con le quali lavora la possibilità di dare
un nome alla situazione nella quale si trovano. Il processo
che si innesca è descritto da Pierre-Roche, sociologo
del Cereq (3): parola-sapere-opera-potere-emancipazione”.
Non è l'animatore che pre-costruisce il percorso, ma
è colui che permette che il percorso abbia luogo. E questo
pone il problema della formazione degli educatori popolari militanti
e professionisti.
Per te l'educazione popolare, è “il lavoro della
cultura nella trasformazione sociale e politica”. Puoi
precisare che cosa intendi con cultura?
Faccio riferimento a tre distinzioni operate da Jean-Claude
Passeron in “ Le raisonnement sociologique” (4).
Lui da 3 significati eterogenei alla parola “cultura”.
Prima di tutto, la cultura, sono degli stili di vita. Quindi
tutti ne hanno una. La cultura è ciò che ci resta
quando abbiamo perso tutto. Quando si tratta di cultura, siamo
tutti nella stessa barca. E più la condividiamo, più
ne abbiamo, a differenza dei beni materiali. Fare lavoro culturale
significa trasformare il negativo in positivo. Ed è ciò
che interessa all'educazione popolare. La seconda idea è
che la cultura è un linguaggio. Che sia sporadico- un
grido, uno sfogo- o un linguaggio sistematizzato come una tesi
in scienze sociali. Terzo, fra i molteplici stili di vita e
linguaggi, alcuni sono valorizzati nella società, anche
nelle cosiddette società primitive: esse hanno i loro
tempi forti, i loro miti, che sfuggono al primo arrivato. Nella
nostra società, sono le grandi opere dell'umanità.
Abbiamo tendenza a ridurre la cultura a queste grandi opere:
a ciò che Malraux chiamava “le opere dell'arte
e dello spirito”. Ma la cultura non è solo questo!
Che cosa intendi con “lavoro culturale”?
Il lavoro culturale è mettere in movimento, al servizio
dell'emancipazione, della presa di coscienza, dell'analisi della
propria situazione, del proprio impegno individuale e collettivo,
una molteplicità di cose che alcuni non considerano cultura.
Sono degli stili di vita, dei valori che abbiamo, ereditati
dal mondo del lavoro, dalle tecniche, dalla vita quotidiana,
dai linguaggi che appartengono ai nostri rapporti sociali.
Fondamentalmente è per questo che per esempio, una mobilitazione
come quella per le pensioni, è stata tanto un atto culturale
quanto sociale.
Nell'educazione popolare, questa cultura è al servizio
dell'emancipazione e della trasformazione sociale. Cos'è
l'emancipazione? È uscire dal posto che ti è stato
assegnato,anche solo di poco.
Ad esempio prendere la parola e impegnarsi in qualcosa per la
prima volta, vuol dire uscire dal posto che ci è stato
assegnato dalle nostre condizioni sociali, dalla nostra appartenenza
culturale, religiosa, dal sesso, dai nostri handicaps sociali,
fisici o mentali. Ecco perchè l'educazione popolare può
essere in un'associazione di quartiere, un sindacato, in un
ospedale psichiatrico. È il caso di La Verrière
con Madeleine Abassade (5).
È
nel metodo che l'educazione può farsi
Nell'educazione popolare, la trasmissione dei saperi è
diversa da quella nella scuola. In cosa?
Penso che il sapere sia emancipatore quando esiste in una co-costruzione
con chi apprende, quando le persone sono attrici della costruzione
del proprio sapere. È una delle questioni delle università
popolari di oggi di cui Michel Onfray à Caen è
un punto di riferimento. Alle sue conferenze ci sono trecento,
quattrocento persone nella sala. Onfray fa una conferenza che
è ritrasmessa da France Culture. Ci sono tre domande
dal pubblico e poi ognuno torna a casa sua. C'è anche
gente che prende l'aereo per andare a sentirlo. Nel metodo,
siamo lontani dall'educazione popolare. Onfray considera emancipatore
e popolare il fatto di produrre del sapere critico sulla società.
Ma la produzione di un sapere critico può essere autoritaria
quanto il sapere accademico.
È nel metodo che l'emancipazione può farsi. I
metodi partono dalle preoccupazioni della gente, da ciò
che le indigna, e questo è preponderante rispetto alle
conoscenze del formatore. Mettiamo a confronto, anzi in conflitto,
i saperi accademici, i saperi legittimi e colti (non bisogna
dimenticare questi ultimi, altrimenti saremmo fuori da ogni
logica di trasformazione e conflitto); i saperi critici, ma
anche i saperi del quotidiano, i saperi sociali, i saperi di
emancipazione, di resistenza, di trasformazione ecc. Le persone
dovrebbero partire dalla capacità di analisi della propria
situazione nella costruzione di questi saperi. Il sapere critico
che si oppone al sapere accademico può essere altrettanto
poco educativo dal punto di vista dell'educazione popolare che
un sapere relativamente accademico.
Nel processo “parola-sapere-opera-potere-emancipazione”,
che cosa intendi con “opera”?
“Fare opera” è un'espressione che possiamo
leggere in modi molto diversi. Non si tratta per forza di un'opera
d'arte. L'opera può essere una scrittura collettiva,
un'azione collettiva di rivendicazione. Può essere artistica,
intellettuale, sociale. Fare opera in un dato momento in un
quartiere può significare costituire un collettivo a
partire da una riflessione collettiva e individuale sull'insegnamento,
la violenza, sul proprio luogo di vita, può significare
prendere l'iniziativa, mettere sul piatto un certo numero di
rivendicazioni, andare ad incontrare il capo del contratto di
quartiere, e dire ciò che si pensa. Siamo nel passaggio
tra il pensiero e l'azione. È un elemento essenziale.
E l'opera produce emancipazione.
L'opera collettiva punta quindi a modificare l'ordine sociale.
Dici che la questione del conflitto, inibita nella nostra società,
è al cuore dell'educazione popolare...
Lo dicono Miguel Benasayag e Angélique Del Rey in “l'Elogio
del conflitto”: siamo in una società che reprime
il conflitto, e che preferisce la violenza e la ricerca di un
falso consenso. Penso che, per evitare il conflitto distruttore
e la violenza distruttrice delle cose, dei rapporti sociali
e della vita e spesso degli individui, bisogna poter nominare
la realtà. Questo è fare conflitto: invece di
nascondere le contraddizioni, bisogna risvegliarle e metterle
al servizio della trasformazione. Paul Ricoeur, che tra l'altro
non è un grande filosofo rivoluzionario, ha dato una
grande definizione della società democratica: “Una
società è democratica perchè sa di essere
divisa”.
Oggi abbiamo la tendenza a pensare che dobbiamo essere tutti
una bella compagnia di amici in questa società. Non è
vero, una società democratica sa di essere attraversata
dalle contraddizioni. Deve dare ad ognuno pari diritto e possibilità
di esprimersi su queste contraddizioni, di analizzarle, di prendere
delle decisioni e arbitrarle. È proprio qui che l'educazione
popolare è all'opera: nel permettere ad ognuno di avere
pari diritti e soprattutto, pari possibilità di esprimersi
su queste contraddizioni.
Possiamo dire che l'educazione popolare contribuisce a creare
uno spazio di emancipazione politica nello spazio sociale?
La questione è molto concreta, è quella dello
spazio pubblico. Secondo Jurgen Habermas, della scuola di Francoforte,
lo spazio pubblico è l'incontro in un luogo pubblico
di soggetti privati che utilizzano pubblicamente la loro ragione
critica. Dove sono questi spazi pubblici oggi? Sono abbastanza
ridotti. Il problema è la tolleranza che le amministrazioni
pubbliche, il potere pubblico e anche il mercato hanno per questi
spazi. Il passaggio dallo spazio privato a quello pubblico è
un passaggio essenziale. Quando interveniamo nello spazio pubblico
mettiamo in gioco non solo la nostra parola, ma anche noi stessi.
La pari possibilità è importante, altrimenti sono
sempre i detentori del sapere che parlano. Per dare il posto
a chi a priori non sente di sapere, e mettere in circolo il
loro sapere, bisogna fare un lavoro di accompagnamento. Uno
degli obiettivi dell'educazione popolare è proprio accompagnare
l'entrata nello spazio pubblico, per imparare a prendere la
parola, a spendersi, a essere confrontati alle contraddizioni
dell'altro.
Ma l'educazione
popolare è un'arte sociale
Utilizzi l'espressione arte sociale a proposito di educazione
popolare. Cosa significa di preciso?
È un concetto che si trova in Condorcet, in Abbozzo
di un quadro storico dei progressi dello spirito umano.
Secondo lui, nell'evoluzione del pensiero dell'umanità,
nella nostra società esistono allo stesso titolo un'arte
del lavoro della terra e un'arte sociale. Cioè delle
tecniche che consistono in dei “saper fare”. Bisogna
prendere la parola arte nel senso di artigianale, non per forza
nel senso di artistico. Per Condorcet, la prima tecnica è
l'istruzione, che trasforma il corpo sociale.
In questo senso l'educazione popolare è un'arte sociale,
cioè un insieme di metodi, procedure, sperimentazioni,
saper-fare che agiscono sui rapporti sociali. Nel lavoro che
ho fatto con questo libro, mi rivendico al lavoro del “prasseologo”.
La prasseologia è l'analisi della praxis. L'educazione
popolare è una prassi, cioè l'articolazione cosciente
e pertinente dei mezzi e dei fini. I fini, ne abbiamo parlato,
sono l'emancipazione, la trasformazione sociale, il potere d'azione.
I mezzi sono i modi d'azione e i processi che mettiamo in atto.
A seconda delle situazioni l'emancipazione si realizzerà
in modi diversi. Siamo ogni volta nell'invenzione. Il che non
significa che l'esperienza di alcuni non serve agli altri. Io
spingo per un'inventività metodologica e prasseologica
(per usare un parolone) senza limiti.
intervista a cura di Leila,
della redazione di Offensive Libertarie
Note
-
Education populaire et puissance d'agir. Les processus culturel
de l'émancipation, l'Harmattan 2010.
- Sociologo belga che ha partecipato alla corrente di ripoliticizzazione
dell'educazione popolare in Francia rispondendo a un bando pubblico
di riflessione sull'educazione popolare in Francia.
- Centro di studi e di ricerca sulle qualifiche professionali.
- Le raisonnement sociologique.L'espace non-popperien du raisonnement
naturel. Nathan (1991).
- Associazione culturale e artistica nel campo psichiatrico
che agisce all'interno dell'Institut National Marcel Rivière,
ospedale pubblico-privato a La Verrière.
Alcune associazioni e cooperative
di educazione popolare in Francia
Cooperative Le pavé difende un'educazione
popolare che sia educazione al politico in una prospettiva
anti-capitalista. www.scoplepave.org
La rete dei Crefad (Centro di ricerca,
studio e formazione all'animazione e allo sviluppo) è
un coordinamento di 9 associazioni che si riconoscono
nel manifesto Peuple et Culture, scritto alla fine della
seconda guerra mondiale: l'educazione popolare, la laicità,
la lotta contro le disuguaglianze, le ingiustizie, le
abitudini, tenendo conto delle evoluzioni del mondo e
delle tecniche e del fattore economico. www.reseaucrefad.org
La dyoniversité, iniziata dal
gruppo locale della federazione anarchica nel 2008, si
rifà alla tradizione della Cooperazione delle idee,
la prima università popolare. Si svolge alla Camera
del lavoro di Saint-Denis www.dyonyversite.org
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