ritratti
Dove fanno il nido le aquile
di Gianluca Luraschi
Lisbona d'estate e un incontro inatteso: un viaggiatore, un mercante di tappeti e cianfrusaglie che sembra provenire da altre epoche. Eppure Nussardim è ben radicato nella contemporaneità. E mentre racconta del deserto e disserta di testi sacri si esprime anche sulla crisi economica.
Sto leggendo Disoccupazione
creativa di Ivan Illich (Boroli edizioni, 1978) e mi appunto:
«il vocabolo “crisi” indica oggi il momento
in cui i medici, diplomatici, banchieri e tecnici sociali di
vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese le libertà.
Come i malati, i Paesi diventano casi critici. Crisi, parola
greca che in tutte le lingue ha voluto dire “scelta”
o “punto di svolta”, ora sta a significare: “guaritore,
dacci dentro!” Evoca cioè una minaccia sinistra,
ma contenibile mediante un sovrappiù di denaro, di manodopera
e di tecnica gestionale. Le cure intensive per i moribondi,
la tutela democratica per le vittime della discriminazione,
la fissazione nucleare per i divoratori di energia sono, a questo
riguardo, risposte tipiche. Così intensa, la crisi torna
sempre a vantaggio degli amministratori e dei commissari, e
specialmente di quei recuperatori che si mantengono con i sottoprodotti
della crescita di ieri: gli educatori che campano sull'alienazione
della società, i medici che prosperano grazie ai tipi
di lavoro e tempo libero che hanno distrutto la salute, i politici
che ingrassano sulla distribuzione dell'assistenza finanziaria
in primo luogo degli stessi assistiti. La crisi intesa come
necessità di accelerare non solo mette più potenza
a disposizione del conducente, e fa stringere ancora di più
la cintura di sicurezza dei passeggeri; ma significa anche la
rapina dello spazio, del tempo e delle risorse, a beneficio
delle ruote motorizzate e a detrimento delle persone che vorrebbero
servirsene delle proprie gambe.»
Il
cammino del mercante
Ho conosciuto Nussardim a Lisbona, ma lui è originario
del Marocco. Nussardim è nato Merzouga, ai bordi del
deserto Erg Chebbi. Dal deserto dice di aver imparato due cose:
camminare ed incontrare persone. Per Nussardim è una
questione di quantità. Nel deserto si cammina tanto e
s'incontrano poche persone. Da piccolo con il padre e i dromedari
attraversava l'Erg Chebbi fino all'Algeria, dove commerciavano,
forse contrabbandavano, non si sa bene cosa. Più grande
il padre ha voluto che studiasse, e quindi l'ha mandato a Marrakech,
dove per mantenersi ha vissuto le molteplici facce di piazza
Jemaa El Fna improvvisandosi: cameriere, acrobata, incantatore
di serpenti. Da Jemaa El Fna ha imparato due cose: camminare
con le proprie gambe e conoscere le persone dallo sguardo. Nussardim
ora vive circa metà anno a Lisbona e per il resto del
tempo continua a camminare ed incontrare persone. Con il suo
furgone Fiat Ducato torna una volta all'anno a Marrakech e acquista
prodotti da commerciare in Europa. Quindi risale il Marocco
lungo l'Altas, lasciandosi scorre sotto le ruote del Fiat Ducato
un interminabile altopiano, montagne bellissime e gente che
cammina. Risalendo il Marocco verso nord passa per Fez, dove
acquista tappeti, e poi si inerpica su a Chefchaouen dove compra,
per uso personale, non si capisce cosa. Quando Nussardim raggiunge
Tangeri deve decidere cosa fare: se il furgone è pieno
di merce allora traghetta per Algeciras in Spagna, altrimenti
gli tocca il lungo viaggio attraverso tutto il nord Africa fino
all'Egitto, nella speranza di recuperare altri prodotti e riempire
il furgone. Giunto ad Alessandria d'Egitto s'imbarca per Venezia.
Da Venezia a Lisbona Nussardim vende le cose che ha acquistato
in Africa. Quando il furgone è vuoto torna a Lisbona
a riposare, dove ad aspettarlo ci sono moglie e figli, e da
qualche tempo anch'io.
La crisi
alla luce della Bibbia
È bello stare con Nussardim, quello che dice sa di
strade camminate e di persone incontrate. Ma soprattutto passare
del tempo con Nussardim è come prendere parte ai misteri
che ha rubato alla strada.
Per Nussardim a essere entrato in crisi non è il sistema
politico, ma qualcosa che va oltre la politica. Pensare che
la politica riesca a trovare una soluzione in questi tempi è
come sperare che “al piccione venga voglia di fare il
nido dove lo fanno le aquile”.
Secondo Nussardim occorre ripartire da una rinnovata tensione
spirituale, anzi di ingegneria genetica. Occorre concepire un
uomo nuovo che sia figlio di Malcom X e santa Chiara: libero
perché ancorato alle tradizioni, e capace di responsabili
gesti di ribellione. Mentre dice queste cose penso che dato
che abbiamo fatto trenta possiamo fare trentuno, l'uomo nuovo
dovrebbe essere tirato grande nell'Ashram di Sabarmati
(quello di Gandhi per intenderci).
Nussardim sostiene che solo il giorno in cui le religioni impareranno
a camminare affianco alle persone, e non davanti o dietro, assisteremo
a questo “miracolo”.
Nussardim mi fa partecipe di un mistero che un prete coopto
di Alessandria d'Egitto in un assolato pomeriggio d'estate gli
ha raccontato, forse svelato. Nussardim mi spiega l'attuale
“crisi” alla luce della Bibbia. Lui mussulmano,
io cattolico, noi alla ricerca di un mondo senza governanti
che ci impediscano di camminare con le nostre gambe.
Secondo Nussardim sono in troppi a cercare il senso delle vita
nella Scrittura, che scrittura non è. Nussardim mi spiega
che le prime tracce scritte della Bibbia entrano nella storia
soltanto tra la fine del VII e il VI secolo a.C. ma si ritiene
che l'effettiva composizione dell'Antico Testamento, per come
noi lo conosciamo, non sia avvenuta prima dell'850 a.C. Fu nel
corso dei nove secoli successivi alla nascita di Cristo, e sotto
l'influenza più o meno evidente delle pratiche cristiane,
che gli scribi e gli studiosi ebrei hanno curato e trasmesso
il testo della Bibbia ebraica. Con la diaspora delle comunità
ebraiche nel mondo ellenistico, la traduzione in greco è
divenuta d'obbligo. La leggenda vuole che ad Alessandria d'Egitto,
su disposizione di Tolomeo II, settantadue saggi d'Israele abbiano
tradotto in greco le Scritture, nell'arco di settantadue giorni.
Ciò che è certo è che la Septuaginta (ovvero
la 'Bibbia dei settanta') fu composta nel III secolo a.C. per
le comunità ebraiche di lingua greca in Egitto. È
questo l'Antico Testamento sul quale si basa gran parte delle
prime ritraduzioni e dei comandamenti teologici cristiani.
Insomma la Bibbia è frutto della tradizione orale che
per mille e più anni è stata trasmessa da generazione
in generazione durante le sere intorno ai fuochi, poi ci sono
stati primi frammenti di papiro, le diaspore, le traduzioni
di traduzioni se non quando di interpretazioni, la Septuaginta,
la Bibbia tradotta nel 393 circa da Girolamo in lingua latina
chiamata la Vulgata, la traduzione in lingua tedesca di Lutero,
ecc. Una babele.
Nussardim mi dice che la Genesi inizia con la consonante “berth”
di “bereshit”. Sulla scia della versione greca detta
dei Settanta, questa è stata tradotta in Genesi. Ma beth
significa anche “casa”, quando viene vocalizzata.
La creazione, così come ci è stata raccontata,
costituisce il tentativo di costruire una casa per l'umanità.
Insomma, secondo Nussardim lo scopo delle religioni è
quello di mettere ordine ad una cosa che è confusione,
la vita. E le religioni hanno costruito ad arte degli strumenti
nei loro laboratori: mederse, seminari e templi.
Ma sebbene Nussardim sostenga che la vita è confusione,
caso, fatalità, e alla confusione ritorneremo quando
moriremo, solo la disciplinata osservanza nelle cose in cui
si crede ci rendere liberi, quell'osservanza che prima è
spirituale, e poi è regola. Per rendere il concetto chiaro
gli chiedo un esempio: “un monaco che nella libera adesione
ad un ordine ne segue i precetti, percorre un cammino di libertà,
mentre un cultore della libertà, che vive una vita senza
regole è schiavo”. Nussardim si affretta ad aggiungere:
“L'uomo senza un dimensione spirituale è schiavo,
ma le religioni sono capaci di renderci ancora più schiavi
degli schiavi”.
Delle volte con Nussardim mi perdo, ho bisogno di fare mente
locale. Le religioni si basano su degli scritti per dimostrare
la loro attendibilità, che in realtà sono delle
trascrizioni di tradizioni orali. Il loro obiettivo è
quello di dare un senso ad una cosa che senso non ha: la vita.
Ma il fatto che esistano le religioni è un bene perché
sono degli strumenti che possono renderci liberi.
Non so se ho capito quello che lui ha voluto dirmi. Mi capita
spesso quando alla complessità del discorso che si sta
facendo si aggiunge la complessità della lingua che non
si condivide. È qualcosa a cui mi sto abituando da quando
vivo da straniero: non capire, ma intuire. Infondo non penso
che questo sia importante, quello che conta è l'aver
portato via da questo incontro un pensiero, magari diverso dall'originale,
magari che non si condivide fino in fondo, ma comunque qualcosa
su cui lavorare, che fa nascere delle domande.
Il
tempo è il deserto
È una calda estate qui a Lisbona, niente di soffocante
come i racconti che arrivano dall'Italia. L'oceano mitiga, rende
tutto meno faticoso, tutto possibile, forse mischiato, anche
i pensieri. Mi congedo da Nussardim e percorro il tragitto da
Campo de Santa Clara a casa rilassato, così mi concedo
una imperial (una birra alla spina). Sotto casa la raccapricciante
scoperta di un piccione morto mi costringe a dargli degna sepoltura
nel cassonetto dell'immondizia.
Entro in casa e sotto gli effetti della imperial incrocio
Nussardim con Illich.
Le religioni, così come la politica, sono strutturate
nel proporre delle risposte. È quello che denunciava
Illich nel '78: il cittadino del mondo civilizzato è
espropriato della propria capacità di fare da sé
ciò che altrimenti saprebbe fare benissimo perché
professionisti creano per lui oggetti che appagano i suoi bisogni.
I professionisti spengono il nostro bisogno di ricerca.
È una questione di saper far sorgere delle domande. Il
tempo in cui stiamo vivendo è il deserto, l'Erg Chebbi,
uno spazio per camminare con le nostre gambe e persone da incontrare.
Condizioni queste essenziali per coltivare una rinnovata dimensione
spirituale. Chissà se allora anche ai piccioni possa
venire voglia di fare il nido dove lo fanno le aquile.
Gianluca Luraschi
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