lettere
Dalla
parte di chi lotta e non s'inchina
Attenzione! Attenzione!
Questo, a distanza di 100 giorni dal mio arresto, è un
piccolo contributo che voglio dare per mettere in guardia voi
tutte e tutti.
1) Se per caso avete lampadari in casa, funzionanti con lampadine,
fate attenzione, potreste pentirvene. Ma se proprio non potete
farne a meno di averne qualcuno, non tenete in casa altre lampadine,
oltre quelle già inserite negli appositi lampadari. Quando
si fulmineranno, vagherete nel buio e solo allora potrete averne
di nuove. Assicurandovi però di buttare quelle rotte,
perché anche esse, come fatto notare dagli acutissimi
Ros e Pm, sono un ottimo mezzo per costruire bombe.
2) Se ritenete opportuno abbellire la vostra presenza fisica
con orecchini, badate bene a non acquistarli, qualora siano
di rame. E se per caso un amico o amica ve ne voglia regalare
un paio, separatevene senza indugi, perché sono armi
pericolosissime.
3) Se non avete la maniacale abitudine di dare un posto ad ogni
cosa, ma siete disordinati e tendete ad avere una improvvisata
scatola degli attrezzi, dove tenete fra l'altro chiodi e pinzette
per fermare i fogli, che dirvi? Evidentemente siete pericolosi
terroristi, pronti a preparare bombe in ogni minuto.
4) Se vi capita di avere in casa mollette per i panni, non di
plastica, bensì di legno, inceneritele, bruciatele, spargete
le loro ceneri ai quattro venti. Non avete idea di cosa si nasconda
dietro di loro.
A voler essere seria, tutta questa trafila di piccoli, ma non
poco importanti avvertimenti, servono perché la notte
in cui mi hanno arrestata hanno trovato nella casa dove vivo
con il mio compagno (e dove non mi trovavo) lampadine di riserva,
orecchini di rame, chiodi, ferma fogli e una molletta di legno.
Il tutto è stato messo insieme, fotografato e sistemato
da loro stessi in modo tale da farlo sembrare un assemblaggio
di oggetti per preparare ordigni esplosivi. Così, infatti,
il materiale sequestrato è stato presentato dai Ros e
dalla Pm durante l'udienza del riesame.
Non parliamo ovviamente del fatto che, non avendo trovato alcun
materiale cartaceo che descrivesse come si preparino tali bombe,
sia stato da loro detto, evidentemente grandi conoscitori della
mia persona, che non ce ne era bisogno, “perché
era tutto nella mia mente, nella mia salda memoria!” Ogni
commento è superfluo, vero?
Vorrei aggiungere un ultimo punto della lista, seppur a prima
vista possa sembrare poco inerente ai precedenti:
5) Se questo mondo vi fa schifo; se ripudiate guerra, sfruttamento
e devastazione; se non avete mai avuto il timore di dirlo; se
non avete mai abbassato la testa pensando “non ci posso
fare niente”; se ci avete sempre messo la faccia; se avete
chiara la coscienza di chi sono i responsabili delle vite terribili
che conduciamo; se siete convinte che la società in cui
viviamo sia lobotomizzata; se non riuscite a guardare una gabbia
con indifferenza; se il cuore vi si chiude, il sangue vi pulsa,
la vista si annebbia al pensiero di una donna, di un uomo o
di un animale rinchiuso, beh, prima o poi, come dice una donna
rinchiusa qui con me “ti devi fare la galera”.
E se questo mio essere, questa Giulia che sto scoprendo forte,
dignitosa, ancora più ferma e convinta delle sue idee
e sprezzante dell'annichilimento in cui chi mi ha rinchiusa
vorrebbe gettarmi; se questo mio essere loro lo vogliono etichettare
come pericoloso, che costruisce bombe, che partecipa ad associazioni
sovversive (magari affiliate alla fai-informale, nonostante
qualunque cosa io abbia mai fatto, detto o pensato, non possa
in alcun modo far pensare ad una mia benché minima adesione
o partecipazione) volte a terrorizzare e seminare il panico
fra la gente, beh, io non glielo permetto e rimando tutto al
mittente.
Terrorista è chi rinchiude, chi manganella, chi devasta.
E allora, parafrasando una canzone, che tremino i potenti di
fronte agli animi fieri di tutte queste “terroriste”,
che non hanno paura di lottare contro tutto ciò che realmente
genera e rinvigorisce il terrore, la discriminazione, la diseguaglianza,
la devastazione, lo sfruttamento.
Che tremino, che abbiano paura! La loro vera paura è
che sanno che qualsiasi gabbia mi metteranno intorno, che sia
cella, che sia lavoro, che sia diffamazione, che sia isolamento,
niente mi toglierà la voglia di romperla e di continuare
a guardare il mondo con gli occhi lucidi, aspri, vitali e liberi.
Che si arrovellino pure il cervello per trovare maglie migliori
per le mie catene, io sarò più forte. Perché
ho in me una coscienza, una consapevolezza di quello che sono,
che non intaccheranno mai.
Che si specializzino nell'arte sopraffina (vera arte dei nostri
tempi) del reinventare un significato per le parole, laddove
guerra diventa missione di pace; laddove le bombe sono intelligenti
e non pericolose e gli orecchini di rame e le lampadine pericolosi
esplosivi; laddove il terrorismo non è quello di chi
rinchiude, uccide, reprime ma quello di chi critica tutto ciò;
laddove la devastazione si chiama civilizzazione, progresso
o ricchezza; laddove il non accettare lo status quo dell'ingiustizia
è sinonimo di pericolosità sociale; laddove gli
immigrati carcerati si chiamano ospiti.
Le mie parole non hanno il peso della storia dei nostri tempi,
della rabbia, dell'insolenza, della voglia di abbattere tutta
la crudeltà, la ferocia della gabbia che rinchiude la
vita di tutti noi, fuori e dentro le galere, schiavi di una
vita che non vogliamo, di un mondo che cade a pezzi e che chiama
i suoi residui progresso.
Dalla parte di chi lotta, di chi non si inchina.
Le bombe e il terrore li semina lo Stato, il Potere e la nostra
santa Democrazia.
Per la libertà di tutte e tutti.
Una donna libera.
Giulia Marziale
Carcere Rebibbia – femminile
via Bartolo Longo, 92
00156 Roma
Elezioni regionali siciliane/Voto a perdere
Di questi tempi, parlare male delle istituzioni sembra quasi
un inutile accanimento.
E se al centro della riflessione ci sono le Regioni, si rischia
davvero di cadere nella banalità.
Ci basterebbe parlare della Regione Lazio, di Fiorito e dei
festini pagati dai contribuenti. Ci basterebbe parlare della
Regione Lombardia, di Formigoni e degli intrallazzi con la 'Ndrangheta.
Ci basterebbe parlare della corruzione che, da Nord a Sud, rimane
la cifra costante della politica italiana.
E poi, rimanendo sul piano locale, non faremmo davvero fatica
a elencare alcuni degli innumerevoli esempi di inefficienze,
sprechi e privilegi che caratterizzano la classe dirigente siciliana.
Per non parlare poi delle compenetrazioni strutturali tra politica
e mafia; dell'insopportabile arroganza di chi occupa posti di
governo e sottogoverno in Sicilia ottenuti anche grazie al clientelismo;
degli effetti nefasti prodotti dall'Assemblea Regionale Siciliana
sulla pelle di questa terra martoriata.
Adesso i siciliani sono chiamati alle urne per il rinnovo dell'Assemblea
Regionale Siciliana..
Tutti i candidati dicono di essere “perbene”. C'è
chi promette di liberarci. Altri ancora promettono addirittura
la rivoluzione. E ci sono persino quelli che fino a ieri mandavano
'affanculo il sistema, e oggi chiedono il voto per il loro partito.
Tutti, però, sono inquieti. C'è qualcosa che gli
agita il sonno. Sembra che i politicanti di ogni colore abbiano
paura di una cosa soltanto: l'astensionismo.
I sondaggi più recenti hanno rilevato che quasi la metà
degli elettori siciliani non andranno a votare e non si presteranno
così al rituale, ipocrita e farsesco, delle elezioni
regionali. Per correre ai ripari, i politici fanno appello al
senso di responsabilità di ciascuno, mettendo in guardia
dai pericoli della cosiddetta antipolitica, ricattando moralmente
ogni elettore perché colpevole, in caso di astensione,
di favorire inevitabilmente gli avversari. Quello che temono,
in realtà, è la delegittimazione del loro ruolo
e del loro potere.
Da anarchici, la cosa non può che farci piacere, ma dobbiamo
essere chiari.
Se questo nutrito “partito dell'astensione” fosse
animato da una volontà anche solo vagamente simile alla
nostra, saremmo praticamente a un passo dalla rivoluzione sociale.
Purtroppo, non è così.
Come abbiamo avuto modo di ribadire in più occasioni,
l'astensionismo al quale noi facciamo appello presuppone un
radicale cambiamento nel modo di intendere l'azione politica:
non più la delega alle istituzioni e ai loro “specialisti”,
ma l'azione diretta da parte degli individui e delle comunità
che si autogovernano.
Il nostro astensionismo è coerente con una critica radicale
e intransigente a tutti i meccanismi di potere, i quali sono
- di per sé - impossibili da riformare o migliorare “dall'interno”.
In parole povere, se si decide di giocare al tavolo delle istituzioni,
bisognerà accettarne le regole, l'ingiustizia, la disumanità.
Ecco perché, se davvero si vuole trasformare realmente
la società in direzione dell'uguaglianza e della libertà,
non bisogna più sedersi al tavolo delle istituzioni nel
vano tentativo di giocare lealmente una partita già truccata.
Anche se l'astensionismo è un primo, importante passo,
non ci si può fermare al pur comprensibile disgusto per
le campagne elettorali e per i candidati che ci ossessionano
con la loro invadenza e la loro retorica.
Bisogna fare qualcosa di più: discutere con chi ci sta
accanto, nelle scuole, nei posti di lavoro, nei quartieri; confrontarci
su cosa davvero serve per gestire le nostre vite senza chiedere
niente a nessuno. E poi autorganizzarsi, cominciare a costruire
spazi di libertà e di autonomia, dal basso e in maniera
solidale.
Solo così l'astensionismo può caricarsi di un
significato più profondo e duraturo, solo così
non avremo più bisogno di politicanti, di burocrati,
e delle loro insopportabili campagne elettorali.
Gruppo Anarchico “Andrea
Salsedo”
Trapani
Il
sapore dell'utopia
Nella prima edizione delle memorie di Umberto Tommasini
c'è una foto del corteo funebre che lo accompagna al
cimitero di Vivaro, in un giorno da canicola agostana. Mi vedo
nelle prime file, con la bandiera rossa e nera, dopo lo striscione
iniziale. Sono passati trentadue anni.
Ora mi si chiede un contributo sull'importanza della cultura
materiale nei ricordi di Umberto. Quali sono le idee che ci
nutrono e qual è l'importanza di quel nodo dove si aggrovigliano
idee, azione, esperienza e materialità della vita? Non
si può immaginare la libertà senza libertà
d'immaginazione, scrivevamo sui muri qualche anno dopo, all'inizio
della dittatura mediatica, ma non si può immaginare nemmeno
la vera fame senza averla provata, e di conseguenza provare
la gioia del cibo che ci ristora. In cento anni il mondo è
cambiato evolvendosi, involvendosi, annodandosi, sperandosi
e disperandosi. Ideologie, movimenti, guerre, rivoluzioni, repressioni,
rivolte...
Per rimanere all'Europa e al piano delle culture materiali,
nei centosedici anni che separano la nascita di Umberto a oggi,
si è passati dalla fame nera all'abbondanza e allo spreco,
e – per le classi danarose dei ladri legali – addirittura
agli eccessi da basso impero decadente e opulento, con cene
da 400 euro a testa e con assurde proposte di abbinamento tra
ricette fantasiose e acque minerali provenienti da tutto il
mondo! Proprio nello stesso momento in cui – a causa dei
disastri ambientali – nel mondo iniziano le guerre per
l'acqua, per la sopravvivenza. Contraddizioni e differenze che
gridano vendetta. Ora con la crisi si riaffaccia di nuovo lo
spettro della fame anche nei paesi “sviluppati”.
Eppure noi difficilmente riusciamo a immaginare quel che significa
miseria e fame nera, quella provata dai nostri nonni o bisnonni,
quella provata da Umberto.
Nel libro ci sono dei passaggi commoventi con ricordi puntualissimi
dei cibi consumati in particolari occasioni. L'esperienza unica
e una fame singolare moltiplicano l'attenzione percettiva e
la memoria. È necessario pensare alle condizioni materiali
ed economiche dei periodi storici del Novecento, altrimenti
leggendo le memorie di Umberto si rischia di stravolgerne il
senso.
Durante il confino all'isola di Ponza, degli antifascisti si
organizzano in maniera spontanea e naturale in mense, secondo
tradizioni gastronomiche regionali. Quando arrivano i caporioni
del partito comunista, le mense vengono invece suddivise per
appartenenza ideologica. È uno dei momenti in cui Umberto
si scontra con l'aspetto egemonico e settario partitico nella
pratica delle cose. Non rivendica alcuna comunanza identitaria
e geografica ma una semplice abitudinarietà, il fatto
stesso che siamo abituati a mangiare i frutti della terra dei
luoghi vissuti e le ricette derivate dalla trasformazione di
questi frutti, e questa trasformazione è il risultato
di esperienze, gesti, affetti che ci consolano con ricordi “proustiani”.
Che non sono nostalgia e rivendicazione identitaria ma sono
solo il fatto che siamo un concentrato di contraddizioni e tensioni
tra ciò che vogliamo essere e ciò che abbiamo
vissuto.
Tant'è vero che quando Umberto arriva in Spagna durante
la rivoluzione, secondo quanto riportato da Paolo Gobetti in
una video-intervista, a emergere è la felicità
per la gratuità del cibo, lo stravolgimento dei rapporti
di produzione è l'appagamento di un desiderio rivoluzionario.
Altro che la cucina molecolare dell'odierno chef catalano alla
moda! è l'aroma dell'utopia che si respira, è
il sapore della libertà. La cognizione del gusto, i percetti
e gli affetti diventano rivoluzionari. La via libertaria è
dunque atto di resistenza contro la distruzione dei sapori,
contro l'annichilimento dei saperi ma anche contro la deprivazione
sensoriale che ci porta all'ottundimento della nostra facoltà
di udire, di vedere, di tastare, di gustare e di annusare...
e quindi di pensare.
L'insensatezza deriva dai rapporti di produzione, ossia dalle
modalità con le quali gli uomini producono e si relazionano
tra di loro. È allora il caso di domandarsi: che tipo
di sensorialità sviluppano o inibiscono i rapporti di
produzione? In che modo e perché le relazioni sociali
sono insensate – si producono nell'inibizione della sfera
sensoriale o nell'indifferenza verso di essa?
Noi non possiamo immaginare cosa ha provato Umberto nel gustare
quei pasti gratuiti, durante quel frammento di utopia realizzata,
ma oggi come allora, questa consapevolezza ci pone corpo a corpo,
senza alcuna possibilità di mediazione, in una battaglia
che diventerà cruciale nei prossimi decenni. Sarà
cruciale per le sorti del pianeta e per la possibilità
che continui a esistere una sensibilità planetaria. Occorre
avere coscienza che siamo ai limiti dell'irreversibilità
dell'insensatezza globale. Proprio per questo è necessario
il rifiuto di produrre e di consumare l'infelicità del
mondo, ma anche di ogni localismo politico e identitario. Il
locale che si contrappone al globale non è nient'altro
che il suo gemello stupido, rancoroso e noioso. Basta guardarsi
sotto i piedi, l'uomo non ha radici e se fosse identico a ciò
da cui origina avrebbe ben poco da gloriarsene. Uno dei limiti
del movimento anti-globalizzazione è stata la pretesa
di modificare le regole del potere politico attraverso l'uso
della rappresentanza politica. Da questa ossessione per la rappresentanza
deriva il suo eccessivo carico simbolico e la sua forte spettacolarizzazione.
La sensibilità libertaria rifiuta questa contrapposizione
speculare. La sensibilità planetaria non propugna un'altra
globalizzazione, ma cerca una via di fuga sia dal localismo
sia dalla globalizzazione. Il localismo è nemico della
sensibilità planetaria. La globalizzazione la distrugge.
Fuori tema. Materialità della vita e dell'esperienza.
Pensiero e azione. Ho visto Umberto di persona solo una volta,
ma dopo il funerale mi è capitato più volte, da
solo o con compagni e amici, di passare a salutarlo con un fiore,
attraversando il paesaggio lunare dei magredi che da Rauscedo
porta a Vivaro. Ho riletto il libro di Tommasini di recente.
La foto che lo vede ritratto accanto a Pannella, durante un
comizio di una marcia antimilitarista nel 1973, mi ha ricordato
un fatto raccontatomi da un compagno. Durante un contraddittorio
Umberto disse al leader radicale pressappoco queste parole:
“Diventerai un servo dei padroni e dello Stato”.
Non si trattava di una profezia, ma di una motivata analisi
politica che dimostrava che dalle posizioni “liberali”
di Pannella, mancanti di una visione politica più complessa
del potere, non si poteva che arrivare – prima o dopo
– a diventare ciò che Pannella è diventato.
È stato così, lo possiamo constatare. Guarda caso
quelli erano gli anni in cui Pierpaolo Pasolini, intellettuale
osannato ancora oggi da destra e da sinistra, manda ai Radicali
un augurio, pieno di elogi e di adesione, per un Congresso.
Il critico della “mutazione antropologica” degli
italiani e della fobia dell'omologazione ebbe anche delle idee
interessanti, inutile negarlo, ma fu anche difensore degli sbirri
di Valle Giulia nel '68 e assunse altre ambigue posizioni. Non
fosse stato assassinato nel 1975, forse lo avremo ritrovato
nel 2011 a fianco della sua amica Oriana Fallaci nell'odio razzista.
Da lì si arriva a lì. Come aveva intuito Tommasini
a proposito di Pannella: da lì si arriva a lì.
La lettera ai Radicali di Pasolini è tanto bella formalmente
(ricordate “subito i grandi successi: e continuare imperterriti,
ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi
col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare”) ingenua
dal punto di vista politico. Umberto era un rivoluzionario senza
le nostalgie e le ingenuità politiche di Pasolini, forse
la sua cultura non era quella del poeta di Casarsa, ma portava
dentro di sé il seme delle idee libertarie (“portiamo
un mondo nuovo nei nostri cuori”, diceva Durruti), forgiate
nella materialità dell'esperienza, che gli impedirono
di prendere le posizioni di Pannella e di Pasolini. Se dovessi
scegliere tra i tre... ho già scelto. Grazie Umberto!
Marc Tibaldi
Lecce
Per
un antispecismo libertario
È più probabile che riusciamo a persuadere
gli altri a condividere il nostro atteggiamento se temperiamo
i nostri ideali con il buon senso, che non se ci battiamo per
un genere di purezza più appropriato a una legge alimentare
religiosa che a un movimento etico e politico.
(Peter Singer – Liberazione
Animale)
Sempre più frequentemente da vegani inorriditi dall'olocausto
animale, ci sentiamo a dir poco in forte imbarazzo di fronte
ad atteggiamenti d'intolleranza, accuse senza possibilità
d'appello addirittura verso vegetariani, ad opera di non pochi
animalisti. In effetti potremmo citare decine di aneddoti: pazze
che non comprendono come una vegetariana possa convivere con
un onnivoro, cinquantenni, sessantenni, settantenni neo-convertiti
che salgono e risalgono sul pulpito per arringare chiunque gli
capiti a tiro, vegetariani insultati durante conferenze informative
pro vegan rei di comprare uova biologiche al mercato del proprio
paese.
Lo ripetiamo, siamo coscienti della tragica situazione in cui
riversano gli animali non umani nella nostra società,
e facciamo del nostro meglio per non prender parte e quando
possibile combattere le principali forme di sfruttamento animale;
ma non siamo affatto convinti che l'intolleranza, gli atteggiamenti
da integralisti, il trasformare ogni persona in un miscredente
da indottrinare, servano effettivamente alla causa animalista.
Fin da “Liberazione Animale” del 1975, Peter Singer,
probabilmente uno dei più celebri esponenti del movimento,
ci ha messo in guardia dalle degenerazioni irrazionaliste: “Io
non credo che la coerenza si identifichi con, o abbia come conseguenza,
una rigida insistenza su criteri di assoluta purezza in tutto
ciò che si consuma o si indossa [...] Anche per quanto
riguarda la dieta, è più importante ricordare
gli obiettivi principali che non preoccuparsi di dettagli quali
la questione se il dolce che vi viene offerto a una festa sia
stato preparato con un uovo di allevamento intensivo”1
L'integralismo in ambito animalista è stato più
volte stigmatizzato anche da Tom Regan, altro celebre esponente
del movimento. In “Gabbie Vuote” scrive di
conoscere attivisti per i diritti animali tanto moraleggianti
dal preferire cambiar strada piuttosto che avere a che fare
con loro2. Anche noi, come abbiamo
già detto, ne conosciamo.
Nato come ampliamento, universalizzazione dell'etica antropocentrica
oltre i confini della specie, il movimento antispecista rivela
in non pochi dei suoi membri molte di quelle pratiche autoritarie
e liberticide che vorrebbe radicalmente combattere. In effetti,
anche se, come movimento radicale di liberazione, l'antispecismo
incarna la consapevolezza che ogni processo di emancipazione
sociale non può rimanere rinchiuso negli angusti ambiti
dell'antropocentrismo, siamo d'accordo con Andrea Papi, che
la trasformazione, in breve tempo, del movimento libertario
in movimento antispecista sia auspicabile ma tutt'altro che
scontata.3 Soprattutto, al di
là degli attivisti e dei militanti, la trasformazione
rivoluzionaria della società in direzione di un antispecismo
libertario è un processo a dir poco complicato, reso
ancor più difficile dal fatto che non è assolutamente
vero che i principi dell'umanismo anarchico possano essere aproblematicamente
ampliati in direzione antispecista.
Senza dubbio, e lo dimostrano molti articoli pubblicati sulla
rivista di critica antispecista “Liberazioni”, nonché
il fitto dibattito sull'antispecismo in ambito anarchico, è
possibile che i movimenti libertari evolvano verso l'antispecismo,
ma si devono evitare semplificazioni e non nascondersi le non
poche difficoltà.
Ad esempio, quanti all'interno del movimento antispecista farebbero
o fanno proprio lo slogan anarchico (qui parafrasato): l'antispecismo
o sarà libertario o non sarà? Quanti, pur pronti
ad usare tutta la violenza necessaria per distruggere ogni struttura
di dominio, sarebbero poi in grado di mettere in pratica la
celebre frase di Malatesta, che neppure il bene può essere
legittimamente imposto con la violenza4?
Il problema è che l'innesto dell' antispecismo sul tronco
della tradizione anarchica (o viceversa) non è affatto
un'operazione scontata. Apparentemente, come dicevamo prima,
l'antispecismo potrebbe essere interpretato come un ampliamento,
un'universalizzazione degli storici movimenti di liberazione
umani, come l'antirazzismo o il femminismo; ma, come Peter Singer
rileva, il movimento di liberazione animale ha tra i suoi principali
handicap “il fatto che quasi tutti gli appartenenti al
gruppo oppressore sono direttamente coinvolti nell'oppressione”
.
In effetti oggi la specie umana è nella sua stragrande
maggioranza specista (in Italia, ad esempio, i vegani sono lo
0,6 per cento della popolazione!). Questo significa che l'antispecismo
oltre a implicare il superamento dall'antropocentrismo (già
implicito di per sé nella tradizionale prospettiva atea
dell'anarchismo) implica, secondo alcuni, anche l'abbandono
dell'umanismo5. è quest'ultimo
congedo in effetti, oltre a portare l'animalismo antispecista
“all'isolamento dal resto dei movimenti progressisti,
che spesso sfocia in posizioni politiche reazionarie”6,
a rendere tutt'altro che banale l'incontro con il movimento
anarchico e libertario, movimento che, come scriveva ancora
Malatesta, fa della libertà il proprio metodo7.
In effetti bisogna tener presente che la libertà tematizzata
dagli anarchici è sempre stata libertà strettamente
umana, affrontata in tutte le sue inevitabili implicazioni specifiche.
Partendo da queste osservazioni, ci domandiamo tutt'altro che
in maniera retorica, in che modo il movimento di liberazione
animale può far propria la “libertà come
metodo”, centrale nel pensiero e nella pratica anarchica?
A una domanda come questa, oggi, è molto difficile offrire
risposte condivisibili, evitando di ricadere in quelle pratiche
autoritarie che si spera di combattere.
Vi è poi da considerare che i movimenti libertari hanno
sempre fatto proprio come minimo un individualismo metodologico
tutt'altro che condiviso, però, in ambito antispecista8.
Quindi, come può essere ripensato il concetto di individuo,
di interessi individuali, di rispetto delle scelte del singolo
nella sua specificità in una prospettiva che vada oltre
la specie?
Peter Singer evidenzia poi un ulteriore problema1.
La liberazione animale non potrà certamente avvenire
tramite la lotta degli oppressi. Non sarà attraverso
la loro capacità di ribellione, che gli animali non umani
riusciranno a liberarsi dall'oppressione, ma sarà tramite
l'aiuto degli ex-oppressori. Il processo della liberazione animale
non potrà avvenire in alcun modo tramite quelle pratiche
di autoorganizzazione che gli anarchici considerano quasi come
l'anticipazione stessa dell'anarchia. Il movimento antispecista,
per questi aspetti, può rischiare di prendere strade
ben lontane dalle pratiche anarchiche, o anche solo democratico
popolari. E' probabilmente molto più compatibile con
tutte quelle impostazioni politiche di derivazione platonica,
e quindi elitarie, secondo cui i sapienti, (ovvero le avanguardie,
il partito, i tecnici, gli illuminati di ogni ordine e grado)
sono chiamati dalla repubblica ideale a governare il volgo e
a liberarlo dall'ignoranza e dal male. Il movimento antispecista
(anche se in teoria, e noi ovviamente ce lo auguriamo, potrebbe
essere una sorta di movimento libertario al quadrato, che fa
propria la concezione che non si dovrebbe aspirare a prendere
e a esercitare il potere, quanto piuttosto a dissolverlo) rischia
di non essere affatto immune, complice il suo elitarismo antiumanista,
da derive antipopolari e autoritarie.
Il problema quindi della possibilità dell'affermarsi
di un antispecismo libertario è un problema complicato,
reso ancora più complicato dal fatto che ogni articolazione
del discorso in direzione “umanista” può
facilmente venir ricondotta a pregiudizio “specista”,
come atto di colpevole giustificazionismo nei confronti dell'ideologia
del dominio, di tolleranza nei confronti degli autori e di tutti
gli umani complici dell'olocausto a cui gli altri animali sono
quotidianamente sottoposti.
In ogni caso ( sperando di non venir additati come “collaborazionisti”,
ma ce ne faremo una ragione...) rimane la nostra speranza che
“vegano” non diventi sinonimo di “talebano”
ovvero che l'antispecismo (è effettivamente già
preoccupante doverlo sottolineare) o sarà libertario
o non sarà.
Luca Cartolari
Sara Vittone
Perosa Canavese (TO)
Note
- Peter Singer - “Liberazione Animale”
– 1975 – Il Saggiatore Tascabili - 2009
- Tom Regan – “Gabbie Vuote, la sfida
dei diritti animali” – 2004 – Edizioni Sonda
– 2009
- Si vedano gli interventi di Troglodita Tribe e
di Andrea Papi, sui numeri 367, 368, 370, 371 di “A rivista
anarchica”
- Errico Malatesta – “Un lavoro lungo
e paziente...”, secondo volume delle Opere complete a
cura di Davide Turcato – La Fiaccola, Zero in condotta
- Oltre la Specie - “Al di là dell'umanismo:
l'orizzonte inesplorato dell ‘in-umano” - Pubblicato
su “Liberazioni Rivista di critica antispecista”
n.8 2012
- Massimo Filippi - “Antispecismi” -
Pubblicato su “Liberazioni Rivista di critica antispecista”
n.10 2012
- Davide Turcato – Leggere Malatesta –
Edizioni Bruno Alpini - 2010
- Aldo Sottofattori - “Martin Balluch e la
lotta per la liberazione animale” - Pubblicato su “Liberazioni
Rivista di critica antispecista” n.8 2012.
A Pino
Giuseppe Pinelli
nato a Milano
il 21 ottobre 1928
ammazzato a Milano
la notte del
15 dicembre 1969
Caro Pino,
Caro compagno d'ideali libertari,
Oggi, 21 ottobre nella ricorrenza dei tuoi natali
Ti devo un pensiero.
Un pensiero lungo oltre quarant'anni
Per un'epoca breve ma intensa
Di lotte e di azioni per diffondere
L'Idea d'Anarchia, Idea d'Amore e di Pace.
Epoca chiusa dai malvagi in una fredda notte di Dicembre.
Quel 15 Dicembre che ha appesantito le nostre menti
E svuotato i nostri cuori: il mio e quelli dei compagni
tutti
Del Circolo Ponte della Ghisolfa.
Per noi non era mancato un “militante”
ma un Fratello;
Per questo io amo ricordare i Tuoi 41 anni di allora
e non oltre.
Il tempo che ne segue è accompagnato
Dal buio di quella notte, da quella sottile nebbia
Che ha ammantato una Milano ferita dall'atrocità
Commessa in quella Banca di Piazza Fontana.
Un lungo abbraccio dal Tuo.
Ivan Guarnieri
Milano |
Libertà
per i gatti detenuti
Non è un mistero che la liberazione sia un percorso lungo
e difficile, che ci sia da combattere con muri e gabbie di ogni
genere, ma se c'è un fatto evidente, inossidabile, senza
il quale questo percorso non è neppure iniziato, è
proprio la facoltà di riuscire ad immaginare questa liberazione,
la facoltà di reputarla possibile, realistica, attuabile.
Chi considera la libertà una mera utopia, chi pensa all'anarchia
come ad un fatto puramente teorico che non trova certo posto
nella propria vita quotidiana, che non è neppure ipotizzabile
in questo contesto storico, ha perso, ovviamente, ogni possibilità
di liberarsi.
Franco, un anarchico che conoscemmo in un paesino ligure nei
pressi di Seborga, una volta ci disse: “Io all'anarchia
ci credo davvero. Sono davvero convinto che la possiamo realizzare,
ma non in un futuro lontano, la possiamo realizzare nel giro
di poco tempo. Se non ci credessi non sarei anarchico.”
Ed è vero, verissimo. Come si fa a credere in qualcosa
che si ritiene irrealizzabile? Nel momento in cui lo ritieni
irrealizzabile, illusorio, impossibile, hai già smesso
di crederci.
L'immaginario umano, però, in moltissimi casi, è
talmente domato e addomesticato da non riuscire più neppure
ad immaginare realizzabile non solo la propria liberazione personale
(così connessa a quella collettiva), ma il concetto stesso
di libertà.
Leggo da un blog di “esperti” di gatti e resto allibito:
la libertàdel gatto è un concetto romantico
ed attraente, ma, in pratica, il sistema piùsicuro per
abbreviarne l'esistenza, sempre che non sia possibile liberarlo
in un luogo assolutamente sicuro, come un cortile o un giardino
chiuso da ogni parte da muri sufficientemente alti, infatti,
le reti sono scavalcate facilmente e basta un albero a “portata
di zampa” e l'evasione è certa.
Evidentemente neppure la caparbia insistenza del gatto nel ricercare
la sua libertà è sufficiente per far comprendere
i suoi desideri, le sue intenzioni, la sua volontà. Togliere
la libertà a qualcuno “per il suo bene” significa
considerarlo, a tutti gli effetti, un incapace, un essere che
non è neppure in grado di vivere a suo modo. Succede
nei manicomi, succede con ogni forma di proibizionismo, succede
quando si pretende che i nomadi non possano spostarsi come meglio
desiderano, succede in tutte le forme di “educazione”
repressiva e violenta. Succede perché chi è differente,
chi si scosta dalle direttive indicate dal dominio, chi agisce
e dimostra la propria libertà deve essere ricondotto
sulla retta via, ad ogni costo.
Lo sciopero selvaggio è un gatto nero
Il gatto nero è un simbolo utilizzato dai movimenti
anarchici a causa della sua indipendenza, della sua irriducibile
propensione alla libertà.
Il gatto nero anarchico si chiama, genericamente, Wild Cat
(gatto selvatico). È un gatto nero (molti lo intendono
come una gatta nera, però) in posizione di allerta e
di combattimento, con la schiena inarcata; una raffigurazione
ripresa in maniera esatta dall'atteggiamento di ogni gatto che
si predispone alla lotta. Tra gli anarchici è però
noto come Sab Cat o Sabo Tabby: questo il nome che gli (le)
diedero gli Industrial Workers of the World. “Gatto Sabotatore”,
o “Sabomicio”. Non poteva essere altro che nero
(nera): fin dal 1880 circa il colore nero è associato
all'anarchismo, e in particolare all'anarcosindacalismo. Una
caratteristica che si è mantenuta nella denominazione
inglese per lo “sciopero selvaggio”, vale a dire
quello intrapreso spontaneamente dai lavoratori senza nessuna
“concertazione” con i sindacati ufficiali e senza
preavviso: Wildcat strike. In inglese, le azioni di sciopero
diretto, non mediato e a oltranza sono lo sciopero del gatto
selvatico – naturalmente nero.
Rinchiudere un gatto in una gabbia, però, è un
ulteriore simbolo, è la negazione della libertà,
è la repressone dell'indole libertaria che incarna.
Un gatto ha bisogno di un territorio di diversi chilometri che
esplora quotidianamente, marcando il terreno, appostandosi di
vedetta in luoghi strategici, combattendo per difenderlo. La
vita di un gatto si realizza esclusivamente in condizioni di
libertà. In una gabbia o in un appartamento potrà
sopravvivere, certo, proprio come un umano potrà sopravvivere
dentro una cella, o costretto ad un lavoro stressante che odia,
che lo reprime, che lo porta inevitabilmente alla nevrosi e
alla malattia.
Ma se non si riesce più a concepire la libertà
per le specie non umane, che sono libere per antonomasia, che
fondano la loro intera esistenza sulla libertà, se vogliamo
rinchiudere anche loro, come possiamo sperare di liberare noi
stessi?
Ma del resto si tratta dell'ennesima conferma di quanto la liberazione
umana sia legata indissolubilmente alla liberazione animale.
Chi non è libero, chi ci ha già rinunciato e ti
ride alle spalle, vuole rinchiudere tutti gli altri. Rinchiuso
in gabbie mentali, rinchiuderà gli animali in gabbie
di ferro.
Chi non riesce neppure ad immaginare un mondo di libertà,
lotterà inevitabilmente per un mondo fatto di muri e
di gabbie. Un mondo a sua immagine e somiglianza. Un mondo che
gli dia l'illusione di sentirsi al sicuro e al riparo dai rischi,
dai pericoli, dagli incidenti, dalle malattie, dalla crisi.
Un mondo dove di libertà si parla solo sui libri e sulle
riviste.
Tutto questo ci mostra quanto il dominio di una razza, di un
genere, di un esercito o di una specie sulle altre non sia soltanto
causata dal desiderio di soddisfare i propri interessi a scapito
di quelli altrui, ma anche dalla paura e dalla rassegnazione.
Chi viene dominato quotidianamente (al lavoro, in famiglia,
all'università…) è una vittima che non
potrà fare a meno di replicare e favorire la catena del
dominio.
I contadini, sfruttati e angariati dai proprietari terrieri,
sfruttavano donne e animali. I militari di leva, sfruttati e
dominati dai superiori, tendevano a sfruttare e dominare i nuovi
arrivati creando nuove gerarchie.
La catena del dominio tende inesorabilmente a replicarsi. Chi
tenta di spezzarne una maglia, quando non viene soppresso, deve
essere per forza relegato nel mito di una teoria irrealizzabile.
Chi è stato domato non riesce più a sopportare
la vista della libertà. La libertà vissuta, per
chi è rassegnato, risulta una luce fastidiosa e abbagliante.
Allargare le percezioni
La vista di un gatto libero infastidisce alcuni “protezionisti”
proprio come tanti anni fa la vista di un giovane hippy infastidiva
la benpensante borghesia. La vista di un gatto libero, senza
futuro, senza alcuna sicurezza, scatena quel finto amore che
spinge a rinchiuderlo per prolungargli la vita.
Ma un gatto libero non è un'anima in pena alla ricerca
di un padrone che lo accudisca. In realtà il gatto non
è mai randagio, ma sceglie una zona che reputa adatta
per la sua sopravvivenza e, nonostante i lunghi vagabondaggi,
torna sempre nella sua zona. Quando il territorio è particolarmente
promettente si possono formare, in maniera del tutto spontanea,
delle colonie feline: vere e proprie comunità di gatti
liberi. Ed è proprio in questo contesto che è
possibile, casomai, aiutare e curare i gatti senza imprigionarli.
Ma come si fa per i gatti che vivono da sempre in un appartamento
di città? Come è possibile liberarli se si abita
al settimo piano di un palazzo nel pieno centro di una metropoli?
Di certo non è un'impresa semplice.
Tanto per cominciare occorrerebbe realizzare che questo gatto
ha comunque un gran bisogno di riacquistare la sua libertà,
di assaporarla, di viverla, proprio come chi ha scelto la sua
compagnia.
Ed è proprio osservando il gatto che questa persona potrebbe
acquisire la reale consapevolezza di quanto la libertà
sia indispensabile per una vita degna di questo nome. L'attenta
e paziente osservazione del gatto, in effetti, ci pone nella
mirabile situazione di allargare le nostre percezioni, di entrare
finalmente in sintonia con il gatto nero dell'anarchia che mai
si rassegna e mai smette di lottare per la sua libertà.
E allora, questa persona, potrebbe cominciare a portare se stesso
e il gatto in situazioni di libertà, che siano per entrambi
possibili e vivibili. Dovrebbe industriarsi per guarire e lasciare
andare la paura che lo sta trattenendo, per abbandonare la sua
stessa cella che rende impossibile la libertà al gatto,
e trovare una sistemazione in cui un umano e un animale possano
convivere senza costringersi, senza rinchiudersi, senza rinunciare
a tutte le potenzialità dei loro corpi e delle loro menti.
Certo, la mancanza di denaro e la mancanza di quell'illusoria
sicurezza che imprigiona quotidianamente la maggior parte di
noi umani, potrebbero essere degli ostacoli non indifferenti,
ma superare questi subdoli condizionamenti è oramai il
minimo che possiamo fare, se ancora abbiamo il coraggio e l'ardire
di pronunciare la parola libertà.
Entrare in sintonia con questo spirito felino e ribelle mostrerà
con chiarezza un nuovo atteggiamento di apertura convincendoci
definitivamente che chi condivide una gabbia con un altro essere,
invece di trattenere il suo compagno, dovrebbe architettare
insieme a lui un piano di fuga.
Per farla breve, occorrerebbe essere così pazzi da cambiare
casa e vita per il proprio gatto (che ovviamente non è
di nessuno se non di se stesso). Perché il significato
di voler bene a un gatto che vive rinchiuso può essere
identificato solo nell'aiutarlo a ritrovare il senso della sua
vita, che è la libertà.
E poi, riuscendo in questa mirabile impresa, avrete dato un
senso anche alla vostra di vita. Avrete aiutato davvero una
persona che amate, il gatto, ritrovando insieme a lui la vostra
libertà.
Troglodita Tribe
Serrapetrona (MC)
Il
trasferimento degli uomini-ombra
Nel carcere di Spoleto, nella sezione AS 1, si era formato un
gruppo di uomini ombra (così ci chiamiamo fra di
noi ergastolani ostativi) che con dibattiti, articoli
e inviti al mondo esterno, lottavano pacificamente per
l'abolizione della “Pena di Morte Viva” (così
chiamiamo l'ergastolo ostativo, quello senza nessuna possibilità
di liberazione).
Avevamo assiduamente incontri con la società esterna,
locale e nazionale.
Commovente il colloquio collettivo con la scrittrice Benedetta
Tobagi, che ha avuto il padre ammazzato dalle brigate rosse.
Affettuosi gli incontri con la Comunità Papa Giovanni
XXIII e con il Prof. di Filosofia Giuseppe Ferraro, dell'Università
Federico II di Napoli.
Costruttive le visite del Senatore Francesco Ferrante, dell'Onorevole
Rita Bernardini, dell'ex Senatore Giovanni Russo Spena, degli
operai di Pomigliano e di tanti altri.
Bellissime le visite d'intere scolaresche delle scuole superiori
e degli studenti universitari con gli uomini ombra.
Molte le iniziative intraprese da parte degli uomini ombra per
sensibilizzare l'opinione pubblica, la più importante
è l'attuale petizione “FIRMA CONTRO L'ERGASTOLO”
sul sito www.carmelomusumeci.com,
che ad oggi ha superato le quindicimila firme e che sta
avendo adesioni come Stefano Rodotà, Umberto Veronesi,
Luigi Ferraioli, Don Luigi Ciotti, Erri De Luca, Margherita
Hack, Agnese Moro, Bianca Berlinguer, Giuliano Amato, e molti
altri.
Con il nostro pacifico, costruttivo attivismo non pensavamo
di dare fastidio a nessuno, ma un bel giorno inspiegabilmente,
senza sapere il perché, come sacchi di patate ci prendono
e ci sparpagliano in molte carceri d'Italia, molte addirittura
in Sardegna: percorsi rieducativi interrotti, legami tagliati,
colloqui coi familiari resi ancor più difficili, percorsi
scolastici bruscamente interrotti.
Oggi ho potuto finalmente scoprire la verità sulla diaspora
degli uomini ombra leggendo la bellissima lettera,
pubblicata su “Il Manifesto” dell'19 ottobre 2012,
del coraggioso direttore aggiunto del carcere di Spoleto, Giacobbe
Pantaleone:
(...) non è da escludere che il trasferimento di questi
detenuti sia dipeso da una sorta di fraintendimento o malinteso,
forse influenzato da un eccesso di interpretazione autarchica
rispetto a quello che bolliva in pentola in questo stare al
gioco. Per esempio, sollevare il tema dell'ergastolo ostativo
può avere generato dei sospetti? Eppure esso è
stato portato tante volte all'attenzione dell'opinione pubblica
con intelligenza: mai che si ricordi sia stato portato dentro
un progetto rivendicativo ottuso (...)
I funzionari di Roma hanno paura dei prigionieri che pensano, lottano
e scrivono.
Lo sospettavo che eravamo partiti perché lottavamo pacificamente
contro l'abolizione dell'ergastolo, ora ne ho la certezza.
Carmelo Musumeci
Padova, ottobre 2012
www.carmelomusumeci.com
In
memoria di Angelo Papi (mio padre)
Sulle pagine di questa rivista che mi è da sempre così
cara vorrei ricordare mio padre, Angelo Papi, morto in modo
sereno e senza troppo soffrire all'età di 93 anni il
21 settembre scorso. Lui stesso leggeva, fino a che ha potuto
con frequenza, A rivista e i miei articoli che vi venivano pubblicati,
dandomi anche consigli sempre preziosi.
Mio padre è stato partigiano, dapprima impegnato nei
gap di città poi nelle montagne del pesarese. Tra le
sue ultime testimonianze mi ha confessato che il periodo partigiano
è stato il più bello della sua vita. Da partigiano
era comunista, ma essendo sempre stato di spirito autenticamente
libertario, quando subito dopo la liberazione cominciò
a sapere dei crimini staliniani si staccò con grande
convinzione dal PCI, fino a sentirsi in breve totalmente contrapposto
al suo autoritarismo di sostanza.
Conobbe anarchici e li stimò grandemente, me lo disse
lui stesso. Pur non essendosi mai dichiarato anarchico, mi ha
però trasmesso valori indelebili di amore per la libertà,
facendomi comprendere come siano inaccettabili le chiese, e
i regimi totalitari come il fascismo e il bolscevismo. Ricordo
ancora con commozione quando, dopo aver appreso nel sessantotto
che ero diventato anarchico, mi regalò testi anarchici
che si era procurato e che aveva letto: un'edizione originale
degli scritti scelti di Errico Malatesta curata dalla Giovanna
Berneri e da Cesare Zaccaria e un'edizione originale di “Risposta
di un internazionale a Giuseppe Mazzini” di M. Bakunin,
edizione originale del Bollettino Rosa del 1876, che in seguito
ho poi donato all'archivio Pinelli di Milano, avendone io il
testo in una ripubblicazione attuale. Mi diede inoltre una raccolta
da lui fatta di articoli di Gaston Leval, pubblicati, mi sembra,
da Umanità Nova, sulle esperienze delle comunità
agricole e delle collettivizzazioni delle fabbriche durante
la rivoluzione spagnola del 1936/'37. Cose che mi furono poi
preziosissime quando le lessi e mi confermarono l'essermi sentito
anarchico.
Ciò che mi ha regalato mio padre, come autentica acquisizione
di valori di libertà e di senso di responsabilità
per mantenere uno stato di libertà, per me è un
bene prezioso che mi terrò nel cuore per tutta la vita.
Grazie a mio padre dunque, che fu partigiano per spirito ideale
di libertà e che rimase fino alla morte un libertario
convinto, anche se non divenne mai ideologicamente anarchico.
Andrea Papi
Forlì
I
nostri fondi neri
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Sottoscrizioni. AGianni Forlano e Marisa
Giazzi (Milano) ricordando Carlo Oliva, 100,00; Monica
Giorgi (Bellinzona – Svizzera) 80,00; Patrizia
De Masi (Caposele - Av) 5,00; Davide Foschi (Gambettola
- Fc) 20,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Carlo
Oliva, 500,00; Luca Vitone (Berlino – Germania)
50,00; Francesco D'Alessandro (Sesto San Giovanni
– Mi) 38,00: Claudio Paderni (Bornato –
Bs) 10,00; Alberto Ciampi (San Casciano Val di Pesa
- Fi) 20,00; Roberto Caelli (Parma) 20,00; Roberto
Bernabucci (Cartoceto – Pu) 20,00; Giuseppe
D'Agostino (Novara) 20,00; Stefano Bevione (Alba -
Cn) 10,00; Vincenzo Portone (Colle Val d'Elsa –
Si) 5,00; Gianfranco Cutillo (Bari) 20,00; Simona
Bruzzi (Piacenza) 20,00; Simone Zanchini (San Leo
– Pu) 10,00; Pasquale Messina (Milano) 10,00.
Totale € 958,00.
Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti
specificato, trattasi di euro 100,00). Fabio
Santin (Venezia); Angelo De Rosa (Tokyo – Giappone);
Massimo Merlo (Lodi); Stefano Stofella (Rovereto –
Tn); Giorgio Sacchetti (Arezzo). Totale €
500,00
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