in direzione
ostinata e contraria 6
Per la stessa ragione del viaggio: viaggiare
Intervista a Santino “Alexian”
Spinelli
di Renzo Sabatini
Rom abruzzese, compositore, musicista, insegnante, poeta,
saggista, studioso di linguistica e musicologia, insegnante
di cultura Romanì all'Università di Trieste, ambasciatore
della cultura Romanì nel mondo...una biografia molto
ricca! Da dove nascono tutte queste tue passioni?
Dalla famiglia di origine. Ho una grande passione per le lingue
ma soprattutto, fin da piccolo, ho avuto una grande passione
per la musica. Questa della musica è una cosa che si
eredita all'interno delle famiglie Rom.
Esistono varie culture e lingue Rom. Chi sono i Rom abbruzzesi?
Noi siamo la prima comunità Rom arrivata in Italia, alla
fine del 1300, quindi la nostra comunità è in
Italia da molti secoli, ma la lingua Romanì non ha nulla
a che vedere né con il rumeno né con le lingue
romanze, né tantomeno con il romanesco! È una
lingua che deriva dal sanscrito e che si è arricchita
nei secoli con le lingue dei paesi che abbiamo attraversato
e dei popoli con cui siamo entrati in contatto. I Rom, suddivisi
in cinque grandi gruppi e innumerevoli comunità, provengono
dall'India del nord e attraverso la Persia, l'Armenia e l'Impero
Bizantino sono arrivati in Europa. I Rom abruzzesi in particolare
sono approdati all'epoca sulle coste di quelle regioni oggi
conosciute come Abruzzo e Molise.
Fabrizio De André nel 1996 ha pubblicato Khorakhané,
una canzone interamente dedicata al popolo Rom, con una poesia
finale in Romanì. Tu ne hai curata una bellissima versione
in Romanì abruzzese, ci puoi raccontare come nasce questo
progetto?
Mi è stato proposto dalla rivista anarchica e ho accettato
molto volentieri, essendo De André uno strenuo difensore
della nostra cultura e soprattutto dei diritti umani del nostro
popolo, purtroppo ancora oggi vittima di una serie infinita
di discriminazioni. Khorakhané in realtà è
il nome di un sottogruppo, una comunità particolare di
Rom, che pratica la religione musulmana. Io ho visto come molto
significativo il sottotitolo della canzone: “a forza di
essere vento”, che sottolinea come De André avesse
capito perfettamente che i Rom non sono nomadi per cultura ma
piuttosto itineranti coatti; un sottotitolo con cui voleva,
secondo me, allo stesso tempo, sottolineare lo stereotipo romantico
che avvolge da sempre il nostro mondo, sottolineare quindi il
fatto che i Rom, in realtà, non sono assolutamente conosciuti
per quello che sono veramente.
Questa canzone non voleva essere soltanto un omaggio ma anche
un veicolo di conoscenza, un ponte per oltrepassare l'ostacolo
del pregiudizio e far conoscere meglio la nostra realtà
culturale. Quindi, da parte mia, nel momento in cui mi è
stata offerta la possibilità di lavorare su Khorakhané
grazie a questa rivista che aveva proposto a una trentina di
gruppi di nicchia di fare un omaggio a De André, ho accettato
volentieri. Dal Romanes harvado della poesia ho curato una versione
in Romanes italiano, ovviamente con una interpretazione assolutamente
originale, consona alla tradizione dei Rom italiani.
La sensibilità:
dei Rom italiani
La canzone rappresenta i tratti essenziali della cultura
e storia dei Rom. È come se in poche righe fossero condensati
decine di libri. In effetti prima di lavorare al testo della
canzone De André ha voluto studiare tutto il materiale
disponibile. Pensi che abbia colto nel segno? Anche se non era
un Rom trovi che abbia parlato in maniera corretta del tuo popolo?
Assolutamente sì, perché ha capito, ripeto, che
i Rom non sono nomadi per cultura ma itineranti coatti, eterni
perseguitati, costantemente discriminati. Per questo il sottotitolo
è per me così importante, perché noi siamo
definiti spesso, romanticamente: “i figli del vento”
e in realtà con questo romanticismo si sono istituzionalizzate
in Italia la segregazione razziale e la discriminazione. I campi
nomadi sono una realtà orrenda del nostro mondo, rappresentano
una forma di segregazione razziale e di apartheid di casa nostra
e attraverso questa canzone De Andrè denuncia questo,
fin dal titolo.
Quindi a tuo parere i Rom sono essenzialmente un popolo discriminato?
Certamente. I Rom rappresentano la minoranza etnica più
diffusa in Europa e, secondo le ricerche della Commissione della
Comunità Europea, è anche la minoranza che subisce,
nel continente, le maggiori discriminazioni. I Rom subiscono
ancora oggi la violazione dei diritti più elementari
e l'Italia purtroppo si trova al primo posto per ciò
che riguarda la discriminazione nei nostri confronti.
Per la poesia che chiude la canzone De André si è
servito della collaborazione di Giorgio Bezzecchi, un Rom harvado.
Tu per fare la tua versione hai avuto modo di confrontarti con
lui?
No, io sono andato direttamente alla musica di De André
e Fossati e ho lavorato su quella, facendo però una versione
assolutamente originale, cercando di mettere in risalto la sensibilità
dei Rom italiani, senza però nulla togliere al valore
semantico, alla bellezza di questa poesia e alla bellezza della
musica. Perché la musica, nella sua semplicità,
è fortemente evocativa e carica di pathos, e questo va
a merito di De André e Fossati per la loro straordinaria
sensibilità. Insomma il brano è di per sé
già bellissimo, io non ho fatto altro che dare una mia
interpretazione.
Bezzecchi ha scritto che: “Khorakhané è
in fondo una canzone sulla libertà conquistata attraverso
l'emarginazione”. Condividi questa affermazione?
Si, la condivido, anche se a me interessa maggiormente sottolineare
l'aspetto della denuncia sociale da parte di De André.
Certo, comunque sicuramente la canzone esalta la libertà.
La libertà ad esempio di avere una identità che
sia ben chiara, al di là delle discriminazioni e delle
politiche di assimilazione. La popolazione Romanì è
rimasta sé stessa nel tempo e nello spazio senza aver
mai fatto guerra a nessuno, senza aver mai avuto un esercito,
senza mai aver attuato alcuna forma di terrorismo. Questa senz'altro
è anche l'essenza di questa canzone.
Ma allora secondo te il popolo Rom per essere libero, per
rivendicare questa libertà deve per forza anche accettare
l'emarginazione?
Assolutamente no, anzi, al contrario! La popolazione Romanì
che si trova in Italia è generalmente composta da cittadini
italiani e non deve essere discriminata, perché questo
ce lo dice la Costituzione. Non possiamo accettare che ci siano
cittadini di serie A e cittadini di serie B. Cittadini che hanno
diritti ed altri che non li hanno. I diritti elementari: scolarizzazione,
lavoro, casa, assistenza sanitaria, sono diritti inalienabili.
Invece nel caso dei Rom questi diritti elementari, che conferiscono
cittadinanza, vengono violati quotidianamente. Questo è
non solo ingiusto ma anche anticostituzionale, perché
stiamo parlando di cittadini italiani. Quindi, per quanto riguarda
la libertà, si tratta di essere cittadini soggetti di
diritti e questa è la vera libertà che i Rom devono
ancora conquistare sul suolo italiano.
Nella tournée di “Anime Salve” De André
presentava Khorakhané parlando a lungo degli “zingari”.
La sua riflessione lo portava a chiedere, per gli zingari, il
premio Nobel per la pace perché, come hai appena sottolineato
anche tu: “girano il mondo da duemila anni senza armi”.
Questa è una bella provocazione rispetto ai tanti italiani
che gli zingari invece li considerano addirittura pericolosi.
Qual è stata la tua reazione a questo atteggiamento di
De André?
Secondo me ha colto l'essenza, ha capito fino in fondo la nostra
cultura e l'ha difesa a spada tratta. L'errore però è
definirci: “zingari”, noi non siamo zingari, siamo
Rom. Zingaro è offensivo ed è un eteronimo, non
è la maniera in cui definiamo noi stessi, è la
maniera in cui i gagé, i non Rom, ci definiscono,
spregiativamente. Anche questo concetto quindi va superato.
Ribellione
e richiesta di aiuto
Penso che De André usasse il termine: “zingari”
a mo' di provocazione e anche per maggiore chiarezza. Visto
che al termine è associato il disprezzo generale dire:
“Nobel per la pace agli zingari” è certamente
più forte, come provocazione, che dire “Nobel ai
Rom”.
Si, ne sono convinto anch'io. Lui utilizzava il termine a mo'
di provocazione ma sapeva perfettamente che noi siamo Rom. Però
per me è importante chiarire, per chi ci ascolta, per
coloro che non conoscono profondamente la nostra realtà
culturale ma ci conoscono solo attraverso il filtro di stereotipi
negativi che spesso allontanano, spingono a non manifestare
neanche l'interesse nei nostri confronti. Così succede,
da una parte, che un enorme patrimonio culturale e artistico
non viene valorizzato e dall'altra che dei semplici fatti sociali
vengono addirittura elevati a modelli culturali, per cui l'errore
del singolo porta inevitabilmente alla condanna di tutte la
comunità, che sono invece tante e molto diversificate
fra loro.
Eppure i Rom, nonostante la discriminazione in Europa, hanno
contribuito a crearla, l'Europa! Pensiamo alla cultura musicale:
nel periodo romantico, nel momento in cui si sviluppa il concetto
di “nazione”, in cui si parla di fattori locali
e di radici culturali, in quella fase i Rom hanno dato un contributo
enorme ai grandi compositori. Listz, Brahms, Schubert, Granado,
Debussy, Mussowski, Stravinskij, Chaikovski, Dvorak, Bela Bartok:
tutti si sono ispirati alla nostra musica. Fino ad arrivare
ad oggi. Pensiamo a Goran Bregovic: che operazione ha fatto?
Ha preso a piene mani dalla musica dei Rom in macedonia, ma
poi per quanto riguarda i diritti di autore risulta che questa
musica è sua! La stessa cosa che ha fatto Brahms con
le danze ungheresi o Listz con le rapsodie ungheresi.
I Rom poi hanno arricchito l'Europa portando strumenti fondamentali.
Anzitutto il “cimbalom”, introdotto in Europa ad
immagine e somiglianza del “Santur” indiano. Dal
cimbalom ungherese e rumeno nacque il clavicembalo, da cui poi,
per altre vie, nacque il pianoforte. Quindi lo strumento dei
Rom è stato l'antenato del pianoforte e questo ben pochi
lo sanno! Così come nei territori balcanici i Rom hanno
introdotto la “zurna”, uno strumento a doppia ancia
dal quale in Europa derivano due strumenti, uno colto e l'altro
popolare: l'oboe, che si suona nelle orchestre sinfoniche e,
nel sud dell'Italia, la ciaramella, che è uno strumento
conico di forma allungata a doppia ancia.
Ma tornando a questa idea di De André, il premio Nobel
per la pace ai Rom. Tu come reagisci?
I Rom hanno risposto alle discriminazioni con un atteggiamento
di passività che voleva essere una forma di ribellione
e una pacifica richiesta di aiuto. Hanno utilizzato forme di
resistenza passiva analoghe a quelle adottate da Ghandi secoli
dopo. Credo sia molto significativo avere un popolo che non
ha mai usato le armi in un'Europa in cui l'etnocentrismo ha
causato danni incalcolabili. De André aveva capito perfettamente
il nostro spirito e la qualità, la carica emotiva della
nostra musica, il coinvolgimento fisico della nostra ritmica.
Aveva capito perché aveva studiato i Rom e in questa
canzone, Khorakhané, aveva riassunto tutta la sua esperienza,
la sua profonda conoscenza di un mondo che ancora, a molti,
appare sconosciuto, negativo, degradato, perché in realtà
non lo conoscono.
Insomma, sul Nobel non ti sei sbilanciato! Con la frase:
“i soldati prendevano tutti e tutti buttavano via”,
De André nella sua canzone affronta anche il tema delle
persecuzioni subite dai Rom...
Certo. I Rom e i Sinti sono stati barbaramente massacrati durante
la seconda guerra mondiale. Oltre mezzo milione di Rom e Sinti
trucidati, seviziati, usati come cavie per gli esperimenti,
depredati dei loro averi: oro, terre, case e soldi mai restituiti.
E su questo, da subito c'è stata una rimozione: nessun
Rom o Sinto è stato chiamato a Norimberga a denunciare
i propri carnefici. Quindi questo genocidio, nella storia, è
stato totalmente rimosso. Ancora oggi l'Europa deve un riconoscimento,
dal punto di vista morale, psicologico, culturale e storico,
perché oggi, quando si celebra la giornata della memoria,
si celebra una giornata mutilata, offensiva e discriminante,
perché si ricorda soltanto una parte delle vittime, non
tutte. Quindi i Rom sono vittime discriminate anche nel ricordo.
Infatti lo sterminio nazista delle popolazioni Rom è
un capitolo della storia poco noto e poco studiato sia in Italia
che altrove...
Sì, però bisogna dire che all'estero se ne parla
molto di più che in Italia. In Germania per esempio ci
sono stati anche dei risarcimenti, esiste un museo dell'Olocausto
Rom, vengono promosse delle iniziative importanti. Ne cito una
per fare un esempio: nel 2008, di fronte al Parlamento tedesco
che nel 1933 Hitler fece bruciare, dove già c'è
un monumento che ricorda lo sterminio degli ebrei, sorgerà
un monumento enorme, anche molto bello (ho visto il progetto),
dedicato a Rom e Sinti. Tra l'altro sul monumento apparirà
proprio una mia poesia, Auschwitz, che sarà illuminata
ventiquattro ore su ventiquattro.
Fabrizio,
un precursore
La canzone riassume i tratti essenziali della cultura e
della storia dei Rom. Paolo Finzi, anarchico e amico di Fabrizio,
ci raccontava che prima di scriverla De André aveva studiato
tutto il materiale disponibile. Secondo te De André ha
colto nel segno? Ha parlato correttamente del tuo popolo, pur
senza essere lui stesso Rom? Ha colto l'essenza?
Certo. Io penso che sia straordinario come De André abbia
sintetizzato in una sola canzone, in poche righe, tutto il mondo
Rom. Ha fatto una sintesi che solo un genio artistico poteva
fare in quel modo. Per questo ho cantato questo brano con una
particolare dedizione e con tanta attenzione, perché
era importante sottolineare tutto quello che lui aveva scritto
cercando però di dare al pezzo l'anima Romanì.
Ecco questo è stato il mio contributo: ho cercato di
dare a questo pezzo un'emotività tipicamente Romanì.
Tu dicevi che i Rom sono spesso conosciuti solo attraverso
gli stereotipi, magari ammantati di romanticismo. Con Khorakhané
invece De André ci ha avvicinato al popolo Rom così
com'è, in carne ed ossa. Mi piacerebbe sapere se questa
canzone si è fatta strada anche nel popolo Rom. Se è
conosciuta, apprezzata, se la gente è stata contenta,
se si è sentita magari, per una volta, ben rappresentata.
Come no, certamente. Ovviamente, fra i Rom, gli intellettuali,
quelli con un grado di istruzione più elevato, hanno
capito meglio, hanno potuto cogliere la profondità, la
valorizzazione del mondo Rom che c'è dietro questa canzone.
Altri invece magari hanno apprezzato soprattutto la musica,
perché la musica già di per sé è
un linguaggio, che arriva al cuore prima che alla mente. Per
cui molti Rom e Sinti apprezzano tantissimo questo brano. Ma
del resto molti Rom e Sinti appezzano proprio l'artista De André
in maniera particolare, anche al di là di questo brano.
Parlando invece degli “altri”, dei non Rom, De
André ha raccontato che questo testo ha sollevato qualche
malumore. Aveva anche ricevuto qualche lettera di protesta,
come del resto c'era da aspettarsi.
Tu hai avuto la sensazione che comunque la canzone sia servita,
che sia arrivata al cuore di qualcuno, che magari prima aveva
un atteggiamento negativo e che poi, a partire da una riflessione
su Khorakhané, abbia cominciato a porsi in modo nuovo
nei confronti dei Rom?
Ma io direi che la canzone in realtà rappesenta un pezzo,
una testimonianza di un movimento in atto in Italia, un movimento
di opinione che coinvolge in qualche misura il mondo Rom e Sinto
che per ora, in questo paese, è ancora segregato e discriminato.
Forse De André di questo movimento è stato proprio
un precursore, gli ha dato l'input, perché ha scritto
questa canzone quando questo movimento ancora non esisteva.
Quindi io gli riconoscerei questo grandissimo merito: come in
tanti altri casi, come per tante altre sue canzoni, lui è
stato un precursore. E il genio è anche questo: il saper
cogliere prima degli altri determinati aspetti della nostra
società, del mondo, della stessa città in cui
viviamo. Lui, da questo punto di vista, è stato sicuramente
un precursore.
In questa canzone c'è anche la gioia di stare assieme,
divertirsi, fare festa. C'è una strofa che, non a caso,
viene subito dopo quella sulle persecuzioni, come se il momento
della festa fosse anche un momento di riconciliazione con la
vita, con il mondo e con gli altri.
Infatti qui Fabrizio ha colto perfettamente questo aspetto della
nostra cultura. Se da una parte ci sono le discriminazioni,
le persecuzioni, dall'altra esce fuori l'aspetto reale dei Rom,
l'essenza, il carattere brioso, allegro, di persone che, in
qualsiasi condizione, riescono a sorridere alla vita. Laddove
altre persone, nelle stesse condizioni, finirebbero per cadere
in depressione o fare scelte estreme, come il suicidio, i Rom,
invece, comunque sorridono alla vita non ostante tutto. Credo
che questo aspetto abbia colpito profondamente De André
e quella strofa della canzone ce lo fa capire. Lì lui
ha colto la baldanza, l'allegria, la voglia di vivere di un
popolo che non si è mai rassegnato. Del resto persino
ad Auschwitz i bambini Rom, fino all'ultimo giorno, fino all'ultimo
respiro, hanno sempre mostrato la loro voglia di vivere. Questa
è una cosa che tanti, molti ebrei, molti sopravvissuti,
hanno sottolineato: erano proprio i Rom che ad Auschwitz riuscivano
a dare una dimensione un po' più umana del lager, di
quel campo di orrore e morte.
La canzone parla di Rom senza avanzare giudizi, com'era nello
stile di De André. C'è però un passaggio
particolarmente coraggioso che mi piace sottolineare: quando
parla delle “spose bambine” che vanno a “caritare”.
Qui non solo non si avanzano giudizi ma si invitano gli ascoltatori
alla cautela nell'esprimerli perché: “Se questo
vuol dire rubare, lo può dire soltanto chi sa di raccogliere
in bocca il punto di vista di Dio”.
Su questo tema poi De André nei concerti diceva; “certo
gli zingari rubano, ma non ho mai sentito dire che abbiano rubato
tramite banca”. Ancora una volta c'è un bel ribaltamento
della morale comune.
Beh, De André sapeva già ed aveva capito perfettamente
che rubare per sopravvivere è ben diverso dal rubare
per arricchirsi. Rubare del resto non è per i Rom un
fatto culturale, come molti credono, infatti i Rom fra di loro
non si rubano né si chiedono l'elemosina. Quindi bisogna
dare il giusto valore alle cose, capirle, conoscerle profondamente.
I Rom, quando venivano fatti oggetto di violenza, nel corso
dei secoli, non volendo né potendo controbattere con
altrettanta violenza o con la guerra, si sono ripiegati su atteggiamenti
solo apparentemente umili, come la mendicità.
Ma la mendicità in realtà è una forma di
resistenza passiva e di ribellione pacifica e questo De André
l'aveva capito. Perché il fatto di dire, provocatoriamente,
che i Rom rubano... ed è vero che molti rubano, certo,
non tutti, perché anche qui generalizzare è assurdo,
perché ci sono Rom medici, ingegneri, docenti universitari,
artisti, vigili urbani, ci sono tanti Rom impegnati nei mestieri
più vari quindi, ovviamente, quando si parla dei Rom
che rubano, esce fuori uno stereotipo, per cui i Rom così
vengono generalmente definiti come criminali e questo è
profondamente ingiusto. È altrettanto vero che discriminazione
e degrado portano inevitabilmente all'illegalità. Però,
non ostante tutto, i Rom anche nell'illegalità si sono
sempre limitati a cose tutto sommato futili, quelle necessarie
alla sopravvivenza. Non si sono arricchiti tramite le banche,
appunto. Quindi sono altri i veri criminali a mio avviso. Quelli
che rubano per arricchirsi e per detenere un potere soggiogando
le masse.
Il concetto
di multiculturalità
Nelle canzoni degli anni Sessanta De André invitava
alla compassione e alla pietà. Invece negli anni Novanta
con Khorakhané, parlando dei Rom, che la società
considera un problema, lui li considera portatori di valori.
In un'intervista aveva detto che: “gli zingari custodiscono
una tradizione che rappresenta la cultura più vera e
semplice dell'uomo” e che: “potrebbero insegnarci
un cammino più umano e più spirituale per un futuro
migliore”. Tu la condividi un'affermazione di questo genere?
Sì, perché la società Romanì è
una società semplice, precapitalistica, basata sui concetti
di dare, avere e ricambiare. Il tutto regolato dalla morale
di “fortuna / sfortuna”, e dal concetto di “puro
e impuro”, laddove al concetto di puro si collegano parole
e comportamenti che danno al soggetto onorabilità e rispetto
e al concetto di impuro tutto il contrario. Questo è
il mondo Rom, che evidentemente De André aveva capito
nella sua essenza.
Nel documentario “Faber” di Bigoni e Giuffrida
c'è un'intervista a Giorgio Bezzecchi che tra l'altro
dice che De André anche se era un “Gagé”
in fondo, spiritualmente, era un Rom. Cosa voleva dire? Cosa
si può cogliere in De André che lo faccia sentire
così vicino alla tua gente?
La solidarietà umana! La sua solidarietà con il
popolo Rom. Lui aveva capito la discriminazione, l'ingiustizia,
il fatto che questo popolo è imbavagliato, senza diritto
di espressione, in un'epoca in cui la diversità ancora
non era un valore ma qualcosa da eliminare.
Oggi il concetto di multiculturalità è entrato
a far parte del nostro vocabolario quotidiano ma ancora è
di là da venire una vera società multiculturale,
che abbia una vera base interculturale; cioè una società
in cui non basti la conoscenza ma dove ci sia anche la capacità
di viverla un'altra cultura. Oggi noi siamo preparati ad accogliere
l'altro come noi stessi? Siamo incuriositi? Abbiamo la capacità
di valorizzare l'altro per quello che è e non per quello
che noi vorremmo che fosse? Questi sono i quesiti che De André
ha posto e ancora non ci sono delle risposte.
All'inizio di questa serie radiofonica abbiamo intervistato
lo scrittore Stefano Benni, il quale tra l'altro ci ha raccontato
di aver avuto una nonna Rom. Lui sostiene che queste canzoni,
proprio perché raccontano senza giudicare, sono un antidoto
contro ogni razzismo.
Tu pensi che una canzone possa davvero combattere pregiudizio,
razzismo, addirittura aiutare concretamente un popolo discriminato?
Certamente sì, la canzone può essere parte di
un percorso di formazione. La canzone arriva al cuore, prima
che alla mente, parla alla parte più intima dell'essere
umano, dialoga, e può davvero svelare delle verità
a persone che non conoscono. Spesso la disinformazione impedisce
il dialogo, impedisce il confronto costruttivo, la conoscenza.
Nella ricerca della verità una canzone sicuramente aiuta.
Pensiamo al successo straordinario che ha avuto questa canzone
di De André: ha formato, incentivato, stimolato la curiosità
nei confronti dei Rom e questo, sicuramente, è un grandissimo
merito.
Proprio da questo punto di vista De André è stato
un Rom e non un Gagé. Ha fatto ancor prima di me ciò
che io sto facendo per la mia gente, che è il tentativo
di valorizzare un enorme patrimonio culturale che è patrimonio
dell'intera umanità. Perché la lingua, la cultura,
la storia dei Rom appartengono all'umanità tutta e se
un domani dovessero scomparire l'umanità intera ne sarebbe
impoverita. Bisogna allontanare lo spettro dell'appiattimento
del genere umano e questo è il valore profondo del canto
impegnato di De André: evviva la diversità! Evviva
l'essere individuo nella sua essenzialità, nella sua
ricchezza, nella sua complessità, nella sua pienezza.
Questo è il valore profondo della testimonianza di De
André e Khorakhané lo rivela chiaramente.
La salute
e la fortuna
Oltre a De André ci sono stati altri artisti Gagé
che hanno cantato dei Rom? E se sì, lo hanno fatto in
maniera corretta e utile o restiamo nel campo degli stereotipi?
Pochi, però in genere siamo ancora nel campo dello stereotipo:
“Ho visto anche degli zingari felici”...
è bello sì, però nessuno vuole essere discriminato.
Bisogna stare attenti, perché è un po' come l'olocausto:
il termine è sbagliato, perché nessuno voleva
morire. Non è che ci si volesse immolare per qualcosa.
Bisognerebbe parlare di genocidio. E allo stesso modo, non è
che i Rom cerchino la discriminazione, l'emarginazione: i Rom
sono discriminati dal sistema. Ma non c'è nessuno a cui
piace vivere nel fango, o senza diritti. Quelli che vengono
a fare oggi in Italia i “nomadi”, ieri nella ex
Jugoslavia o in Romania avevano tutti le loro case!
Noi Rom italiani abbiamo le case, non da adesso, da secoli!
È la disinformazione dilagante che vuole vedermi per
forza o criminale, da una parte, oppure, dall'altra, il rovescio
della medaglia, vuole vedermi in quell'idea romantica del Rom
libero, che sta al di fuori delle istituzioni... tutte queste
stupidaggini! In realtà la cosa più difficile
da far capire all'opinione pubblica è che i Rom sono
esseri umani normalissimi e che come tutti gli esseri umani
vogliono avere rispetto, diritti, vogliono vivere in pace con
tutti. Questo ci racconta la storia secolare dei Rom, all'eterna
ricerca di uno spazio vitale e invece costretti ad essere eterni
migranti, perché scacciati da una parte e dall'altra
dell'Europa, perché non protetti dalla politica, perché
non rappresentati nelle istituzioni.
È facile prendersela con chi non può reagire!
Ho visto delle trasmissioni televisive che sono veramente dei
crimini contro l'umanità! Trasmissioni dove viene presentato
il popolo Rom senza dare l'opportunità di esprimersi,
dove quindi viene influenzata l'opinione pubblica che diventa
una vittima di questo sistema. È chiaro che poi diventa
molto difficile rivendicare i propri diritti! Certi servizi
giornalistici, certi articoli, sono, assieme ai campi nomadi,
dei crimini contro l'umanità.
Quindi la disinformazione è uno dei problemi maggiori
che dovete affrontare?
I Rom non hanno spazio nei mass media, ma non è solo
questo. Non c'è ad esempio una valorizzazione dal punto
di vista artistico-culturale. La musica che faccio io è
presente in Italia da oltre sei secoli. Chi la conosce? E questo
ti fa capire. Se provi a chiedere a un laureato di indicare
un solo nome di un artista Rom, di citare una poesia Rom, ti
risponderà che non ne conosce. Il livello di ignoranza
è altissimo nei confronti dei Rom. Ecco perché
poi gli stessi intellettuali non esprimono solidarietà.
È questa la differenza di De André: ha mostrato
solidarietà. Uno fra i primissimi e uno fra i pochissimi
intellettuali e artisti italiani che abbia mostrato solidarietà
umana nei confronti delle popolazioni Romanì indifese
e discriminate. È questo il fatto straordinario. Per
questo per noi Rom De André è un alfiere d'amore
e di pace. Io se avessi potuto incontrarlo gli avrei stretto
semplicemente la mano e lo avrei salutato fraternamente alla
maniera Rom: (pronuncia una frase in lingua Romanì)...
Noi allora ti salutiamo con le stesse parole, anche se non
saprei proprio pronunciarle...
(ridendo) ...il saluto lo estendo fraternamente a tutti gli
ascoltatori. Queste parole significano letteralmente: “Che
possiate essere sani e fortunati”. Perché la salute
e la fortuna sono due elementi importanti nella cultura Romanì.
Nel mondo Rom stare bene e non incappare in qualcosa di negativo,
per una società fortemente oppressa come quella Rom,
è l'augurio più grande e più profondo che
si possa esprimere nei confronti di un congiunto. Io lo esprimo
altrettanto fraternamente alla famiglia di De André,
alla sua memoria e a tutti quelli che ci stanno ascoltando.
Vi abbraccio forte e spero che questa musica di cui De André
si è fatto alfiere sia sempre più conosciuta,
apprezzata e valorizzata.
Renzo Sabatini
(intervista realizzata via telefono nell'aprile
2007. Registrata presso gli studi di Rete Italia – Melbourne.
Andata in onda nell'ambito della trasmissione radiofonica settimanale:
“In Direzione Ostinata e contraria”, dedicata ai
personaggi delle canzoni di Fabrizio De André)
In
direzione ostinata e contraria
Con
questa intervista a Santino “Alexian” Spinelli,
prosegue la pubblicazione su “A” di una parte
significativa delle 27 interviste radiofoniche realizzate
da Renzo Sabatini e andate in onda in
Australia nel programma “In direzione ostinata e
contraria” sulle frequenze di Rete Italia fra il
maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si è
trattato di sessanta puntate (ciascuna della durata di
circa quaranta minuti, per un totale di quasi 40 ore di
trasmissioni), nel corso delle quali sono state trasmesse
le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni di Fabrizio
De André. Si tratta dunque della più lunga
e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al cantautore
genovese.
Se proponiamo questi testi,
è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio
e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio
e voce ne hanno poco o niente nella “cultura”
ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del
cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio
e poste alla base di una riflessione critica sul mondo
e sulla società, con quello sguardo profondo e
illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con
una profonda sensibilità libertaria e – scusate
la rima – sempre in direzione ostinata e contraria.
Precedenti interviste
pubblicate: a Piero
Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla
Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora
Marcasciano (“A” 372, maggio 2012), Franco
Grillini (“A” 373, estate 2012), Massimo
(“A” 374, ottobre 2012).
la redazione di “A” |
Santino
Spinelli
in
arte Alexian, nasce a Pietrasanta (Lu) nel 1964.
È musicista, cantautore, insegnante, poeta e saggista.
Ha due lauree: una in Lingue e letterature straniere e
l'altra in Musicologia, entrambe conseguite presso l'Università
degli Studi di Bologna.
Attualmente vive a Lanciano, in Abruzzo. Insegna Lingua
e cultura romaní presso l'Università di
Chieti e con il suo gruppo, l'Alexian group, tiene
numerosi concerti di musica romaní in Italia e
all'estero.
Tra i suoi numerosi lavori discografici ricordiamo:
Romano Thèm - Orizzonti Rom (CNI - Compagnia
Nuove Indie, 2007)
Andrè mirò Romano Gi, viaggio nella mia
anima Rom (Ass. Thèm Romanó e Provincia
dell'Aquila)
Romano Drom - Carovana romaní (Ethnoword,
Milano, 2002)
Dromos (Associazione Dromos, 2001)
Segnaliamo inoltre alcuni lavori di natura letteraria
e saggistica:
Princkarang - Conosciamoci, incontro con la tradizione
dei Rom Abruzzesi (Editrice Italica, Pescara, 1994)
Baxtaló Divès (Collezione Interface,
Centro di Ricerche zingare dell'Università di Parigi,
Consiglio d'Europa, 2002)
Baro Romano Drom - la Lunga strada dei Rom, Sinti,
Kalé, Manouches e Romanichals (Meltemi editore,
Roma, 2003)
Per
chi volesse approfondire la conoscenza con Santino Spinelli:
e-mail: spithrom@webzone.it
– telefono: 0872.66.00.99
sito ufficiale: www.alexian.it.
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