Rivista Anarchica Online


cronache


La difesa della privacy
Nell'era di Internet


Stefano Rodotà, ex garante della privacy, in un libro di qualche anno fa sosteneva quanto fosse difficile difendere le ragioni della privacy nell'attuale cultura dominante in Rete, dove tutti possono scrutare il singolo che si espone volontariamente e con sempre maggiore piacere all'occhio planetario. In Italia poi, la discussione sul tema della privacy è ancora più difficile da affrontare, in quanto tra coloro che si ergono a sua difesa, vi è addirittura, almeno a parole, il nostro governo.
Per farsi un'idea sul tema privacy nel cyberspazio, si può partire dal conoscere le posizioni di coloro che, per primi, hanno con coerenza sostenuto la necessità di tutelare la privacy in Rete: i cosiddetti cypherpunk.
I cypherpunk sono nati all'inizio degli anni ’90 come un gruppo informale di persone di cultura anarcolibertaria, interessate alla privacy e alla crittografia, e che inizialmente comunicavano attraverso la mailing-list cypherpunk1.
Nel Cypherpunk's Manifesto di Eric Hughes (1993) si legge:
Dobbiamo difendere la nostra privacy, se vogliamo averne una. Dobbiamo unire le nostre forze e creare sistemi che permettano lo svolgersi di transazioni anonime. Da secoli la gente difende la propria privacy con sussurri al buio, buste, porte chiuse, strette di mano segrete e corrieri. Le tecnologie del passato non permettevano una forte privacy, ma le tecnologie elettroniche sì. Noi cypherpunk siamo votati alla costruzione di sistemi di anonimato. Noi difendiamo la nostra privacy con la crittografia, con sistemi di invio di posta anonimi, con firme digitali e con il denaro elettronico”2.
Il Manifesto di Eric Hughes distingue poi la privacy dalla segretezza: “privacy non significa segretezza. Un argomento privato è qualcosa che si desidera far conoscere, ma non a tutti; invece un argomento segreto è proprio un argomento che non si vuole far conoscere, che si vuole nascondere. La privacy è quindi il potere di scegliere come rivelarsi al mondo”2. È “il potere di rivelare se stessi [...] in maniera selettiva”2.
Anche in Italia, a partire dalla fine degli anni 90, la cultura cypherpunk ha ispirato la nascita di diverse iniziative contro il tecnocontrollo. Tra queste, il Progetto Winston Smith (dall'omonimo protagonista del romanzo di George Orwell “1984”), attivo dal 1999, si propone di “sensibilizzare ed aiutare le persone ad ottenere il grado di privacy che ritengono necessario; costruire una risorsa «dimostrativa» totalmente anonima, utilizzando tutti i mezzi tecnici per la e-privacy esistenti, [...] una prova di fattibilità` dell'anonimato tecnologico per tutti”3.
Per il Progetto Winston Smith, “la privacy nel cyberspazio è un diritto individuale sostanziale, inalienabile, primario”3. Garantire la privacy non significa affatto garantire una libertà eccessiva, bensì fondamentale.
Il problema che i cypherpunks prima (e oggi molti altri) mettono in luce è proprio il fatto che in Rete (a meno di non prendere le opportune precauzioni) non abbiamo la libertà di scegliere come e cosa rivelare di noi stessi.
Così continua il Cypherpunk's Manifesto: “quando acquisto un giornale in un edicola o in un negozio qualsiasi, una volta che ho pagato, nessuno ha necessità di sapere chi io sia. Analogamente quando richiedo al mio provider di inviare o ricevere le mie e-mail tramite i suoi server, non è certo necessario che il mio provider sappia a chi sto scrivendo, o cosa sto scrivendo, o chi sono coloro da cui ricevo messaggi, quali sono gli argomenti, o i contenuti delle mie comunicazioni. Il mio provider deve solo sapere come recapitare o ricevere la mia posta e quanto lo devo pagare per questi suoi servizi. Quando la mia identità viene rivelata dai meccanismi sottostanti ad ogni mia comunicazione, di fatto, io non ho privacy. Non posso scegliere se e cosa rivelare di me. Devo sempre rivelarmi.”1
Senza le opportune precauzioni ed attenzioni, le strutture attuali della Rete veicolano a potenziali terzi dati privati senza consenso.
I cypherpunks, però, non si limitano a denunciare il pericolo dell'avverarsi della profezia orwelliana della fine della privacy. Internet non è inevitabilmente destinata a diventare lo strumento del Grande Fratello. La tecnologia non è necessariamente il nuovo Moloch. Come si legge in Kriptonite (ottimo libro prodotto in Italia dalle culture cypherpunk e CryptoAnarchy) “la tecnologia è come l'informazione: non è reversibile. Non si può tornare indietro, non si può dimenticare l'informazione o la tecnologia [...]” Le tecnologie non hanno né un potenziale liberatorio né un potenziale di dominio. “Libertà e dominio sono categorie che riguardano gli uomini e non le macchine [...] anche se ci sentiamo vicini a chi diffida della tecnologia sottolineando la sua funzionalità al dio della produzione.”4.
È proprio grazie alle possibilità tecnologiche, infatti, che la privacy in Rete può essere tutelata. Per i cypherpunks questa tutela deve innanzitutto avvenire su un piano parallelo, non necessariamente in contrasto, con il mondo delle leggi. La privacy è un bisogno che può e deve essere soddisfatto grazie ad un uso intelligente della tecnologia. Soddisfare il proprio bisogno di privacy è un atto unilaterale. Prima ancora di essere un diritto tutelato o meno da una buona o cattiva legge, è un esigenza primaria che ognuno deve poter soddisfare unilateralmente.
In Rete, secondo i cypherpunks, possiamo e dobbiamo usare programmi (ad esempio GnuPG) che ci permettano di criptare la nostra presenza nel Cyberspazio, garantendoci, eventualmente, anche l'anonimato. Questi programmi per la tutela della propria privacy

  1. sono utilizzabili individualmente e unilateralmente - non richiedono la mediazione di partiti o associazioni
  2. il loro uso difende la sfera individuale e si affida alla responsabilità del singolo - detto diversamente, il loro uso può risultare sociale o antisociale a seconda delle circostanze, dei punti di vista e degli utilizzatori stessi.4
Gli attivisti digitali, gli hacktivisti, i cypherpunks e molti altri legittimano e difendono l'utilizzo della crittografia a dispetto delle scelte politiche e militari degli stati e hanno ingaggiato un duro conflitto coi governi per garantirne la libera diffusione. Ciò che contestano è in definitiva la tesi secondo cui i software di crittografia, pensati per tutelare la privacy, possono essere usati anche da chi vuole commettere reati, rendendo necessaria una forte limitazione sulla produzione di tecnologie crittografiche e, come i servizi di sicurezza federali hanno proposto al Congresso americano, l'installazione di una backdoor governativa sugli stessi programmi di crittografia per controllarne l'uso.5
Per i cypherpunk e gli attivisti digitali la crittografia non può essere regolamentata o proibita dalle leggi dello stato.
I cypherpunks condannano le regolamentazioni sulla crittografia, dato che criptare dati è fondamentalmente un atto privato. Quando usiamo la crittografia, infatti, non facciamo che impedire di rendere pubbliche alcune nostre informazioni. In definitiva, le leggi contro la crittografia mostrano solo l'arbitrarietà dei confini dell'azione dello stato e della sua violenza”2.
Per Il Progetto Winston Smith “segretezza ed anonimato, riuniti in quello che chiamiamo «privacy» sono un diritto ancora più vasto della libertà di espressione, ed altrettanto essenziale. Per contrastare i criminali, la società non può pretendere che tutti vivano in case di vetro; si tratta di preservare il bene maggiore. Diritti sostanziali ed inalienabili di tutti *devono* avere la precedenza su situazioni in cui i diritti altrettanto inalienabili di pochi sono minacciati, per esempio da atti criminali. Non mancano certo le possibilità per difendere le vittime senza limitare i diritti di tutti; piuttosto le vittime vengono spesso portate come pretesto per politiche totalitaristiche e liberticide.”3
Perché, come dice Paul Zimmermann, autore del più noto software di crittografia, il Pgp: “Se la privacy viene messa fuori legge, solo i fuorilegge avranno privacy”5.
Per scongiurare il tecnocontrollo, il Progetto Winston Smith, che ogni anno organizza il convegno “E-privacy” (nel 2012, a Milano, il 21 e 22 giugno), considera fondamentale affermare e difendere i seguenti diritti nell'Internet quale è oggi (diritti che potranno modificarsi con la sua evoluzione):
  1. la possibilità di inviare e ricevere posta senza che nessuno la possa leggere (diritto alla riservatezza) e, nel caso lo si ritenga necessario, senza che nessuno possa risalire all'identità del mittente e del destinatario (diritto all'anonimità)
  2. la possibilità di pubblicare e diffondere informazioni su Internet senza che nessuno le possa cancellare (diritto alla libertà di parola) e senza che sia possibile risalire all'identità di chi le diffonde e di chi le legge (diritto a non essere censurati e libertà di scelta dell'informazione)
  3. la possibilità di agire in Internet come siamo oggi abituati a fare, surfando, chattando, mandando posta, senza che nessuno possa registrare le nostre azioni (diritto alla privacy).3

Luca Cartolari

1 http://en.wikipedia.org/wiki/Cypherpunk
2 http://www.activism.net/cypherpunk/manifesto.html
3 http://pws.winstonsmith.info/
4 http://www.ecn.org/kriptonite/
5 A. Di Corinto e T.Tozzi - Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete - Manifesto Libri (2002)




Bologna. 1/
Un fiore per Edera

Edera De Giovanni

Nel tardo pomeriggio di sabato 7 luglio una quindicina di noi hanno voluto portare un fiore sulla lapide che ricorda Edera De Giovanni. Lì, sul muro della Certosa di Bologna, fu fucilata 1°aprile del 1944, insieme ad altri cinque compagni, tra i quali l'attivissimo anarchico Attilio Diolaiti.
Edera fu la prima donna resistente a finire, a Bologna, davanti a un plotone d'esecuzione fascista durante la Repubblica di Salò. Coinvolta nella lotta clandestina e nel sabotaggio nella zona di Monterenzio, in collegamento con le brigate Garibaldi, il 25 marzo 1944 fu arrestata dalle brigate nere sotto le Due Torri, torturata per una settimana nel carcere di San Giovanni in Monte e poi fucilata. Edera era una ribelle due volte: ribelle all'oppressione fascista e ribelle all'ideologia sessista che il fascismo aveva ulteriormente rafforzato in una società già patriarcale come quella italiana.
Sotto un sole cocente Pino Cacucci ha letto le pagine che le ha dedicato nel suo ultimo libro Nessuno può portarti un fiore. Una lettura sentita e commovente, forte, incisiva come sa essere l'arte. Altri compagni hanno spiegato le ragioni della continuità dell'impegno contro ogni fascismo e hanno ricordato brevemente la figura del compagno Diolaiti. Poi, riavvolta la bandiera della Federazione Anarchica Bolognese, siamo tornati al Circolo Anarchico Berneri di Porta S. Stefano, dove si è aperta una tavola rotonda di discussione sulle donne nella resistenza e sull'antifascismo di ieri e di oggi. È stato distribuito lo scritto di Martina Guerrini Donne di “contegno ribelle” e Marco Rossi, da cui era partita l'idea di ricordare Edera, ha introdotto la chiacchierata, che si è protratta fino a tarda sera. Ora e sempre Resistenza!

I compagni e le compagne del Circolo Anarchico Berneri
circoloberneri.indivia.net




Bologna. 2/
Quarant'anni del Cassero


Il 2 giugno 2012, nella piazza di Porta Santo Stefano a Bologna, è stata una bella giornata: in tutti i sensi. Il clima caldo, afoso come si conviene alla città; la partecipazione, che non è eufemistico definire massiccia; lo stupore di chi transitava nei viali di circonvallazione o sugli autobus che passavano per la via nel vedere quell'assembramento di cui non c'era traccia sui giornali, hanno caratterizzato la giornata di festeggiamenti per i quarant'anni di attività del circolo anarchico Camillo Berneri.
Il programma è stato seguito con rigore e puntualità, senza nulla togliere ai contributi spontanei e alla convivialità. I due casseri (il Berneri e l'Atlantide) erano addobbati da striscioni già nelle prime ore del pomeriggio e la mostra era già allestita quando, alle 17.00, è partita la presentazione del libro Case del Popolo, case di tutti? con interventi di Alberto Ciampi, Marco Rossi e Sergio Mechi, fra gli autori del volume. Il dibattito è andato avanti fin quasi alle 19.00, con la partecipazione di una cinquantina fra compagne e compagni, alcuni venuti da altre città, che hanno ripercorso e approfondito i temi e le storie suggerite da questo bel libro, collegando le esperienze delle vecchie Società di Mutuo Soccorso alle Case del Popolo, alle Camere del Lavoro, per arrivare, in anni relativamente vicini, ai Festival del Proletariato Giovanile ed ai centri sociali occupati ed autogestiti.

Bologna, 2 giugno 2012 - Il Cassero
di Porta Santo Stefano, da 40 anni
storica sede anarchica

Intanto in strada si cominciava a raccogliere una piccola folla. Era arrivata la Banda Roncati (che festeggia i suoi vent'anni di attività) e, poco dopo, si sarebbe riunito anche un ensemble dell'Hard Coro De' Marchi (entrambe le formazioni sono colonne portanti della scuola popolare di musica Ivan Illich). Fra suonate e canzoni (da quelle anarchiche, alle immancabili anticlericali, a quelle dei partigiani bolognesi o delle risaie della “bassa”) si era giunti quasi alle 21.00 quando è iniziato, dentro Atlantide, il concerto di Alessio Lega, da tutti definito toccante ed entusiasmante. Nei portici del Berneri funzionava il buffet e la distribuzione di bevande. Ma i convenuti erano troppi per essere contenuti nei due casseri, per cui parte della via Santo Stefano era di fatto occupata. Alcune centinaia le persone che hanno circolato all'interno dell'iniziativa, che ha preso i veri e propri colori della festa, protraendosi fino a tarda ora. Molti i compagni e le compagne delle varie realtà bolognesi che hanno partecipato all'iniziativa con gioia e solidarietà: dal Vag61 all'XM24, dall'Iqbal alla Casa del Popolo di Ponticelli e alle compagne ed i compagni del collettivo Malasorte, che hanno supportato Atlantide per tutta l'attività di service ai concerti.
L'altro elemento caratterizzante è stata la massiccia presenza di giovani compagne e compagni, tanto che chi non lo sapeva non poteva immaginare che si festeggiassero quarant'anni di vita del circolo anarchico ma, forse, un'occupazione appena avvenuta.
Una saldatura fra storia e attualità, fra memoria e voglia di futuro che è il migliore testimone della vitalità delle idee e delle pratiche anarchiche a Bologna.
Quarant'anni e non li dimostra il nostro circolo: già, perché la sua storia è un pezzo della storia del movimento a Bologna e nella sua provincia. Erede della “vecchia” Camera del Lavoro di via Lame, dove prese vita l'Unione Anarchica Italiana nel 1920, dopo la ristrutturazione dei locali nel 1972, sotto la guida attenta di Alfonso “Libero” Fantazzini, è diventato “sede del movimento anarchico internazionale” (come recita lo statuto), nell'ottica di un patrimonio collettivo inalienabile e indivisibile.
Qui, nel corso degli anni, hanno svolto la loro attività innumerevoli compagni e compagne: il gruppo Autogestione, alcuni collettivi studenteschi, il gruppo di Comunismo Libertario, la Federazione Anarchica Bolognese aderente alla FAI, la redazione di “Umanità Nova” tra il 1978 e il 1980, quella de la “Questione Sociale” e del “Cattivo Pensiero”, il collettivo di Aradio Ricerca Aperta, il Telefono Viola, poi più recentemente i collettivi Magma, Antigone, quello del giornale murale “Atemporale Anarchico”, il gruppo serigrafia ecc... Qui hanno suonato e stampato anche gruppi punk come i Raf Punk e i Nabat e uno dei tavolacci che usiamo per le riunioni è stato il loro palco...
Dal 1972 a oggi il circolo continua a ospitare riunioni su riunioni: quelle dei comitati contro il nucleare civile e militare, contro la guerra, la repressione e ancora riunioni del sindacalismo di base, antifasciste, dei migranti. E poi cinema, performances teatrali, musica, laute cene sociali sempre affollate e presentazioni di libri: il circolo Berneri è questo e molto altro. Come abbiamo scritto sul sito (circoloberneri.indivia.net) guardiamo avanti “tutti decisi a metterci del proprio per l'anarchia! Almeno per altri quarant'anni.”

I compagni e le compagne del Circolo Anarchico Berneri
(Bologna)

 


USA/Ancora
Sulle cooperative


Enrico Massetti, nostro collaboratore, residente da anni negli USA, autore per “A” di numerosi articoli e di un dossier a puntate riguardanti le cooperative gestite dai lavoratori attive negli Stati Uniti, ci propone questa volta l'esperienza emblematica di due imprese, sorte rispettivamente a Chicago e Cleveland, attraverso le parole di Gar Alperovitz, professore di Economia Politica presso l'Università del Maryland.

I lavoratori della neonata cooperativa New Era Windows di Chicago, gli stessi lavoratori che hanno scioperato e costretto Energy Serious, i proprietari attuali, a fare marcia indietro nei confronti di una frettolosa chiusura dei loro impianti a Goose Island pochi mesi fa e che hanno occupato la fabbrica per sei giorni nel dicembre 2008, stanno mettendo insieme un piano audace, che potrebbe suscitare l'attenzione nazionale, spronando altri a seguire il loro esempio. Nonostante la brillante partenza, avranno bisogno di tutto l'aiuto che possono ottenere, sia finanziario che politico.
Io sono stato tra gli artefici di un tentativo di fondare un'acciaieria di proprietà dei lavoratori in Youngstown, Ohio, nel tardo 1970: un piano che ha avuto inizio con intenzioni potenti, il sostegno finanziario dell'amministrazione Carter e l'appoggio di leader religiosi e politici, in Ohio e nella nazione. Il piano era in corso, compresa la promessa di 100 milioni di dollari in garanzie sui prestiti dall'amministrazione Carter, fino a che, in qualche modo, coloro che si opponevano al piano sono riusciti a distruggere lo sforzo, e il denaro promesso è scomparso convenientemente subito dopo le elezioni del 1978.
I lavoratori di Chicago hanno una possibilità di successo decisamente maggiore. Hanno le competenze necessarie per gestire un business produttivo. Hanno un buon mercato - una finestra ad alta efficienza energetica è un buon investimento nell'inverno di Chicago e le pesanti, fragili, finestre costruite su misura sono molto meno esposte alla concorrenza globale rispetto ad altri prodotti - inoltre, grazie alla loro lotta ispiratrice per mantenere i propri posti di lavoro, possono contare su un notevole sostegno pubblico. Essi godono anche dell'appoggio del United Electrical workers (UE): un sindacato indipendente e fieramente democratico; e il sostegno del Working World, un'organizzazione non-profit che ha contribuito a concedere centinaia di prestiti alla fiorente rete Argentina, che lega imprese “recuperate” di proprietà dei lavoratori.
Questi ultimi stanno prendendo la situazione molto sul serio: dopo tutto, è il loro mezzo di sussistenza che è in ballo. Nei mesi scorsi, sono stati impegnati nell'acquisizione delle competenze di cui avranno bisogno, non solo per costruire le finestre, ma anche per commercializzare il loro prodotto e garantire e rispettare i contratti. Sono stati racimolati 1000 dollari a testa per acquistare la cooperativa appena formata. E sono stati scoperti aggiornamenti tecnologici - come un progetto di isolamento acustico dell'aeroporto Midway.
Eppure, questo è un business difficile. Se c'è una lezione che è parsa chiara fin dai primi esperimenti di realizzazione di cooperative di proprietà dei lavoratori, è che la costruzione di un potente gruppo di sostegno locale e nazionale, composto da figure pubbliche, organizzazioni non-profit, dirigenti sindacali nazionali e religiosi e altri, possono essere di grande ed inaspettata importanza. Può aiutare a mantenere in vita la storia nei momenti critici, e anche aiutare a creare e sostenere un mercato (le chiese, ad esempio, comprano un sacco di finestre, come fanno molte altre organizzazioni non-profit).
Intanto i lavoratori sono occupati a Chicago con la miriade di attività che gravitano attorno alla raccolta di fondi, negoziando con il loro ex datore di lavoro, Serious Energy, per l'acquisto delle attrezzature dello stabilimento e per il riavvio della produzione (per non parlare di imparare a gestire democraticamente il proprio posto di lavoro!), inoltre costruiscono alleanze locali e nazionali per sostenere il loro lavoro, un compito fondamentale che può essere assunto dagli “alleati”.
Quello che sta succedendo a Chicago fa parte di una tendenza nazionale molto importante; in molte zone del paese si è alla ricerca di soluzioni simili: le cooperative gestite dai lavoratori possono essere interpretate come un modo per favorire il radicamento dei posti di lavoro nelle comunità che ne hanno bisogno.

L'esperienza in Ohio
A Cleveland, per esempio, una fondazione della comunità, con il supporto delle università e degli ospedali locali, contribuisce a creare una rete verde di cooperative di lavoro interconnesse come parte di una strategia di sviluppo economico progettato per aiutare a migliorare i quartieri devastati dalla povertà. Con una lavanderia su scala industriale e un impianto solare e di protezione invernale già operativi, e con una serra urbana di 3,5 ettari il cui lancio è previsto in pochi mesi, il modello di Cleveland è quello che molte altre città, comprese Pittsburgh, Atlanta e Washington DC, stanno oggi attivamente esplorando. Fondamentalmente, il modello sviluppato a Cleveland guarda al di là della singola cooperativa di proprietà dei lavoratori per capire come una comunità sia in grado di sostenere le imprese e i lavoratori che a loro volta la supportano: in questo caso, il potere d'acquisto delle istituzioni più grandi della città, le cosiddette “istituzioni di ancoraggio”, si mobilita per lo sviluppo di posti di lavoro di proprietà dei lavoratori nei quartieri stessi che queste istituzioni chiamano casa.
Inoltre vi è ora una silenziosa tendenza nel movimento sindacale, lontano dal disinteresse in nuove forme di proprietà e verso un aiuto positivo. La United Steelworkers, in collaborazione con Mondragon (la nota Cooperativa che raccoglie di 80˙000 soci nei Paesi Baschi), ha preso l'iniziativa nel proporre e sviluppare “cooperative sindacali”, che combinano proprietà dei lavoratori ed il processo di contrattazione collettiva. Il sindacato Service Employees union (SEIU) ha intrapreso anche alcuni passi interessanti, con il programma di lancio a Pittsburgh, previsto per quest'anno, di una lavanderia di proprietà dei lavoratori e appartenenti al sindacato, e di un partenariato innovativo con Cooperative Home Care Associates di New York City, una cooperativa di assistenza domiciliare, la più grande cooperativa di proprietà dei lavoratori negli Stati Uniti.
Da notare è anche una crescente attenzione tra i sindacati in merito a una forma molto più comune di proprietà dei lavoratori degli Stati Uniti, la proprietà ESOP o piano di azionariato dei dipendenti (che coinvolge 10 milioni di lavoratori): sindacati come la United Food and Commercial Workers (UFCW) stanno assumendo un ruolo forte nel fare sì che gli interessi dei lavoratori siano protetti quando le aziende si convertono in azionariato ESOP di proprietà dei lavoratori.
Lo sforzo dei lavoratori di Chicago è importante, non solo in sé e per sé, ma come faro di speranza e opportunità di diffondere un modello di economia più democratico. È tempo che altri soggetti – individui, gruppi, attivisti, chiese, organizzazioni non-profit – si adoperino per quanto è in loro potere al fine di aiutare e garantire il successo di questa iniziativa.

Gar Alperovitz
traduzione di Enrico Massetti

 


Chiapas/ Una vittoria
A metà


Giovedi 26 luglio 2012, San Cristobal de las Casas

È una vittoria a metà, però è una vittoria di tutti e tutte.

Alberto Patishtan, prigioniero politico emblematico in Messico e fondatore e integrante dell'organizzazione “La voz del Amate” e appartenente all'Otra Campagna, è ritornato in queste ore al Carcere No.5 di San Cristobal (Chiapas), dal quale venne violentemente portato via all'alba del 20 ottobre del 2011, durante uno sciopero della fame che stava portando avanti con i suoi compagni del collettivo “Solidarios de la voz del Amate”. Alla fine il governo ha dovuto accettare la sentenza del giudice del tribunale di Tuxla del 13 luglio 2012 riguardo un ricorso portato avanti dal centro diritti umani Frayba che ha dichiarato inaccettabile il trasferimento di Alberto al carcere di massima sicurezza di Guasave, Sinaloa.
Dopo 9 mesi il professore e compagno Alberto Patishtan torna a condividere la cella, i pasti, le riunioni, le iniziative, l'allegria, i sogni e le speranze di libertà con i suoi compagni di lotta, fra i quali Francisco Santiz Lopez base di appoggio dell'EZLN. Finalmente la sua famiglia non dovrà più percorrere 2200 km per visitarlo. Finalmente anche noi torneremo ad abbracciarlo e ad ascoltare le sue parole sagge e confortanti.
È una vittoria a metà perché Alberto non doveva essere punito con questo trasferimento forzato, organizzato dal governo messicano su richiesta del segretario del governo di Chiapas, Noe Castanon. In più, Alberto non deve stare dietro le sbarre; è un maestro elementare e attivista sociale legato alla sua comunità tzotzil, El Bosque. Là lo stanno aspettando, lo esigono... lo esigiamo.
Per questo il ritorno in Chiapas del Profe Alberto è il risultato di uno sforzo coordinato e globale. Dai famigliari ai compagni/e di molti angoli del pianeta, da diversi gruppi anarchici ad organismi di difesa dei diritti umani del Messico e non solo, includendo tutte le organizzazioni dell'Otra Campagna. Dal suo villaggio natale nella montagna ai quartieri della metropoli di New York, per arrivare simbolicamente in Palestina. Questo dimostra che la giustizia si tesse, si esercita e perfino si impone ai chi comanda con la lotta dal basso.
Con questo vogliamo ringraziare con il cuore in mano e con un po' di commozione a tutte le persone che si sono unite alle campagne per la liberazione del Profe Patishtan e degli altri prigionieri politici. Con la vostra partecipazione abbiamo distrutto un pezzetto di carcere, come hanno suggerito i compagni/e dell'Otra di New York.
La lotta continua, Alberto e i nostri/e compagni/e indigeni/e sono ancora imprigionati nelle carceri in Chiapas e per questo dobbiamo continuare ad organizzarci e coordinarci come abbiamo fatto finora; ancora una volta gridiamo LIBERTÀ IMMEDIATA per:

Alberto Patishtan Gomez, Rosario Diaz Mendez (Voz del Amate)

Francisco Santiz Lopez (membro del EZLN)

Pedro Lopez Jimenez, Alfredo Lopez Jimenez, Rosa Lopez Diaz, Juan Collazo Jimenez, Alejandro Diaz Santiz, Enrique Gomez Hernandez, Juan Diaz Lopez (Solidarios de la Voz del Amate)
Antonio Estrada Estrada, Miguel Vazquez Deara, Manuel Demeza Jimenez (San Sebastian Bachajon)

E per tutti e tutte le prigioniere ed i prigionieri politici del Messico e del mondo.
Abbattere i muri delle prigioni!

Red contra la represion - Chiapas
Grupo de trabajo “No Estamos Todxs”
Espacio de Lucha contra el Olvido y la Represion

per ulteriori info:
http://www.autistici.org/nodosolidale/news_det.php?l=it&id=2194



India
Dopo il blackout


Se il primo blackout del 30 luglio 2012 aveva colpito 300 milioni di persone, con quello del giorno successivo la cifra era raddoppiata. In India le interruzioni di corrente costituiscono un evento quotidiano e gli impianti di grandi dimensioni (ospedali come supermercati) sono equipaggiati con generatori di elettricità alimentati con motori diesel.
Ma questa volta la paralisi è stata senza precedenti. Più di 300 treni rimasti in panne e 300 mila passeggeri bloccati nelle stazioni (dati del quotidiano Times of India). Nel nord-est del paese, 200 minatori sono rimasti segregati per ore nel sottosuolo mentre nei crematori elettrici si allestivano roghi improvvisati per smaltire i cadaveri. In un comunicato della Confindustria indiana si parla di “danni incalcolabili per le industrie costrette a sospendere la produzione”.
Tra le cause, secondo il ministro Sushil Kumar Shinde “gli Stati che hanno superato la loro quantità consentita di approvvigionamento sulla rete”. In particolare l'Uttar Pradesh. In questo periodo, con le temperature che oscillano tra i 35 e i 45 gradi, i consumi di energia aumentano sensibilmente a causa dei condizionatori. Il ritardo dei monsoni ha ulteriormente aggravato la situazione. La produzione di energia idroelettrica è diminuita mentre gli agricoltori, a causa della siccità, ricorrono alle pompe elettriche per estrarre acqua dalle falde freatiche. Dal 2000 al 2010 la produzione industriale dell'India è aumentata di 4 volte, ma la produzione di energia è soltanto raddoppiata ricorrendo alle centrali termiche a carbone e petrolio.
Soltanto quattro anni fa, nel 2008, l'autore di “La speranza indiana” poteva commentare “L'odore dell'India” scritto nel 1961 da Pier Paolo Pasolini con queste parole: “Rileggendolo oggi sembra che parli di un paese africano, immobile e impotente” in cui prevaleva “l'assenza di ogni attendibile speranza”. Invece era bastata soltanto una generazione “per capovolgere tutto”. E dopo questa premessa Federico Rampini si lanciava nell'elogio incondizionato dell'“India di oggi patria di multinazionali come la Infosys che dominano la tecnologia dell'informazione, la creazione di programmi per computer e ogni apparecchio elettronico dell'era digitale, quel software che è la trama invisibile e pervasiva della nostra (il corsivo è mio nda) vita quotidiana, dai gps satellitari ai videotelefonini, dal pilotaggio automatico di un Airbus alla consultazione di Google e Wikipedia, You Tube e MySpace”. Già che c'era, a quella che definiva “la linfa vitale che scorre nelle vene della New India”, avrebbe potuto aggiungere droni e missili teleguidati.
Ma l'India, evidentemente, è anche altro. Nelle pagine successive trapelava qualche disagio per i due terzi di popolazione che vive ancora nelle campagne (più avanti definisce l'India “un paese troppo agricolo”) o per la presenza a fianco di contadini e popolazioni indigene dei “ribelli naxaliti che praticano ancora la lotta armata” (corsivi sempre miei nda). Come a Singur dove la polizia ha massacrato una decina di contadini che protestavano contro un impianto della Tata Motor. En passant segnalo la preferenza di Rampini per l'avverbio (di tempo) “ancora”, utilizzato con valenza negativa.
In un articolo pubblicato su La Repubblica, dopo il recente blackout ha scritto che la spiegazione ufficiale (i monsoni in ritardo e di conseguenza i bacini delle dighe idroelettriche sottoalimentati) “lascia attoniti”. Ma come, si indigna Rampini “una superpotenza economica che è la sede di colossi hi-tech come Infosys e Tata, dipende ancora dai monsoni”. Pare proprio di sì.
Diverso l'approccio dell'analista politico Satya Sivaraman che ha colto l'occasione per criticare il modello di sviluppo indiano. In particolare la liberalizzazione economica avviata agli inizi degli anni ‘90 per opera dell'attuale premier Manmohan Singh (all'epoca ministro delle Finanze). Alla crescita del Pil “ha corrisposto una riduzione del consumo pro-capite di grano”. I dati forniti dall'Oms confermano che “ il 45% degli indiani adulti soffre di malnutrizione” mentre secondo l'Unicef “2 milioni e mezzo di bambini indiani muoiono ogni anno per malattie legate alla mancanza di cibo”. L'attuale crisi immobiliare e il calo della Borsa di Munbai confermerebbero poi che l'impennata degli ultimi due decenni era in gran parte dovuta alla speculazione visto che “il 70% degli scambi avviene su titoli stranieri”.
Volendo trarre una lezione da questi avvenimenti, è chiaro che nel mondo del capitalismo reale, le strutture economiche e finanziarie producono inevitabilmente povertà e sofferenza da qualche parte per produrre ricchezza altrove. Piaccia o non piaccia a Rampini & C.

Gianni Sartori