pedagogia libertaria. 1
Scuola a terra... terra a scuola...
Intervista ad Albino Bertuletti
di Valentina Negri
A colloquio con un maestro un po' speciale. Bergamasco (e fin qui niente di speciale), montanaro (e questo è già meno comune), dalla vasta esperienza concreta e – per non farci mancare niente – anarchico.
Albino Bertuletti,
maestro che ha lasciato la scuola da alcuni anni, nasce nel
1951 a Bergamo in una numerosa famiglia di montagna.
Inizia la sua attività di maestro elementare nei primi
anni '70 e successivamente è “formatore”
in corsi per insegnanti. Utilizza la metodologia della Ricerca
con un'attenzione particolare al contesto ambientale e sociale
in cui vive il bambino.
Militante anarchico impegnato in varie lotte politiche e
ambientali, lavora nella scuola statale per circa 35 anni a
numerosi progetti sperimentali che vedono nei percorsi sensoriali,
nell'auto-produzione di fascicoli-documentazione delle esperienze
vissute e nelle attività espressive libere, un coinvolgente
mezzo per produrre insieme ai/alle bambini/e saperi e creatività.
Tramite questa intervista, abbiamo cercato di raccontare
aspetti dei percorsi educativi di Albino, sperando che possano
offrire spunti di riflessione ai tanti che si trovano l'annoso
compito di educare bambini/e, ragazzi/e, siano essi insegnanti,
educatori o genitori.
Sei il primo di dieci figli nato in un paesino di montagna
del Bergamasco e sei diventato maestro elementare dopo una formazione
scolastica un po' anomala, vuoi raccontarci come sei stato educato
e com'è successivamente iniziata la tua passione per
l'educazione?
Sono cresciuto in una famiglia contadina, patriarcale autoritaria,
dove fatica quotidiana e solidi valori tradizionali erano importanti.
Nel 1969-1970, dopo quasi quattro anni di Liceo Classico, frequento
il solo quarto anno di Istituto Magistrale per ottenere il diploma
di maestro. In modo del tutto casuale, dal 1973 inizio a lavorare
nell'ambito dell'educazione come animatore nei campi estivi
organizzati dal Comune di Albino, in Val Seriana.
Gruppi di bambini/e e ragazzi/e, eterogenei per età,
sceglievano a rotazione e liberamente, attività sportive,
espressive (baracche-atelier di pittura, animazione, manipolazione
materiali), laboratorio di fotografia, di giornalismo o escursioni
per esplorazioni nel territorio. Sempre in quel contesto, per
due estati di seguito, organizzo, aiutato da un altro compagno,
un campeggio libero per bambini/e e ragazzi/e. Mentre vivo questo
tipo di esperienze, prendo la decisione di partecipare al concorso
magistrale, dove presento tesine sulla Pedagogia Popolare
di Célestin Freinet e su Mario Lodi (Il paese sbagliato).
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Le
escursioni libere nelle vallette,
le scivolate nelle marmitte dei Giganti erano le attività
preferite dai gruppi
del campo estivo di Albino |
Dopo questa prima “infarinatura” in un contesto
educativo, com'è proseguita la tua esperienza?
Ho lavorato per 25 anni nella scuola pubblica come maestro elementare,
prima in una pluriclasse di montagna, poi in una delle prime
scuole a Tempo Pieno della bergamasca e infine all'interno dei
“moduli” come insegnante referente per l'area
di Ricerca e per le Attività Espressive.
Successivamente, per altri 10 anni, sono entrato nella scuola
come “operatore esterno”, prima su progetti
di inserimento dei disabili in una scuola superiore, poi su
progetti mirati per l'Educazione Ambientale in scuole Elementari
e Materne, in cui mi presentavo di volta in volta come “l'amico
della Terra”, “dell'Acqua”, o “del
Bosco” che “guidava” i bambini
ad incontrare la Natura. Infine sono stato formatore per insegnanti,
questo anche all'interno del Labter di Treviglio (Laboratorio
Territoriale per l'Educazione Ambientale).
Nell'organizzazione dei campi estivi hai parlato di attività
espressive libere, di cosa si tratta?
All'inizio della mia attività educativa nei campi estivi,
erano i /le bambini/e che sceglievano tra le proposte e i laboratori
(di cui ho parlato prima), che noi animatori offrivamo ed organizzavamo.
Nella scuola statale, invece, come insegnante davo spazio alle
conversazioni-discussioni e ai testi liberi dei bambini. Queste
attività puntuali erano molto importanti: dai bambini
stessi emergevano i loro “interessi”
di cui io tenevo conto nella mia programmazione, per sviluppare
sia gli argomenti delle materie della “Ricerca sul territorio”,
sia le tematiche della “Ricerca Affettiva”;
inoltre erano momenti di verifica e di confronto per stabilire
insieme le successive attività e modalità di sviluppo
delle Ricerche.
Puoi spiegare cosa significa Ricerca Affettiva?
Nella Ricerca Affettiva i/le bambini/e erano al centro con le
loro paure, i sogni, i rapporti con i genitori, i rapporti fra
maschi-femmine e i propri sentimenti.
Ho cercato sempre di offrire le condizioni perché i bambini
si esprimessero fino in fondo sia attraverso discussioni e testi
scritti, sia con attività di animazione corporea, drammatizzazione
e laboratori di musica, pittura, manipolazione, educazione all'immagine.
In tutti quegli anni sono cresciuto insieme ai/alle tanti/e
bambini/e che ho incontrato. Per poterli/le seguire al meglio,
ho cercato di mantenere un atteggiamento critico e una continua
riflessione sul mio operare, per valutare le ricadute sui bambini/e.
Per me è stata importante la continua autoformazione:
ho studiato per approfondire le mie conoscenze; ho ri/cercato
opportunità di confronto e scambio con altri/e insegnanti
e di incontri con persone più esperte, per sperimentare
su di me tecniche e competenze specifiche.
Copertine
di alcuni giornalini di Ricerche Affettive autoprodotti
dai bambini con limografo e ciclostile |
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1975/76,
Dalmine, Noi e gli altri, 3ª-4ª Elementare |
1978/79,
Costa Mezzate (Bg), 3e
Elementari |
1982/83,
Gavarno-Nembro, 4e
Elementari |
Abitando in montagna, immagino che la passione per l'ambiente
sia nata spontaneamente e sia stata poi alimentata dalle lotte
politiche, vissute con altri/e compagni/e, quando e come è
nata la decisione di utilizzare il territorio/l'ambiente per
la trasmissione di saperi/conoscenze? Cosa intendi per “percorsi
di senso”?
La mia infanzia è trascorsa fra l'andare e tornare ogni
giorno a piedi, da solo, all'asilo e alla scuola Elementare,
fra le faticose attività legate all'allevamento
di vari animali e la cura di sorelle/fratelli più piccole/i.
Queste esperienze hanno segnato la mia sensibilità e
mi hanno permesso di acquisire da solo moltissime conoscenze
e competenze pratiche.
Quel “pezzo di storia” vissuto in quel territorio
e in cui ancora oggi mi riconosco, mi ha dato anche un'identità.
Dopo, sono arrivate le lotte politiche relative alle problematiche
ambientali. Nel mio lavoro a scuola, il territorio, con i suoi
elementi naturali ed antropici e le sue caratteristiche ambientali,
è sempre stato da me considerato come una “grande
aula”, come un grande libro gratuito e a disposizione
di tutti. Partendo dal territorio del bambino, con il
metodo della Ricerca lo si esplorava e lo si conosceva,
si definivano tematiche, se ne coglievano dinamiche, aspetti
storici e problemi. In questo modo io cercavo di realizzare
“percorsi di senso” per costruire
poi i saperi, la cultura insieme ai/alle bambini/e e ampliare
le loro conoscenze fino a mettersi in relazione con realtà
più lontane.
Ad esempio, una realtà lontana dai bambini nel tempo
e nello spazio, ma in genere molto vicina alla loro sensibilità
ed interesse, era quella degli Indiani Pellerossa. Dopo
averne “studiato” la vita e la storia su
vari libri, era entusiasmante per loro costruire vestiti, archi-frecce,
maschere e utilizzarli in uno spazio aperto per vivere come
quel popolo per alcuni giorni.
Con la Ricerca “Anche noi eravamo Storia”,
i bambini assumevano un ruolo importante di recupero e di conservazione
della memoria del territorio, da loro stessi abitato, intrecciando
forti relazioni affettive con gli anziani.
Ad un certo punto della tua vita professionale, qualcosa
cambia, ti accorgi che i bambini nel corso degli anni hanno
modificato i bisogni e le proprie aspettative; ci racconti come
hai affrontato questo tipo di cambiamento nelle tue scelte educative?
L'intero percorso scolastico di uno o più anni, cercavo
di costruirlo con modalità e contenuti tali che avessero
un significato sia per i bambini/e che per me insegnante:
centrali erano esperienze, motivazione, interesse e piacere.
Alla fine degli anni '80 e primi anni '90 però, dai racconti
liberi scritti e orali dei bambini, incomincio a rilevare un
cambiamento per me molto allarmante. Sognavano solo di diventare
calciatori o veline, scrivevano in prevalenza di escursioni
al centro commerciale... i bambini di montagna non andavano
più da soli nei boschi o al fiume... e quelli
di paesi e città non vivevano più i cortili e
le strade dei quartieri.
Prendo coscienza, perciò, di una mancanza di esperienze
significative sia a livello affettivo che nel territorio, sostituite
da modelli di consumo, di alimentazione, di comportamento sempre
più indotti, omologanti e lontani dai bisogni
primari di un essere umano.
Negli anni ('90 e 2000), diventando per me sempre più
evidenti l'annullamento della dimensione dell'“essere
un/una bambino/a” e la perdita di relazione con
il territorio, mi rendo conto che la mia metodologia della Ricerca
andava rivista. Percepisco la necessità di far uscire
i bambini dalle case, dalle scuole, per portarli fuori più
sistematicamente durante tutto il corso dell'anno nell'ambiente
che li circondava, perché tornassero a fare ciò
che non vivevano più nè da soli né in famiglia.
Perciò aggiungo una nuova ed iniziale fase al Metodo
della Ricerca: sulla base di miei numerosi sopralluoghi nei
contesti in cui vivono i bambini, costruisco percorsi di
immersione e di percezione sensoriale per
permettere loro un approccio “emotivo–affettivo”
con gli elementi del territorio con il corpo e tutti i sensi.
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1983/84
Gli indiani del Nord America,
5ª Elementare Gavarno-Nembro (Bg) |
Ho letto “Incontri di terra”, un fascicolo
che racconta le esperienze vissute dai/dalle bambini/e di una
seconda elementare di Torre Boldone (BG) dove insegnava Vanna,
la tua compagna; tu eri intervenuto in quella classe nel corso
dell'anno 2002/2003 con un progetto mirato di Educazione Ambientale
in qualità di operatore esterno.
Mi piace innanzitutto il sottotitolo, ossia «esplorazioni
ambientali, attività espressive, esperienze scientifiche»
che denota come un percorso del genere possa essere veicolo
per l'insegnamento di diverse altre materie, ma si riusciva
a coniugare le uscite sul territorio con i momenti “tradizionali”
di insegnamento delle materie quali la matematica, l'italiano,
la storia ecc?
Puoi raccontarci in sintesi la metodologia utilizzata in quella
esperienza?
Hai colto un aspetto importante della metodologia. Il bambino,
attraverso il contatto diretto-affettivo con gli elementi fondamentali
del nostro pianeta e del cielo, vive esperienze concrete e significative.
Durante le successive rielaborazioni a scuola o a casa, ogni
bambino/a ha opportunità di esprimere le proprie emozioni
con linguaggi e attività diverse; è motivato
poi a riflettere, ad acquisire conoscenze, ad effettuare esperimenti
e altre uscite.
Queste fasi operative si sviluppano attraverso ambiti disciplinari
diversi; ma sono i bambini stessi che, man mano ricercano –
fanno – studiano insieme agli insegnanti, colgono la divisione
in materie (lingua italiana, storia, geografia, scienze, le
attività espressive artistiche).
In “Incontri di Terra”, i bambini, usciti
in diversi posti nel loro ambiente, hanno incontrato e raccolto
argille indigene, le hanno portate a scuola, hanno ricavato
colori per truccarsi, per dipingere e autoprodurre impasti da
manipolare.
Con la cottura dei propri manufatti in forni a cielo aperto
(nel terreno di un loro compagno), hanno sperimentato come uomini
e donne delle civiltà antiche, mentre lavoravano e cuocevano
la creta, esprimevano una propria “arte”. L'Arte,
così, si intreccia con la Storia, la Geografia, le Scienze,
la Lingua Italiana, la Storia del Lavoro dell'uomo. E il tutto
si intreccia con l'Arte del bambino e della bambina.
Sto leggendo i due fascicoli “Adottiamo
l'Isola Fluviale” e “Lo
stagno”: entrambi hanno come
sottotitolo “Ricerc-Azione per
valorizzare un territorio”.
Cosa intendi per Ricerc-azione?
Per due anni consecutivi (dal 1996 al 1998), i bambini di una
classe elementare del comune di Albino hanno lavorato con me
e Vanna su un Progetto di Educazione Ambientale, incentrato
sull' “occupazione” di un grande isolotto
di circa 1 Km, posto in mezzo al fiume Serio. Su quest' Isola,
dapprima a loro sconosciuta, i bambini vivono una serie di attività:
la esplorano spostandosi anche da soli, effettuano periodiche
osservazioni scientifiche, ne scoprono la bellezza ma anche
il degrado e pian piano le si affezionano. L' esperienza ha
assunto una maggior valenza educativa per il notevole coinvolgimento
di tanti genitori e di alcune Associazioni volontarie del paese
e successivamente, nel 2° anno, la condivisione del Progetto
da parte delle insegnanti e dei bambini/e di tutte le 9 classi
di quella scuola.
I bambini hanno vissuto attività concrete di Ricerc-Azione
in quanto consegnano un progetto, steso in classe collettivamente,
all'Amministrazione Comunale con la richiesta di cambio di destinazione
d'uso dell'Isola, in “area verde per usi didattici”;
in diverse occasioni effettuano la pulizia dell'area; costruiscono
un grande stagno, una capanna, uno spettacolo teatrale itinerante
sull'Isola.
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1993/94,
Comenduno
– Albino,
Indiani a Prato Alto,
dalla locandina di un film realizzato con la 5ª
Elementare |
Le esperienze svolte nella tua lunga vita professionale
sono state rielaborate tramite un importante lavoro di raccolta
di documentazione autoprodotta anche per creare un'alternativa
ai libri di testo di Stato e per una comunicazione/diffusione
ad altri. Come e perché è avvenuta questa autoproduzione?
Per me i “giornalini di classe”, i fascicoli,
le mostre hanno una forte valenza educativa, rappresentano una
delle fasi importanti della metodologia: cioè quella
della rielaborazione-documentazione-comunicazione delle esperienze.
I “giornalini”, autoprodotti assieme ai bambini
negli anni '70 ed '80, utilizzando in classe vecchie macchine
da scrivere, il limografo, il ciclostile ecc, servivano come
scambio delle esperienze libere e dei lavori di gruppo anche
con gli alunni di scuole diverse. Dagli anni '90 in poi, i fascicoli
e i libri autoprodotti, impaginati da me con il computer, raccoglievano
e documentavano le esperienze rielaborate con testi individuali
–di gruppo e collettivi, disegni, mappe, fotografie ed
ogni bambino aveva la sua copia. Essendo scritti e stampati
puntualmente man mano che le diverse fasi del lavoro procedevano,
rappresentavano un'alternativa ai libri di testo di Stato, insieme
ai numerosi libri portati a scuola.
Inoltre per me come insegnante ed anche per ogni bambino, erano
uno strumento di consapevolezza, confronto e autovalutazione
continua del proprio lavoro. Per i genitori erano una possibilità
per “entrare” nella classe, scoprire la metodologia
e i contenuti, conoscere tutti i bambini ed il loro lavoro,
e non solo i contributi del/la proprio/a figlio/a.
Pensi che questi materiali possano costituire uno spunto
di riflessione per altri/e maestri/e e/o educatori/trici?
Quasi tutti i materiali prodotti in quegli anni li conservo
a casa mia. Ma ultimamente sento la necessità e l'urgenza
di dare organicità alla documentazione di tutte le esperienze
vissute e di custodirle in un luogo adeguato, perché
le Scuole che conosco io non hanno certo spazi per conservarne
la Memoria.
In questi mesi non sono riuscito a reperire spazi adeguati dove
lasciare: giornalini, fascicoli, mostre, riprese video, ma anche
libri relativi a: Educazione Ambientale, Animazione, Educazione
all' Immagine, riviste M.C.E., ... Educazione Libertaria ecc.
Nella prospettiva di creare un archivio e, perché no,
renderlo accessibile a chiunque desideri consultarlo, forse
qualche insegnante, genitore o ricercatore potrebbe ricavarne
spunti per operare concretamente.
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1999/2000
Cene (Bg)
“Incontro con l'amica acqua”,
esperienze di percezione sensoriale,
Materna Statale |
Hai mai incontrato resistenze per questa tua impostazione
didattica da parte dei genitori o di altri insegnanti con cui
ti sei trovato a lavorare?
Si! a volte con i genitori, all'inizio del mio lavoro; negli
anni '70, nelle scuole in cui lavoravo, si trattava di mettere
in discussione i contenuti e un sistema di far scuola autoritario
attraverso: l'abolizione della cattedra, la disposizione dei
banchi in cerchio, il dare voce ai bambini, il non privilegiare
le lezioni frontali, il lavoro a gruppi, il non dare voti, il
non uso dei libri di testo dello Stato, l'uscire fuori dalla
scuola...
Lavorando poi nei “moduli a tre” ho avuto
contrasti nelle relazioni con colleghi/e e mi sono isolato per
poter lavorare in pace con i bambini. Ma negli ultimi
10 anni, come operatore esterno sui progetti mirati, ho potuto
scegliere di lavorare con insegnanti motivate, appassionate
e disponibili a mettersi in gioco e a resistere. Vivendo le
esperienze con Vanna e insieme ai suoi allievi, il confronto
è stato continuo e senza alcuna separazione tra la nostra
vita privata e la scuola.
Recentemente hai partecipato alla giornata per l'educazione
libertaria “Quando l'educazione cambia”, organizzata
dal Collettivo Milanese per l'Educazione Libertaria, cosa pensi
delle esperienze di scuole libertarie che sono nate e si stanno
sviluppando in Italia, nonostante tu, da anarchico, abbia sempre
lavorato all'interno della scuola statale?
Resto ancora dell'idea che tutti/e i/le bambini/e abbiano diritto
ad una scuola libera, dove poter crescere con autonomia, libertà,
consapevolezza, responsabilità, rispetto di ogni individualità,
dove convivano figli di anarchici, di rom, di immigrati, di
poveri e benestanti ecc. Perciò, pur condividendo gli
ideali educativi delle scuole libertarie, mi resta il dubbio
che non possano dirsi “scuole di tutti”,
anche solo perché chiedono ai genitori una retta mensile
che non tutti possono sborsare.
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1996/1998
“ADOTTIAMO
L'ISOLA FLUVIALE ~ LO STAGNO
ricerc-Azione per valorizzare un territorio”
4ª Elementare, Comenduno – Albino (Bg) |
Pensi che ci siano margini di azione libertaria all'interno
del contesto educativo istituzionale?
Pur incontrando grosse difficoltà, magre soddisfazioni
e vivendo pesanti situazioni di solitudine, ho sempre lavorato
per crearmi spazi dignitosi di operatività nella scuola
statale, realizzando concretamente progetti che avessero senso
e valore per me e per i bambini. Se si vuole, lo spazio di azione
lo si può, lo si deve ricavare anche oggi. Certo i margini
di azione sono sempre meno, ci sono sempre meno risorse (di
persone) e meno spazi per il confronto.
La scuola è un sistema che fa di tutto per autoconservarsi:
rispetto agli anni '70, nulla è cambiato, anzi ha prevalso
di nuovo una scuola con pesanti scollamenti tra quello che vien
“insegnato” e la vita quotidiana degli studenti.
Vorrei comunque sottolineare l'importanza delle iniziative e
del ruolo del C.M.E.L. e della Rete per l'Educazione Libertaria,
perché secondo me potrebbero “offrire ai
tanti che si trovano l'annoso compito di educare bambini/e,
ragazzi/e, siano essi insegnanti, educatori o genitori”,
l'opportunità per un confronto, una condivisione di esperienze
per ripensare ai compiti di una scuola e chiedersi cosa desideriamo
trasmettere e far vivere ad un figlio/a o a bambini/e che ci
sono stati affidati/e.
Valentina Negri
Se qualche lettore fosse interessato a dare un mano per trovare,
a Bergamo e dintorni, uno spazio per un archivio per la conservazione
della documentazione, o fosse semplicemente interessato a prendere
in visione mostre, fascicoli ecc può scrivere a questo
indirizzo e-mail: albinobertuletti@tin.it.
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2004/2005,
“Terra-cielo-fuoco-alla ricerca di spazio e tempo
Classe 4ª Elementare Torre Boldone (Bg) OSSERVATORIO
ASTRONOMICO: in un grande spazio aperto nel loro paese,
i bambini costruiscono l'orizzonte, registrano le proiezioni
delle ombre e gli spostamenti apparenti del Sole |
La versione integrale dell'intervista è pubblicata
sul blog del Collettivo Milanese per l'Educazione Libertaria:
http://educazionelibertariamilano.noblogs.org/
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