cultura
L'utopia
cantata con rabbia
Se pensate che la musica debba essere fine a se stessa, allora
vi state perdendo il potenziale comunicativo di quest'arte.
Non possiamo certo trascurare le bellissime storie narrateci
dai cantautori provenienti da ogni angolo del mondo, il dolore
racchiuso in un pezzo blues, il senso di libertà provato
quando si sente una canzone folk, o ancora il grido di evasione
del punk con le sue chitarre che ti sputano in faccia una cruda
realtà.
È proprio il genere punk che voglio rendere protagonista
di queste righe, portato a folate di vento dalla “lontana”
Inghilterra insieme a tutta una serie di cambiamenti sociali.
A metà degli anni '70 sarebbe infatti bastato aprire
la finestra per intuire che la leggera brezza britannica sarebbe
divenuta a breve un uragano che avrebbe sconvolto i costumi
giovanili occidentali e stravolto le convenzioni sociali.
Un genere dunque che, con naturali alti e bassi, con i più
vari cambiamenti e con molteplici sfaccettature, si è
fatto largo sgomitando tra le pieghe della storia arrivando
fino ai giorni nostri; e se credete che si tratti solamente
di un cieco baccano vi state proprio sbagliando: a confermarcelo
è il gruppo combat punk contemporaneo dei Guacamaya.
La band magentina nasce nel 2003, attraversa molti cambi di
formazione, ma gli elementi che la caratterizzano sono sempre
gli stessi: musica istintiva e rabbiosa tipica del punk, tematiche
impegnate sia sul piano politico sia su quello sociale. Nel
2010, al meeting delle etichette indipendenti (MEI) ricevono
“il riconoscimento all'impegno sociale”. L'anno
successivo inizia la registrazione del loro ultimo lavoro, Il
sangue e la polvere, titolo dai toni accesi, che vuole evocare
lo spirito del nostro tempo: due elementi che ricordano il dolore,
il malessere in cui le nuove generazioni sono costrette a vivere,
o meglio sopravvivere, ma anche un grido di riscossa, perché
da quel sangue e da quella polvere tutto possa rinascere e cambiare.
Sentendo i loro pezzi non vi verrà solo voglia di pogare,
ma sarete indotti ad ascoltarli nel vero senso della parola,
fermandovi a riflettere: le dodici tracce di questo cd, oltre
ad essere un grido di protesta contro l'oppressione e lo sfruttamento,
raccontano infatti delle vere e proprie storie.
Si apre con un pensiero al giovane gappista Dante Di Nanni che,
gravemente ferito dai fascisti durante un'azione, ingaggiò
uno scontro a fuoco con i nemici che asserragliavano l'appartamento
dove era stato momentaneamente ricoverato prima di un trasporto
in ospedale che non avvenne mai.
Si continua con un viaggio nelle valli bergamasche, dove, con
La taverna del diavolo, viene ridonata vita alla vicenda
dell'anarchico Simone Pianetti, che nel 1914 dovette sopportare
la facile equazione di “anarchico uguale indemoniato”.
Impagabile la canzone Il testamento di V, liberamente
tratta dal film V per vendetta, in cui ci si immagina
che l'eroe mascherato lasci ai posteri un suo testamento prima
di andare incontro alla morte: un vero omaggio alla libertà
e all'utopia.
Importante anche l'attualità di alcuni temi trattati,
come nella canzone Know your rights, dedicata all'omonimo
progetto: Know your rights-sicurezza sul lavoro.
Insomma, un lavoro ricco di spunti, di riflessioni e di storie
del nostro tempo. Anche un omaggio alla memoria, tenuta viva
a colpi di chitarre elettriche e ritmi arrabbiati: uno dei tanti
modi per non dimenticare il passato, in modo da vivere in maniera
più consapevole il presente.
Numerose le collaborazioni all'interno del disco; prima tra
tutte quella in merito alla canzone che dà il titolo
all'album, incisa insieme ad Enrico, cantante di uno dei più
celebri gruppi Oi! Italiani: i Los Fastidios.
Da citare anche il bellissimo rifacimento della canzone Bandito
senza tempo del gruppo combat rock dei Gang, registrata
e cantata insieme a Marino e Sandro Severini.
Un lavoro, Il sangue e la polvere, dai toni fortemente
ribelli e coscienti di un gruppo che non ha avuto paura di scegliere
una strada indipendente, lontana dai panorami del business musicale
e dal mondo delle major. Una musica incazzata, il punk, che
oggi come negli anni '70 mantiene il suo potere rivoluzionario
e ancora una volta è riuscita a dimostrarlo.
Camilla Galbiati
Parola
di neo-nazista
Le memorie politiche tendono a essere autoassolutorie e reticenti.
Non ci si può quindi aspettare da un personaggio come
Stefano Delle Chiaie, classe 1936, leader indiscusso di Avanguardia
Nazionale, il pieno disvelamento di tutti i retroscena e di
tutte le possibili connivenze. Ciononostante nel suo libro L'aquila
e il condor. Memorie di un militante politico (Milano, Sperling
& Kupfer, 2012, pagg. 341, € 18,50, disponibile anche
come eBook a € 9,99) si trovano molte cose vere e interessanti,
sebbene sia necessario mettere da parte certi schematismi dell'antifascismo
militante degli anni settanta se si vuole capirlo.
Certo non mancano passaggi discutibili. Avanguardia Nazionale
vien fatta passare quasi per un gruppo di frati francescani
mentre vi militavano pure picchiatori specializzati in azioni
squadristiche.
A proposito del colpo di stato in Cile del 1973 si afferma che
esso era osteggiato dagli Usa, però fin dal 2003 sono
pubblici i documenti che illustrano in maniera incontrovertibile
il deciso incoraggiamento dato al golpe dall'amministrazione
Nixon. È vera però l'affermazione che l'amministrazione
Carter fu ostile al regime di Pinochet e meriterebbe approfondimenti
la notizia che tale regime era appoggiato dalla Cina popolare.
Si vuole accreditare la tesi che Giancarlo Esposti, il neofascista
milanese morto in uno scontro a fuoco con i Carabinieri a Pian
del Rascino il 30 maggio 1974, sia stato assassinato, ma almeno
uno degli elementi sospetti citati a sostegno di tale tesi è
smentito: la pistola Browning FN Hi-Power di Esposti era in
grado di sparare ben tredici colpi calibro 9 parabellum, diversamente
da quanto sostenuto da Delle Chiaie, che nondimeno di armi dovrebbe
intendersene. Sotto questo aspetto, quindi, nulla di contraddittorio
rispetto alla versione ufficiale. Peraltro sembrerebbe vero
che Esposti non fosse implicato nella strage di Piazza della
Loggia, ed è certo che non facesse parte di Avanguardia
Nazionale.
Delle Chiaie costruì e tenne in vita nella Spagna franchista,
dove si era rifugiato nel 1970, un'efficiente organizzazione
per aiutare i neofascisti fuggiti dall'Italia, comprensiva di
alloggi, un'impresa di import-export, un ristorante e altre
attività. Però non fornisce un solo indizio per
capire dove abbia trovato il denaro necessario per impiantare
e mantenere tale organizzazione e appare poco credibile che
a ciò bastassero i soldi raccolti per lui dai «camerati»
rimasti in Italia.
Dal 1980 al 1982 Delle Chiaie fu al servizio del regime militare
della Bolivia, allora impegnato in una durissima repressione
contro le opposizioni, con tanto di ufficio, scrivania e credenziali
col suo nome di copertura, Alfredo De Marco. Delle Chiaie non
spiega cosa fece in un ruolo tanto ufficiale.
Vi sono poi altre amenità che tralascio per ragioni di
spazio. Tuttavia quanto rimane facendo la giusta tara alle affermazioni
di Delle Chiaie suona singolarmente sincero. Ci piaccia oppure
no Delle Chiaie è uscito assolto da tutti i processi
in cui era imputato di stragi od omicidi. Si percepisce l'antipatia
per Franco Freda e Guido Giannettini e, benché non venga
detto apertamente, lascia intuire di ritenerli coinvolti nella
strage di Piazza Fontana.
È bene illustrato il ruolo di Avanguardia Nazionale nella
rivolta di Reggio Calabria. Si dice esplicitamente che il «golpe
Borghese» del dicembre 1970 fu un autentico tentativo
di colpo di stato, e che fallì perché l'uomo chiave
del complotto, il generale Duilio Fanali, capo di stato maggiore
dell'aeronautica, si tirò indietro all'ultimo momento.
Delle Chiaie fornisce valide argomentazioni a sostegno della
tesi che né lui né Mario Merlino abbiano mai partecipato
al famoso convegno all'Hotel Parco dei Principi nel 1965.
Nel complesso, malgrado le reticenze, siamo di fronte a un libro
che chiunque voglia capire l'ambiente del neofascismo tra anni
sessanta e settanta troverà utile.
Andrea Saccoman
184 anni fa
Il
16 settembre a Montano Antilia (Sa), a cura dell'associazione
Michele Cavallo, è stato inaugurato il cippo
dedicato ai rivoluzionari del 1828, anno in cui il comune
campano, da quartiere generale della rivolta, divenne
città martire.
Nell'appassionato e documentato racconto di Giuseppe
Galzerano – autore di due libri sulla rivolta
– rivive una pagina di storia locale e sovversiva:
speranze e altruismo, persecuzioni feroci, sangue e
tradimenti, amore e rivolte per fare l'Italia libera
del Risorgimento. |
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