USI 2
Il nostro compito oggi
Intervista a Enrico Moroni di
G. F.
foto di Roberto Gimmi
La realtà del capitalismo e le prospettive di lotta nelle parole del segretario dell'Unione Sindacale Italiana, eletto nel congresso modenese dello scorso marzo. Moroni, figlio di un anarchico di Senigallia, con una lunga storia militante ispirata all'anarcosindacalismo.
Una tua prima valutazione
sulla fase attuale?
Il sistema capitalistico sta attraversando una delle sue crisi
peggiori come conseguenza della forte accelerazione di “liberismo
selvaggio” che ha trovato piena condivisione da parte
di tutti i partiti dell'arco costituzionale (centro-destra e
centro-sinistra) e la complicità dei sindacati confederali
(Cgil, Cisl, Uil e Ugl). Il presupposto che ha messo tutti d'accordo
è quello, altamente ideologico, che lo sviluppo economico
derivi soprattutto dalla riduzione del costo del lavoro, inteso
come costo della mano d'opera, abbattendo il quale ne gioverebbe
la concorrenzialità delle aziende, incrementandone i
profitti e di conseguenza promuovendo gli investimenti a beneficio
dello sviluppo economico e sociale.
Per raggiungere queste condizioni si è attuata una politica
di riduzione dei salari (anche l'eliminazione definitiva della
scala mobile ne ha fatto le spese) attraverso l'accordo del
'93 tra governo, Confindustria e sindacati. Sono state approvate
le leggi per la precarizzazione del lavoro, si è favorito
il decentramento delle aziende, attraverso esternalizzazioni
e appalti di importanti settori lavorativi, le privatizzazioni,
la riduzione progressiva delle conquiste dei lavoratori e dei
loro diritti, tra cui quelli non indifferenti della rappresentanza
sindacale e, ancor peggiore, la pesante riduzione del diritto
di sciopero. Tutto ciò ha portato all'impoverimento di
ampi strati della popolazione lavoratrice e quindi alla crisi,
anche quella istituzionale. Pertanto, si è preferito
passare la mano ad un governo tecnico più direttamente
rappresentante delle linee guida dettate dai banchieri e dalla
grande finanza da imporre all'Europa Unita.
La cura del governo Monti, con il sostegno dei maggiori partiti
presenti in parlamento, è una “cura da cavallo”,
che accentua in modo peggiorativo tutti quei fattori che hanno
portato alla crisi: ulteriori riduzioni dei salari e delle pensioni,
aumento dei ticket e delle tasse per i lavoratori, accompagnato
dall'aumento del costo della vita, allungamento degli anni per
la pensione, taglio ulteriore dei sevizi sociali, riduzione
delle coperture per chi perde il lavoro, una ulteriore pesante
espulsione di lavoratori dalle aziende private e pubbliche grazie
anche alle modifiche dell'art.18. Quello che non era riuscito
neanche al famigerato governo Berlusconi è stato attuato
dall'attuale governo in carica. Tutto questo significa un'ulteriore
precipitare nel vortice della crisi soprattutto per lavoratori,
lavoratrici e gli strati più deboli della popolazione.
I limiti
del sindacalismo di base
Cosa pensi dell'attuale “smarrimento” del
sindacalismo di base, incapace di proporre forme di lotta significative
con caratteristiche unitarie? Pare che questi sindacati stiano
subendo un processo d'invecchiamento precoce.
I sindacati di base suscitarono molte aspettative alla loro
nascita, la maggior parte infatti si costituì con la
fuoriuscita dai sindacati confederali, in particolare dopo l'accordo
del '93 sul “costo del lavoro” al quale abbiamo
già fatto riferimento.
Ma tali aspettative con il passare del tempo si sono andate
spegnendo ed è subentrata la delusione. Una delle cause
sicuramente è stata la loro eccessiva proliferazione
e soprattutto l'eccessiva litigiosità fra loro, non tanto
dovuta alle diverse impostazioni di carattere sindacale, ma
soprattutto all'affermarsi di nuove burocrazie, nei rispettivi
vertici, inamovibili nel tempo, ciascuna delle quale preoccupata
di marcare il proprio territorio e di considerare terra di conquista
le altre formazioni sindacali. C'è anche da aggiungere
l'intervento, in alcuni ambiti, di componenti politiche con
fini di strumentalizzazioni. Sta di fatto che, non molto tempo
fa, si era arrivati al punto che alcuni sindacati di base raggruppati
decidevano di proclamare lo sciopero generale in giorni differenti
dagli altri, pur sui punti di un programma rivendicativo identico.
Con lo sciopero generale del 22 giugno si è riusciti
a far coincidere la proclamazione nello stesso giorno, dopo
una lunga ed estenuante trattativa delle segreterie, dove i
sindacati maggiori l'hanno fatta da padrone, con un enorme ritardo
rispetto ai tempi delle decisioni del governo. L'USI ha svolto
un ruolo molto critico, ritenendo che si potevano accelerare
i tempi e trovare quella forza necessaria alle esigenze del
momento attraverso un percorso assembleare unitario delle strutture
di base, dei delegati e militanti sindacati e dell'opposizione
sociale.
Ma il sindacato di base, nel suo complesso, ha anche un'altra
grave lacuna che lo penalizza: quella di limitarsi ad un ambito
di difesa puramente sindacale, sulla base di richieste rivendicative
quantitativamente maggiorate, all'interno di un quadro generale
che sta riducendo velocemente gli ambiti rivendicativi stessi,
sovrastato dai meccanismi imposti dal potere economico e politico.
Perciò, pur in presenza di momenti importanti e significativi
di forte resistenza in particolari aziende e settori, non si
riesce a superare i meccanismi delle regole e delle condizioni
imposte. E questo, a lungo andare, pesa e porta alla rassegnazione.
Come spieghi il “ritorno a casa” di tanti
compagni anarchici e anarcosindcalisti che hanno militato nel
variegato arcipelago del sindacalismo di base e ora stanno rientrando
nell'USI-AIT?
Penso che la spiegazione sia dentro a quanto appena detto. L'USI,
pur avendo profonde differenziazioni che la caratterizzano rispetto
all'arcipelago del sindacalismo di base, riesce a sviluppare
un discorso non settario, ma profondamente unitario su tutti
quei terreni che sono percorribili assieme, coscienti che questa
è la strada da percorrere per avere quella forza necessaria
a perseguire risultati utili e per sviluppare il processo d'emancipazione.
Questo spirito prevalente all'interno dell'organizzazione sindacale
a carattere libertario è sicuramente facilitato dal rispetto
della rotazione degli incarichi, a cominciare da quella del
Segretario, sostituito da un Congresso all'altro, evitando la
gerarchizzazione di strutture di potere. Ma penso che agiscano
positivamente in tal senso anche il rispettare la pratica del
metodo autogestionario, con l'effetto di ridurre i conflitti
interni.
Soprattutto si respira all'interno dell'organizzazione una profonda
tensione verso il superamento della società attuale,
sulla quale i compagni libertari sono molto sensibili.
Questi aspetti, in un momento in cui i sindacati di base attraversano
una profonda crisi, che attraversa a maggior ragione il campo
dei sindacati confederali, ci rende attrattivi nei confronti
di molti lavoratori che sentono un impulso di ribellione verso
questo stato di cose sempre più opprimente. Non dimentichiamo
che l'Unione Sindacale Italiana, pur essendo un sindacato che
si ispira ai principi dell'anarcosindacalismo, non è
il sindacato anarchico, che sarebbe una contraddizione in termini,
ma una associazione dei lavoratori che concordano sul metodo
dell'autorganizzazione e nella pratica del conflitto verso ogni
forma di oppressione, sia economica che politica.
Sintesi
e concretezza
Quale
giudizio esprimi sul XX Congresso di Modena che ha suscitato
un buon interesse e ha visto una qualificata partecipazione
di compagni e compagne, comprese le delegazioni della FAU tedesca
e del Segretariato dell'AIT?
È un Congresso che cade a cent'anni dalla nascita dell'USI,
avvenuta nella stessa città di Modena, e che si iscrive
tra i suoi atti celebrativi. Esprimo un giudizio molto positivo
anche se giustamente pretendiamo, soprattutto in questo momento
che stiamo attraversando, da una organizzazione sindacale quale
l'USI, con traguardi molto ambiziosi, una capacità di
analisi, di sintesi e di operosità tale da saper dare
le risposte adeguate alla difficilissima situazione che sono
costretti ad affrontare i lavoratori.
Una volta superati nella fase congressuale iniziale –
anche con soluzioni sofferte – i problemi interni, il
clima del confronto è stato buono e sereno. Pur nella
diversità naturale delle opinioni c'è stata la
capacità di trovare la sintesi e la concretezza necessaria
nelle decisioni prese, espresse attraverso mozioni che delineano
i compiti più immediati e nella prospettiva futura dell'organizzazione.
Una positività che tutt'ora continua, raccogliendone
i primi frutti e che fa ben sperare per i traguardi futuri.
Quali sono secondo te le “coordinate generali”
dell'anarcosindacalismo contemporaneo per consolidare ed estendere
la ripresa dell'USI-AIT?
Innanzitutto continuare a praticare gli orientamenti evidenziati
nel programma concordato del XX Congresso.
Pur non rinunciando alla nostra “specificità sindacale”
che ci contraddistingue dobbiamo proseguire nel ruolo per realizzare
il massimo di unità possibile nell'azione comune con
tutte le componenti del sindacato di base, strutture di base
sia sindacali che nell'ambito del conflitto sociale, attraverso
la pratica di assemblee dal basso. Il metodo dell'autorganizzazione
e dell'autogestione delle lotte deve essere il nostro tratto
distintivo.
I nostri obbiettivi, naturalmente indirizzati alla difesa e
al miglioramento delle condizioni nei luoghi di lavoro e nella
società, devono essere sempre coerenti con la prospettiva
di un cambiamento generale della società, come affermato
nello stesso Statuto e nei Principi che stanno alla base costitutiva
dell'USI, dove è scritto che l'organizzazione “tende
alla socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, all'abolizione
dello stato e dei dogmi...”
Nell'immediato rivendichiamo un adeguamento con aumenti egualitari
dei salari e delle pensioni, attraverso vertenze che sappiano
unire lavoratori di tutte le categorie, forzando quel blocco
imposto da governi, Confindustria e accettato dai sindacati
confederali. Senza per questo rinunciare ad una battaglia rivendicativa
per la riduzione dell'orario di lavoro che ha sempre distinto
storicamente l'anarcosindacalismo.
Dobbiamo far saltare tutte le leggi e gli accordi che consentono
la precarizzazione del lavoro, pretendendo l'accorpamento di
tutte le forme di appalto da parte delle aziende committenti.
Eliminazione di ogni forma di lavoro nero.
Dobbiamo difendere l'occupazione ostinatamente, a iniziare da
quelle aziende che dismettono, per spostarsi in altri luoghi
dove è più vantaggioso sfruttare la mano d'opera,
o per interessi speculativi a livello territoriale, rivendicando
la riappropriazione da parte dei lavoratori delle ricchezze
(terreni, immobili, macchinari) che sono il frutto dello sfruttamento.
Dobbiamo, nel contempo, liquidare le aziende inquinanti, riconvertendole
in aziende non inquinanti e per una produzione socialmente utile.
Nel caso esemplare della vicenda dell'Ilva di Taranto ci siamo
schierati apertamente con il “Comitato Cittadini e Lavoratori
Liberi e Pensanti”.
Dobbiamo organizzare i precari e i senza lavoro nel rivendicare
progetti socialmente utili costringendo le istituzioni a farsene
carico. Dobbiamo aprire le lotte dei lavoratori nelle aziende
d'interesse pubblico e sociale al sostegno degli utenti, attraverso
obbiettivi di comune interesse. Dobbiamo scavalcare tutte quelle
leggi e regole che impediscono ai lavoratori e alle lavoratrici
in sciopero di sviluppare adeguatamente la propria forza rivendicativa.
I lavoratori e le lavoratrici devono riconquistare la rappresentanza
diretta delle proprie rivendicazioni con la pratica di assemblee
che nominino i propri delegati al contrario degli attuali meccanismi
imposti che impediscono la rappresentanza reale. Dobbiamo sviluppare
e collegare, nel segno della solidarietà, le lotte dei
lavoratori e degli oppressi a livello internazionale. L'appartenenza
dell'USI all'AIT (Associazione Internazionale dei Lavoratori)
si ispira ai principi del noto Congresso dell'ala antiautoritaria
e libertaria a Saint-Imier, di cui quest'anno si è celebrato
il 140° anniversario.
La dimensione internazionale dello scontro in atto è
un'esigenza irrinunciabile se vogliamo contrastare efficacemente
la forza che gli stati coalizzati e il capitale monopolistico
oppongono, a livello mondiale, allo sviluppo emancipatrice della
classe lavoratrice.
Infine, dobbiamo promuovere, ogni qual volta si presenta l'occasione
favorevole, forme di autogestione fin da ora, per rafforzare
la nostra spinta verso la realizzazione di una società
libertaria e liberata da ogni forma di sfruttamento dell'uomo
sull'uomo.
G. F.
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